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Dall’islamofobia alla dittatura neo-liberista

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di Aldo Nicosia

Queste righe nascono da riflessioni personali sui temi dell’immigrazione dal mondo arabo e/o islamico, e della crisi economica delle classi medie a livello globale, che qualcuno ha definito “glebalizzazione”. A mio avviso quei temi sono strettamente coniugati con quell’islamofobia, ed è quello che mi propongo di evidenziare, prendendo lo spunto da un saggio di Antonello Ciccozzi dal titolo “Diversità che non arricchiscono: la questione dell’estraneità ostile nei reati culturalmente motivati” pubblicato sull’ultimo numero di Dialoghi Mediterranei.

Devo premettere innanzitutto che di formazione non sono un antropologo né un sociologo, e le mie riflessioni sono filtrate da una lunga esperienza come interprete di lingua araba (1996-2009) e visitatore abituale di molti Paesi del mondo arabo-islamico, da decenni. Leggendo il saggio summenzionato, mi è riaffiorata alla mente un’efficace definizione sulla professione del sociologo (che forse si adatta anche a quella dell’antropologo) che mi sembra opportuno qui ricordare. Il sociologo sarebbe «colui che va allo stadio, non per vedere la partita ma per osservare gli spettatori».

La mia impressione – senza voler assumere sciocche difese corporative né interferire nelle competenze altrui – è che una parte degli antropologi e sociologi sull’islam della diaspora migratoria o su quello dei Paesi arabo-islamici segua questa linea: cioè che si piazzino comodamente seduti sugli spalti, molto distanti dal campo di gioco, intenti ad osservare i comportamenti e le espressioni non di chi segue appassionatamente la partita, bensì di chi, annoiato o incapace di comprendere le regole del gioco che si sta svolgendo sotto i suoi occhi, o per altri imperscrutabili motivi, è intento a sfogliare col dito le pagine del suo cellulare, in attesa di qualche sussulto che lo distolga da una placida lettura o da altra attività che non ha molto a che vedere con l’arena di gioco. Se quest’ultima rappresenta il mondo arabo-islamico o l’Italia vissuta dai migranti, lo spettatore potrebbe essere la metafora del giornalista che trova probabilmente nel suo cellulare, o nelle direttive del suo capo, il proprio filtro ermeneutico. A volte si arriva al paradosso che tale spettatore cerchi informazioni sul match che si svolge nello stadio in cui si trova proprio da altre fonti, o da altri colleghi.

161709274-bf29142d-9369-4800-a815-268b78d4ab97Qualcuno obietterà che anch’io in questo momento mi sto comportando come fanno tali ricercatori. Il mio obiettivo non è quello di commentare in modo sistematico il saggio di Ciccozzi, ma di evidenziare come, sebbene si parta da dichiarate solide basi di analisi, si finisca poi col fornire un quadro distorto della realtà dell’immigrazione proveniente  da Paesi a maggioranza musulmana.

Personalmente ho vissuto il fenomeno dell’immigrazione clandestina in Italia presso un ufficio del Ministero degli Interni, nella Sicilia occidentale, terra d’arrivo di numerosissimi clandestini, già dagli anni ‘80. Ho così avuto modo di assistere a centinaia di sbarchi, ascoltando le testimonianze degli stessi protagonisti. Ho altresì seguito da vicino il percorso di vita, integrata o meno, di migliaia di migranti, cittadini provenienti dall’area del Nord Africa e del Medio Oriente. Non mi sono comportato da spettatore passivo, o da ricercatore che segue tracce interpretative e teorizza su fenomeni per sentito dire, o attraverso studi e ricerche di terzi. D’altro canto la mia conoscenza della lingua araba, e delle sue diversissime varianti, mi ha dato una chiave di accesso privilegiata per cercare di capire pensieri, opinioni, filosofie di vita che non trovano espressioni in articoli di opinionisti su giornali e riviste, sia generalistiche che specialistiche, tesi di laurea e quant’altro.

