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Cittadinanza e democrazia nei piccoli paesi della Sicilia interna

Mezzojuso (ph. Salvina Chetta)

Mezzojuso (ph. Salvina Chetta)

per la cittadinanza

di Nicola Grato

Molteplici sono le definizioni che la parola “cittadinanza” ha assunto a partire dall’antica Atene ai nostri giorni; svariate le accezioni e le sfumature di significato, diversi i gruppi sociali che in passato potevano essere definiti pienamente cittadini. Oggi nel nostro Paese la parola cittadinanza spesso accompagna la parola reddito: il “reddito di cittadinanza”, ovvero la pienezza di una cittadinanza in rapporto al denaro che occorre per campare in modo appena sufficiente. Nel mondo della scuola la parola “cittadinanza” si è accompagnata per un periodo alla parola “Costituzione”: “Cittadinanza e Costituzione” è stata la disciplina introdotta nella scuola dalla legge 169 del 2008.

Oggi intendiamo con la parola cittadinanza l’effettiva capacità della persona di sentirsi parte di una comunità di diritti e doveri in senso transnazionale: il mondo globalizzato, allargato a dismisura, ci pone di fronte a una cittadinanza globale cui non è possibile derogare. Non si può chiudere in uno sgabuzzino il mondo: i problemi ambientali del Pianeta urgono, sono qui e ci sollecitano a mutare rapidamente stili di vita e comportamenti malsani.

Questa la premessa, che vale come orizzonte di pensiero e di azione globali, ma io voglio concentrare la mia riflessione sul concetto di cittadinanza inteso e agito nelle aree interne e, più specificamente, nel piccolo paese dal quale scrivo: Mezzojuso. Principio la mia riflessione muovendo da due articoli: uno recentissimo apparso sul “Corriere della Sera” del 21 novembre 2021 a firma di Giulio Sensi, l’altro del 12 febbraio 2017 pubblicato su “Avvenire” a firma di Giuseppe Matarazzo. Partiamo da quest’ultimo contributo. Matarazzo parla di alcuni paesi della Sardegna, quali Bortigiadas, Semestene, Esterzili accomunati da uno spaventoso spopolamento. Scrive Matarazzo: 

«Nei prossimi sessant’anni, 31 dei 377 comuni della Sardegna (la terra dei centenari) forse non esisteranno più. Ma i comuni interessati da questa dinamica sono oltre 250. Dovrebbe essere l’argomento politico del giorno. E invece? Chi ha consapevolezza di questo? Che fare?». 
Strada statale 121, svincolo di Mezzojuso (ph. Salvina Chetta)

Strada statale 121, svincolo di Mezzojuso (ph. Salvina Chetta)

Già, che fare? Lo spopolamento dei paesi dell’interno è un dramma che stiamo vivendo qui e ora in Italia, ma chi se ne occupa? Chi si occupa delle aree interne ancora più interne, di paesi che non rientrano in nessuna strategia di sviluppo, marginalizzati geograficamente, culturalmente e anche dal punto di vista delle infrastrutture fondamentali: le strade, spesso franate, inagibili, chiuse; e poi “la” strada, che per noi è la direttrice SS 121 “Palermo – Agrigento”, che è “interessata” da lavori di rifacimento da ormai sette lunghissimi anni? Una strada importantissima ma abbandonata.

Ritorniamo all’articolo di Matarazzo, che si chiede che fare per contrastare lo spopolamento di questi paesi sardi: 

«Bisogna iniziare a mettere insieme “intelligenze”: amministratori, ma non solo. Scienziati, urbanisti, sociologi, antropologi, economisti, pastori, imprenditori, studenti, ragazzi e ragazze. E farne un fatto di popolo. Facile a dirsi? No, in Sardegna non è facile nemmeno a dirlo. Ma serve dirlo. Serve che a dirlo siano sempre più persone. Poi serve la Politica. Non quella delle tattiche. Quella vera. Che trae dalle esperienze le energie per sperimentazioni inedite». 

