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Il fare poesia del soggetto collettivo anonimo “Noi Rebeldía”

copertina   di    Antonino Contiliano

“Noi Rebeldía” è il nome di un soggetto collettivo poetico sine nomine che si sperimenta nella costruzione di un testo collettivo poetico comune e in rete. Un’operazione costruttiva dove il soggetto e la soggettività singolare del singolo poeta, chiamato a partecipare, si presenta come “io noi”, ovvero una voce che parla con la voce del gruppo. Un’intelligenza e una volontà collettiva che, allegoricamente attraversate e motivate da un “disinteresse-interessato” per il “bene comune” e la “poesia bene comune”, sono orientate a una produzione poetica in cui le scelte estetico-simboliche e/o linguistico-semiotiche siano “sema” etico-politico e antagonismo sociale, e la potenza d’uso della poesia, della lirica, della parola, del segno e dell’“informazione” non sia più deprivata dell’impegno. E ciò almeno per alcune ragioni.

La prima ragione è che lì dove non si parla più in termini di soggetti collettivi antagonisti, l’unico soggetto “collettivo”, rimasto in campo a nominare, ordinare e dominare, è il capitalismo nella forma contemporanea del neoliberismo digital-telematico e finanziario-speculativo. Il capitalismo della fase postfordista della produzione industriale e della produttività cognitivo-creativista; un’attività cioè di alta intensità tecnologica sofisticata che produce merci-imagining, o una serie di processi che trasformano il simbolico in merce mettendo a lavoro la stessa intelligenza sociale (general intellect) e l’intero tempo di vita delle persone. Sì che lo sfruttamento e l’esproprio non hanno cambiato però i termini della vecchia (mai lasciata) logica del valore (nonostante la vecchia formula del capitale – “c + v “ – abbia cambiato veste); e sì che la formula marxiana del “D-M-D1”(denaro-merce-denaro) è diventata “D-I-D1”(denaro-informazione-denaro).

La seconda ragione è che, nell’attuale fase dell’intelligenza artificiale, del computer e del suo linguaggio algoritmizzato, l’informazione comunicativa (che veicola contenuti, idee, valori, significati, sensi, significanza…) è stata completamente desocializzata e depoliticizzata, in quanto ridotta alla combinazione automatizzata del linguaggio algebrico formalizzato. Tuttavia, occorre precisare, che la procedura riduzionista non significa affatto la de-ideologizzazione dell’operazione (non è un caso che si vuole che si parli e si viva in regime di “pensiero unico”…o nei termini del capitalismo finanziario del profitto/rendita). Tutto il circuito – la produzione, la distribuzione e il consumo che coinvolgono il materiale e l’umano, l’individuale e il sociale, il simbolico e lo spirituale (non si producono solo oggetti-imagining; si producono pure i soggetti e le soggettività che li devono consumare) –, infatti, è espressione del modello sociale e politico capitalistico, ma affidato alla presunta oggettività neutrale dell’automatismo macchinico quantitativo e monologico quanto astratto e formalistico. Una grammatica e una sintassi specifica univoca e omologante che se da un lato impoverisce la lingua e il suo potenziale creativo-espressivo, dall’altro emargina e archivia come devianti, per esempio, tutti quei linguaggi che come quello dell’arte, della letteratura e della poesia vivono di sperimentazione, polisemia e conflittualità soggettiva individuale e sociale.

Motivo per cui, e ragione in causa, è anche ri-progettare la riattivazione engagée e conflittuale del fare poesia. Un impegno volto a far lavorare di nuovo antagonisticamente le soggettivazioni sociali singolarizzate quanto quelle raccolte nella forma di un soggetto collettivo, anonimo e d’avanguardia ribelle. E anonimo non perché non ci siano dei nomi che scrivono, quanto perché la scrittura di cui sono gli attori sfrutta il “generico” dei principi e degli assunti del “general intellect” poetico che, in quanto tale, è di tutti e proprietà di nessuno in particolare. Sì che è il linguaggio poetico a parlare ed essere valorizzato prima che la singola voce o la firma di qualcuno. Non è possibile mettere da parte, pur scrivendo testi di poesia, il conflitto antagonista che la poesia da tempo si porta come sua relazione strutturale; e ciò a maggior ragione in un mondo in cui identità e autenticità sono sotto il tallone della mercificazione dell’industria dell’immateriale.

