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I rifiuti e la loro forma merce. Riflessioni introduttive

 

rifiuti-discaricadi Tommaso India

La gravità e l’urgenza relativa alla questione dei rifiuti è sotto gli occhi di tutti. Vivo in una città in cui, a parte alcune zone lustrate per il decoro urbano ad uso e consumo di turisti, si passeggia fra cumuli di rifiuti che cambiano dimensioni nel corso del tempo, ora più grandi e ora meno grandi, in relazione ad eventi, periodi dell’anno, questioni economiche contingenti, improvvise e, solo in alcuni casi, imprevedibili. Viviamo costantemente con una spada di Damocle sulla testa: l’emergenza rifiuti. Quotidianamente leggiamo sui giornali di scandali, di indagini e persino di arresti per reati che riguardano la gestione dei rifiuti [1]. La società in cui viviamo si è dotata nel tempo di un complesso di norme, aziende, agenzie, strategie, mezzi strumentali volti alla raccolta e allo smaltimento di rifiuti di ogni genere. In definitiva, sia come individui sia come cittadini investiamo ingenti risorse per il trattamento e lo smaltimento di cose inutili e/o pericolose [2].

Da alcuni anni a questa parte ho cominciato a riflettere su questo apparente paradosso e nel corso di questa lunga e articolata riflessione la questione relativa ai rifiuti nella società contemporanea mi è sempre di più apparsa come un prodotto estremo del regime economico capitalista odierno. Nel prosieguo di questo scritto mi occuperò di mostrare che i rifiuti non solo sono una merce, ma che in quanto tale essi possiedono una forma di merce, che sono quindi culturalizzati e parte integrante di tutto un sistema economico e simbolico di cui spesso ci sfuggono i meccanismi. Per dimostrare tale tesi partirò dalle nozioni di valore d’uso, valore di scambio e feticismo delle merci elaborate da Karl Marx, che con la sua opera ha mostrato il funzionamento della formazione e l’espansione del capitale. Queste nozioni saranno integrate dalle teorie sulla società dei consumi elaborate fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento da Jean Baudrillard. Il ricorso a queste nozioni e teorie avrà una duplice funzione. Se da un lato esse mostreranno il funzionamento del capitale in due momenti storici diversi, sottolineando in parte il processo di trasformazione sociale occorso nel tempo, dall’altro faranno da base per una ulteriore integrazione di questi concetti con l’aggiunta della questione dei rifiuti che, sebbene fosse assente ai tempi in cui scriveva Marx e molto marginale ai tempi di Baudrillard, è diventata fondamentale nella società contemporanea.

Il presente scritto è un esercizio analitico fondamentale alla luce dell’emergenza climatica e ambientale che stiamo vivendo. I rifiuti, infatti, sono molto di più che semplici oggetti inutili o inutilizzabili. Essi sono segni e in quanto tali possiedono un carattere comunicativo che dobbiamo riconoscere e di cui dobbiamo prendere atto. Essi ci dicono molto di più su noi stessi e sul nostro modo di essere-nel-mondo [3] di quanto pensiamo. 

il-capitaleValore d’uso e valore di scambio nella teoria marxista de Il Capitale

Nel 1867 Karl Marx dà alle stampe il primo volume di quella che sarà considerata la sua opera più importante e che lo impegnerà per quasi un ventennio: Il capitale. Critica dell’economia politica. Proprio per analizzare la formazione e la trasformazione del capitale e del capitalismo mondiale, per mostrare il rapporto delle diverse classi sociali in tale tipo di società e, in definitiva, per comprendere i meccanismi che regolano tale società, il filosofo tedesco parte dalla nozione e dalla descrizione di valore d’uso e valore di scambio per spiegare la formazione della merce e del denaro. Per Marx la nozione di merce è talmente centrale nella sua analisi da metterla alla base di tutto il suo impianto filosofico:

«La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, appare come una “immensa raccolta di merci” e la singola merce appare come sua forma elementare […]. La merce è prima di tutto un oggetto esterno, una cosa che per mezzo delle sue proprietà soddisfa bisogni umani di qualunque specie» [4].

La merce, questo termine tanto presente nelle società contemporanea quanto sfuggente, è utilizzato, come del resto tutte le altre nozioni presenti nel volume del filosofo tedesco, come un’astrazione. Tale termine diventa un contenitore costituito da proprietà ben determinate come qualità e quantità che vengono misurate, al livello sociale, con i termini di valore [5] d’uso e valore di scambio. Questo valore doppio è intrinseco ad ogni merce ed esprimerebbe una relazione: nel caso del valore d’uso di tipo qualitativo e soggettivo; nel caso del valore di scambio quantitativo e oggettivo. Secondo Marx infatti:

«L’utilità di una cosa fa che essa abbia un valore d’uso. Ma questa utilità non è campata in aria, è una determinazione delle qualità del corpo di una merce e non esiste senza di esso […]. I valori d’uso formano il contenuto materiale della ricchezza, qualunque sia la sua forma sociale. Nella forma di società che noi dobbiamo esaminare essi sono nello stesso tempo depositari materiali del valore di scambio» [6].

