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Etnografie della marginalità. Ricordando Luigi Lombardi Satriani

Lombardi Satriani a Nardodipace (dal L'assenza del presente di

Lombardi Satriani e Cosimo Tassone a Nardodipace (da L’assenza del presente di M. Boggio)

per Luigi

di Tonino Ceravolo

Il modo più immediato per dire di Luigi Lombardi Satriani (San Costantino di Briatico, 1936 – Roma, 2022) nel momento della sua scomparsa sarebbe, probabilmente, quello di richiamare, con una certa analiticità, il suo ricco percorso scientifico e umano, ricordando le prestigiose cattedre universitarie occupate, la vasta bibliografia, l’impegno politico sfociato nel seggio senatoriale.

E tuttavia si può fare memoria di un’esistenza viva, complessa, piena di tante cose anche osservandola da un più circoscritto, nel tempo e nello spazio, angolo visuale che, però, lascia emergere ugualmente un’indomita passione culturale, la natura di un metodo scientifico, lo stile intellettuale di un uomo che di molti è stato maestro.

Questo più ristretto angolo visuale ha il nome di Nardodipace, un comune collinare e montano delle Serre vibonesi in Calabria che avrebbe avuto negli anni la singolare ventura di essere riconosciuto ed etichettato, dal sistema politico e mediatico, come “comune più povero d’Italia” e prende la forma di un docufilm (con la regia di Maricla Boggio) e di un libro (L’assenza del presente. Storia di una comunità marginale, a cura di M. Boggio, Marsilio, [per conto della Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania], 1981), che raccolgono i risultati dell’inchiesta etnografica coordinata in quell’area da Lombardi Satriani.

Quando Lombardi Satriani giunge a Nardodipace erano già accadute, nel suo percorso intellettuale e nella storia della comunità osservata, alcune cose fondamentali, che qui è indispensabile richiamare. Per quel che riguarda il suo itinerario di studioso, tra anni Sessanta e anni Settanta del ‘900 erano uscite alcune ricerche che, alla “scuola” di Gramsci e De Martino, avevano marcato il panorama dell’antropologia italiana, facendo emergere un Mezzogiorno “altro”, che nei suoi riti e credenze esprimeva una radicale contestazione della cultura dominante (Il folklore come cultura di contestazione, Peloritana, 1967 e Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, Peloritana, 1968). Nardodipace, da parte sua, soltanto pochi anni prima era stata interessata da una duplice cesura storica, che ne avrebbe diversamente contraddistinto le vicende per molti anni: la disastrosa alluvione del 1973 e le elezioni amministrative, nel novembre dello stesso anno, vinte, per soli cinque voti, dalla lista con il simbolo del “Ramoscello d’ulivo” e che inauguravano per il comune una pagina nuova con la quale cominciava a diventare il simbolo di un mondo che poteva cambiare e una sorta di “osservato speciale” della realtà calabrese. 

s-l1600Un’indagine etnografica in un universo contadino 

Non era stata un’indagine etnografica solitaria quella condotta da Lombardi Satriani nel comune delle Serre calabresi, perché insieme con lui e con la regista Maricla Boggio erano giunti a Nardodipace alcuni giovani studiosi (Francesco Faeta e Vito Teti) che avrebbero segnato con i loro lavori gli studi antropologici italiani nei decenni successivi e vi era giunto Mariano Meligrana, che sarebbe stato suo coautore del fondamentale Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud, Rizzoli, 1982 (e senza dimenticare la presenza di Sharo Gambino, per diverse vicende memoria storica e testimone di quella comunità).

Una Nardodipace in immagini e parole era quella che affiorava nella ricerca coordinata da Lombardi Satriani, divisa tra il “passato persistente” di Ragonà e il “futuro inattuato” di Cassari, il pianoro montano su cui era stato ricostruito l’insediamento ragonese dopo che per le alluvioni era stato dichiarato inabitabile. Nel film (e nel libro che ne era scaturito) si intrecciavano – come osservava Maricla Boggio – «elementi di antica tradizione, ancora utilizzati per riunire la comunità disgregata o per controllarne la conflittualità – magia, oggetti protettivi, balli, canti, feste religiose – con situazioni conseguenti a responsabilità politiche appena trascorse e ancora attuali», che davano vita «alla condizione presente, non da contemplare come risultato folklorico inalterato, ma su cui riflettere per una prospettiva finora non definita, ma necessaria per non far precipitare in una sempre più profonda marginalità una comunità esemplare di numerosissime altre».

Proprio marginalità era la parola chiave della ricerca, opportunamente evocata sin dal suo titolo, perché marginali erano quelle comunità, marginale la povera e faticosa economia della rasula, marginali, rispetto alla modernizzazione che altrove si era ormai imposta, le pratiche magiche e le formule per cacciare il malocchio, marginali la solitudine e i sogni di Cosimo Tassone, nel suo duplice rifiuto di Ragonà, «comunità di pastori costretti a trasformarsi in contadini, e di Cassari, luogo dove si è tentata una ristrutturazione economica e culturale». E se quella di “antropologo della civiltà contadina”, molto utilizzata nelle commemorazioni giornalistiche di Lombardi Satriani a ridosso della sua morte, rischia di essere una definizione riduttiva (Lombardi Satriani è stato anche un antropologo della “modernità” contemporanea, un osservatore acuto dei riti e dei miti del tempo attuale già a partire dal 1973 con Folklore e profitto), certamente della sua prossimità e vicinanza all’universo contadino L’assenza del presente costituisce una testimonianza importante e partecipe. 

