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I minori stranieri e i diritti traditi. Appunti da Bologna

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Bologna (ph. Consuelo Deriu)

per la cittadinanza

di Lella Di Marco

Potrei dire che è strano quanto mi sta accadendo in questi giorni, anche se non credo alla casualità come non è casuale il mio ricordo di una frase attribuita in passato, erroneamente, a Mao Tze Tung. Mao aveva in mente la rivoluzione in Cina, noi auspichiamo una rivoluzione globale, non violenta e non dispotica, per affrontare con lucidità “moderna” le diversità e le differenze sociali…. ma forse i tempi ancora non sono maturi.

Tanto per non essere evasivi premetto che, nonostante la pandemia, ho continuato la mia vita di militante sul territorio come antropologa dilettante e partecipante. Così l’altro ieri al parco un ragazzino sugli otto anni mi rincorre in bici e mi dice: «se va a Roma e vede Salvini gli può dire che è un razzista e ci sta facendo vivere una vita infernale, facendoci soffrire molto? …».

Intanto un altro suo amico, pure lui figlio di genitori marocchini, si avvicina e aggiunge «e dica per piacere al sindaco di Roma Conte (!?) che noi, anche se i nostri genitori vengono da Casablanca, siamo nati in Italia e vogliamo essere italiani. Stiamo frequentando la scuola italiana, parliamo bene l’italiano, abbiamo amici italiani e questo paese ci piace. Vogliamo che sia anche il Nostro».

Questi ragazzini erano deliziosi. Spigliati, determinati, degni di onorare la cittadinanza italiana. Senza sentirsi esclusi. Nel mentre una anziana signora eritrea che stava offrendo un gelato ai suoi due nipoti mi chiama e mi dice: «io la conosco da tanto tempo, so che fa interventi con e a favore dei e delle migranti. La prego faccia qualcosa per i bambini nati in territorio italiano. Le presento i miei nipoti». Intanto due “stornelli” (come dicono a Bologna per indicare dei ragazzi molto belli e attraenti) si alzano per salutarmi e mi dicono che frequentano il primo anno dell’Istituto tecnico ‘Aldini Valeriani’, mi ripetono che vogliono studiare e specializzarsi in studi tecnologici, che si sentono esclusi con il marchio di stranieri. La nonna insiste nel dire che i suoi nipoti come tanti altri stanno pagando un prezzo altissimo proprio nella fase più delicata per la costruzione della propria identità. Soffrono del non potere riconoscersi in una appartenenza. Del sentirsi sospesi come in un vuoto esistenziale, che alimenta in loro timidezza, insicurezza, rabbia.

Secondo me, il rischio che, in questa situazione di scontento e sconforto, di sofferenza soprattutto per i ragazzini e le ragazzine figli di entrambi i genitori migranti, possa prevalere la rabbia esiste e sarà inutile parlare, dopo, di fallimento di politiche dell’inclusione sociale dei migranti con attacchi alla debolezza della sinistra, alle poche e infelici idee della destra che nell’invocare l’uomo forte con “il prima gli italiani” continua la perenne campagna elettorale demagogica e immobile.

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Bologna (ph. Consuelo Deriu)

Ma questa è una sofferenza antica da parte dei bambini e adolescenti di origine migrante; non sentirsi accolti, accettati per quello che sono, vedersi esclusi perché portatori di una cultura altra. Adesso sembra che il vaso sia colmo, la loro reazione non è soltanto emotiva, sembrano aver frequentato dei corsi sul diritto alla cittadinanza. Dimostrano di avere consapevolezza della loro condizione, non hanno vergogna dei genitori “stranieri” né del lavoro che essi svolgono nel territorio italiano. Negli anni passati ho visto piangere i figli delle mie amiche marocchine mentre dicevano: «allora non ci vogliono perché non siamo come loro? NOI non siamo italiani?». Bambini che vivevano la contraddizione anche quando, per le vacanze, tornavano al Paese di provenienza dei genitori, perché visti come diversi. Magari perché vestiti meglio, con abitini nuovi o con qualche giocattolo in più, subito diversi, perfino classificati come “traditori” del Paese di origine. Anche questo ha procurato loro frustrazione ed esclusione.