L’ipotesi di mettere in un unico calderone gli atteggiamenti di “estraneità ostile” delle varie realtà delle comunità arabo-islamiche in Italia, solo perché genericamente definiti “musulmani” è quanto meno azzardata, in una ricerca che si rispetti. Ciò occulta l’estrema varietà di realtà e società dei Paesi di origine. Basterebbe solo fare una visita, lontano dai club vacanze o dalle luccicanti medine del Medio Oriente, per capire che la stratificazione sociale e quindi l’aderenza a certi modelli di comportamento e di vita dipenda dalla condizione economica più di quanto succeda in Europa o nei Paesi occidentali in genere.

Da anni non leggo più quotidiani italiani, né guardo televisioni nostrane. Affidano le loro analisi e commenti a persone che non conoscono nulla delle civiltà di provenienza degli immigrati. Spesso sciorinano percezioni superficiali, traviate da posizioni pregiudiziali, o da mere ideologie figlie di appartenenze partitiche. Inoltre trovo ridicolo e inutile occuparsi di quello che la stampa italiana dice sugli immigrati, a prescindere dall’orientamento politico dei vari giornali, tv o siti internet.

Se questo riguarda i cosiddetti “professionisti dell’informazione”, d’altro canto i ricercatori, sebbene conoscano i fenomeni migratori, padroneggino le lingue e gli strumenti ermeneutici, a volte applicano alle realtà filtri appositi che possano favorire o consolidare le loro tesi di partenza. Non credo neanche che l’opinione pubblica italiana venga condizionata più di tanto da tali escrezioni… giornalistiche, né dagli studi di settori, che rimangono confinati nelle biblioteche delle università.

PALESTINIAN-ISRAEL-RELIGION-CHRISTMASUno degli errori più grossolani che fanno tali studi specialistici, condotti anche da ricercatori seri, è quello di considerare i migranti provenienti da Nordafrica e Medio Oriente, in default, come “musulmani”, aderenti ad una fede i cui confini geografici si estendono dal Marocco alla Cina. L’Islam viene al solito visto come un monolite: ora, se tale errore può esser perdonabile al lettore medio, non lo affatto è al sociologo o all’antropologo. Persino sull’Annuario Statistico sull’immigrazione, pubblicato ogni anno dalla Caritas, per calcolare il dato numerico della religione degli immigrati, si guarda all’origine geografica. Il marocchino viene sistematicamente inserito nella casella “immigrato musulmano”, senza che qualcuno gli abbia effettivamente chiesto a che religione si senta di aderire. Perché non ipotizzare la presenza di agnostici, atei, dubbiosi, o aderenti alla fede in modo personalizzato? Come è possibile accomunare in una stessa casella il pakistano che uccide la figlia che ha l’ardire di scegliersi il proprio fidanzatino, e il giovane troskista tunisino, o la casalinga egiziana che odia profondamente i Fratelli Musulmani?

Improprio trovare in un articolo che parla giustamente «di ampiezza, complessità e delicatezza della questione», risultati di studi condotti da centri di ricerca (forse ricerca dello scoop!) in cui si cita, a mo’ di esempio, che il 56% dei tunisini sono favorevoli alla shari’a. In realtà, come la maggior parte dei cittadini dei Paesi arabo-islamici, non sanno neanche loro cosa significhi tale termine, nella prassi, soltanto perché non ne hanno esperienza nel proprio Paese, dove vige un Codice di Famiglia, moderno e al passo coi tempi, fin dal 1957. Che senso ha citare lo scandaloso (per lo studio) 51% dei musulmani che non apprezzano la cultura di massa occidentale? E perché mai si dovrebbe apprezzare tale cultura di massa? I ricercatori conoscono i valori etici che informano i rapporti sociali e familiari dei Paesi arabo-islamici? Chi può stabilire validi criteri di valutazione comparativa tra le culture?

