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I Gesuiti e l’archetipo del mito normanno in Sicilia

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Vincenzo Riolo, La restituzione a Nicodemo del soglio vescovile, 1830 ca., Palermo, Palazzo dei Normanni, sala Gialla

di Giovanni Isgrò

Bisogna riconoscere ai Gesuiti il merito di avere rilanciato in Sicilia, in forma epica attraverso il teatro alla fine del ‘500, la memoria dei Normanni. Ciò in seguito alla pubblicazione della ratio studiorum nel clima del rinnovamento del dramma sacro e della ricerca di nuove tematiche nell’ambito della storia antica, medievale e contemporanea. Da qui ha origine il genere della “tragedia storica”, le cui due prime testimonianze in Sicilia si riferiscono proprio alla conquista normanna. È infatti agli anni 1594 e 1599 che risalgono rispettivamente Messana liberata e Rogerius sive Panormus liberata di padre Pollione [1].

Intrecciate con gli avvenimenti della conquista del Conte Ruggero, le due opere testimoniano, dopo quattro secoli, il fatto che l’epopea Normanna si manifesta come mito configurabile nel quadro della memoria storico-religiosa. In Messana liberata l’autore arricchisce e organizza il suo schema drammaturgico inserendo degli aneddoti tratti dal Sicanarum rerum compendium di Maurolico pubblicato trent’anni prima.

I gesuiti, seguendo gli orientamenti del loro Ordine, seppero adattarsi al tema ben riconoscibile dalla cultura locale, per costruire due opere edificanti basate sul mito del trionfo della cristianità. Si trattava di un percorso pienamente risignificato, e cristianamente legittimato nella sua specificità, dal pericolo corrente delle razzie barbaresche che tormentavano le coste siciliane da secoli ma anche, e soprattutto, dal più grande avvenimento storico-politico del XVI secolo mediterraneo, ossia la battaglia di Lepanto.

La città di Messina aveva visto nel 1571, per due volte nello spazio di un mese, tutte le flotte della Lega Santa alla partenza e al ritorno dalla grande battaglia navale. Nel 1572 Palermo a sua volta era stata teatro delle celebrazioni del più fastoso trionfo politico-militare del secolo in onore di don Giovanni d’Austria, comandante di tutta l’armata navale cristiana. Un altro aspetto non secondario negli anni dell’elaborazione dei due drammi storici fu l’intensificarsi di pericolose incursioni e la presenza di flotte turche sempre più minacciose nelle acque calabresi e in quelle antistanti la città di Messina.

Di fronte a questa situazione, i gesuiti si produssero in cerimonie solenni a carattere espiatorio in quella stessa chiesa nella quale gli allievi del loro collegio rappresentarono in forma teatrale il mito normanno della conquista [2]. Dopo avere acquisito gli elementi narrativi principali riguardanti l’impresa normanna, il drammaturgo poté agire con grande libertà creativa, attingendo talvolta a fantasie di origine popolare talvolta a nuovi riferimenti letterari. Come dire, una sorta di mélange di antico e di adeguamento in tempo reale all’andamento culturale contemporaneo di provenienza sovranazionale. È così che in Rogerius sive Panormus Liberata si trovano interessanti riprese di modelli tratti dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso: Ruggero e Roberto il Guiscardo rispetto a Goffredo, Raimondo rispetto ad Argante ecc.

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Giuseppe Patania, I musulmani offrono doni al conte Ruggero, 1830 ca. Palermo, Palazzo dei Normanni, Sala Gialla

L’elemento scenico dominante è la preparazione del momento epico della liberazione di Messina e dell’entrata trionfale dei Normanni che si sviluppa in un andamento regolare nei cinque atti: conversazione dei capi della congiura anti-araba (I atto, presso il porto), consiglio di guerra dei rivoltosi (II atto, nel palazzo del Vescovo), consiglio di guerra degli arabi (III atto), battaglia (IV atto, nella città e dintorni), trionfo (V atto, ingresso nella città). In questo ultimo atto la scena dell’entrata del Conte Ruggero con lo stendardo della città, il Vescovo e il corteo processionale evolve verso la soluzione del teatro totale, nell’ambito della festosa cerimonia annuale della distribuzione dei premi agli allievi del collegio dei gesuiti, che pure avevano preso parte alla rappresentazione.

