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Il paesaggio dei Nebrodi, una risorsa primaria del territorio

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Uno scorcio del Parco dei Nebrodi

di Mario Sarica

Spingere lo sguardo nel paesaggio, oltre il fluire distratto delle immagini del nostro quotidiano, credo sia oggi quanto mai necessario per riconoscere la nostra storia e la nostra cultura di comunità, così com’è andata stratificandosi sul territorio, lungo l’inesorabile freccia del tempo, nel corso dei secoli. Un esercizio, in verità, non facile da mettere in pratica, quello dell’osservazione consapevole del paesaggio, dal momento che, nello svolgere di due/tre generazioni, è andata sempre più a sfilacciarsi quella trama dall’ordito antico, intessuta di virtù e saperi rassicuranti e condivisi, dispiegata in quel policromo arazzo di una rappresentazione del mondo, in perfetta armonia fra terra e cielo, ormai per sempre perduta.

Vissuto sulle urgenze della convulsa contemporaneità, lungo i frenetici itinerari esistenziali individuali e collettivi, proiettati spesso ad unire, in una precaria economia fra pubblico e privato, due o più punti geografici nel più breve tempo possibile, del paesaggio, ai più, resta, nel presente, solo una percezione retinica, piatta, riflessa magari, nel migliore dei casi, per scorci panoramici occasionali on line, e rilanciata dai social, allontanandoci così, sempre più, dalla necessaria  tangibile e polifonica fisicità in “3D” del territorio.

Un rapporto, dunque, con il paesaggio, nelle generalità dei casi, conflittuale, discontinuo, parcellizzato, disarmonico, o semplicemente strumentale e funzionale ai bisogni contingenti, con tutti gli effetti collaterali negativi, e che magari, illusoriamente, si tenta di risarcire/recuperare con  il ritorno periodico stagionale ai luoghi natii, venato da nostalgie familiari e comunitarie, coincidenti quasi sempre con le feste patronali celebrate “teatralmente” e con autocompiacimento nel nome di Madonne e Santi fondatori “tutelari”.

Un fondale dai mille colori, dalle tante livree stagionali, il paesaggio, il nostro paesaggio nebroideo, che sembra così ritrarsi sempre più dal nostro presente, senza più parola, incapace di dialogare con noi, perché profonda e diffusa è l’afasia culturale che avvolge il nostro territorio, che ha fatalmente e colpevolmente negato la centralità dell’orizzonte esistenziale e culturale dei siti rurali storici, generatori di vita, dai quali si sono irradiate per secoli traiettorie esistenziali e valoriali, stabilendo legami virtuosi con il territorio e le sue risorse.

Un’inarrestabile e invincibile forza centrifuga ci allontana dal “nostro” paesaggio, sempre più estraneo e distante, per collocarci in un “lontano” paesaggio virtuale, più luccicante e attrattivo, ovvero in quella rutilante rappresentazione del mondo per immagini, regolata inesorabilmente dalle cieche regole del mercato, dettate da oscuri signori in cerca di profitti e ricchezze, in grado di orientare gli oscuri destini del mondo.

E ora, volgiamo lo sguardo al nostro paesaggio nebroideo, per osservarlo possibilmente con occhi, cuore e mente animate da spirito di riscoperta, tentando così di attivare un canale di comunicazione in grado di generare, preliminarmente, un riconoscimento reciproco, fra noi e il paesaggio, per poi incamminarsi lungo un sentiero di ascolto e di sguardi nuovi, per recuperare una piena consapevolezza identitaria, fra uomo ambiente e territorio, condizione necessaria, io credo, prima di immaginare qualsiasi mirabolante progetto di sviluppo e crescita.

 I Nebrodi, nella cangiante e fascinosa lista di emblematici paesaggi che genera  lungo il fluire delle stagioni, con singolari caratteri distintivi ambientali, naturalistici, faunistici, botanici, geologici e antropici in stretto dialogo con quelli culturali, sul versante storico, artistico, etnoantropologico, si offrono con fierezza e orgoglio, fra mare e cielo, come il più verde e pregiatissimo areale siciliano, in perfetto equilibrio fra natura e cultura, modellato armonicamente sul lungo periodo storico dall’incessante lavoro dell’uomo.