L’immigrazione ha adesso una caratteristica antropologica diversa. Arrivano adulti dal Pakistan, da Paesi africani e orientali con lauree forti, con specializzazioni che, messe a fuoco, potrebbero essere utilizzate anche in settori produttivi dell’economia italiana. Specializzazioni e competenze non sempre presenti sul nostro territorio. Arrivano donne dal Pakistan, ad esempio, con lauree in economia, in elettronica, in tecniche aziendali ma rimangono sempre ai margini, nascoste, invisibili e tutto il dibattito si focalizza sul velo e sul loro credo religioso. Come dire: rimanere sul folclore per non volere affrontare i problemi, non ragionare sui diritti, non saper cogliere quelle che potrebbero essere opportunità.

Non è casuale il mio riferimento che segue a donne e uomini pakistani immigrati in Italia né intendo soffermarmi sulle relazioni più o meno legali che intercorrono tra i loro gruppi organizzati con gli amministratori italiani. Spero riuscire a cogliere il senso del dibattito; cruento, grondante lacrime e sangue, ancora acceso su Saman Abbas, la ragazza di 18 anni scomparsa nel nulla – ma probabilmente uccisa – a Novellara in provincia di Reggio Emilia nella notte del primo maggio, dopo aver denunciato la famiglia che voleva costringerla con la forza a nozze combinate. Non intendo ripetere il tormentone della (dis-)informazione continua con attacchi all’islam, agli islamici, con riferimenti più o meno puntuali al Corano, al tribalismo. E mi riferisco anche alle posizioni dei centri islamici, delle diverse associazioni che si autoproclamano rappresentanti dei musulmani in Italia, autorità della moschea di Roma. Anche le femministe storiche sono intervenute in ritardo, parlando chiaramente di “femminicidio” da sommare alle migliaia di casi in aumento in tutti i Paesi in questo periodo di difficoltà globali diffuse. Brillano le insufficienze e, in alcuni casi, le assenze delle istituzioni nel momento in cui esplodono casi limite di fragilità familiare, di crisi emotiva, in cui si acuisce il bisogno di mediatori esterni, di sostegni non solo materiali al nucleo familiare. Alcuni con determinazione continuano a sottolineare che se la ragazza avesse avuto la cittadinanza italiana avrebbe potuto sposare il ragazzo che aveva scelto e di cui era innamorata. Può darsi, non ci giurerei ma il problema esiste e non si può fingere di non vedere.

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Bologna (ph. Consuelo Deriu)

Mi affascinano gli intellettuali che provengono da culture altre e che scrivono in modo quasi irriverente, su temi scomodi, senza il problema di accattivarsi simpatie o diventare punti di riferimenti per strappare consensi o visibilità, con ambigue posizioni cultural-politiche. Mi piace citare lo scrittore italo-pakistano Wajahat Abbas Kazmi di cui a breve uscirà il libro, nel quale è impegnato da anni, sui matrimoni combinati dei pakistani in Italia, sulle caste in Pakistan e su come il concetto stesso di casta sia in contrasto con i princìpi costitutivi del Corano. Un libro che vuole essere uno strumento di conoscenza per italiani e per pakistani.

Penso che fondamentalmente il problema sia culturale ma è proprio a tale cultura che segnala i bisogni e lo stato delle cose nel Paese che la politica dovrebbe ispirarsi, per promuovere diritti, eguaglianza, sensibilità civiche, nuove cittadinanze. Al di là del caso Saman, che pure accade nella regione più avanzata del nostro Paese dal punto di vista dei servizi sociali e assistenziali, resta drammaticamente aperta la questione di dare urgenti risposte ai giovani figli degli immigrati che chiedono oggi, non domani, di essere riconosciuti come italiani, di essere inclusi come cittadini, con gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli uomini e le donne che abitano il nostro Paese. Sono più di un milione i minori di origine straniera residenti in Italia. Dieci milioni di apolidi.

Dialoghi Mediterranei, n. 50 luglio 2021

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Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’Associazione Annassim.

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