Lombardi Satriani a Nardodipace (dal L'assenza del presente di M. Boggio)

Lombardi Satriani a Nardodipace (da L’assenza del presente di M. Boggio)

Domande a una comunità marginale 

Se c’è un filo rosso che attraversa L’assenza del presente sono, infatti, le domande, gli interrogativi brevi, quasi lapidari, che Lombardi Satriani pone ai suoi interlocutori – comparendo nei dialoghi del libro con il solo nome di Luigi – senza sovrapporsi a loro, lasciando libero spazio alle loro parole, evitando di adottare tecniche che avrebbero rischiato di depotenziarle. Così a Cosimo Tassone chiede dei suoi sogni e a Salvatore Martino del suo lavoro, della sua casa, dei suoi studi interrotti. Con Damiano Tassone ragiona, accompagnandolo lungo la strada che conduce al suo podere, sulla povera economia della rasula e sulle frane da cui difendersi, in mancanza del cemento, soltanto con muri di pietre accatastate «e poi si è punto e da capo perché viene l’alluvione, se lo torna a portare via e si deve rifare di nuovo», mentre a Vincenzo Tassone domanda dello «sguardo invidioso», dello spazio domestico che può farsi anche minaccioso, di coltelli «conficcati nella porta di casa» in funzione apotropaica, per proteggersi dagli spiriti.

È un dialogo ininterrotto quello che Lombardi Satriani intrattiene, attraverso gli uomini e le donne, con un’intera comunità, anche chiedendo al medico Cosmo Monteleone della diffusione delle malattie e del rapporto tra le medicine e le pratiche “magiche” e a Maria Stella, la “maga” di Cassari, di come si curano il mal di pancia e i vermi, delle formule rituali che adopera, delle processioni dei morti e dei contatti tra questi e il mondo dei vivi. E non è certamente un caso se l’inchiesta etnografica a Nardodipace sembra costituire, in alcuni suoi snodi, quasi una sorta di discorso parallelo (in compendio) rispetto a quello che, nel medesimo torno di tempo, Lombardi Satriani stava conducendo, con Mariano Meligrana, sull’ideologia della morte nel Meridione. Basti pensare proprio al motivo, prima accennato, del ritorno dei morti, alla paura di tale ritorno e alle strategie di difesa di fronte alla sua possibilità minacciosa, riscontrato a Nardodipace nella rappresentazione diffusa della turva magna, la credenza nella processione dei defunti durante la notte o anche a mezzogiorno, testimoniata, tra l’altro, da Maria Stella Tassone: 

LUIGI Se uno di questo mondo ruba, poi nell’altro mondo che fa?
                                                            MARIA STELLA Se li trascina, se li porta.
LUIGI Se li porta addosso sulle spalle? Ma quando passa la processione dei morti…
MARIA STELLA Quando passa la “turva”, mettiamo…
LUIGI Si chiama la “turva” la processione dei morti? E si porta in collo tutto quello che ha rubato sulla terra?
                                                          MARIA STELLA Certo…
Operazione contro il malocchio (da L'assenza  del presente di M. Boggio)

Operazione contro il malocchio (da L’assenza del presente di M. Boggio)

Le anime dei morti di morte violenta che vagano, gemono e si lamentano irrequiete, la possibilità che lo spirito entri nel corpo dei vivi e se ne impossessi, la possessione da spiriti, le tecniche di protezione della domesticità che Lombardi Satriani rileva a Ragonà di Nardodipace osservando i coltelli fissati dietro la porta d’ingresso, con la lama rivolta all’ingiù, a difendere la soglia, sono tutti temi che la ricognizione antropologica del 1981 nel comune calabrese condivide con l’opus magnum pubblicato l’anno successivo e dedicato alla complessa fenomenologia della morte.

Emergono anche nell’inchiesta nardodipacese, grazie al continuo domandare, la cosmogonia e l’antropologia del contadino sognatore e solitario Cosimo Tassone, il quale, al di fuori del suo povero lavoro con la terra, trascorre il tempo a captare gli echi che, attraverso vecchi giornali e antiche monete ritrovate, gli giungono dal passato, dimensione privilegiata del suo ordine quotidiano, un passato mitizzato, in cui tutto era, nella sua visione, “più” educazione, “più” disciplina, “più” legalità. Come emergono i caratteri di una comunità disgregata e dispersa per gli insulti della natura e della storia, non immune dalla violenza, nella quale mancano le strutture aggreganti e il presente è assente. A tutto questo conducono le “domande di Luigi”, questo fa vedere una ricerca sul campo che è anche un “discorso sul metodo” e un mirabile esempio di un sapere che non si nutre della sola distanza. 

Da un piccolo angolo visuale 

Certamente un minuscolo punto di luce quale è quello che si è scelto qui per guardare a una delle esperienze intellettuali italiane (e non soltanto italiane) più rilevanti tra seconda metà del Novecento e primi decenni del nuovo millennio è poca e piccola cosa se paragonato ai mille rivoli, sentieri e tracce che quell’esperienza ha indicato e percorso. Alla fine, non è che un inizio, nella consapevolezza che con essa e con chi l’ha incarnata bisognerà a lungo misurarsi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022

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Tonino Ceravolo, saggista e scrittore, è abilitato a Professore associato in Scienze demoetnoantropologiche. Ha diretto per oltre un decennio la rivista semestrale “Rogerius” e ha collaborato con il Centro Antropologie e Letterature del Mediterraneo dell’Università della Calabria. Molti suoi libri sono editi da Rubbettino. Tra essi I monaci di clausura (2006), Storia delle nuvole. Da Talete a Don DeLillo (2009), Il prepuzio di Cristo. Storie di reliquie nell’Europa cristiana (2015) e Gli spirdàti. Possessione e purificazione nel culto di San Bruno di Colonia (2017, nuova edizione). Suoi contributi scientifici sono stati pubblicati su “Voci” e sul “Nuovo Giornale di Filosofia della Religione”.

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