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Il nemico è la guerra. Una prospettiva nonviolenta

Nina Masina (Artisti contro la guerra @Internazionale)

Nina Masina (Artisti contro la guerra @Internazionale)

di Andrea Cozzo 

Vorrei proporre una breve riflessione che possa contribuire alla costruzione della pace: costruzione della pace nel senso specifico di insieme di pratiche non militari in grado di fermare l’attuale scontro Russia/Ucraina, e in quello più generale di promozione di una cultura che ci abitui a pensare la soluzione di ogni conflitto violento attraverso il ricorso a mezzi pacifici.

Non farò analisi sulle responsabilità prime o ultime, immediate o remote, di questa guerra, né cronologie che determinano il suo inizio al 24 febbraio del 2022, come vuole la parte aggredita e chi sta unicamente con essa, oppure al 2014, come vogliono i russi e chi, tentando un’analisi più approfondita (magari riallacciandosi alle riflessioni di Tucidide sulla guerra del Peloponneso), non si adegua all’interpretazione ufficiale del mondo occidentale ma cerca anche altre, cioè le ‘nostre’, passate corresponsabilità.

Dal punto di vista del pensiero della nonviolenza, cui mi ispiro, – ma anche da quello dello storico e filosofo Plutarco il quale, a proposito della citata guerra del Peloponneso, sottolineava criticamente l’importanza svolta dalla passività della parte terza (cioè le altre città) rispetto ai contendenti, che appunto, purtroppo, “non si interpone” nel momento dello scoppio della guerra –, da questo punto di vista, dicevo, cerco di ragionare concretamente dal luogo che occupo illustrando ciò che poteva, e in una certa misura ancora può, fare la parte del mondo in cui vivo, indipendentemente dal fatto che sul passato si faccia un’analisi o un’altra.

Perché la nonviolenza (un’unica parola tutta attaccata) non guarda al passato, alle responsabilità, e perfino non guarda alla verità (da questo punto di vista, la nonviolenza è pensiero pratico perfettamente adeguato all’epoca della postverità); essa guarda, invece, al presente in vista della costruzione del futuro. Oltre il pacifismo, benemerito ma che può limitarsi alla protesta, la nonviolenza intende dire come si può operare attivamente per la pace. Innanzitutto, nell’azione immediata, per questa pace qui; poi anche negli interventi strutturali, di sistema, per cacciare poco a poco, come si dice, la guerra fuori dalla Storia. 

on Unsplash (ph. Maria Lysenko)

on Unsplash (ph. Maria Lysenko)

Un punto di partenza trasversale: il nemico è la guerra 

Il nemico è la guerra, e non, ovviamente, l’Ucraina che è aggredita e soffre; non Putin che ha con tutta evidenza aggredito, anche se pretende di giustificarsi facendo presente la sempre maggiore vicinanza della Nato al suo Paese (il che spiega ma non giustifica la sua invasione); non la Nato, benché non sia chiaro il senso della sua esistenza dopo la fine del Patto di Varsavia e men che meno del suo continuo allargamento (dagli originari 12 Paesi agli attuali 30!); non gli Stati Uniti, nonostante tutti i loro errori e di comunicazione e di azione; non l’Europa e l’Italia e chi è per l’invio di armi – che comprendo benissimo, anche se non ne condivido l’opinione; non, tra noi, chi, per me illecitamente, accusa di essere guerrafondai coloro che non vedono soluzioni se non nell’invio di armi in vista di negoziati; non chi, per me altrettanto illecitamente, accusa coloro che, semplici pacifisti o nonviolenti (perché in realtà le due categorie non coincidono) non vogliono l’invio di armi ma interventi volti a contrastare Putin che lo conducano ai negoziati di essere “oggettivamente” a favore dell’autocrate o, al meglio, “anime belle”; non chiunque pensi diversamente da me.