Come non essere d’accordo? Ma anche qui dobbiamo rilevare purtroppo da lunghi anni un’assenza totale della politica, sia a livello locale che a livello regionale (e forse anche come Sistema Paese). Si resta nei paesi quando c’è lavoro, quando vengono costruite opportunità per i giovani con politiche lungimiranti, quando i vecchi possono trascorrere proficuamente il proprio tempo, quando ai bambini è garantita la possibilità di fare sport e aggregazione. Non serve ai paesi teorizzare astrattamente il restarvi come resistenza o resilienza: restare oggi in un piccolo paese della Sicilia Interna implica forza fisica e mentale, allenamento a coprire distanze sempre più distanti, lotta con l’angelo da mane a sera.

Certo, in paese l’aria che si respira è ottima: qui dalla piazza principale si vede il bosco e si può mangiare cibo genuino, ortaggi prodotti nelle campagne di Mezzojuso così come frutta e formaggi. Ma questo, purtroppo, non basta. Il peggiore “servizio” che possiamo fare ai paesi è ritenerli luoghi astratti, luoghi fuori da tempo e storia, posti nei quali conta soltanto il presunto, preteso, pretestuoso buon tempo andato: quando si faceva il pane col lievito madre, quando il vicinato partecipava di gioie e dolori di tutti, quando c’era un rapporto vicinissimo tra uomini e animali. Tutto sacrosanto, verissimo, ma tutto questo è diventato negli ultimi anni materiale per costruire, soprattutto ad opera di proloco, associazioni turistiche e guide rinomate, una visione stereotipata dei paesi, per costruire luoghi finti: i “borghi”. Mentre in paese scorre tutt’ora la vita, ed è in gioco la democrazia attiva, la cittadinanza appunto.

Giulio Sensi, nel suo articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”, ci dà conto di una prospettiva interessante: 

«La chiamano restanza, è il coraggio di chi resta, la scelta di non abbandonare il proprio paese o la propria comunità anche lontani dai centri urbani, nonostante ci sia poco lavoro o lo si debba inventare. È un sentimento molto più diffuso di quanto si creda, anche fra i giovani». 

Così scrive Sensi e cita, a proposito di questo “sentimento” che i giovani delle aree interne dicono di possedere, la ricerca “Giovani dentro” condotta dal gruppo “Riabitare l’Italia” e finanziata dalla Fondazione Peppino Vismara e Coopfond; tale ricerca è stata realizzata in collaborazione con il “Crea” per la Rete Rurale Nazionale, il Gssi dell’Aquila, Eurac Research, Università di Torino – Dcps e l’Osservatorio Giovani dell’Università di Salerno. Ancora Sensi: 

«Una ricerca complessa, durata un anno, svolta sia su base campionaria con la partecipazione della società Swg, sia con approfondimenti qualitativi e focus group. “Il dato fondamentale – spiega Membretti, coordinatore dell’indagine – è proprio il desiderio di restanza. Quasi due giovani su tre dichiarano che pensano di rimanere a vivere nelle aree interne, anche se esse si trovano a significativa distanza dai centri di offerta di servizi essenziali. Più della metà vuole costruirsi il proprio futuro dove è nato. Questo è il primo luogo comune che sfatiamo: non vogliono tutti andarsene”». 
Villafrati, piscina (ph. Nicola Grato)

Villafrati, piscina (ph. Nicola Grato)

E da queste parole non possiamo che trarre gioia: saremmo felici se le cose stessero davvero così anche da noi, nel Far Sud: ma le cose qui non stanno così. Da noi, come ho accennato prima, i paesi sono densamente spopolati; alcuni dati: negli anni dal 2002 al 2019 proprio la fascia di età 18-39, oggetto dell’indagine su scala nazionale di Riabitare l’Italia, a Mezzojuso è passata da 975 persone (su un totale di 3037) nel 2002 a 678 persone nel 2019 (su un totale di 2839), dati questi riferiti al primo gennaio di ogni anno considerato; più presenti nel territorio gli uomini (486 nel 2002, 353 nel 2019), meno le donne (489 al primo gennaio del 2002, ma soltanto 325 nel gennaio 2019). Questi dati vanno affiancati ovviamente al bilancio demografico che a Mezzojuso, come in quasi tutta l’Italia è negativo: dai 3037 residenti del primo gennaio del 2002 si è passati agli attuali (dati provvisori) 2728. Il cosiddetto indice di dipendenza strutturale, ovvero il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni), ha un valore di 59 a Mezzojuso: teoricamente ogni cento persone, 59 sono “a carico” di altri familiari a Mezzojuso.

