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Gli incendi in Sardegna: il fallimento di un modello di governo dei territori

Sardegna (da Nuova Sardegna)

Sardegna (da Archivio Nuova Sardegna)

il centro in periferia

di Costantino Cossu

Il fenomeno degli incendi in Sardegna, che nello scorso mese di luglio si è manifestato con drammatica evidenza (20mila ettari di bosco e di macchia mediterranea distrutti dalle fiamme nella sola regione del Montiferru) ha una serie di cause che insieme concorrono a definire un quadro complesso e articolato. Sono tre i contesti rispetto ai quali vanno inquadrate l’insorgenza e la recrudescenza del fenomeno: socio-economico, culturale e demografico.

Per il primo aspetto, da almeno un ventennio è in corso un massiccio processo di deindustrializzazione che, accompagnato da una crisi delle attività produttive primarie (agricoltura e pastorizia), ha portato al collasso economico intere aree dell’Isola. Una terra con tanti problemi strutturali mai risolti, collocata nella fascia delle ultime d’Europa per prodotto interno lordo (si ferma al 70% della media europea mentre quello nazionale è al 97%). Una regione con una povertà diffusa fatta di cinquantenni che perdono il lavoro e di giovani che si appoggiano alle pensioni dei genitori. La disoccupazione giovanile (nella classe d’età 15-24 anni) è passata dal 35,7% del 2018 al 45,0% del 2019: un dato nettamente superiore alla media nazionale, che è del 29,2% (dati Istat).

Nel 2019 si trovavano in condizioni di povertà relativa circa 94 mila famiglie sarde. «All’interno di tali famiglie – rileva l’ultimo rapporto della Caritas Sardegna su povertà ed esclusione sociale –  vivono non soltanto i poveri cronici, con pluriennali e radicate ‘carriere di povertà’, ma anche i poveri inattesi: giovani, lavoratori in cassa integrazione o in mobilità, lavoratori precari, sottopagati o espunti improvvisamente dal mercato del lavoro, pensionati, impiegati, commercianti, imprenditori e single separati (spesso con figli minori a carico); persone trovatesi senza protezione perché culturalmente impreparate nel chiedere aiuto o perché non rientranti nelle misure di tutela sociale e sanitaria previste dalla normativa; persone sole, impoverite di legami familiari e reti relazionali di sostegno, a cominciare dall’ascolto e da una prima conseguente presa in carico».

Per l’aspetto culturale, basti qui notare sommariamente come il complesso rapporto tra i codici della tradizione e gli assetti normativi imposti da una modernizzazione calata dall’alto, attraverso le varie fasi di un processo che ha avuto per molti decenni aspetti di lacerante violenza, sia  oggi pervenuto a una sorta di compromesso instabile: i due sistemi di valore, quello della tradizione e quello della modernità, si integrano in un equilibrio precario in cui, alla fine, prevalgono gli aspetti più regressivi di entrambi gli ordini di valore prima in conflitto.

Contesto socio-economico e contesto culturale insieme contribuiscono a definire un campo esplicativo del fenomeno incendi di sicura rilevanza. In particolare, vi sono elementi per ritenere che non pochi roghi siano provocati dolosamente per focalizzare l’attenzione sul malessere di alcuni territori e indurre così l’apertura di nuovi cantieri di rimboschimento, che sono, in alcune zone dell’Isola, l’unica fonte di reddito insieme con le pensioni. Si tratta di un dispositivo, ormai consolidato, in cui pesanti situazioni di stagnazione economica, con elevati tassi di disoccupazione soprattutto giovanile e bassi livelli di reddito, si combinano con un’attitudine rivendicativa da sempre presente, che induce le comunità locali a utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per modificare a proprio favore un rapporto con i poteri politico-amministrativi regionale e statale percepito come penalizzante. Dove non è più possibile ricorrere al dialogo, le comunità locali tendono a riprodurre il compromesso instabile cui prima si accennava introducendo nel confronto-scontro strumenti anche violenti.

Sardegna (da Nuova Sardegna)

Sardegna (da Archivio Nuova Sardegna)

Vorremmo però richiamare l’attenzione soprattutto sul terzo dei tre contesti che spiegano gli incendi, quello demografico. E vorremmo farlo servendoci di uno studio appena pubblicato a cura dell’Osservatorio sulle migrazioni delle Acli Sardegna e dell’Istituto per la ricerca economica e sociale (Iares). Dal report risulta che nel giro di soli tre anni, dal 2017 al 2020, la Sardegna ha perso il 3,32% della sua popolazione, pari a circa 54 mila residenti, scendendo sotto la soglia, anche psicologica, di 1,6 milioni di abitanti. Le province che sembrano risentire meno del calo sono le due che contengono le città principali (Cagliari e Sassari), con decrementi nell’ordine del 2,6%. Tutte le altre aree presentano decrementi superiori al 4,2%.

In termini assoluti, la città metropolitana di Cagliari presenta un andamento costantemente negativo. Dal 2017 al 2021, il Cagliaritano perde circa 11mila residenti. Trend in continua diminuzione anche nella provincia di Sassari, che è priva di circa 13mila residenti. La provincia di Oristano ne perde circa 7 mila, la provincia di Nuoro circa 9 mila e, infine, la provincia del Sud Sardegna ben 16 mila. Una tendenza che porta in proiezione a una riduzione del 10% della popolazione in soli 8-9 anni. «Il dato eclatante – si legge nel report Acli-Iares – riguarda la velocizzazione della riduzione della popolazione, che passa da un calo medio negli anni 2015-2017 di circa 5 mila abitanti per anno a circa 10 mila nei tre anni dal 2017 al 2020, con una tendenza costante alla crescita».