0Le illusioni dell’io individualistico, variamente coltivate dal mercato del consumo e della creazione capitalistica, non sono esenti dalle mercificazioni delle identità delle vite quotidiane. L’industria neo- liberistica del consumismo capitalistico dell’immateriale, grazie alla fabbrica del simbolico e dei desideri, sa che non c’è momento della vita, anche la più intima e privata, che non possa essere sfruttato come linguaggio di colonizzazione o reso complice della riproduzione sociale subordinata. L’illusione di essere padroni di se stessi non rimane solo paventata, e la “resistenza”, scrive Andrea Inglese, può rimanere la solita voce retorica che rimane prigioniera della presunta autenticità dell’espressione delegata all’intimità o anche a certi valori della bellezza e delle ricercatezze formali poetiche. Nella società della rimodernizzazione neoliberista del capitale cognitivo-affettivo non c’è riparo che possa rimanere incontaminato. Viviamo in un modo in cui «l’autenticità è una merce, e l’intimità un mercato estremamente dinamico e in espansione. L’industria dell’informazione ha compiuto meglio di qualsiasi altra il ciclo che va dalla produzione generalista a quella individualizzata. E soprattutto ha fornito a ogni individuo, come nel sogno delle avanguardie novecentesche, le protesi tecnologiche per una (sedicente) libera creazione di sé. Ogni consumatore degno di questo nome è oggi sorgente e terminazione di un flusso in entrata e in uscita di immagini ed enunciati che gli forniscono l’illusione di essere padrone, se non della propria vita, almeno della fetta più intima di essa – quella comprimibile in uno smartphone o nella propria pagina Face-book. Nessuno vuole qui dire che il doppio flusso non comporti un qualche grado di creatività, di libera e marxiana produzione di se stessi, a patto però di riconoscere a monte una coesistenza inestricabile di stereotipi e invenzioni, di idiozia e intelligenza, di autonomia e alienazione, di regressione ed emancipazione».1

Ma se non c’è riparo, non per questo la lotta e la resistenza, anche quella della poesia, vengono meno, anzi ne costituiscono il carburante per un vasto legame di rete e di cooperazione collettiva e base per costruire ponti. Sul versante della poesia, è quella che Andrea Cortellesa, chiama la «poesia espansa, o diffusa, […] una poesia che forse, dopo tanto averli invocati, sta finalmente costruendo ponti: tra l’uno e i molti, tra l’io e il noi, tra poesia e prosa, tra parola e immagine, tra il Novecento e il tempo che gli è sopravvenuto».2

Nel neocapitalismo dell’immateriale (variamente raffigurato: linguaggi tradizionali, linguaggi macchina, schemi, imagining e curve statistiche visualizzate con grafi e diagrammi, etc.), i gusti, le scelte, le decisioni, il controllo e il dominio… – scrive Félix Guattari, ricordato da Maurizio Lazzarato (Il governo dell’uomo indebitato) –, la semiotica comunicativa, non più gerarchizzata e affidata solamente al verbale (orale e scritto), va analizzata per trovare il punto in cui incunearvi una leva archimedea e non rimanere passiva terra di conquista. Si distinguono e scendono in campo diverse codificazioni: «le codificazioni a-semiotiche «naturali» (i cristalli o il Dna ad esempio), le semiologie significanti che includono semiologie simboliche o presignificanti (gestuali, rituali, corporee, musicali) e semiologie della significazione e, infine, le semiotiche a-significanti (o post-significanti) che costituiscono il suo contributo più importante alla comprensione del capitalismo e della produzione di soggettività. […] In un capitalismo macchinico organizzato a partire da semiotiche a-significanti (le lingue delle infrastrutture pasoliniane, la moneta, gli algoritmi, le equazioni, ecc.), il linguaggio è solo un caso specifico, affatto privilegiato, del funzionamento di una semiotica generale che deve rendere conto tanto del funzionamento della parola significante quanto dei segni produttivi, estetici, tecno-scientifici, biologi e sociali».3

Sono gli automatismi macchinici che agiscono in profondità e che scavalcano la rappresentazione e la consapevolezza individuale e sociale, indebolendo le resistenze dei corpi e della consapevolezza linguistico-intellettuale e critico-politica significante. In questo terreno di cultura assoggettante e asservente, il linguaggio tradizionale, nella sua netta distinzione tra soggetti e oggetti, pubblico e privato, critica legittima e critica illegittima, fa da spalla complementare alle tecniche di dominio del capitalismo e del suo modello di modernità. E tutto questo è un riconoscimento che se da un lato ci dice che la modernità è stata rimodernizzata, dall’altra ci dice che siamo ancora dentro il moderno. Non fosse altro che non si esce dal tempo e dai linguaggi che lo rinominano e lo moltiplicano. Anzi è il suo sine qua non, la sua costante intoccabile.

