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I dizionari storici del Cinque-Seicento: il rapporto della lingua italiana con la lingua araba

foto-del-dizionario-1_page-0001di Meriem Dhouib

Tradurre, volgarizzare, trasferire, interpretare, tutti questi verbi rappresentano il motore stesso della cultura, voci verbali consustanziali ai processi fondativi della conoscenza. Nella traduzione è la metafora della comunicazione che restituisce i contenuti dei testi ricreandoli e risignificandoli, in un gioco di specchi e di rifrazioni. Funzione costitutiva della conoscenza, il tradurre consente che le lingue convivano, si guardino e si scambino concetti e significati. In questa esperienza di migrazione di segni e simboli  entrano in contatto non solo le lingue ma anche le culture che nell’incontro e nel dialogo si arricchiscono e si implementano. Tradurre è in fondo un atto di apertura ad altre culture e di riconoscimento di altre forme di umanità, di altre visioni del mondo. Il traduttore deve essere fedele al senso del discorso originario e nello stesso tempo traslocarlo in un orizzonte linguistico differente, in un mondo culturale lontano e diverso.

Così, per quanto riguarda il nostro caso di studio, in linea di massima non è soltanto un’operazione linguistica che si limita ad avvicinare la lingua dell’infedele, il moro, il turco, il saraceno, il barbaresco alla lingua latina oppure ai vari volgari ma è piuttosto processo metalinguistico che implica un approccio alla cultura dell’altro secondo un paradigma interculturale.

La lingua araba per molti secoli fu considerata una lingua complessa, lontana, diversa eppure l’etimologia di tanti lemmi neolatini nascono da una radice morfologica araba. Nelle testimonianze testuali italiane dal Trecento al Cinquecento, gli autori non conoscendo ovviamente la lingua araba cercano di avvicinare il senso di una parola come il sintagma ricorrente «Califfa dei saraceni, cioè il loro maggiore patriarca». In questo approccio interculturale vorrei riferirmi a una delle perle testuali della lingua italiana nel resoconto di Ramusio, viaggiatore e scrittore del Cinquecento.

Infatti l’autore si sforza di comprendere i rapporti tra le lingue semitiche, e si sofferma sull’etimo ‘spares’, il nome di un pesce, del quale dice che non appartiene alla lingua barbaresca e nemmeno a quella arabica: «Gli abitatori sono per la maggior parte tesitori di tele, marinai e pescatori, i quali pigliano gra copia d’un certo pesce detto spares, la qual voce non è arabica, né barbaresca né meno latina» (Ramusio, Descrizione dell’Africa di Leone Africano, 1550: 331).

Questo rapporto tra la lingua araba e la lingua italiana o meglio i volgari viene rivalutato con l’editoria nel Cinquecento con una forma tipografica di grande interesse storico-linguistico. Agli albori dell’editoria cinquecentesca, nascono infatti trattati su vari argomenti, di opere classiche di autori noti e meno noti, vere e proprie grammatiche essenziali in cui è rivalutato il volgare rispetto al latino. Malgrado il perpetuarsi della cultura classica nella stampa cinque-seicentesca, s’impone una vastissima produzione in un momento importante dell’Europa in cui sono in piena rivalutazione le culture extraeuropee. L’interesse di certi dotti, viaggiatori e mercanti a capire la cultura dell’altro passa attraverso alcune grammatiche, testi di tipo esplicativo, dei vademecum, delle guide sul modello dei tascabili attuali: piccoli dizionari utili e di rapida consultazione.

foto-del-dizionario-1_page-0002Possiamo considerare questo fenomeno opera di singolari personalità di dotti, scrupolosi o disinvolti, e di imprenditori. Produzioni in cui si rispecchia un momento importante della cultura europea che si sviluppa parallelamente a quanto si verifica nelle prime grammatiche delle lingue volgari.

Questa lunga tradizione dei dizionari plurilingui può essere grosso modo classificata secondo il criterio della loro compilazione. Il primo gruppo è strettamente normativo, storico-scientifico, sul modello del cosiddetto Ambrogio Caleppio, Calepino. Il secondo gruppo che chiameremo ‘di intento pratico’ è esemplato sul modello del testo di cui desideriamo parlare. Questo esemplare è frutto di un lungo studio sul materiale pubblicato tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, in gran parte produzioni editoriali basate sul concetto di mediazione linguistica. Questa ricerca muove da un primo studio sulla presenza della lessicografia araba nella cultura italiana per capire meglio il rapporto tra queste due lingue. I compilatori di questi dizionari sono principalmente frati, uomini di chiesa che s’interessano alla lettura e alla comprensione delle lingue di circolazione dell’epoca, cioè l’arabo, il francese, il latino.