Il catalogo per immagini del paesaggio nebroideo è davvero fascinoso e fortemente attrattivo, in virtù dei suoi cangianti scenari dai mille colori e profili, in un confine incerto fra il selvatico e l’addomesticato, il colto e l’incolto, il naturale e l’antropico.

Militello-Rosmarino

Militello Rosmarino

All’osservazione plurima e comparativa dei tanti paesaggi nebroidei emerge, ad eccezione di alcune criticità di inquinamento ecologico e panoramico, determinato dai parchi eolici, nei territori di San Piero Patti, Floresta e  Mistretta, una sostanziale conservazione dei tratti storici morfologici ambientali costitutivi originari e dei segni cospicui dell’antropizzazione. Lo spegnersi progressivo delle secolari pratiche di lavoro artigianali e agro e silvo-pastorale  sul territorio, ora sotto la giurisdizione del Parco Regionale, che fa fatica a dialogare e rigenerare le tante anime e storie nebroidee, ha privato in gran parte questo areale siciliano di quello sconfinato patrimonio di “saperi” distintivo dell’Homo faber.

Forme replicate per secoli nelle filiere del lavoro delle mani, che giunge anche nell’astrazione e nel registro dell’immaginario, insufflate dal respiro esistenziale dell’uomo a diretto confronto con i contesti  naturali, declinati ai bisogni sostenibili. Poi, nel secolo breve, l’abbandono, il deserto progressivo delle campagne, fino a diventare terra di conquista dei malavitosi, con azioni a volte predatorie e di rapina, fino alla violenza e saccheggio del territorio, nel segno del malaffare e dell’uso improprio dei fondi europei! 

Ritornando a posare lo sguardo sui Nebrodi, come in una stratificazione archeologica, è possibile leggere il paesaggio e i suoi profili, legandoli alla frequentazione umana di lungo periodo. E così, si va dai boschi, costituiti da essenze vegetali millenarie, quali faggi, querce, sugherete, castagni, alle praterie e ai pascoli, declinate alle arcaiche pratiche di lavoro silvo-pastorale, tese ad addomesticare la natura, di memoria paleolitica;  all’area del grano, memoria stavolta della rivoluzione agricola del neolitico, unita ad una nuova visione del mondo; fino a giungere ai regni del noccioleto, e ancora a quelli dell’uliveto e del vigneto, in una sorprendente ed ininterrotta successione di profili montuosi e valli sinuose e misteriose, corsi e salti d’acqua, zone umide e laghi.

E nel mare cangiante e dall’umore mutevole, ma sempre accogliente, dei Nebrodi ecco le rassicuranti isole rurali, i centri abitati, modellati sui fianchi delle montagne o su crinali dominanti il territorio, o sul fondo valle, a raccontarci affascinati storie millenarie, che prendono forma nelle architetture di pietra di castelli, anche di fondazione bizantina; di chiese e palazzi baronali, fra Rinascimento e Barocco, espressioni di valori ideali e religiosi, oltre che segni del potere e della ricchezza di questo territorio; per poi parlarci del duro lavoro dell’homo faber, e dei luoghi dove la natura diventa cultura, con i frantoi, palmenti, mulini ad energia idraulica, neviere e architetture pastorali.

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Lago Biviere

Ed ora necessario appare sovrapporre il paesaggio nebroideo, per coglierne meglio i suoi caratteri distintivi e, dunque, far emergere le sue  risorse nascoste, veri e propri potenziali vettori propulsivi di rigenerazione territoriale, sull’idea-pensiero paesaggio così com’è andata maturando sulla scena europea e italiana nell’ultimo scorcio del Novecento, in un incessante e proficuo confronto e analisi e chiavi interpretative a più voci, il cui esito più alto, sintesi di acceso dibattito culturale, emerge luminoso nella Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze 2000), entrata in vigore nel 2004,  ratificata, nel frattempo, da 29 Paesi sui 47 Stati aderenti.