Fernand Legèr,Les constructeurs,1950

Fernand Legèr, Les constructeurs,1950

Il variare delle forme non autorizza nessun post-moderno e/o post-modernità a dichiararne l’uscita; non si esce dal tempo. Si può solo giustificare l’aggiornamento della nominazione linguistica, che da monologica è diventata plurilogica. Dal moderno non si esce perché non si può uscire dal tempo e dai tagli che lo articolano in complessità lineari e non lineari, o in plurilogiche conflittuali e diversamente finalizzate. E se c’è conflittualità non può mancare il vedere, il dire del dissenso e l’agire alternativo: un’avanguardia impegnata e open source plurale, o delle differenze che sono le singolarità della moltitudine antagonista plurale e della dialettica della congiunzione disgiunta, la logica inclusiva.

Naturalmente gli “intimisti” possono rimanere nel loro lager, ovvero considerare la propria coscienza intima come il solo luogo adeguato, privilegiato ed esclusivo della verità, della ricerca e dei metodi. Un luogo non è adeguato perché privo di parti o irrelato; un luogo è tale perché è un insieme di parti che si richiamano e fanno un collettivo reticolare con limiti e confini ben chiari sebbene mobili nel tempo, perché è con il tempo che le forme delle cose, nate per delimitazioni e correlazioni dei confini, nascono, muoiono e rinascono secondo un comune farsi insieme dell’essere. Un farsi essere che in questo caso è il testo poetico come intreccio collettivo di parti individuali che incorporano ed estendono un’idea e i motivi che la significano come pratica politico-semiotica pubblica e comune sine nomine

A questo fondo comune “politico” non sfugge nessun tipo di linguaggio organizzato, e soprattutto quello della poesia, che è un’organizzazione politica di più parti autonome ma non indipendenti l’una dall’altra. Diversamente né significati, né significanze sarebbero possibili (eliminare l’eccedenza della significanza simbolico-linguistica è semmai obiettivo del cognitivismo sterilizzato del capitalismo linguistico che azzera la polisemia per controllare i comportamenti individuali e collettivi). Ed è anche per questo che, secondo noi, poesia, filosofia, scienza e politica non possono avere un destino di separazione definitiva, ovvero essere significanti e significanze senza essere organizzazione e correlazione cooperativa collettiva, un noi articolato di diagonali singolarità eterogenee. Come voler dire che, dall’origine, non c’è soggetto poetico che possa non dirsi insieme un noi politico di parti impegnate a realizzare una forma di democrazia di soggetti autonomi liberi ed eguali. «In regime democratico infatti […] tutti hanno convenuto di agire […] in base a una decisione presa in comune: non hanno convenuto però di pensare e di ragionare in modo unanime»4.

Del fare poesia e “lirica” dell’impegno comune, il soggetto po(i)etico “Noi Rebeldía”, praticando due diverse procedure – la prima proponendo innesti a partire da un testo già compiuto e definito da un certo numero di lasse egualmente dato; la seconda dalla proposta di un solo incipit “tematico” di 5 versi (un incipit che altri undici partecipanti, muovendosi all’interno del nucleo semico proposto come significanza pratica essenziale, devono proseguire con altri innesti di 5 versi ciascuno) –, ha dato prova di fattibilità prima con WE ARE WINNING WING (www.retididedalus.it, 2010) e poi con L’ORA ZERO (www.retididedalus.it, 2013). L’ora zero, accompagnato da alcune regole e indicazioni di fondo, come è stato già fatto per We are winning wing, è messo online su www.retididedalus.it e proposto, egualmente, ad altri siti e blog di poesia (italiani e non italiani) per proseguirne la sperimentazione e gli sviluppi.