No; il nemico è la guerra e la distruzione e la morte che stanno operando ferocemente in Ucraina (oltre che in molte altre parti del mondo) e che, oltre a produrre tragedie umane e disastri ambientali, hanno creato un clima d’odio che avrà effetti ancora per chissà quanto tempo nel futuro, visto che ognuna delle due parti ha avuto i suoi morti. 

Banksy, Londra 2009

Banksy, Londra 2009

Cosa si può fare per mettere fine a questa guerra? 

Ed eccoci allora a quanto, oltre agli aspetti relativi agli aiuti umanitari, può essere subito messo in atto (totalmente o parzialmente), e poteva esser messo in atto ancora meglio il 24 febbraio: 

  1. un’inderogabile risposta negativa alla richiesta di entrata nella Nato da parte dell’Ucraina (nonché, a maggior ragione, alle odierne analoghe richieste della Finlandia e della Svezia). Detto con le categorie concettuali della nonviolenza, si tratta di riconoscere il punto di vista dell’Altro e di rassicurarlo concretamente (invece di deumanizzarlo come “il Male assoluto”, “il mostro” etc.);
  2. una serie di gemellaggi e interlocuzioni di Associazioni culturali, sportive etc., Scuole, Università europee e americane con i corrispettivi enti ucraini e russi per appelli congiunti alla pace. Questo, in termini nonviolenti, si chiama “costruzione di solidarietà e diplomazia dal basso”;
  3. una disseminazione delle ambasciate straniere (altro che loro abbandono!) in ogni città ucraina: in questo caso, riusciamo a immaginare possibile un attacco di Putin? In realtà, la violenza si sente legittimata nel suo esercizio solo quando si trova di fronte ad un atteggiamento contrario sullo stesso piano o servile o quando si trova all’interno di un contesto generale di tal genere. La diffusione di ambasciate costituisce invece un’“azione creativa”, non simmetricamente oppositiva, né complementarmente succube rispetto all’azione dell’aggressore;
  4. degli accordi tra giornalisti europei e russi per fare reportages in Ucraina insieme, piuttosto che quei penosi scontri simmetricamente opposti e inconcludenti, ai quali abbiamo assistito in diverse trasmissioni televisive, sia sul piano dei contenuti (“la tua, cara collega, è propaganda!”, “no, è propaganda la tua!”) sia sul piano della forma (offese, risate, mimiche facciali sarcastiche…). La collaborazione tra i giornalisti si chiamerebbe, in nonviolenza, “tentativo di costruzione di una verità condivisa a partire dal rispetto reciproco”;
  5. la promozione di un turismo di pace “organizzato” che veda decine di migliaia di civili stranieri in Ucraina, che costituiscano di fatto un elemento di interposizione: di nuovo, all’interno di una tale cornice, riusciamo a immaginare davvero un attacco di Putin? Anche questa iniziativa rientra nella logica della creatività, né simmetrica né complementare;
  6. la rinuncia a tutto il gas russo – se si ha davvero a cuore, e non solo a parole, l’Ucraina – perché questo sembra un elemento capace di mettere Putin in difficoltà in modo radicale. Teniamo presente pure che, alla richiesta di Draghi se gli Italiani preferiscono “la pace o i condizionatori accesi”, pare che, stando ai sondaggi, la risposta sia chiara: l’85% ha dichiarato di preferire la pace. Lo so che quella del Ministro del Consiglio era una boutade e che è in gioco anche l’economia. In realtà, per meglio dire, è in gioco anche una certa economia, una certa scelta politica dell’economia. Perché quella davanti a cui ci troviamo sarebbe un’ottima occasione per cambiare i nostri stili di vita e ridimensionare i consumi e l’inquinamento, e, facendo pagare i costi alle classi abbienti, anche un’opportunità per introdurre qualche grammo di giustizia sociale. In termini nonviolenti, il rifiuto di comprare il gas russo sarebbe una vera e propria “noncollaborazione” con l’aggressore.
  7. Infine, riguardo al battaglione Azov ancora in parte intrappolato nelle acciaierie Azovstal [1], si potrebbe proporre a Putin di farlo uscire e di fare giudicare i soldati accusati di crimini di guerra al Tribunale Penale Internazionale. Si otterrebbe così la salvezza della vita di tutti e si andrebbe incontro alla dichiarata esigenza di Putin di punire i nazisti (che dovrebbe essere anche esigenza ‘nostra’). Di nuovo: “riconoscimento del punto di vista dell’Altro”;
  8. Inutile dire che la premessa di tutto ciò non può che essere la cessazione dell’invio di armi all’Ucraina (cessazione che peraltro allontana i rischi di guerre nucleari, totali o parziali, e comunque di un allargamento della belligeranza). E qui non credo che ci sia bisogno di ricorrere ad una qualche specifica categoria del pensiero nonviolento.