Il valore d’uso, quindi, farebbe in modo che io sia disposto ad attribuire ad una certa merce un determinato valore per me. Nel caso di una casa, ad esempio, il fatto che essa soddisfi il mio bisogno di essere riparato in un ambiente più o meno confortevole rappresenta il valore d’uso di una determinata casa. Tale valore, tuttavia, è utile solo in parte per attribuire un valore economico a quella determinata casa.

Il valore di scambio, invece «si mostra dapprima come il rapporto quantitativo, come la proporzione nella quale valori d’uso di un tipo si scambiano con valori d’uso di altro tipo, e tale rapporto muta in continuazione con i tempi e con i luoghi» [7]. Per ritornare all’esempio della casa, il fatto che questa abbia determinate proprietà, sia allocata in un determinato luogo e in un determinato momento storico e sia inserita all’interno di un mercato immobiliare che non fa altro che attribuire un valore economico partendo dal rapporto di tutte le case, fa in modo che la mia casa abbia anche un valore di scambio.

A questo punto si chiarisce il modo in cui una merce, per essere tale, deve essere costituita da un valore d’uso e un valore di scambio. In realtà, tali valori sono determinanti per la costituzione della merce in quanto indispensabili l’uno per l’altra: senza il valore d’uso alla base di una determinata merce non può esistere un valore di scambio dal momento che esso si configura come una proporzione fra valori d’uso di diverso tipo.

Il valore d’uso, tuttavia, può anche essere un parametro poco utilizzabile per definire in maniera precisa il valore di scambio proprio a causa della soggettività di cui una determinata merce può essere sovraccaricata. Al fine quindi di rendere la definizione di una merce più circoscritta e affiancare al valore di scambio un parametro meno soggettivo del valore d’uso, nell’analisi può essere sostituito da un ulteriore parametro: il lavoro. Come scrive il filosofo tedesco:

«[…] se non si considera il valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro una sola qualità, quella di essere prodotti del lavoro […]. Se tralasciamo il suo valore d’uso, tralasciamo anche le parti fondamentali e le forme corporee che lo fanno valore d’uso. Non è più tavola, o casa, o filo […]. Viene a sparire ogni sua qualità sensibile, e non è più neanche il prodotto del lavoro del falegname o del muratore o del tessitore, o di ogni altro determinato lavoro produttivo. Vien meno insieme al carattere di utilità dei prodotti del lavoro anche il carattere di utilità dei lavori in essi rappresentati, vengono meno quindi anche le svariate forme concrete di tali lavori, le quali non si distinguono più, bensì sono tutte ricondotte al medesimo lavoro umano o lavoro astratto» [8].

Il passaggio e la stretta connessione che esiste fra valore d’uso e lavoro è fondamentale per il prosieguo di questa trattazione. Il valore d’uso, nella creazione della merce, non viene meno; esso rimane sempre un carattere costitutivo della merce: non esiste, secondo Marx, una merce che non possa avere un carattere di inutilità [9]. Tuttavia, una merce, per essere scambiata, deve essere valutata e per fare questo deve essere messa in relazione con altre merci: l’unico metro che può essere utilizzato è considerare il lavoro produttivo che sta alla base di un determinato valore d’uso. Tale lavoro, però, deve essere considerato nella sua astrazione, cioè come un metro universale. Solo procedendo con questa astrazione esso può essere messo alla base della creazione dei valori d’uso.

Il valore di scambio, che mette in relazione valori d’uso, o anche se vogliamo, lavoro produttivo con un altro tipo di lavoro produttivo, e che tiene in considerazione parametri di tipo quantitativo e contingenti, sembra avere acquisito un carattere del tutto indipendente.

«Il valore di scambio o nel rapporto di scambio delle merci stesse, si è dimostrato come una cosa del tutto indipendente dai loro valori d’uso; ma si raggiunge il valore dei prodotti del lavoro come è stato proprio adesso determinato, qualora ci si astragga veramente dal loro valore d’uso. Quindi il fattore comune che appare nel rapporto di scambio o nel valore di scambio della merce è il valore della merce medesima» [10].

Come è possibile che avvenga questo? Come è possibile che la merce mostri come unico valore quello che possiede essa stessa? È esattamente in questo punto che interviene uno degli argomenti fondamentali dell’intera trattazione di Marx e cioè il carattere feticistico delle merci.

1Il feticismo delle merci. Storia di un concetto e risvolti marxisti

Il termine feticismo, nell’ambito degli studi etno-antropologici e filosofici, ha ormai una lunga storia, sebbene esso abbia cambiato spesso significato e indicato fenomeni anche molto diversi tra loro. Il significato di questo termine, infatti, è stato influenzato dagli autori e dalla temperie culturale in cui essi vivevano ed elaboravano le loro tesi. Feticismo, come è noto, deriva dal portoghese feitiço: “sortilegio, amuleto, talismano”. Così i marinai e i mercanti portoghesi alla fine del XVII secolo indicavano degli oggetti che gli indigeni con cui mercanteggiavano portavano spesso addosso e che avevano un evidente carattere sacro [11].

