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Con tanto di barba. Da Sparta ad oggi

Barba e baffi hipster

Barba e baffi hipster

di Nino Giaramidaro

Non si può più dire. Diventa rischioso lasciarsi scappare l’antica locuzione-sfogo che tanti malcapitati ha salvato da severe crisi di nervi. Ma che barba! Attenzione, meglio mordersi la lingua, assediati come siamo da barbe molteplici, dalle più innocue e scadenti a quelle che mal celano ferocie insospettate, e barbarie assonanti con l’ammasso di peli dell’ideologia della moda.

Premessa autocritica. C’era una volta la voga dei capelloni. Sì, imperversavano molti capelli, con un diavolo per ciascuno, un po’ sporchi e politicizzati, e nessuno pensava di raparsi a zero perché un fantasma calvo, quasi nuovo, aleggiava. E coloro i quali ancora conservavano la piega dei pantaloni e avevano doppiato il Capo di Buona Speranza dell’anagrafe, non li vedevano bene, forse memori delle chiome di Assalonne, figlio di David, e del fatale ramo di terebinto.

Mentre il tempo “goes by” – cantava Sam – i pantaloni sembra vadano perdendo la loro distinzione. Venivano sottoposti a miracolosa “sarcitura” quando l’oltraggio della sedia si faceva evidente; le suore delle clausure riuscivano a rendere invisibile l’accidentato percorso dell’ago. Se vivessero ancora, però, dovrebbero affrontare la condizione di disoccupate, perché a danneggiare i pantaloni non è più Crono ma le stesse fabbriche, e chi vuole risparmiare deve infierire da sé  con forbici, pietre e altri utensili perforanti.

Conclusione: ogni generazione da protagonista finisce per infilarsi nel freddo inverno dello scontento, rischiando la condizione di Jean Des Esseintes,  che voleva andare “a ritroso” (nel libro À rebours di Joris Karl Huysmans) sino a raggiungere una dorata e micidiale nevrosi.

Il pittore Giovanni Proietto

Il pittore Giovanni Proietto (ph. Giaramidaro)

Meglio puntare sulla Scienza dell’incertezza, suggerita dallo studio della Statistica che, simile agli oracoli, dà risposte prive di certezze. Oppure studiare il Futuro, prossima materia scolastica, che non contempla il presente, la vita grigio scuro e arrabattata di tutti i giorni, bensì quella colorata rosata aurea e fortunata che verrà. E farsi crescere la barba.

Ogni tanto l’uomo si ricorda che discende dalla scimmia, e si fa crescere la barba. Gli italiani discendono di più, a quanto pare, e scimmiottano tutto, soprattutto le idiozie, specie se sono usa e getta.

Nella velocità della giornata, 15/20 minuti al mattino per farsi la barba con le fortezze rasanti a tre e quattro lame, sono un notevole deterrente a favore della crescita della peluria e così non perdere velocità. E si può guadagnare anche in immagine: uno che ha un mento da quattro soldi, con la barba può “posticciare” quell’appeal sempre vagheggiato, oppure coloro il cui volto fa pensare ad altre parti anatomiche, con una barba “a coda d’anatra” potrebbero fingere un aspetto decente.

È lunga la nomenclatura pelosa: alla Garibaldi, alla Forca francese, Hollywoodiana, alla Van Dyke o a Costoletta di montone. Ci sono anche esiguità barbine quali il pizzetto alla Dottor Occultis, amico di Blek Macigno, ma anche alla Richelieu o Mazzarino e alla  risorgimentale del “barone di ferro” Bettino Ricasoli con Goffredo Mameli e Michele Novaro. Eccetera. E alla Barbudos dei rivoluzionari della Cuba di Fidel e del mitico Che, e dei Barbutos spietati della camorra, copiate dalle sanguinarie barbe dell’Isis. E le altre, modeste e appuntite, di Lev Davidovich Bronshtein, alias Trotskj, e  Vladimir Il’ič Ul’janov, ovvero Lenin. Ma anche all’arruffata o alla elemosinante.