In nessuno di questi testi collettivi e anonimi i versi delle singolarità poetiche significano “in modo unanime”. Il ventaglio delle pratiche significanti e delle significazioni è plurale, e tuttavia tutti i poeti coinvolti, individualmente singolarità uniche, spinozianamente «hanno convenuto di agire […] in base a una decisione presa in comune».5

Oggi, 2014, l’esperienza e la sperimentazione del “Noi Rebeldía”, il soggetto po(i)etico collettivo e anonimo, continua a proporre l’impegno e la sfida sia raccogliendo altre adesioni personali in rete, sia chiamando altri siti e pagine web a mettere in video-ascolto il maturato sperimentale della propria azione poetica “comune” e conflittuale (una sperimentazione che non può essere deprivata certamente della qualità di essere un’azione d’avanguardia impegnata).

L’esaurimento di certe forme storiche del conflitto e dell’avanguardia non sanziona né la fine del conflitto né di un’avanguardia possibile. Il piano della produzione e della riproduzione del neocapitalismo cognitivista, che mira a chiudere le soggettività appiattendone linguaggi e comportamenti dentro il circuito dei mercati della creatività mercificata, non impedisce le tensioni, le aperture e le decisioni del kairós. Il tempus rompe la permanenza degli equilibri strumentali; i “manovratori” non hanno requie (Marco Palladini, Chi disturba i manovratori).

Non più tempo di “rivoluzioni senza rivoluzione” (A. Gramsci), o di emancipazione senza liberazione o azione autonoma e diretta. Ripescare e riprovare (provare ancora e meglio) il fare insieme della cooper-azione antagonista e alternativa. In questa direzione la produzione di testi collettivi poetici anonimi e in comune è un’anticipazione di questa rivoluzione che rivoluziona praticando la perdita dell’identità individuale come proprietà e sovranità assoluta dell’io individualistico prodotto dalla modernità della rivoluzione senza rivoluzione.

È tempo che il “risveglio” diradi il “sonno” e anche la “lucidità” di una ragione strumentale stragista, bio-cida e polis-cida. C’è bi-sogno cioè di una parola e di una volontà collettiva po(i)etica che costruisca il testo poetico collettivo sine nomine come un’anticipazione (avanguardia) di un pensiero/linguaggio/comunic-azione in cui la scrittura di ciascuno abbia ragione di essere solo in quanto farsi-identità dinamica e ibrida. E per questo capace di confliggere e trasformarsi nella potenza del comune ‘general intellect’ poetico critico-radicale e rete sociale. Il ‘general intellect’ infatti è generato nel tempo dall’intelligenza sociale, e solo a partire da questo campo comune si differenziano le singolarità di ciascuno coagulando una produzione collettiva di rete.

Un’azione po(i)etica realizzabile – questa della costruzione in rete di un testo poetico collettivo e sine nomine, proposta dal soggetto collettivo “Noi Rebeldía” – che, nel degrado suicida e penale dell’individualismo neoliberista (a partire dalla possibilità ricompositiva delle pratiche dei linguaggi artistici) possa e debba agire come libera e autonoma ‘open source’ cooperativa e simultanea ‘avanguardia del noi’, e libera da ogni logica della riduzione al “medesimo”. Il singolare e il collettivo (che non è la massa amorfa) si scambiano continuamente contenuti e forme non evitando le tensioni e i conflitti lì dove la stabilità della forma entra in contrasto con il divenire identità diversa, trasformazione in viaggio. La praxis della po(i)esis, l’arte-facere, è contestuale alla prassi dell’arte-facere della politica, e il permanente e annoso conflitto estetico, sempre risorgente, tra arte, poesia e politica è più che eloquente a tal proposito. Qui, in particolare, il discorso filosofico-concettuale esamina le derive oppositive dell’avanguardia ‘engagée’ e la progettualità di una scrittura poetica come messa-in-comune, vera e propria ‘open source’ anti-individuale, e con ciò capace di sviluppare una alterità-estraneità rispetto all’ordine omologante del capitalismo digitale proprietario in tempi di modernità ‘liquida’ e individualismi cristallizzati.

La ricognizione critico-semiotica sulle forme attuali del dominio ideologico e sull’immanenza e la molteplicità di un ‘general intellect’ sposta, infatti, il discorso su un’ideale ‘avanguardia del noi’. Ovvero su un collettivo politico-poetico inteso come ‘open source’ capace di una produzione testuale che si implementa per frammenti e per elementi tecnici propri sottoposti a ibridazione; che riusa i materiali storici in un’intertestualità che non rinuncia all’infratestualità; che si concretizza come sintesi di ‘molte determinazioni’ e come espressione di un ‘comune’ creativo che innesta una dialettica allegorizzante rispetto agli oggidiani rapporti di produzione e di riproduzione sociale.