Bataclan (ph. Nenoit Tessier, Getty Images)

Bataclan (ph. Nenoit Tessier, Getty Images)

Ciccozzi cita una ricerca francese del 2020 in cui si dice che il 25% dei musulmani non ha condannato la strage di Charlie Hebdo o la carneficina del Bataclan. A questo punto mi chiedo: ce n’è qualche altra che abbia chiesto ai “cristiani” europei o americani (dico cristiani usando lo stesso metro di valutazione dei migranti “musulmani”), se qualcuno di loro abbia mai condannato l’attacco all’Iraq del 2003, sferrato dai loro governi, con l’avallo colpevole dell’Onu, dopo la scoperta della menzogna sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein? Tra l’altro, il numero di morti causati dalla distruzione di un intero Paese non è per niente paragonabile a quello provocato da due attentati (in cui sono coinvolti pesantemente i servizi segreti occidentali dei governi occidentali).

Un’affermazione come «non tutto l’Islam è fondamentalista, ma nell’Islam il fondamentalismo è un problema», corrisponde, nella sua implicita tendenziosità, alla seguente: «Non tutti i siciliani sono mafiosi, ma in Sicilia la mafia è un problema». Già essa, da sola, basterebbe a fare avanzare riserve sulla sentenza assolutistica che pare dichiararsi già nel titolo intorno alle “diversità che non arricchiscono”. È vero che nelle aree rurali e culturalmente arretrate del Pakistan vige un codice di comportamento sociale retrogrado e crudele, ma le realtà di quelle specifiche zone non sono le stesse di tutto il mondo musulmano. Ovviamente va detto che anche in realtà migratorie, provenienti da aree geograficamente più vicine, ad esempio il Marocco, ci sono aspetti di estrema chiusura culturale. È un fatto incontrovertibile che una parte degli immigrati marocchini presenti in Italia sono provenienti da aree del Marocco interno, abbastanza tradizionalista e in generale poco aperto al confronto con altre civiltà.

A me è capitata una forte esperienza personale, in cui, pur parlando l’arabo e conoscendo certi codici culturali, ho subìto atti d’ostilità o di diffidenza rispetto ai modelli sociali italiani ed europei. Ma da qui ad invocare il peso della shari’a il passo è lungo. Dovrebbero saperlo gli antropologi che, nei Paesi arabo-islamici da cui proviene la maggior parte degli immigrati, la shari’a trova applicazioni ridotte o addirittura nulla perché contrastanti con il sistema giuridico ispirato a codici europei. Ad esempio, quanti casi di uccisi per apostasia si contano, tra un miliardo e mezzo di “potenziali musulmani”?

Former Taliban fighters stand with their weapons during a ceremony after joining Afghan government forces in Herat on August 7, 2013. About 100,000 foreign combat troops, 68,000 of them from the US, are due to exit by the end of 2014, and NATO formally transferred responsibility for nationwide security to Afghan forces a week ago. AFP PHOTO/ Aref Karimi        (Photo credit should read Aref Karimi/AFP/Getty Images)Sono d’accordo sul fatto che il fondamentalismo islamico sia una forma di moderno fascismo, ma è bene ricordare la genesi e lo sviluppo dei vari movimenti fondamentalisti. Essi sono stati foraggiati già dagli anni ‘70 in molti Paesi arabi dagli stessi governi in carica, in modo trasversale o indiretto, perché serviva agli stessi governi a dividere il fronte dell’opposizione, soprattutto quello della sinistra laicista. È successo nell’Egitto di Sadat e poi di Mubarak, e anche nella Tunisia del superlaico Bourguiba. Nello stesso periodo, ma in Asia Centrale, i talebani sono stati armati e strumentalizzati dagli Stati Uniti in funzione antisovietica. Successivamente manovrati attraverso i servizi segreti pakistani per obiettivi di penetrazione economica. Chi ha creato al-Qaeda e la stessa Isis? I governi degli Stati Uniti pretendono di combatterli, così come nascondono al mondo la madre di tutte le menzogne mediatiche: un manipolo di inesperti piloti sauditi ed egiziani scorrazzano per qualche ora nello spazio aereo statunitensi, indisturbati, per poi abbattersi sulle torri gemelle di New York. La favola di Bin Laden, compare dei Bush, che dalla sua grotta dell’Afghanistan dirige le operazioni contro l’Occidente non si può più raccontare neanche agli infanti.

