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Conversare con Giuseppe Maurizio Piscopo

Tullio Piscolo

Giuseppe Maurizio Piscopo

di Antonino Cangemi 

Conversare con Giuseppe Maurizio Piscopo è un continuo amabile divagare, tanti sono gli interessi, le esperienze, i progetti di un musicista- scrittore poliedrico, orgoglioso e modesto, umile e ambizioso, loquace ma discreto, pago di una vita vissuta assecondando le sue passioni e smanioso di immergersi in altre e nuove avventure. Un divagare con al centro sempre la Sicilia, le sue inesauribili risorse, i suoi aggrovigliati problemi, che Piscopo conosce bene da “etno-antropologo” sul campo quale in fondo, a latere agli studiosi, può considerarsi per avere esplorato e continuare a esplorare l’isola – complice anche e soprattutto la sua fisarmonica – nelle sue viscere e nella sua anima più recondita.

Favarese, Piscopo è sempre rimasto legato al suo paese – povero e storicamente preda di latifondo e cosche mafiose ma ricco di talenti: lo scrittore Antonio Russello, il costituzionalista pirandellologo Gaspare Ambrosini, tra gli altri – e nello stesso tempo se ne è allontanato spostandosi per la Sicilia (vive la maggior parte dell’anno a Palermo), l’Italia e l’Europa. D’altra parte, un uomo così ancorato e fedele alle proprie radici, qual è Piscopo, da esse non può staccarsi e, amandole, ha fatto e continua a fare di tutto per diffondere in altre aree geografiche tradizioni e costumi della propria terra. Da qui le tournée in giro per il mondo con la Compagnia di Canto e Musica Popolare da lui fondata cinquanta anni fa insieme ad Antonio Zarcone, ma anche le sue interessanti ricerche. 

Giuseppe Maurizio Piscopo

Giuseppe Maurizio Piscopo

Quando e come è nata la tua passione per la musica, e in particolare per la fisarmonica, il tuo strumento? 

Tutto nasce da un giocattolo, da una fisarmonica che ho trovato il giorno di Natale. Quello strumento ha cambiato la mia vita: mi ha permesso di viaggiare, sognare, incontrare molte persone importanti come Amalia Rodriguez, Mikis Theodōrakīs, Joan Baez, Rosa Balistreri, Virgilio Savona, Dario Fo ed altri.  

Quali musicisti hanno stimolato la tua passione e accompagnato la tua formazione?

I musicisti che mi hanno affascinato nella mia infanzia sono stati i cantastorie: Otello Profazio, Orazio Strano, Rosa Balistreri, Nonò Salamone, Ciccio Busacca, Franco Trincale. I cantastorie venivano in piazza e sul tetto delle vecchie Seicento sistemavano i loro cartelloni e, con un microfono che gracchiava, raccontavano le storie di eroi, santi e briganti. Erano i giornalisti di quel tempo. Ricordo che si accompagnavano con quattro semplici accordi di chitarra. Nel Sud Italia la presenza dei cantastorie trova una grande espressione nella voce di questi semplici personaggi che affascinavano il popolo che lavorava e non aveva tempo per andare a teatro. La prima canzone che abbiamo cantato con Antonio Zarcone al Supercinema di Agrigento è stata Il Meridionale di Franco Trincale, che si conclude così: “Io sono nato nel meridione e voglio fare la rivoluzione”. 

Quando è nato il Gruppo di Canto e Musica Popolare, con quali intenti e con quale repertorio? 

Il Gruppo Popolare Favarese – questa la sua prima denominazione – è nato intorno alla fine degli anni Sessanta. È stato fondato da me e da Antonio Zarcone a cui si sono aggiunti Antonio Lentini, Mimmo Pontillo e Giuseppe Calabrese. Il fine era quello di salvaguardare le tradizioni, la storia della Sicilia con i suoi scrittori, le sue leggende e le sue curiosità. Con le nostre canzoni volevamo ribellarci a tutte le ingiustizie che i siciliani hanno subìto e continuano a subire in tutti questi anni, schierarci contro la mafia e la prepotenza dei cattivi governanti. Troppo spesso i politici, una volta eletti, dimenticano l’impegno che hanno preso con i cittadini e a Roma dimenticano pure di essere nati in Sicilia, fanno la bella vita e si negano al telefono.  

outputfmusica-dai-saloni-pTra le tue ricerche, quella sulla musica nei saloni dei barbieri su cui hai pubblicato un libro da te curato insieme all’etnomusicologo Gaetano Pennino. 