Nel 1760 Charles De Brosses pubblica a Parigi Du culte des dieux fétiches, ou Parallèle de l’ancienne religion de l’Égypte avec la religion actuelle de Nigritie. L’opera avrà un notevole successo nell’ambito degli studi di storia delle religioni del tempo e nello sviluppo delle teorie positiviste prima ed evoluzioniste dopo. De Brosses estese l’uso del termine così da poter includere all’interno del fenomeno preso in considerazione una grande varietà di manifestazioni religiosi. De Brosses teorizzò il fatto che il feticismo [12] sia più primitivo dell’idolatria denunciando sostanzialmente la sua ottica di analisi volta ad istituire, secondo i princìpi positivisti ed evoluzionisti, una classificazione gerarchizzata delle varie forme religiose e, più in generale, culturali [13]. Secondo quanto rilevato da Iacono, infatti:

 «Fétichisme et sabéisme précèdent l’idolâtrie, le culte des héros, l’érection des statues. Le fétichisme est, selon de Brosses, le degré le plus bas du développement de la faculté symbolique de représentation chez les hommes. Il s’agit du stade où le choix des objets ne correspond pas à la reproduction de figures ou d’images assumant la fonction de représenter des dieux, mais exprime la satisfaction du besoin de leur adoration directe. Il s’agit donc, à ce degré des facultés humaines, de la divinisation directe des objects» [14].

La divinazione e l’adorazione degli oggetti scelti in maniera arbitraria, agli occhi degli occidentali, sembrano manifestare un grado zero della capacità di simbolizzazione degli uomini. Infatti, per i popoli che presentano tale fenomeno il feticcio non sarebbe una manifestazione di un essere ultraterreno, ma esso rappresenterebbe l’essenza stessa di tali esseri, la loro presenza nel mondo.

La teoria di De Brosses ebbe, come già scritto, una certa importanza nel filone degli studi di storia delle religioni, questo anche grazie alle entusiastiche considerazioni di Diderot e, soprattutto di David Hume, che valuò il lavoro di De Brosses come un perfezionamento della sua Histoire naturelle de la religion. In questo volume Hume traccia una sorta di teoria del pensiero “selvaggio” e “primitivo” e De Brosses segue fino alle estreme conseguenze l’astrazione del pensiero selvaggio humeiana collocando il feticismo come punto di partenza del progresso dei popoli e degli uomini perché si pone al primo livello della capacità umana di spiegare i fenomeni naturali [15]. Secondo Hume, infatti, l’attribuzione di qualità divine agli avvenimenti, ai fenomeni naturali imprevisti e, con l’apporto della teoria di De Brosses, agli oggetti, dipende dai limiti della conoscenza e dell’esperienza che permetterebbero una comprensione dei fenomeni esterni soltanto parziale. Il progresso è marcato dall’espansione progressiva di questi limiti che conduce a sistemi di comprensione del mondo gradualmente più complessi [16]. Come scrive Iacono:

«On peut synthétiser la théorie de Hume (ainsi que celle d’Adam Smith) en ces quelques point :
a) les hommes sont frappés par des phénomènes non familiers, surprenants qu’ils craignent ;
b) les hommes attribuent à ces phénomènes des pouvoirs qui dérivent des connaissances familières ;
c) les hommes attribuent à ces pouvoirs des forces qui sont supérieures à leurs propres forces, bien qu’elles soient de la même nature;
d) les hommes divinisent ces phénomènes. Ce procès de divinisation représente l’assimilation de ces phénomènes dans l’univers culturel et dans le domaine de l’expérience des hommes; mais, en  même temps, il indique que les même univers culturels qui les ont assimilés» [17].

2Secondo Hume quindi gli uomini assimilano i fenomeni della natura all’interno del loro universo culturale, ma allo stesso tempo, attribuendogli il carattere divino, ne riconoscono la loro palese diversità e superiorità. Seguendo questa teoria De Brosses, in definitiva, spiega il feticismo come una tappa ancora precedente a questo processo di comprensione della natura. In questa fase gli uomini, per comprendere il mondo, non attribuiscono un carattere divino ai fenomeni naturali, bensì agli oggetti che rappresentano in maniera tangibile l’estraneità e l’incomprensibilità quasi del mondo.

Durante tutto il XIX secolo il termine feticismo, in seguito al successo delle teorie evoluzioniste e al lavoro di De Brosses e Hume, permase come una nozione importante cui fare rifermento soprattutto nell’ambito degli studi di storia delle religioni e della nascente antropologia culturale [18]. Tuttavia, ai fini della trattazione che sto conducendo in questa sede è utile riferirsi direttamente alla nozione di feticismo delle merci utilizzata da Marx e che in parte si discosta dall’accezione del termine qui analizzato, mettendo in risalto principalmente l’aspetto di processo di astrazione e simbolizzazione della realtà materiale.