Tutto ciò, dunque, lo potremmo mettere in atto nell’immediato o, comunque, in tempi molto brevi. Poi, interrotto il flusso mortifero della guerra, potrebbero cominciare i negoziati… E dopo i negoziati sarebbe opportuno pensare a ricostruire i rapporti Russia/Europa, ricercando un percorso di inclusione della Russia nell’Unione Europea. 

Bansky

Banksy, Londra 2009

Cosa fare per cacciare la guerra fuori dalla Storia 

Come dicevo all’inizio, esiste in realtà anche un aspetto più generale della questione “guerra”, che implica la necessità di costruire istituzioni e cultura di pace. Perché naturalmente la Nato non è un’istituzione di pace ma un (autoelettosi) gendarme del mondo, e la cultura in cui siamo allevati e viviamo ogni giorno non è una cultura di pace ma di competizione che fa da sponda perfetta alla logica della guerra – c’è uno che vince e uno che perde, e la parità è esclusa (il che non è pensiero ‘naturale’ né sano, e infatti non tutte le comunità umane lo praticano). Ecco allora che bisogna intervenire a livello strutturale nell’organizzazione politica e sociale.

Qui, un Programma costruttivo per la crescita della cultura e per l’istituzionalizzazione di una gestione nonviolenta dei conflitti potrebbe comprendere, tra le altre cose, anche le seguenti azioni: 

  1. installare, all’esterno delle sedi comunali, regionali e statali, bandiere della pace, che costituiscano un segno ben visibile di un modo di vedere planetario, umano, sovradeterminato rispetto a quello esibito e rivendicato nelle specifiche identità rappresentate dalle bandiere nazionali;
  2. perseguire l’elaborazione e la diffusione istituzionale di una cultura di pace: innanzitutto con l’aggiornamento dei programmi scolastici a partire dalla preparazione di chi insegna a scuola, e della ricerca universitaria, particolarmente di quella storiografica, perché si impegni nella costruzione di una storia della pace e delle tecniche nonviolente di gestione dei conflitti a tutti i livelli (interpersonali, sociali, internazionali) – aspetti su cui peraltro esiste ormai una vasta bibliografia ad opera di studiosi di chiara fama (Gene Sharp, Johann Galtung, Alberto Labate, Jacques Sémelin…);
  3. creare un Dipartimento di Difesa civile disarmata e nonviolenta (come da proposta di legge posta all’attenzione delle competenti Commissioni Affari costituzionali e Difesa), che possa finalmente operare, in linea con lo spirito della Raccomandazione del Parlamento Europeo del 10 febbraio 1999, per l’istituzione di un Corpo Civile di Pace (Caschi Bianchi) realmente operante per la prevenzione e la deescalation dei conflitti armati e per la costruzione della pace;
  4. ratificare il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (Trattato internazionale per la proibizione delle armi nucleari) votato dall’Onu nel luglio del 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021, ma non ancora firmato da molti Stati (compresi Italia, Stati Uniti e Russia);
  5. cominciare seriamente a riflettere sulla diminuzione delle spese militari (adesso invece aumentate da 22 a 36 miliardi di euro!);
  6. attuare una politica di transarmo, ovvero graduale disarmo di tutti i Paesi (per giungere alle sole armi di difesa, cioè di corta gittata).