È quanto mai interessante annotare che il concetto di paesaggio, che la Convenzione  Europea per il Paesaggio assume, e si desume  dalle definizioni e dall’intero testo del documento, comprende in sé i riferimenti sia ad una accezione  fisica, materiale dei luoghi, sia ad una percettiva, nel senso più vasto e complesso (sensoriale e culturale), puntando dunque l’attenzione per la qualità di tutti i luoghi di vita delle popolazioni.

Più specificamente, «la qualità dei luoghi è considerata come condizione essenziale per il benessere (in senso fisico, fisiologico, psicologico e intellettuale) individuale e sociale, come risorsa capace di favorire  le attività economiche, come fondamento delle specificità dei luoghi, che sono espressione della diversità del patrimonio comune, culturale e naturale  e dell’identità delle popolazioni, nel quadro di uno sviluppo sostenibile».

Mulino-Alcara-Li-Fusi

Mulino, Alcara Li Fusi

Il Paesaggio, recita l’art.1 della Convenzione Europea,  «designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni», di più, nell’art. 2,  si precisa che la Convenzione  si applica «a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali urbani e periurbani …Concerne sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati».

Il Paesaggio è, dunque, «l’espressione fisica della cultura dell’uomo che vi abita, dunque porta impressi i segni della sua azione antropica – dettata dalla cultura e dalle sue tradizioni – che si intrecciano con le mutazioni naturali del territorio, relazionandosi armonicamente con la biosfera». Il paesaggio si configura come un sistema complesso e dinamico, da interpretare e vivere nella sua interezza, superando così la dicotomia concettuale tra paesaggio culturale e paesaggio naturale. Tale approccio è tuttavia messo a rischio dall’insidiosa tendenza  verso una globalizzazione, che mette in ombra la caratterizzazione e l’identità dei luoghi, accompagnandosi spesso ad una frammentazione e dispersione dell’idea di paesaggio, sia in contesti urbani sia rurali. Una tendenza, questa, che interferisce pericolosamente nel processo di superamento, che si registra all’interno delle scienze del paesaggio, fra le due opposte scuole di pensiero, ora in un certo modo riconciliate, che peraltro hanno informato, con esiti diversi, le varie azioni di tutela e valorizzazione e tutela del paesaggio nei singoli Stati.

La prima è quella di carattere ecologico, che riconosce nel paesaggio un’entità complessa in continuo cambiamento e fortemente connessa al suo interno in tutte le sue dimensioni, da quella geomorfologica a quella culturale, dominata dall’uomo in grado di trasformare il paesaggio  con le sue conoscenze e tecnologie. La seconda impostazione scientifica interpreta invece il paesaggio – che si tratti di quello semi-naturale o di quello culturale – attraverso la capacità dell’osservatore di riflettere sulle forme della del paesaggio stesso, e di riconnetterle alle proprie categorie mentali, filosofiche, artistiche, religiose.

Dunque, mentre l’impostazione ecologica tende ad osservare il paesaggio misurandone gli elementi e i loro molteplici rapporti secondo i principi delle scienze esatte, l’altro punto di vista evidenzia invece un carattere decisamente “umanistico”, esaltando  l’analisi della percezione delle forme.

 L’osservazione dei diversi approcci interpretativi sulla scena europea, sul tema del paesaggio, ci consente agevolmente di evidenziare, non solo la difformità degli apparati  normativi predisposti dai vari legislatori, ma le azioni poste in essere sul territorio a tutela e valorizzazione del paesaggio.