L’interesse culturale a questi gioielli editoriali è legato anche all’approccio linguistico dell’epoca. In effetti, in pieno periodo di revisione linguistica e di lavoro comune tra linguisti e tipografi, come documenta il modello di Pietro Bembo e Aldo Manuzio, ci si pone l’interrogativo: quali erano i criteri di questi compilatori e come veniva percepita la lingua araba?  Qual era il livello di conoscenza della lingua araba?

foto-del-dizionario-1_page-0003Il testo in questione è intitolato Fabrica overo Dittionario della lingua volgare arabica, et italiana, raccolto dal P. Fra Domenico Germano de Silesia, stampato nel 1636 dalla Sacra Congregazione. Il titolo è già rivelatore «Fabrica ovvero dittionario» di un progetto pratico, un vademecum di accesso rapido e efficace. Lingua volgare cioè lingua standard, comune. L’arabo è messo alla pari del volgare italiano. Il processo linguistico del fiorentino bembiano sembra ormai consolidato.

Il dizionario conta 102 pagine, articolate in nove capitoli. Dopo la dedica, il saggio presenta una lunga premessa in latino in cui il frate Domenico Germano descrive e spiega le particolarità della lingua araba e l’interesse dei frati e dei viaggiatori colti di capire e comunicare in arabo.

In quanto arabofona, ciò che mi ha colpito di più è stata la fluidità con la quale il compilatore è stato capace di tradurre. Sembra una di quelle grammatiche dell’inizio del Novecento. Ogni punto è tradotto in italiano volgare e spiegato correttamente. Le citazioni dal Corano oppure dalla poesia araba dimostrano il livello culturale del compilatore e dei destinatari che leggeranno e useranno questo dizionario.

Nel prologo l’autore spiega l’intento del dizionario, le motivazioni di questa scelta, una premessa che dimostra la buona conoscenza scientifica e didattica della lingua araba:

 « Prologo
[…] Essendo necessario ribambire, e diventar di nuovo fanciullo, à chi desidera imparare qualche lingua forestiera, et in particolare questa sì ricca et ampia lingua è anco necessario che noi inanzi il tutto premettiamo li suoi primi elementi, la cui pronuncia legitima e patria meglio s’impara con viva voce, che esplicarla con parole morte e mutole, per la ravcedine, acutezza e profonda aspiratione d’alcune di esse lettere» (Prologo: 11, c. 11 r.)

foto-del-dizionario-1_page-0004Il manuale molto pratico è suddiviso come una grammatica classica in categorie linguistiche: fonetica, fonologia, articoli, aggettivi, pronomi, verbi e appunti di sintassi.

Nella parte della traslitterazione dell’alfabeto arabo in lettere latine vengono separate le lettere all’inizio, in mezzo e alla fine delle parole. Nonostante l’inesistenza delle vocali e delle consonanti, il compilatore nella sua missione di ravvicinare le due lingue trascrive i suoni e tutti i segni diacritici con grande precisione.

Sulla scia di questo dizionario esistono altri esempi editoriali, certamente rari rispetto ai dizionari bilingui di altre lingue come il latino-francese, il tedesco, etc. ma senza dubbio prodotti di avanguardia e originali che s’inseriscono in quella visione tipicamente italiana del connubio tra l’artigiano della tipografia Aldo Manuzio e l’artista della grammatica Pietro Bembo. Va inoltre chiarito il percorso etimologico del lemma; è necessario sottolineare la prima attestazione del lemma dizionario che deriva dal latino dictionarius attestato nel 1210, mentre il lemma in italiano volgare risale al 1568, dittionario. Il periodo corrisponde alla pubblicazione dell’opera in questione Fabrica overo Dittionario della lingua volgare arabica, et italiana, raccolto dal P. Fra Domenico Germano de Silesia e agli obbiettivi metodologici del dizionario inteso non come nomenclatura o elenco lessicale ma come uno strumento di comunicazione linguistica e culturale. Questi glossari bilingui nascono essenzialmente per un bisogno di interculturalità e di scambio conoscitivo e vanno a perfezionarsi lungo i secoli per giungere alle pubblicazioni che troviamo oggigiorno sia in rete su internet che a stampa.

Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
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Meriem Dhouib, nata a Tunisi, è professore associato di lingua, letteratura e civiltà italiana presso il dipartimento di lingue della Facoltà di Lettere e di Scienze Umanistiche della Manouba. Si occupa essenzialmente del periodo Quattro-Cinquecentesco, ha pubblicato nel 2009 I volgarizzamenti di Liber peregrinationis di Riccoldo da Montecroce (éditions Orient-Occident, Université de Strasbourg).

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