Devoti alla processione di San Marco D'Alunzio

Devoti alla processione di San Marco D’Alunzio (ph. Giaramidaro)

Felice Cavallotti, “il bardo della democrazia”, autorevole leader della Sinistra Storica dell’ultimo Ottocento, non aveva la barba, e per il suo 33esimo duello scelse un avversario di venti anni più giovane, propugnatore infiammato delle Destra Storica e munito di acuminato pizzo. Troppa cabala e molte ombre d’intrigo sul terreno. Cavallotti al terzo assalto fu colpito alla bocca. Morì quasi subito. Una pesante sconfitta dalla quale la Sinistra meglio sbarbata non si è mai più riavuta.

Da non trascurare le barbe sontuose degli sportivi, che rischiano entusiasmate tirate di compagni nella concitazione dei festeggiamenti per il gol. I nuotatori che si rapano a sottozero e depilano il torace per opporre meno attrito, ora mettono a repentaglio il record con la remora irsuta.

Pelame correntemente accompagnato da estesi tatuaggi che rendono quasi impossibile identificare la nuda e indifesa epidermide. Cambiare pelle è un imperativo che distrae dalle gare su stadi e campi a favore della competizione su chi resiste di più sul lettino del tattoo.

La barba ha effetti collaterali: non consente più di incarnare antiche locuzioni della nostra lingua che descrivevano moti di quell’anima divenuta fievole e cangiante. Come si può dire “a viso aperto” per significare “senza timore” di fronte a uno che sembra la reincarnazione di Barbanera, sia l’astrologo sia il pirata inglese dalla barba intorcinata. Buio in viso, viso lungo, viso duro, volto pulito e, soprattutto, viso d’angelo: tutte emozioni non più rivelabili, sepolte come rimangono sotto la villosa coltre.

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L’attore Giorgio Li Bassi (ph. Giaramidaro)

«La barba essendo quasi una maschera – diceva Schopenhauer -  dovrebbe essere proibita dalla polizia». Un pensiero veramente pessimista. «È sempre stata maschera», rafforza Umberto Eco. Diego Abbatantuono con una delle sue più icastiche battute asserisce che «La barba sono le mutande della faccia», un altro bastian contrario del quale non ricordo il nome soggiunge che «Con questa moda della barba lunga non so più a chi fare l’elemosina».

Credo sia vero che i volti di oggidì non consentano più all’intimo di trasparire. Disperso fra il vello, il linguaggio dell’anima, della stimata e deprecata mimica facciale che fece vincere al Blue Team – Pietro Forquet, Giorgio Belladonna e Benito Garozzo – 13 campionati mondiali, 3 Olimpiadi e 13 titoli europei di bridge. Nessuno di loro poteva farsi crescere la barba.

Lo stesso può dirsi per i siciliani di Andrea Camilleri, capaci di fare un intero discorso con una sola “musione” zigomatica. Insomma, nelle nostre giornate, sembra si faccia largo l’uomo ad una dimensione, con barba, tatuaggi, vestiti stretti e malridotti, e tagli di capelli incredibili.

Originalità a Casteltermini.

Originalità a Casteltermini (ph. Giaramidaro)

Per decenni ci siamo illusi che prima o poi la fantasia sarebbe andata al potere, invece è rimasta intrappolata nei capelli. Passata la fugace fascinazione per l’eleganza “melonistica”, frutto di un’interpretazione fuorviata delle parole testa d’uovo, spregiative per intellettuali e teorici che, persi nei cieli personali, non vedono il concreto. Ma anche un inconscio soprassalto di imitazione del gran rapato del Novecento. Ecco, allontanatasi la moda cucurbitacea si è scatenata la più grande fantasia mai vista sui capelli. Della quale non mi sento capace di riferirne a parole. 

Da bambino, una volta andavo per via Garibaldi con mio padre, che si fermò a parlare con un barbuto. Io mi nascosi dietro le sue gambe, stringendo con tutta la forza che avevo una braca dei suoi pantaloni; forse era il riflesso del barbutissimo Mammaddauru che rapiva i piccoli, tramandata figura di spaventabambini, dalla corruzione del nome del pirata – e sì, barbaresco –  Mohamed Dragut.