Da bambino volevo fare il sarto, un destino che mi lega a Leonardo Sciascia a cui ho dedicato un libro scritto a quattro mani con Angelo Campanella, Raccontare Sciascia. Volevo fare il grande couturier, il sarto per signora, e mi volevo trasferire a Parigi nella ‘Ville Lumière’. Il mio sarto aveva un grande difetto: era un giocatore d’azzardo, e in una partita a carte a zecchinetta, durante le feste di Natale ha perso il locale, le stoffe, le forbici e gli specchi, il ditale, i manichini. Disperato, partì per la Merica per rifarsi un’altra vita. Quel giorno ho assistito a questa tragedia e, intuendo che la mia “carriera” di sarto era finita per sempre, sono stato preso dallo sconforto. In piazza un barbiere-compositore, Mastro Agostino, si accorse che piangevo; per consolarmi, mi fece ascoltare il suono del suo mandolino regalandomi un momento indimenticabile di felicità. Dopo mi diede un colpo di pettine per farmi più bello. Quella musica straordinaria l’ho fissata nella mia mente e nel mio cuore. Così, una decina d’anni fa dedicatomi da tempo alla musica popolare, ho scritto, avvalendomi della collaborazione degli etnomusicologi Gaetano Pennino e Sergio Bonanzinga (nel testo vi è una sua nota), un libro sulla musica dei barbieri con allegato il cd del Gruppo di Canto e Musica Popolare; dal libro, Musica dai saloni, è nato anche lo spettacolo teatrale Barberia che ha girato l’Italia con la regia e l’interpretazione di Massimo Venturiello. 

Come erano un tempo le sale dei barbieri in Sicilia e che tipo di musica vi si suonava? 

Un tempo nelle sale da barba, che erano aperte anche la domenica, si suonava con chitarra e mandolino, si cantava, si recitava. I barbieri facevano di tutto: riparavano gli orologi, curavano gli animali, tiravano denti, facevano massaggi, davano unguenti e pomate, toglievano il sangue marcio, si adoperavano per conciliare le liti e combinare matrimoni, estraevano le pallottole ai latitanti nei conflitti a fuoco con i carabinieri. Durante i tempi morti tiravano dal chiodo i loro strumenti e suonavano delle musiche che sembravano scendere dalle lunghe scale del paradiso. Un avvocato siciliano ha riferito che i barbieri suonavano come si suona alla Scala di Milano. E le persone di tutti i ceti sociali andavano volentieri a “confessarsi” da loro. I barbieri, a Natale, regalavano ai giovanotti i calendarietti profumati con le attrici con gli abiti succinti, alle persone più colte il calendario delle città italiane e a qualcuno, chiamandolo in disparte, il calendario del fascismo. Le musiche che si suonavano erano tarantelle, polke, serenate, brani strumentali. 

Quel libro si è avvalso della prefazione di Andrea Camilleri, anche lui attratto da quel “mondo”.

Sì, Camilleri ha scritto la prefazione di ‘Musica dai saloni’. Gli avevo scritto due lettere per ricordargli l’atmosfera di quei saloni e lui mi ha ringraziato molto per quelle informazioni. Nel suo romanzo “Il casellante” Camilleri ha raccontato l’episodio di cui avevamo parlato insieme. In una sala da barba il barbiere e il suo apprendista stavano suonando Giovinezza a mo’ di valzerino con chitarra e mandolino, quando entrò il podestà che, sentendo il brano eseguito in quel modo, ha pensato che volessero denigrare il fascismo. Da quel momento venne vietata la musica dal vivo nei saloni. 

La tua passione per la musica dei saloni ti ha regalato anche degli encomi. 

Sì, sono così legato ai barbieri che il 24 settembre del 2020 nel salone di Franco Alfonso ho ricevuto la laurea della barba in serenate e suonate dei barbieri dopo aver discusso la tesi “Quando i barbieri partivano per la lontana Merica” col critico letterario Salvatore Ferlita. Sono il solo in Italia ad avere questa laurea simbolica che mi ha fatto conoscere ad un vasto pubblico.    

serenate2Altra tua ricerca è sulle serenate in Sicilia. Ce ne vuoi parlare? 