Da un punto di vista teorico dell’esposizione marxiana, il feticismo delle merci è costituito da due momenti: il primo comparativo; il secondo costituito dalla relazione tra l’osservatore e l’osservazione. Il primo momento può essere riscontrato nel paragrafo Il carattere feticcio della merce e il suo segreto [19]. Qui il filosofo tedesco si impegna innanzitutto ad istituire una relazione fra il mondo delle merci e la sfera religiosa, spiegando in cosa consista una merce ed analizzando quel processo di astrazione del lavoro produttivo umano che, nel momento in cui si trasforma in merce, non è più riconosciuto come tale, ma è rappresentato dalla merce stessa talmente in profondità da essere completamente assorbito nella forma oggettiva della merce. Scrive Marx:

«Donde proviene dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro quando assume forma di merce? È evidente che da questa forma stessa. L’uguaglianza dei lavori umani prende forma reale dell’uguale oggettività di valore dei prodotti del lavoro, la misura del dispendio di forza lavorativa umana prende tramite la sua durata nel tempo la forma della grandezza di valore dei prodotti del lavoro, infine i rapporti tra produttori, nei quali si affermano quelle determinazioni sociali dei loro lavori, prendono la forma d’un rapporto sociale dei prodotti di lavoro. Il segreto della forma di una merce sta dunque nel fatto che tale forma ridà agli uomini come uno specchio l’immagine delle caratteristiche sociali del loro lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e perciò ridà anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo sembrare come un rapporto sociale tra oggetti che esista al di fuori di loro. I prodotti del lavoro, tramite questo ‘quid pro quo’, divengono merci cose sensibilmente soprasensibili, ossia cose sociali […]. Quello che qui prende per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose è solamente il determinato rapporto sociale che esiste tra gli stessi uomini. Quindi, per trovare un’analogia, dobbiamo immetterci nelle nebulose regioni del mondo religioso. Qui i prodotti della testa umana sembrano essere dotati di una propria vita, figure indipendenti che sono in rapporto tra di loro e con gli uomini. Così accade per i prodotti della mano umana nel mondo delle merci. Questo è quel che io chiamo feticismo, che si attacca ai prodotti del lavoro quando vengono prodotti come merci, e che perciò è indistinguibile dalla produzione delle merci» [20].

In questo lungo estratto da Il Capitale è contenuta in nuce tutta la trattazione che Marx espliciterà nel prosieguo del suo scritto. Sebbene le merci siano il prodotto del lavoro degli uomini essi tendono ad attribuirgli caratteristiche, determinazioni e rapporti che non fanno altro che mascherare le caratteristiche, le determinazioni e i rapporti fra gli uomini. Attribuendo alle merci questa capacità, gli uomini si dimenticano che quelle capacità sono proprie di loro stessi in un processo di astrazione e alienazione talmente potente, profondo e diffuso che può essere paragonato soltanto alla sfera religiosa. Le merci, solo per essere state pensate, prodotte e scambiate come tali possiedono intrinsecamente un carattere feticistico che risulta essere indistinguibile dalle merci stesse.

Il secondo momento, quello relativo alla relazione osservatore-osservato o anche soggetto-oggetto, è un filo rosso sotteso in tutta la trattazione marxista sulla questione. L’utilizzo del concetto stesso di feticismo, nato nell’ambito degli studi etnologici, è necessario a Marx per fare osservare un fenomeno che si produce inconsciamente e coinvolge il medesimo osservatore. Utilizzare il termine feticismo e applicarlo alla società capitalista vuol dire idealmente porsi dal punto di vista esterno e vedere quanto gli uomini attraverso il capovolgimento simbolico legato alla feticizzazione dei processi produttivi, ingannino sé stessi pensando che le merci abbiano un valore intrinseco e non un valore legato al lavoro umano, ai rapporti tra i vari attori sociali e un valore di scambio e d’uso. Tale processo feticistico è ripetuto e portato alle sue estreme conseguenze nella questione fondamentale dei rifiuti.

phpthumb_generated_thumbnailjpgI rifiuti. Carattere e peculiarità di una nuova merce

Nei paragrafi precedenti ho illustrato a grandi linee le caratteristiche fondamentali delle merci nell’ottica marxista e il capovolgimento simbolico che lo stesso filosofo tedesco ha definito con i termini di feticismo delle merci. Da qui è possibile cogliere i caratteri fondamentali della merce e metterli in relazione alla questione dei rifiuti. L’esposizione precedente, ripercorrendo l’imprescindibile contributo di Karl Marx, ha avuto esattamente questa funzione: cogliere i caratteri costitutivi della merce nella loro essenzialità e analizzare il processo feticistico. La merce a questo punto si mostra come una costituzione di: valore d’uso, valore di scambio e lavoro produttivo.

Il valore d’uso, come mostrato in precedenza, è un valore soggettivo dato dall’utilità di un oggetto per un determinato soggetto; il valore di scambio è un valore oggettivo dato dal confronto fra oggetti, beni e servizi dello stesso genere; il lavoro produttivo, infine, non solo è il lavoro necessario a produrre una determinata merce, ma diventa anche il metro per misurarne il valore.