Sono idee, queste ultime come le prime, che, mi pare, non costituiscono affatto “ingenuità” o addirittura “impossibilità”. Sono idee che possono sicuramente diventare oggetto di ulteriore riflessione ed essere aggiustate ma, sostanzialmente, la loro applicazione dipende soltanto dalla volontà politica, dalla capacità organizzativa e dal desiderio di guardare a ciò che veramente può salvare il genere umano dalla catastrofe e riportarlo alla sua propria dimensione – che, appunto, è quella umana. 

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022 
Note
[1] Si precisa che il testo è stato scritto prima della totale evacuazione delle acciaierie.
Riferimenti bibliografici 
Ackerman, P., Bartkowski, M., DuVall J., Ukraine: a nonviolent victory, in OpenDemocracy 3 Marzo 2014 (httpss://www.opendemocracy.net/civilresistance/peter- ackerman-maciej-bartkowski-jack-duvall/ukraine-nonviolent-victory)
Arielli, E., Scotto, G., Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori, Milano 2003.
Cozzo, A., Conflittualità nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Mimesis, Milano 2004.
Drago, A., Le rivoluzioni nonviolente dell’ultimo secolo. I fatti e le interpretazioni, Nuova Cultura, Roma 2010.
Drago, A., (a cura di), Peacekeeping e peacebuilding. La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 1997.
Fisher, R., Ury, W., Patton, B., L’arte del negoziato, Corbaccio, Milano 2005.
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Goss-Mayr, H., Come i nemici diventano amici, EMI, Bologna 1997.
Morozzo della Rocca, R., Mozambico. Dalla guerra alla pace, Edizioni S. Paolo, Torino 1994.
Muller, J.-M., Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova 1975.
Muller, J.-M., Vincere la guerra. Principi e metodi dell’intervento civile, EGA, Torino 1999.
Rizzolatti, G., Vozza, L., Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Zanichelli, Bologna 2008.
Salio, G., Il potere della nonviolenza. Dal crollo del Muro di Berlino al Nuovo Disordine Mondiale, EGA, Torino 1995.
Sémelin, J., Senz’armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993.
Sharp, G., Dalla dittatura alla democrazia. Come abbattere un regime. Manuale di liberazione nonviolenta, Chiarelettere Milano 2011.
Sharp, G., Politica dell’azione nonviolenta, tre voll.: 1 Potere e lotta; 2 Le tecniche; 3 La dinamica, EGA, Torino 1985-1997.
Tullio, F., (a cura di), La difesa civile e il progetto Caschi Bianchi. Peacekeepers civili disarmati, F. Angeli, Milano 2000.
Watzlawick, P, Beavin, J. H., D.D., Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1971,
Scotto, G., Truger, A., Cooperazione nel conflitto. Un modello di formazione al peacekeeping e al peacebuilding civile, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 1995.

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Andrea Cozzo, docente di Lingua e letteratura greca, presso l’Università di Palermo, dove, dall’a.a. 2001-02 al 2008-2009, ha tenuto anche il “Laboratorio di teoria e pratica della nonviolenza”. Ha tenuto seminari e corsi sulla nonviolenza in scuole, associazioni e centri sociali, nonché per le Forze dell’ordine. Si occupa di storia, teoria e pratica della mediazione e gestione dei conflitti. Sulla storia della mediazione e della nonviolenza nella Grecia antica (che costituisce il suo specifico ambito di lavoro accademico) ha pubblicato i volumi: «Nel mezzo». Microfisica della mediazione nel mondo greco antico (Pisa University Press, 2014); Riso e sorriso e altri saggi sulla nonviolenza nella Grecia antica, (Edizioni Mimesis, 2018). Sulla teoria e la pratica della nonviolenza e della mediazione in ambito odierno ha pubblicato i volumi: Conflittualità nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa (Edizioni Mimesis 2004); Gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione. Manuale di formazione per le Forze dell’ordine (Gandhi Edizioni 2007).

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