Io amo molto le serenate, ne ho scritto tante. Ho scritto, insieme a Claudio Mazza, un libro sulle serenate che s’intitola Serenate al chiaro di luna, ovvero la notturna in Sicilia ed è edito da Nuova Ipsa. Cantare una serenata a mezzanotte a pedi leggiu, a sorpresa, a scoppu, non è stato mai facile in Sicilia dove i padri erano gelosi delle figlie femmine in maniera esagerata. Se la serenata era accolta bene, i suonatori venivano ricevuti con salsiccia, vino ed entravano a casa tra rosolio e dolci fatti in casa. Se il padre non gradiva la serenata, il rischio era grande per i musicanti che si dovevano allontanare in fretta e furia per salvare la vita e gli strumenti. Dopo la mezzanotte intervenivano i carabinieri e sequestravano gli strumenti per disturbo della quiete pubblica e per i suonatori c’era una notte in camera di sicurezza. Il paese per antonomasia delle serenate era Castelbuono: lì i carabinieri se i suonatori suonavano bene chiudevano un occhio. Giovanni Verga nella novella “Libertà” parla di alcuni musicisti che al posto del mandolino avevano altri strumenti che fanno tutt’altra musica e tutt’altra serenata… 

C’è una serenata a cui sei più affezionato?

Sì, ‘Serenata sutta li barcuna’ che ho cantato nello spettacolo teatrale Barberia. Questo il testo: 

Vinni a cantari cu l’ariu sirenu
vinni a cantari cu stu lustru i luna
cu chist’amici e chissi sunaturi
na sirinata sutta u to barcuni.
 
Lu sonnu di la notti m’arrubasti
ti lu purtasti a dormiri cu tia
beddra chi mi facisti magaria
affaccia a sta finestra vita mia.
 
Amuri amuri quannu si luntanu
cu ti lu conza lu lettu a la sira
cu ti lu conza ti lu conza mali
beddra senza di tia n’un pozzu stari.
 
Beddra ca di li beddri beddra siti
ca di li beddri la parma purtati
durmiti cu sta musica di ziti
iucati cu sti sonni n’zuccarati.

 Più recentemente, insieme ad Antonio Zarcone, ti sei occupato dei fratelli Totò e Franco Li Causi, musicisti di Porto Empedocle quasi del tutto dimenticati sebbene si debba alla loro creatività uno dei brani più noti della tradizione folkloristica siciliana, Vitti ‘na crozza. Chi erano i fratelli Li Causi? 

Franco e Totò Li Causi sono stati due grandi musicisti siciliani di fama internazionale che, volendo esagerare, hanno reso Agrigento come Vienna città della musica. I due fratelli hanno portato la Sicilia in ogni parte del mondo. Hanno composto circa duemila brani e hanno registrato per la Cetra. La radio e le tournèe li hanno resi famosi. Da tempo non si parla più dei fratelli Li Causi, musicisti a tutto tondo, conosciuti soprattutto per il brano ‘Vitti’na Crozza’, colonna sonora tra l’altro del film di Pietro Germi ‘Il Cammino della speranza’ girato a Favara nel 1951, Orso d’argento al Festival del cinema di Berlino. I due musicisti erano anche liutai e costruivano gli strumenti con le loro mani. Meriterebbero una fiction televisiva che li faccia conoscere al grande pubblico. Una curiosità: nel film ‘Il Cammino della speranza’ nei titoli di coda manca il nome degli autori della canzone Vitti ‘Na Crozza. Franco Li Causi, dopo una travagliata battaglia con la Siae, è stato riconosciuto l’autore di Vitti Na’Crozza il 4 giugno del 1980, il giorno della sua scomparsa. 

Giuseppe Maurizio Piscopo riceve la laurea

Giuseppe Maurizio Piscopo riceve la laurea

Tra le tante tue esperienze una lunga collaborazione con la Rai, la conduzione con Marilena Monti, del decennale programma radiofonico Cosa farai da grande. Come l’hai vissuta? 