I poeti, individuata la comune tematica di fondo (l’anticapitalismo) e l’inderogabile libertà espressiva di ciascuno all’interno del solo limite di cinque versi (per ciascuno dei partecipanti che in atto – anno 2013 e 2014 – non superano il numero complessivo di undici poeti), hanno scelto, e propongono, l’anonimato come possibilità reale di far parlare il “Noi” al posto dell’“Io”. In questa fase, – come ebbe a dire in una certa occasione Francesco Muzzioli –, l’io cede parte della sua “sovranità” al Noi, mentre l’attenzione corre sulla potenza del linguaggio poetico comune (vi è una rivendicazione della centralità della scrittura poetica). La parola plurale di questo “Noi Rebeldía”, il soggetto collettivo, nell’azione dell’intreccio e del montaggio poetico, non è certamente segno di consenso omologante e anestetizzante, consolazione o assenza di conflitto. Anzi è IMPEGNO! L’impegno della poesia che, nella neo-ristrutturazione capital-liberistica odierna, osteggia l’uso dell’ordine simbolico e immaginario come forza della produzione immateriale piegata al profitto, come occasione privilegiata di sfruttamento e di impoverimento globale e sottrazione della comune potenza d’essere e divenire che è propria a tutti e ciascuno. Una ostilità e un’opposizione antagonista che trova le sue ragioni anche nel fatto che la nuova produzione capitalistica, per governamentare le sue riaccumulazioni, la sua crescita glocal e le sue ricorrenti e cicliche crisi di sviluppo e dominio, fa man bassa della tecnologia artistica, poetica e letteraria (basti pensare a tutto il lessico e le espressioni metaforiche, analogiche…che ne mediano l’avanzare in campo aperto e dietro le quinte).

In fondo il linguaggio della poesia, che nelle singolarità differenti – “multi-ego in movimento” (Marco Palladini) – trova il giusto passaggio per la sua attualizzazione, non può non presupporre e contare sull’esistenza di un poetic general intellect (presente come una costante collettiva nell’immaginario culturale, sociale e politico di ogni voce poetante), e tale da rendere praticabile una forma espressivo-comunicativa poetica comune come produzione di un’immaginazione produttiva collettiva. Una forma di scrittura più attenta al comune del linguaggio poetico che non alle singole firme e all’emozionalità assolutamente privata e dilagante, perché comune è il sentiero che muove e spinge il conflitto antagonista della poesia di “Noi Rebeldía”. Il “noi” di questo soggetto è una produzione del divenire-noi collettivo, e non un’identità sostanziale intemporale, o individualizzata come schema fisso e quindi facile obiettivo del biopotere capitalistico. Come Antonio Negri, potremmo dire che è un’invenzione in movimento (“multi-ego in movimento” per Marco Palladini, o “sovranità” come “parte” con-divisa, comune, per Francesco Muzzioli). Il “Noi Rebeldía”, produzione e invenzione continua di soggetti singolari sociali plurali, che si incrociano creando il testo collettivo e anonimo, «è il nome di un orizzonte, il nome di un divenire […] Noi siamo questo comune: fare, produrre, partecipare, muoversi, dividire, circolare, arricchire, inventare, rilanciare»6.

Anche per il 2014, ai poeti (italiani e non italiani), il soggetto collettivo “Noi Rebeldía” propone la costruzione di testi collettivi comuni, conservando sempre l’anonimato. L’anonimato deve essere conservato anche quando, dato un limite temporale, si vorrà tentare una qualche pubblica riflessione consuntiva e critica sull’esperimento. Sia in rete o in qualsiasi altro modo, la discussione deve mantenere l’anonimato sui singoli contributi dati ad un testo qualsiasi che porta il nome di “Noi Rebeldía”. I singoli nomi non valgono in quanto autori del frammento proprio posto in essere quanto come co-autori di un unico e solo testo collettivo come risultato di un montaggio di cui ciascuno è attore e insieme regista.