A questo punto è necessario fare un passaggio e verificare se queste caratteristiche sono applicabili ai rifiuti e al loro processo di raccolta e smaltimento. Per fare ciò, è necessario tentare un’analisi partendo proprio dalla definizione del concetto di rifiuto. Secondo il dizionario Treccani esso è: «L’azione di scartare o di eliminare, e il fatto di venire scartato o eliminato, come inutile o inutilizzabile oppure dannoso, e quanto così si scarta o si elimina» [21]. Il rifiuto è quindi qualcosa da allontanare, da mettere fuori dalle nostre possibilità strumentali quotidiane in quanto inutile, inutilizzabile o dannoso. Altresì interessante, in questo momento è anche il concetto giuridico italiano di rifiuto contenuto attualmente nel decreto legislativo n. 205 del 2010 in cui si definisce rifiuto: «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi» [22]. Questa nozione ci mette, con la sua evidenza categorica, di fronte a due caratteristiche dell’oggetto-rifiuto: la sua inutilità e/o la sua impossibilità ad un utilizzo. Se riprendiamo in termini marxisti la nostra analisi del rifiuto ci accorgiamo di un primo apparente allontanamento dai valori individuati in precedenza. Il rifiuto, infatti, è qualcosa di inutile, inutilizzabile e quindi qualcosa il cui valore d’uso è inesistente. Per Marx era inconcepibile qualcosa che fosse identificata come merce, ma che allo stesso tempo fosse inutilizzabile: per essere una merce un oggetto, un bene o un servizio devono poter essere fruiti. I rifiuti sono qualcosa che, per definizione hanno esaurito, per molteplici ragioni, i loro valori d’uso e quindi a rigore dell’analisi marxista non potrebbero essere considerati una merce.

L’altro valore costituente una merce è il valore di scambio. In questo caso i rifiuti si configurano come oggetti di cui è necessario liberarsi, disfarsi per molteplici e svariate ragioni. Nella nostra società abbiamo costituito un ingente quanto complesso apparato fatto di fondi, aziende, leggi, strumenti e strategie per fare in modo che qualcuno porti i nostri rifiuti quanto più lontano possibile dalla nostra vista; abbiamo affidato a qualcuno i nostri scarti affinché gli olezzi nauseabondi e, a lungo andare, pestilenziali e mortiferi li porti lontano. Abbiamo, in definitiva assegnato un valore di scambio altissimo a cose che apparentemente non possiedono nessun valore d’uso. In questo caso, in base ai valori di una merce individuati da Marx, i rifiuti si profilano come una merce sui generis; una merce che a fronte di un valore d’uso nullo possiede un valore di scambio altissimo.

karl-marx-il-capitale-critica-delleconomia-politica-ed-rinascita-1956Karl Marx, come è noto, sosteneva che la merce è «una cosa che per mezzo delle sue proprietà soddisfa bisogni umani di qualunque specie», ma se i rifiuti sono degli inutili scarti, perché ad essi attribuiamo un alto valore di scambio? Cosa siamo disposti a pagare quando attribuiamo ai rifiuti un valore? La risposta è apparentemente facile e intuitiva. Noi paghiamo qualcuno che raccolga e smaltisca i rifiuti affinché questi non ammorbino la nostra esistenza. Ma è davvero solo questo? Il capitalismo nella sua ormai pluricentenaria storia ha conquistato porzioni di società e di vita individuali mettendo a sfruttamento e traendo vantaggio economico dalle più disparate e sorprendenti attività umane. Se ai tempi in cui Marx scriveva era impensabile immaginare di potere ottenere un ritorno economico dai rifiuti, oggi che la loro sovrapproduzione rischia seriamente di compromettere l’esistenza della vita sul pianeta terra, o almeno della vita di molti esseri, non è più così. Siamo disposti a pagare cifre ingenti pur di toglierci di torno oggetti che non vogliamo o possiamo più utilizzare. Un fenomeno storico così profondo e duraturo come il capitalismo deve essere fluido e costituito da molteplici fattori adattativi. Fra questi quello che più lo caratterizza da ormai diversi decenni è il consumismo.

Il punto è che il valore di scambio che costituisce una merce, come ha sostenuto Jean Baudrillard in uno dei suoi testi fondamentali [23], va ben oltre il valore di scambio della singola merce. Il valore di scambio della merce ha, come rilevato puntualmente da Francesco Piluso [24], come logica finale quello di attivare ogni volta l’intero processo di scambio della merce. «In altre parole, un processo di astrazione interpretativa dalla concretezza del singolo al sistema, e dunque di carattere semiotico, è già costitutivo della merce stessa. Secondo Baudrillard, la genealogia del valore-segno, seppur manifesta alla luce degli sviluppi del sistema della merce, è da rintracciare al di là e prima del capitale stesso». Per Baudrillard, quindi, il valore-segno della merce è il presupposto strutturale per la creazione del valore di scambio della merce e quindi per l’economia politica.