Forse i sociologi e gli antropologi che studiano i fenomeni migratori dovrebbero visitare una volta ogni tanto i Paesi di origine degli stessi immigrati, per rendersi finalmente conto dei disastri provocati dalle politiche neoliberiste imposte da organismi mafiosi come il Fondo Monetario Internazionale la Banca Mondiale. Oggi il sistema economico oligarchico di una finanza sempre più invasiva ed arrogante bypassa e svuota le istituzioni democratiche non solo dei Paesi arabi ma anche del resto del mondo, impoverendo miliardi di persone e rendendo i loro Stati sempre più dipendenti dalle stesse banche e società finanziarie. Purtroppo le disuguaglianze economiche nel mondo arabo islamico sono sempre più forti e determinano sacche di ignoranza e di sottosviluppo che poi in ultima analisi producono modelli di comportamento arretrati, tassi di analfabetismo ed immigrazione: o li costringono a lasciare le zone rurali verso le periferie delle grosse metropoli, oppure a rischiare la vita, attraverso i mari e i deserti, per realtà culturalmente lontanissime, per mantenere la famiglia rimasta a casa.

Parigi, Banlieu

Parigi, Banlieue

Il neocolonialismo è sempre stata la causa dei guai che affliggono il continente africano e buona parte dell’Asia. La devastante politica monetaria della Francia nelle sue ex colonie basterebbe per capire i suoi riverberi sulla realtà agghiacciante delle sue squallide banlieues. Il fondamentalismo islamico potrebbe essere visto come il tentativo, errato, di incanalare (e dominare) un malcontento contro sistemi economici neo-liberisti, corrotti e marci, che producono per reazione un attaccamento a simboli identitari religiosi, una radicalizzazione, a volte un’estraneità ostile verso l’Occidente. La stessa che le (ex) classi medie in Europa provano per regimi ormai non più democratici.

La prossima guerra che si combatterà in Italia, e in Europa in genere, sarà quella tra gli emarginati, con la strumentalizzazione delle destre razziste e della sinistra finto-buonista. Sempre ammesso e non concesso che esista ancora in Italia una sinistra, visto che il partito di maggioranza italiano ormai ha eliminato l’aggettivo sinistra dalla sua etichetta. Che senso ha parlare di destre e sinistre quanto entrambi eseguono gli stessi diktat neoliberisti, rappresentano solo metà della popolazione (l’altra metà non vota più), e abdicano alla loro primaria funzione? Che senso ha parlare di ponti verso gli immigrati, per poi spingerli a spacciare nelle immonde periferie, fuori dal controllo delle autorità? Si fa finta di accogliere gli immigrati, ma poi con indifferenza li si spinge a cercare l’eldorado nel Nord Europa.

Più che islamofobia, che ormai viene utilizzata come arma di distrazione di massa, sta prevalendo un razzismo di periferie degradate, di poveri contro neo-poveri, in concorrenza in settori di economia informale, spaccio di droga, lavori precari senza sicurezza. Le scelte economiche di governi etero-diretti non eletti da nessuno, tutte in direzione della difesa dei capitali della finanza internazionali, con la benedizione della BCE, stanno depauperando il Paese e creeranno scontri probabili tra italiani e immigrati.

Il problema principale non sarà il presunto scontro tra Occidente e Islam, ma tra i sudditi e le sempre più numerose vittime di un sistema finanziario globale. I servi globalizzati della gleba, aizzati da tutti i partiti, per mantenere i loro squallidi interessi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021

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Aldo Nicosia, ricercatore di Lingua e Letteratura Araba all’Università di Bari, è autore de Il cinema arabo (Carocci, 2007) e Il romanzo arabo al cinema (Carocci, 2014). Oltre che sulla settima arte, ha pubblicato articoli su autori della letteratura araba contemporanea (Haydar Haydar, Abulqasim al-Shabbi), sociolinguistica e dialettologia (traduzioni de Le petit prince in arabo algerino, tunisino e marocchino), dinamiche socio-politiche nella Tunisia, Libia ed Egitto pre e post 2011. Nel 2018 ha tradotto per Edizioni Q il romanzo Il concorso di Salwa Bakr, curandone anche la postfazione. Ha curato per Progedit la raccolta Kòshari. Racconti arabi e maltesi (2021).

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