L’esperienza radiofonica l’ho vissuta molto bene. Un primo approccio alla radio l’avevo avuto a Milano (quando facevo il maestro ad Agrate Brianza) con Michele Straniero, Virgilio Savona del quartetto Cetra e con Dario Fo. Poi ho realizzato il programma ‘Cosa farai da grande’ nella sede Rai di via Cerda con Marilena Monti e Pino Badalamenti. Il pubblico era molto affezionato alle interviste e ai personaggi da me creati: Ciccu Lampiuni, il ragioniere Culiccia, Bastianeddru ed altri personaggi immaginari.  

Il titolo di “maestro” è per te più che calzante: oltre a essere un musicista, sei stato per quarant’anni – e nei sei orgoglioso – insegnante di scuola elementare, spesso in contesti difficili. Sei sempre rimasto mastru di scola vascia – lo sei nell’animo, per vocazione, come più di uno riconosce – e tra l’altro ti diletti a scrivere racconti per ragazzi. Sei riuscito a trasmettere ai bambini la tua passione per la musica, per quella popolare in particolare e in genere per il culto delle nostre radici? 

I bambini mi vogliono bene, mi chiamano tutti i giorni, spesso non riescono a dimenticare, diventati adulti, le esperienze che abbiamo vissuto insieme. Alcuni oggi sono medici, avvocati, musicisti. Alessandra Salerno ha iniziato con me, con la canzone ‘Palermo d’inverno’, oggi ha raggiunto la popolarità internazionale. Con i bambini di prima classe del Lambruschini ho creato una banda di paese con gli strumenti che ho recuperato nei mercatini di vari paesi del mondo dove sono stato in tournèe. Ho scritto le canzoni per il coro Braille, ‘Palermo d’inverno’, la canzone della città, e diversi libri: “Il vecchio che rubava i bambini”, “La maestra portava carbone”, “La vita è un alfabeto”. 

Hai ricevuto anche dei premi per l’attività didattica legata all’impegno sociale e civile

Sì, in me l’attività didattica si è sempre coniugata all’impegno sociale e civile. Proprio per questo ho ricevuto diversi riconoscimenti: Premio Buttitta, Mauro Picone, My Way Festival ambasciatore nel mondo di Frank Sinatra, nel 2000 il riconoscimento del presidente della Repubblica Ciampi per l’impegno nelle scuole difficili di Palermo, nel 2022 il premio ‘Un maestro è per sempre’ dal Liceo Classico Umberto di Palermo. Ma il premio più grande, d’incomparabile valore, è stato quello di educare alla legalità, spesso attraverso la musica, ragazzi di quartieri a rischio che avrebbero potuto prendere, senza un adeguato supporto della scuola, strade pericolose. 

Giuseppe Maurizio Piscopo, maestro di scuola elementare, con isuoi scolari

Giuseppe Maurizio Piscopo, maestro di scuola elementare, con i suoi scolari

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? 

Tre libri in lavorazione: ‘Quando la gente cantava Tolì Tolì’, la storia e la musica del gruppo popolare favarese con Antonio Zarcone, un libro su Danilo Dolci nell’anno del centenario dalla nascita (2024), ‘La figlia di Don Fofò’, storia di una siciliana ribelle che suona il mandolino. E vorrei riprendere a viaggiare nel percorso sulle città della musica. Sono stato a Lisbona, Budapest, New York, New Orleans, Parigi, Buenos Aires, mi mancano Atene e Mosca. 

Questo è Piscopo, un uomo che guarda al futuro senza mai fermarsi: un futuro legato al passato, a quelle radici che sente dentro se stesso da cui non potrà mai allontanarsi e che per lui trovano espressione nella musica. Non è un intellettuale ma ha mille curiosità che a volte agli intellettuali mancano e – partendo dalla musica – esplora la Sicilia nei suoi costumi e nei suoi aspetti più reconditi. Ha settant’anni e non li sente: il segreto della sua eterna giovinezza è nella tenacia con cui coltiva le sue passioni con al centro la fisarmonica, strumento che lo ha conquistato da bambino, il cui linguaggio – come quello della musica – non conosce confini, è internazionale: da qui il suo girare per il mondo. Un uomo semplice, Piscopo, che può anche apparire ingenuo. Ma sono proprio la semplicità e, se vogliamo, l’ingenuità – in lui una variante della genuinità – i suoi talenti, e grazie a essi riesce, da eterno maestro di scuola elementare, a parlare con i bambini, a intendersi con loro. In fondo entrambi parlano la stessa lingua. 

Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
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 Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia e col quotidiano La ragione.

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