Galati-Mamertino

Galati Mamertino

Il paesaggio, come nel caso paradigmatico di quello nebroideo, in cui gli elementi naturali sono uno dei principali componenti, si configura come «opera aperta, in un mutamento che è continuo, necessario, inevitabile, inarrestabile, irreversibile per l’azione degli uomini e della natura. E così, anche un manufatto in pietra, dentro il paesaggio, in realtà si trasforma, sia ad opera della natura e degli agenti atmosferici, sia ad opera degli uomini».

In sintesi, si può dire, che i luoghi, letti dal punto di vista del paesaggio, possono essere considerati, nella loro fisicità, un «grande e complesso manufatto o se si vuole una grande e complessa architettura fra natura e cultura», esito del lungo fluire della storia e delle culture stratificate sul territorio nel corso dei secoli,

Attraverso questo sguardo il paesaggio, dunque, e quello nebroideo lo attesta in maniera emblematica, emerge come straordinario «documento, un grande archivio, pieno delle tracce materiali e immateriali della storia degli uomini, di quegli uomini, della natura, di quella natura, ma in continua trasformazione».

«È Opera aperta il Paesaggio, dove le tracce del passato si intrecciano con quelle che il presente va lasciando  e che lo modificano continuamente  e inevitabilmente, attraverso le azioni degli uomini e della natura». E su questo versante di osservazione, molti sono i luoghi nebroidei  emblematici, con ancora dense e diffuse tracce della loro storia, da rileggere e interpretare con “occhi nuovi”. Confrontarsi con i paesaggi significa certo cimentarsi con «una realtà molteplice, mutevole, resa quasi imprendibile dal suo potere di metamorfosi, e sulla quale si può avere presa solo utilizzando un sapere altrettanto molteplice, mobile, polivalente». Il paesaggio, se difende e interpreta la nostra identità, lo fa «caricandosi di molteplici e non univoci significati. Il sapere del paesaggio va considerato un sapere locale e basso, che appartiene a tutti, a una tradizione culturale che si rinnova con l’apporto di tutti».
Parco-dei-Nebrodi

Parco dei Nebrodi

E così, passaggio obbligato per una rigenerazione organica e integrata del Paesaggio, di tutti i Paesaggi, è quello di farsi carico del grande giacimento demoentoantropologico – dunque del  patrimonio rurale “materiale” e “immateriale”, confinato spesso muto e silente, in cerca d‘autore nei musei etnografici – e di farne coerente ed efficace progetto sociale ed economico a tutti i livelli istituzionali, fra pubblico e privato, attivando tutte le possibili connessioni virtuose e le conseguenti scale di intervento, europeo, nazionale regionale e locale.

Nonostante il ritardo relativamente all’approccio scientifico e a quello di illuminate e strutturate scelte politiche, rispetto ad altre aree europee, anche in Sicilia, e sui Nebrodi. si stanno sviluppando nuove sensibilità per un recupero consapevole del territorio, che segna il passaggio dal concetto di «paesaggio agrario a paesaggio rurale e da paesaggio rurale a patrimonio rurale, sviluppando quei processi  per riappropriarsi di pratiche e saperi locali», interagendo con i tanti spazi etnografici sparsi sul territorio che, sotto l’incalzare della modernità, hanno conservato le tracce tangibili della cultura materiale ed immateriale della civiltà agro-pastorale, con esemplari strategie ecocompatibili e rispetto delle biodiversità  dei diversi territori.

Il paesaggio, pertanto, come formidabile  ponte fra conservazione e innovazione, che consente alla cultura locale di ripensare “se stessa”, ancorando l’innovazione alla propria identità, ai propri miti, sviluppando così una vera e propria “coscienza di luogo”, necessaria per non perdersi dietro i luccichii dei miti omologanti della pervasiva globalizzazione economica e paraculturale.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
Riferimenti bibliografici
AA.VV. , Il paesaggio tra natura e cultura, Università degli studi, Messina, 2000.
AA. VV.,  La cultura del paesaggio in Europa tra storia, arte e natura, Olschki, Firenze, 2008.
AA.VV.,  I paesaggi italiani, fra nostalgia e trasformazione, Società geografica italiana, Roma, 2009.
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997).
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