In molti comuni della Sardegna il saldo demografico è ormai stabilmente negativo da anni, con conseguenze drammatiche: spopolamento progressivo e, per alcuni centri, la prospettiva di diventare villaggi fantasma nel giro dei prossimi cinquant’anni. «Ad eccezione di un cluster di comuni galluresi e ogliastrini – certifica lo studio Acli-Iares – i restanti comuni sardi con un saldo naturale positivo sono poche eccezioni: i centri con un saldo positivo sono solamente dieci su 357. Siamo di fronte a una voragine demografica che va contrastata rapidamente, perché la riduzione della popolazione porta danni permanenti al tessuto sociale ed economico: dall’indebolimento della Sardegna come mercato in grado di attrarre prodotti e di garantire una dimensione interna adeguata a favorire la crescita di aziende di medie dimensioni agli effetti sul bilancio pubblico. In particolare, una riduzione della popolazione, il suo progressivo invecchiamento, la riduzione della fascia di popolazione giovane o attiva porta ad un ridimensionamento del Pil e, conseguentemente, delle risorse pubbliche disponibili. Contemporaneamente una popolazione percentualmente più anziana eleva i costi pubblici necessari a coprire i servizi sociali e quelli sanitari».

Sardegna (da Nuova Sardegna)

Sardegna (da Archivio Nuova Sardegna)

Abbiamo voluto dare uno spazio particolare al contesto demografico perché riteniamo che in questo momento esso sia la spia più evidente di un quadro di deterioramento del tessuto sociale che ha sugli incendi ricadute importanti. La voragine demografica è, insieme, causa ed effetto di una situazione di grave emergenza economica, che colpisce soprattutto le zone centrali della Sardegna, quelle più penalizzate da un modello di sviluppo che ha privilegiato prima i poli industriali sulle coste (petrolchimica, alluminio e centrali a carbone) e poi, sempre sulle coste, gli insediamenti turistici e la connessa centralità riconosciuta nel panorama imprenditoriale regionale all’industria edilizia e alla speculazione immobiliare. Con effetti, in entrambi i casi, di ormai evidente squilibrio sia sul piano economico sia sul piano ambientale.

Oggi la situazione è tale che i residenti nelle zone maggiormente penalizzate dagli effetti di questo sviluppo distorto, le aree interne dell’Isola, si trovano di fronte non soltanto a una riduzione del reddito spesso drammatica, ma anche a un drastico abbassamento dei livelli di tutti i servizi (istruzione, sanità, comunicazioni e trasporti, credito, assistenza ai più deboli). La prima conseguenza di tutto ciò è la desertificazione antropica di territori vastissimi, che porta con sé l’abbandono delle terre e dei boschi e quindi il venir meno della fondamentale funzione di presidio che i produttori (pastori e agricoltori) hanno sempre svolto nella prevenzione degli incendi. La seconda non meno grave conseguenza è il riacutizzarsi di una tensione tra le comunità locali e le istanze politico-istituzionali regionale e statale, percepite come “esterne”, come “nemiche”.  Come in altre fasi della storia recente della Sardegna, l’incapacità di coniugare caratteristiche storiche del contesto regionale e crescita economica sfocia da un lato in un irrazionale utilizzo di risorse finanziarie ed umane e dall’altro in un deficit preoccupante di legittimazione democratica.

Sardegna (da Nuova Sardegna)

Sardegna (da Archivio Nuova Sardegna)

Di fronte a un contesto di questo tipo l’ultima cosa che si deve fare è cedere alla tentazione di prendere la scorciatoia repressiva. Nel dibattito sulla stampa locale in Sardegna (ma anche su quella nazionale per quel che riguarda i roghi che hanno devastato Sicilia e Calabria) si è manifestata in queste settimane la tendenza a fare del fenomeno degli incendi una questione di ordine pubblico legata all’azione di pochi “criminali organizzati”, individuati e sanzionati i quali il problema sarebbe facilmente risolto. Si tratta di una pericolosa illusione, fondata su presupposti di analisi di una debolezza sconcertante.

L’altra faccia questo di vuoto di analisi, perfettamente speculare, è la riproposizione di vecchie pratiche di assistenza: un mare di fondi europei per i ristori alle popolazioni danneggiate senza alcun progetto di intervento strutturale sulle cause di fondo dei roghi. Superficialità e incapacità di progettare il cambiamento si tengono la mano.  Nessuna riflessione seria sul fenomeno degli incendi è possibile se non si comprende che dietro di esso ci sono cause profonde di carattere storico alle quali si sommano scelte politico-amministrative di lungo periodo ma anche recentissime che hanno imprigionato la Sardegna in un contesto socio-economico squilibrato e per molti aspetti ingiusto. Tra i cui effetti negativi la devastazione ambientale provocata dalle fiamme e aggravata dal mutamento climatico rientra a pieno titolo.

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021

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Costantino Cossu, laureato presso l’università “Carlo Bo” di Urbino (facoltà di Sociologia e Scuola di giornalismo), è giornalista professionista dal 1985, cura le pagine di Cultura del quotidiano la Nuova Sardegna. Collabora con il quotidiano Il manifesto e con la rivista “Gli Asini”. Ha scritto i libri: Sardegna, la fine dell’innocenza (Cuec, 2001), Gramsci serve ancora? (Edizioni dell’Asino, 2009). Ha curato il volume di autori vari La Sardegna al bivio (Edizioni dell’Asino, 2010) e il testo di Salvatore Mannuzzu, Giobbe (Edizioni della Torre, 2007).

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