«Il valore-segno inteso come connotazione ideologica volta a sostenere il consumo, e interpretato da Baudrillard come significato, non è nient’altro che una manifestazione di una forma semiotica, di una catena di significanti che è invece strutturale e fondamento della stessa società. Così come il valore d’uso è rimpiazzato dal valore di scambio al fine di espandere la struttura del capitale, nei termini di Baudrillard, il significato è surclassato dalla logica dei significanti, che si autoriproducono, al fine di espandere la struttura sociale» [25].

Baudrillard tenta, attraverso i suoi scritti, una critica delle nozioni marxiste e un loro superamento per intraprendere l’analisi della società dei consumi che, proprio negli anni in cui scrive l’autore francese, si mostrava in tutta la sua sconvolgente potenza. Il superamento delle nozioni marxiste avviene in Baudrillard a partire dalla concezione stessa della società. Secondo l’autore francese la società deve essere interpretata non come un riflesso di rapporti materiali, ma come un sistema di differenze e relazioni reciproche.

«Il principio sul quale si basa è proprio la relazione con l’altro, che si costituisce nella forma dello scambio dei segni e delle differenze […]. Ciò che si scambia attraverso il consumo non è esclusivamente merce o valori positivi, ma differenze segniche, volte a riprodurre la differenziazione sociale. Questo è il motivo per il quale, qualsiasi siano i valori scambiati e acquisiti, è la forma della società a riprodursi. Per Baudrillard, dunque, il consumo non è una dinamica sovrastrutturale e ideologica in funzione della struttura materiale. Nella sua essenza di scambio e continua produzione dei segni, il consumo è esso stesso apparato strutturale della società. A questo punto, è possibile interpretare l’ossessione per il consumo che caratterizza la nostra società contemporanea come strumento di razionalizzazione e accelerazione del principio sociale e strutturale dello scambio/segno. È proprio a livello del consumo che si comprende come per Baudrillard la forma segno è già insita nella forma merce, e, di fatto, costituisce la forma della stessa società» [26].

I rifiuti, in quanto oggetti con un valore-segno, si pongono ad un altro livello di analisi e rientrano pienamente nel processo consumistico illustrato da Baudrillard. In quest’ottica essi mantengono ancora intatto il loro valore d’uso, in quanto valore-segno, e il loro valore di scambio non sarebbe altro che una funzione dello scambio per espandere non solo il capitale, ma la stessa società. I rifiuti, in quanto oggetti con un proprio ed intrinseco valore-segno, entrano pienamente nel processo e nella funzione del consumo che non è quella del godimento personale o del soddisfacimento dei bisogni individuali, che l’autore francese considerava come meri alibi, bensì quella della riproduzione sociale.

«La circolazione, l’acquisto, la vendita, l’appropriazione dei beni e degli oggetti-segni differenziati costituiscono oggi il nostro linguaggio, il nostro codice, per cui l’intera società comunica parla. Questa è la struttura del consumo, la sua lingua rispetto alla quale i bisogni e i godimenti individuali non sono che effetti di parola» [27].

I rifiuti si collocano nell’ambito di quel linguaggio del consumo in quanto spreco necessario al rinnovamento, alla perpetuazione e alla reiterazione della società. In altre parole, attraverso i rifiuti prodotti e gettati in ogni attività della nostra esistenza, la società getta una parte di essa affinché essa stessa continui a reiterarsi attraverso le sue relazioni differenziali come in un immesso, arituale, inarrestabile potlach.

Nella teoria marxista, come abbiamo visto, un ruolo fondamentale nell’analisi del capitalismo è giocato dal feticismo delle merci. Gli uomini, in questo caso, dopo aver prodotto un oggetto e avere riposto in esso tutte le qualità del lavoro umano, ricevono quell’oggetto come se le sue proprietà fossero intrinseche ad esso, dimenticando che quelle proprietà sono le proprietà che l’uomo attraverso il suo lavoro ha creato in quell’oggetto. Nel caso dei rifiuti, essi sono il prodotto per eccellenza del lavoro umano, quel prodotto che sostanzialmente appartiene a tutti noi e che noi stessi non riconosciamo come nostro prodotto, ma come una proprietà intrinseca degli oggetti che consumiamo. Nel momento stesso, infatti, in cui consumiamo un prodotto o un servizio, siamo consapevoli che presto o tardi quel determinato prodotto o servizio verrà rimpiazzato con un altro più funzionale al momento storico contingente. Se, inoltre, integriamo la teoria marxista del feticismo delle merci con la lezione di Jean Baudrillard, possiamo sostenere che se la società dei consumi è basata su scambi di valore-segno volti a perpetuare e ad accrescere non solo il capitale, ma la società stessa, ci si accorge di quanto il feticismo della merce in quanto forma sia un fenomeno che si alimenta della stessa socialità. La grande conquista capitalista, nel caso dei rifiuti, è quella di averci trasformato tutti quanti in consumatori o, in altri termini, in produttori di lavoro per la creazione dell’oggetto-segno che sono i rifiuti. Anche in questo caso si assiste ad un capovolgimento simbolico: la società che crea e produce rifiuti paga affinché quei rifiuti vengano eliminati per poter continuare a produrne e perpetuare sé stessa.