Ci troviamo dunque in un momento di straordinaria esaltazione dell’evento storico, inizio della lunga ripresa di una tematica che non avrebbe tardato a manifestarsi nelle arti figurative, nella letteratura e nello spettacolo, tanto a livello colto che popolare, e che sarebbe stata presente per quasi tre secoli in Sicilia fino alla grande stagione dei contastorie e del teatro dei pupi. Da qui il ruolo archetipico delle due testimonianze di teatro gesuitico tardo cinquecentesco rispetto al riconoscimento da parte dell’aristocrazia siciliana dell’epopea della fondazione del Regnum Siciliae a partire dal XVII secolo. Ne sono testimonianza le numerose raffigurazioni dei re normanni negli apparati della Cattedrale di Palermo in occasione del Festino di Santa Rosalia (giovane nobildonna normanna), non a caso ideato, promosso e magistralmente organizzato soprattutto sul piano della spettacolarità urbana dai padri gesuiti. Allo stesso modo, è ad un padre della Compagnia di Gesù, p. Cascini, che va riconosciuta l’iniziativa della prima opera dedicata all’immagine della Santa Patrona liberatrice dalla peste [3].

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Giovanni Patricolo, L’entrata di Ruggero a Palermo, 1830 ca., Palermo, Palazzo dei Normanni, Sala Gialla

Gli interventi di abbellimento e il mecenatismo dell’Arcivescovo di Monreale Francesco Testa sul tema della memoria della costruzione della cattedrale costituiscono, nella seconda metà del Settecento, una ripresa del mito normanno. Testa stesso compilò una consistente biografia di Guglielmo II, De Vita et rebus gestis Guilelmi II Siciliae regis, pubblicata a Monreale nel 1769, arricchita da illustrazioni su disegno del pittore Gioacchino Martorana. Il bel dipinto dello stesso Martorana sul sogno di Guglielmo II (1768) è una testimonianza significativa seguita, alcuni anni dopo, dalla realizzazione, sul plafond della galleria del palazzo arcivescovile, del grande affresco raffigurante le diverse fasi della ideazione e della costruzione della cattedrale, opera dipinta da Francesco Manno su commissione dell’Arcivescovo Benedetto Balsamo, nell’ambito della ristrutturazione dello stesso palazzo arcivescovile.

È in pieno clima neoclassico e fino agli anni Trenta dell’Ottocento che riesplode il mito dei re normanni, raffigurati non soltanto nei momenti epici della conquista, ma anche negli episodi degli incontri con gli alti rappresentanti del mondo islamico sottomessi, ma poi riconciliati. È l’immagine della pax normanna, in un certo senso risignificata dai Borboni che, dopo la tempesta napoleonica, si riproponevano come garanti della restaurazione dell’equilibrio socio-politico [4].

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Emilio Murdolo, pittura su carro, Bagheria

In questo modo, l’esigenza della monarchia dominante si collegava alla memoria della nobiltà siciliana, che guardava con orgoglio al tema della rifondazione del Regno di Sicilia. In questo quadro, nel quale si sono vagamente evocate probabili motivazioni di ispirazione romantica, si afferma una ricca produzione di arte figurativa, guidata da artisti come Patania, Riolo, Patricolo, Velasco, autori di dipinti realizzati su commissione dei Borboni per il Palazzo reale (chiamato appunto Palazzo dei Normanni), ma che si incontrano anche nella pratica festiva dell’effimero, soprattutto nei «trasparenti» facenti parte delle macchine dei fuochi d’artificio, in particolare allestite in occasione del Festino di Santa Rosalia [5].

I trasparenti dipinti da Vincenzo Riolo sono ancora oggi conservati presso la Galleria d’Arte Moderna di Palermo dove si trovano anche disegni di Giuseppe Patania e dello stesso Vincenzo Riolo in parte su tema normanno (fondo Sgadari Lo Monaco). Per quanto riguarda i dipinti di Patricolo, Riolo e Patania che abbelliscono la Sala Gialla del Palazzo Reale di Palermo, vale la pena ricordare che furono commissionati da Leopoldo, conte di Siracusa e luogotenente generale della Sicilia, figlio di re Francesco di Borbone e fratello del nuovo re delle due Sicilie Ferdinando II.

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Emilio Murdolo, pittura su carro, Bagheria

Per la realizzazione di questi dipinti i tre artisti coinvolti dal conte Leopoldo entrarono in un primo tempo in competizione fra loro per la distribuzione delle competenze. Fu allora che il marchese Ruffo, direttore del Ministero di Casa Reale in Napoli, decise di affidare a Riolo l’esecuzione pittorica dell’episodio della Restituzione a Nicodemo del soglio vescovile; a Patania quello dei Musulmani che offrono doni al conte Ruggero; e a Patricolo il dipinto centrale della Sala Gialla raffigurante L’ingresso di Ruggero II a Palermo. A questo tema si ispirò lo stesso conte di Siracusa nella mascherata del 1835 quando sfilò vestito col costume del re normanno [6].    