imagesUna pratica poetica dell’impegno e dell’avanguardia collettiva open source, in un tempo in cui l’intelligenza collettiva e il general intellect sono diventati il motore produttivo e riproduttivo dell’essere e fare società umana liberata e democratica, non è dunque fantasticheria ma possibilità reale e processo sperimentale. Soprattutto perché è la stessa dimensione contraddittoria del tempo capitalizzato che spinge alla ribellione lì dove il “tempo superfluo” è in funzione del “tempo minimo” necessario alla valorizzazione capitalistica anziché al potenziamento delle facoltà generali e creative di tutti; e ciò nonostante il lavoro postfordista, tendenzialmente, avesse liberato dal lavoro salariato. Non ha dismesso tuttavia, però, la logica del valore. Dal valore lavoro, la logica della valorizzazione capitalistica, infatti, è stata travasata in quella della valorizzazione del linguaggio-comunicazione dell’individuo sociale e della sua intelligenza collettiva, il sapere e il tempo sociali della cooperazione catturati come capitale fisso nella tecnologia informatica e telematica odierna. Sì che non è impossibile parlare di avanguardia open source impegnata, dove l’avanti del tempo, il futuro, viene avanti facendosi vedere e guardare impastato da una contraddizione dominata a danno della libertà e della verità della politica quanto della poesia, entrambe impegnate nell’esercizio del linguaggio pubblico e comune e atto a far con-e-co-essere polisemia e democrazia.

E nessuna delle due, infatti, è coltivata dal dominio capitalistico, se è vero che, bistrattando l’immaginazione dell’astrazione matematica, opta per un’astrazione del linguaggio logico-algebrico quale automatismo monocratico e comando che identifica il tempo di vita delle persone con il solo tempo della produzione flessibile, precaria e subordinata al mercato dei profitti/rendite di classe.

Se il tempo di lavoro necessario, quello dovuto in termini di valori scambio per i consumi e la riproduzione dell’uomo-lavoratore e della vita di chiunque, viene meno o diminuisce, e dall’altra – senza che tuttavia venga superata la contraddizione insita nell’amministrazione della sovrapposizione paradossale dei due tempi stessi (tempo di vita/tempo di lavoro) – aumenta il tempo libero degli individui socializzati, allora è il tempo-vita libero, dinamico e disponibile che diventa “capitale fisso” stesso (le macchine che incorporano il general intellect) e con ciò la contraddizione stessa. E qui non può non esserci antagonismo e conflitto delle singolarità sociali e collettive. Perché è lì la contraddizione, dove è la diminuzione del tempo di lavoro (grazie all’appropriazione del valore d’uso del cervello sociale creativo, dei linguaggi e della lingua dei corpi come comunicazione), che si esercita il controllo del dominio del capitale.

Se i tempi sono unificati e il linguaggio dell’informazione e della comunicazione rimane imprigionato negli automatismi delle macchine, anche il tempo disponibile (aumentato) rimane tale solo per lo sfruttamento capitalistico. Infatti, piuttosto che disponibile, come si vorrebbe, per il libero sviluppo scientifico e artistico dei soggetti, il tempo si vincola come:« tempo di lavoro nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo – in misura crescente – la condizione (question de vie et de morte) di quello necessario. […] Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità ad esso; fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale».7

Se questa è la tendenza attuale della sussunzione capitalistica totalizzante, una controtendenza quale soggetto e intelligenza collettivi d’avanguardia open source non può mancare pur nella forma sperimentale e anonima. Se l’intelligenza collettiva è appunto senza nomi in quanto generale e generica – un insieme di assiomi (nozioni comuni), regole e procedure che supportano il dire e il fare di ogni forma di sapere (e che non è fuori luogo poter chiamare general intellect po(i)etico) –, allora è anche praticabile il suo agire di scritture poetiche collettive e anonime, come quello che è nato nella rete www.retididedalus.it del cyberspazio, e che ha nome “Noi Rebeldía”.

Dialoghi Mediterranei, n.7, maggio 2014

NOTE

1     Andrea Inglese, Per una possibile poesia irriconoscibile, in «Alfabeta2», IV, settembre-ottobre 2013, p. 23.

2     Andrea Cortellessa, Poesia. Per riconoscerla: tre connotati, in «Alfabeta2», IV, settembre-ottobre 2013, n. 32, p. 24.

3    Maurizio Lazzato, Semiotiche del debito, in Id., Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista, DeriveApprodi, Roma, 2013, p. 180.

4    Baruch Spinoza, Trattato teologico-politico, Utet, Torino, 1988, capp. XVI, XX, pp. 650, 728.

5     Ibidem.

6    Toni Negri, Inventare il comune degli uomini, in Id., Inventare il comune, DeriveApprodi, Roma, 2012, p. 204.

7    Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 2 (trad. it. di Enzo Grillo), Nuova Italia, Firenze, 1968 e 1978, pp. 402, 403.

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