I rifiuti, secondo queste brevi note, si configurano come l’estrema merce di un regime economico che ha messo a sfruttamento qualunque risorsa e materia, perfino quella che sembra non avere nessuna utilità. Essi si sono trasformati in un feticcio nella misura in cui nessuno di noi si rende conto che siamo noi stessi ad essere stati trasformati in produttori di merci inutili, di consumatori di oggetti, azioni e simboli di cui noi stessi non sappiano cosa fare. Consumiamo e il residuo dei nostri consumi, la parte inutile delle nostre azioni, non è altro che la necessaria fine per un nuovo inizio fatto di desideri, acquisizioni, consumi e nuovamente scarti.

consumismoConclusioni

I rifiuti parlano di noi stessi più di quanto immaginiamo. Partendo dalle analisi ed elaborazioni di Karl Marx che definiscono una merce, ho mostrato quanto essi, con il passare del tempo, abbiano assunto sempre maggiormente il carattere evidente di una forma merce. Eppure il modello marxiano, nel caso di questa particolare forma merce, non è sufficiente a spiegare l’importanza e la centralità che essi rivestono nella nostra società contemporanea. Nel corso di questa trattazione, infatti, è emerso in maniera chiara il fatto che sebbene essi possiedano un altissimo e determinante valore di scambio, allo stesso tempo hanno un valore d’uso nullo. Per identificare a pieno i rifiuti come una forma merce, quindi, ho dovuto integrare le elaborazioni marxiste sulla merce con quelle di Jean Baudrillard sulla natura e sui meccanismi della società dei consumi. È questo spostamento paradigmatico ad avere messo tutte le tessere al loro posto. Trattando infatti i rifiuti come una forma merce e seguendo la lezione del sociologo francese, in quanto forma merce, i rifiuti sono il risultato di una serie di significanti il cui significato ultimo e profondo risiede nel fatto di essere stati usati. Essi hanno un valore d’uso e funzionano come un simulacro davanti alla società delle azioni passate; dei propri bisogni appagati solo in parte. Il loro valore d’uso, in un’ottica semiotica, è investito da una serie di significati che fanno riferimento principalmente alla morale del lavoro produttivo, alla questione della loro gestione; ma che in realtà nascondono come unica funzione e come unico significato la riproduzione del sistema dei consumi; la perpetuazione della messa a sfruttamento economico da parte del sistema capitalistico anche delle cose che apparentemente non potrebbero essere sfruttate. Un sistema economico, in definitiva, che se da un lato ci obbliga ai consumi creando continuamente nuovi bisogni e nuovi ambiti di consumo; dall’altro ci chiede di affidargli gli scarti che esso stesso ci ha portato a creare.

L’analisi della forma merce dei rifiuti, la visione da vicino e dall’interno dei meccanismi che coinvolgono tutto il nostro impianto socio-culturale e quindi anche economico è determinante se vogliamo affrontare una delle questioni più importanti per il futuro nostro e dei nostri figli. Il sistema capitalista ci ha portato ad un sempre maggiore aumento del volume di rifiuti che adesso siamo costretti a gestire in qualche modo. Prendere coscienza, ribaltare il feticismo delle merci- rifiuto potrebbe aiutare, forse, non solo ad assumere un atteggiamento più consapevole nei confronti dei nostri consumi quotidiani ma anche a mettere in discussione un sistema economico che, con sempre maggiore evidenza, è volto solo ed esclusivamente alla perpetuazione di sé stesso.

Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
Note
[1] Secondo un rapporto pubblicato a dicembre 2020 sui dati del 2019, vi sarebbe stato un aumento di reati ambientali accertati del 23,1% rispetto all’anno precedente. In totale i reati commessi e accertati nel 2019 ammonterebbero a 38.648; di questa totalità di casi 9.527 sarebbero quelli contestati nell’ambito del ciclo di rifiuti. Per maggiori informazioni cfr. url: https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/i-dati-del-rapporto-ecomafia-2020-nel-2019-in-aumento-i-reati-contro-lambiente/, consultato il 07/04/2021.
[2] Negli ultimi anni i rifiuti hanno attirato la riflessione di alcuni antropologi che hanno cominciato ad analizzare l’organizzazione sociale, i simboli e le manifestazioni culturali più in generale che ruotano intorno alla questione dei rifiuti. Solo a titolo di esempio si vedano i seguenti lavori apparsi un numero monografico della rivista Archivio Antropologico Mediterraneo: Storey A., 2020, Waste and the neoliberal work of blame: Reading politics from Cape Town’s informal landscapes, in «Archivio antropologico mediterraneo» [Online], Anno XXIII, n. 22 (2), url: http://journals.openedition.org/aam/3311; DOI: https://doi.org/10.4000/aam.3311; Rimoldi L., 2020, I posti dei rifiuti. Badara Ngom e la discarica di Mbeubeuss, in «Archivio antropologico mediterraneo» [Online], Anno XXIII, n. 22 (2), url: http://journals.openedition.org/aam/3348; DOI: https://doi.org/10.4000/aam.3348; Giannotta A. K., 2020, Il valore sociale dei rifiuti. L’intreccio tra istituzioni e pratiche di recupero nello spazio urbano di Casablanca (Marocco), «Archivio antropologico mediterraneo» [Online], Anno XXIII, n. 22 (2), url: http://journals.openedition.org/aam/3377; DOI: https://doi.org/10.4000/aam.3377; Alliegro E.V., 2017 Simboli e processi di costruzione simbolica. La “Terra dei Fuochi” in Campania, in «EtnoAntropologia», 5, 2: 175-239.
[3] Per maggiori informazioni sulla nozione di essere-nel-mondo cui faccio riferimento in questo scritto solo a titolo di esempio e senza nessuna pretesa di esaustività cfr. Csordas T. J., 1990, Embodiment as a paradigm for anthropology, in «Ethos», vol. 18, n. 1: 5-47; Merleau-Ponty, M., 2003, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano (ed. or. 1945, Phénoménologie de la Perception, Éditions Gallimard, Paris).
[4] Marx K., 2018, Il capitale. Critica dell’economia politica, Newton & Compton, Roma: 53.
[5] Con il termine “valore” mi riferisco qui alla definizione semplice e chiara formulata da David Harvey, secondo il quale: «il valore è una relazione sociale stabilita fra attività lavorative di milioni di persone in ogni parte del mondo. In quanto relazione sociale è immateriale e invisibile […]; ma, come più in generale i valori morali ed etici, questo valore immateriale ha conseguenze oggettive per le pratiche sociali. Nel caso del lavoro sociale “valore” si riferisce al perché le scarpe costano più delle camicie, le case costano più delle automobili e il vino costa più dell’acqua. Queste differenze di valore fra merci non hanno nulla a che fare con il loro carattere come valori d’uso […] e hanno tutte a che fare con il lavoro sociale nella loro produzione» Harvey D., 2014, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Feltrinelli, Milano.
[6] Ivi: 53-54.
[7] Ivi.
[8] Ibid.: 55.
[9] «Per divenire merce il prodotto per mezzo dello scambio deve essere dato a un altro a cui serve come valore d’uso. E in conclusione nessuna cosa può essere valore, senza essere oggetto d’uso. Se è cosa inutile, anche il lavoro in essa contenuto è inutile, non si considera come lavoro e quindi non crea alcun valore». Ibid.: 57.
[10] Ivi.
[11] Feticismo di Picherle A.- Enciclopedia Italiana (1932),
url: https://www,treccani,it/enciclopedia/feticismo_%28Enciclopedia-Italiana%29/, consultato il 30/12/2020.
[12] In realtà De Brosses mette insieme feticismo e sabeismo. Quest’ultimo termine, che indica una astratta e vaga adorazione degli astri, è ormai caduto in disuso almeno nell’ambito degli studi etnoantropologici proprio a causa di questa sua vaghezza.
[13] Cfr. Iacono A. M., 1992, Le Fétichisme. Histoire d’un concept, Presses Universitaires de France, Paris: 42-43.
[14] Ibid.: 51.
[15] Ibid.: 57-59.
[16] Ibid.: 59.
[17] Ibid.: 60.
[18] Per un approfondimento dell’utilizzo del termine feticismo e della varietà e quantità di autori che ad essa hanno fatto riferimento vedi il capitolo Le fétichisme après Charles de Brosses, in Iacono M. I., 1992, op.cit.: 65-76.
[19] Marx K., 2018, op. cit.: 76-84.
[20] Ibid.: 76-77.
[21] https://www.treccani.it/vocabolario/rifiuto/.
[22] Per una rapida quanto interessante trattazione del concetto di rifiuto e della sua trasformazione negli ultimi anni in ambito cfr. https://www.tuttoambiente.it/commenti-premium/la-cassazione-ritorna-sulla-nozione-oggettiva-rifiuto/, consultato il 09/03/2021.
[23] Cfr. Baudrillard, 2010, Per una critica dell’economia politica del segno, Mimesis, Milano.
[24] Piluso F., 2017, Forma (e) segno in Jean Baudrillard. Deriva di una prospettiva semiotica, in «Lo sguardo-rivista di filosofia», n. 23 I: 49-65.
[25] Ibid.:51.
[26] Ivi.
[27] Baudrillard J., 1976, La società dei consumi, Bompiani, Bologna: 79.

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 Tommaso India, attualmente si occupa di antropologia del lavoro con un particolare riferimento ai processi di deindustrializzazione e precarizzazione in corso in Sicilia. Si è laureato nel 2010 in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo con una tesi intitolata Aids, rito e cultura fra i Wahehe della Tanzania, frutto di una ricerca etnografica condotta nelle regione di Iringa (Tanzania centro meridionale). Nel 2015 ha conseguito il dottorato in Antropologia e Studi Storico-linguistici presso l’Università di Messina. Ha recentemente dato alle stampe il volume Antropologia della deindustrializzazione, Ed. it.

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