Ancora nell’ambito del recupero ottocentesco della memoria normanna, a parte il fenomeno di discesa del mondo figurativo colto a quello popolare testimoniato dalla pittura sui carretti, ci sono anche le esibizioni dei contastorie nelle strade e nelle piazze e soprattutto il grande fenomeno dell’Opera dei pupi. In riferimento a questa forma specifica del teatro siciliano, il teatro gesuitico sul tema normanno potrebbe essere considerato in particolare come fenomeno archetipico che attraverso diverse espressioni collegate all’evoluzione della cultura materiale dello spettacolo ci conduce proprio ai nostri pupi dell’Ottocento. È sufficiente pensare ai quadri scenici del “consiglio di guerra” e della “battaglia” rappresentati rispettivamente nell’atto II e nell’atto IV di Messana liberata, destinati a diventare componenti fisse del teatro dei pupi. E si pensi anche al tumulto delle armi, ai saraceni feriti e squartati fino alle scene conclusive dei trionfi e agli effetti “meravigliosi” prodotti da macchine ingegnose: una sorta di richiamo su scala ridotta alle invenzioni drammaturgiche e scenotecniche messe in atto nel teatro cinque-seicentesco dei padri della Compagnia di Gesù.

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Emilio Murdolo, pittura su carro, Bagheria

Con la citazione di questi legami con fenomeni che si sono sviluppati nel corso dei secoli, ha termine qui questa breve riflessione, anche se non si possono trascurare espressioni della cultura e della devozione popolare di tradizione che ancora oggi vivono di buona salute. Basti citare, fra gli altri, la festa della “Santa Croce” (con la danza armata del Tataratà) di Casteltermini, che ripropone lo scontro fra cristiani e saraceni, la festa della Madonna delle Milizie a Scicli, a ricordo della liberazione dalla dominazione araba guidata dal granconte Ruggero nel 1091, e il Palio dei Normanni di Piazza Armerina, grande kermesse in costume, tra sfilate in armi, combattimenti e giochi cavallereschi, intrattenimenti curtensi, musiche e balli. In tempi più recenti altre rivisitazioni storiche si sono aggiunte in altri luoghi deputati della Sicilia normanna come Monreale, Motta Sant’Anastasia, San Marco d’Alunzio. A Mazara del Vallo la memoria normanna è stata associata negli ultimi anni al Festino di San Vito, il cui culto è stato introdotto proprio nel tempo della ricristianizzazione dell’Isola avviata dal granconte Ruggero.

Concludiamo dunque qui con un giusto riconoscimento al ruolo avuto dai padri della Compagnia di Gesù, esemplari maestri di teatro, e primi artefici della restituzione scenica e artistica di una pagina così importante della nostra storia, giunta alla soglia del mito.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] Cfr. G. Isgrò, Festa Teatro Rito nella Storia di Sicilia, Cavallotto, Palermo-Caltanissetta 1981; id., Teatro del Cinquecento a Palermo, Flaccovio, Palermo 1983; id. Il Teatro gesuitico in Sicilia, in «Sacra Scaena», 3 (2006); id. Il Teatro negato, Pagina, Bari 2011-2020; id. Storia della drammatica sacra in Sicilia, ed. Sciascia, Caltanissetta-Roma 2020; id. Il Teatro dei Gesuiti, Pagina, Bari 2021
[2] Cfr. C.D. Gallo, Annali della città di Messina, Francesco Gaipa, Messina, 1881
[3] G. Cascini, Di Santa Rosalia romita palermitana, Cirilli, Palermo 1651
[4] Il primo riferimento storico al tema normanno nel sec. XIX è l’opera di Mariano Rossi che nel 1803 dipinge, sull’abside della cattedrale di Palermo, l’episodio della restituzione della cattedrale stessa al Vescovo Nicodemo da parte di Roberto il Guiscardo e del Gran Conte Ruggero. 
[5] Cfr. in proposito S. Riccobono, I “trasparenti” nelle festività di Santa Rosalia e i pittori dell’Ottocento in Immaginario e tradizione, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Abatellis, ottobre 1993-gennaio 1994), Palermo 1993: 82-102.
[6] Cfr. S. Riccobono, Carri trionfali e teatri pirotecnici nella Palermo dell’Ottocento, in Immaginario e tradizione, cit.: 223.

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Giovanni Isgrò, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università di Palermo, è autore e regista di teatralizzazioni urbane. Ha vinto il Premio Nazionale di Saggistica Dannunziana (1994) e il premio Pirandello per la saggistica teatrale (1997). I suoi ambiti di ricerca per i quali ha pubblicato numerosi saggi sono: Storia del Teatro e dello Spettacolo in Sicilia, lo spettacolo Barocco, la cultura materiale del teatro, la Drammatica Sacra in Europa, Il teatro e lo spettacolo in Italia nella prima metà del Novecento, il Teatro Gesuitico in Europa, nel centro e sud America e in Giappone. L’avventura scenica dei gesuiti in Giappone è il titolo dell’ultima sua pubblicazione.

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