La fantasia nei capelli.

La fantasia nei capelli (ph. Giaramidaro)

Ma anche adesso vengo acciuffato da sgomenti mitigati dall’età. Frequento un bar di avarissimo metraggio dove, giorni fa, entrò un gruppetto veloce come una folata, chiacchierante e gesticolante: avevano tutti la barba, e nel fervore orale accompagnato da rapidi e volanti gesti intravvedevo sospesi occhi sanguigni, mascelle oscillanti, deformate dalla lente della mia diffidente prospettiva. Corruccio schiarite brevi e rapide come un giorno di gennaio. Insomma, quelle barbe mi apparvero unte e atre come quella di Cerbero. Mi misi di taglio e con passi semidanzanti guadagnai l’uscita, la libertà nella mattinata scura e intirizzita dal maestrale.

Naturalmente ci sono già numerosi studi sulla travolgente avanzata della barba nella difficile globalizzazione. Del resto si studia tutto, massimamente i fenomeni che sembrano insignificanti ma che custodiscono esiti forse vitali per noi inconsapevoli. Due professori francesi, per esempio, hanno pubblicato sulla Scientific Review i risultati della loro ricerca sull’origine del rumore dello schiocco delle articolazioni delle dita.

Le donne neozelandesi e polinesiane ritengono i barbuti «più maturi e di ceto più alto e più disponibili e affettuosi con i figli», sostengono sul Behavioral Ecology, giornale di Oxford, i dottori Barnaby Dixson e Pane Vasey. Il professor Cyril Gruetar dell’università Western Australia, invece, certifica che sentendosi l’uomo sotto pressione e perdente autorità, cerca di apparire più aggressivo facendosi crescere la barba. Secondo un team di microbiologi di Quest Diagnostics  con base ad Albuquerque, la barba cattura più batteri della tavoletta del WC.  La ricerca non possiede il rigore metodologico richiesto da un’analisi scientifica, tuttavia è comparabile con ricerche del passato.

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Stile di taglio con la tazza (ph. Giaramidaro)

Alcuni uomini di scienza, ricercatori e anche giudici hanno il gusto della trovata che assicura loro il maliardo quarto d’ora di notorietà. Un giudice statunitense, credo astemio e dedito alle tisane, ha rilevato che nel caffè c’è una sostanza cancerogena: in quella cosa nel bicchiere di carta soprannominata caffè. Certo, mettendosi di buzzo buono e avendo lucido in mente il detto siciliano “cu’ mancia fa muddichi”, le tracce letali si riuscirebbe a trovarle anche annidate nell’aglio, nel broccolo o fra i tannini del vino rosso siciliano.

Ovviamente ci sono altre confusioni. Un tizio insisteva col barbiere perché gli foggiasse il suo onor del mento a “barba di gatto”, cioè un tipo di ormeggio delle navi; alcuni credono tutt’ora che Barbisio sia un cappello dedicato ai soli barbuti; è in discussione la forma a barbacane. C’è chi sa che barbassore significa persona di gran conto o che si dà grande importanza, purtroppo non è più nota la corrispondente geometria della barba.

Un limite cogente alla fantasia, che non ha più ambizioni governative, è costituito dal monoguancia, cioè farsi crescere la barba su un solo lato della faccia. In questa foggia serissima e disciplinata con legge, nella Sparta antica dovevano portarla i codardi, in modo che fosse facile distinguerli anche a distanza (Plutarco, Vita di Agesilao) oppure mimetizzati fra gli ardimentosi.

Qui da noi, una simile proposta di legge chissà quali accordi trasversali riscuoterebbe per negarle una maggioranza, anche risicata.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. Recentemente ha esposto una selezione delle sue fotografie scattate in occasione del terremoto del 1968  nel Belice.
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Una risposta a Con tanto di barba. Da Sparta ad oggi

  1. angelica scrive:

    Grazie del magnifico articolo che getta luce sul mondo maschile e i suoi vezzi, non sempre e non solo legati al tema della vanità ma sul desiderio/necessità di identificazione e riconoscimento.

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