Ritorno ancora all’articolo di Sensi: non tutti i giovani vorrebbero andare via da Mezzojuso, parafrasando le parole di Membretti, ma sono purtroppo costretti a farlo: molti di questi ragazzi, anzi: la stragrande maggioranza, è ancora a carico delle famiglie e di certo non fa parte di quel 65% di giovani che sono entrati nel mondo del lavoro e nel focus dell’indagine di Riabitare l’Italia. Particolarmente interessanti queste parole riportate da Sensi nel suo pezzo: 

«“Lo studio – aggiunge dal canto suo il presidente di Legacoop Mauro Lusetti – racconta una realtà molto diversa dai luoghi comuni che spesso circolano sia sui giovani sia sulle aree interne. Parla di un desiderio maggioritario di non fuggire e di costruire nel luogo in cui si è nati e cresciuti il proprio futuro. È una volontà che conosciamo bene e che vediamo all’opera in tante cooperative di comunità che nascono in tutto il Paese, dalle Madonie alle Alpi piemontesi”». 
Villafrati, Chiesa del collegio(ph. Nicola Grato)

Villafrati, Chiesa del Collegio (ph. Nicola Grato)

E ne siamo anche noi convinti, peccato però che per “aree interne” qui in Sicilia siano intese quelle calatine, madonite, dei monti Nebrodi, del Simeto-Etna e delle Terre Sicane, che fanno parte della governativa Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), e non il disgraziato comprensorio di comuni che lungo una strada definita in altri tempi “della morte”, e oggi anche della “lentezza esasperante” (altro che scorrimento veloce Palermo Agrigento!), lentamente muoiono, e non soltanto di noia, e sono quotidianamente depauperati delle loro migliori energie, appunto i ragazzi: che vanno in città a studiare, prima, e poi andranno via e forse per sempre; questi paesi vicini alla Strada statale 121 e collocati all’interno, mal collegati tra loro da strade cedute, franate, per lo più dissestate (Cefalà Diana, Villafrati, Godrano, Mezzojuso, Campofelice di Fitalia, Vicari, Roccapalumba, Alia, Lercara Friddi).

In questi paesi nei quali rimangono i più vecchi e dai quali vanno via i più giovani, quelli che hanno studiato e le cui famiglie hanno investito denari nell’istruzione, in questi luoghi è a rischio la democrazia attiva, la cittadinanza, e non solo perché alcuni comuni tra questi di questo territorio che chiameremo “Comprensorio di Rocca Busambra” sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose (Mezzojuso e Bolognetta), ma anche perché in questi paesi le comunità sono sfaldate, sfilacciati i rapporti interpersonali: e parlo ancora di Mezzojuso, ma anche di Villafrati o Cefalà Diana, di Vicari (le strade di accesso a questo paese sono completamente disastrate).

Strada d'acqua a Mezzojuso (ph. Salvina Chetta)

Strada d’acqua a Mezzojuso (ph. Salvina Chetta)

Sensi nel suo articolo parla di “restanza”, ma non fa riferimento allo studioso che ne ha proposto originali definizioni, ovvero Vito Teti, il quale considera il restare non una moda letteraria né un habitus radical chic da indossare alla bisogna, ma una fatica abnorme, perché la spinta è quella di andare via, di fuggire dai paesi; invece occorre assumersi la responsabilità di ricostruire ove possibile dalle macerie, fisiche e spirituali, dei nostri paesi, di riabitarli consapevolmente.

Faccio qui riferimento all’intervento che ha proposto in questo forum “Per la cittadinanza” Nicola Martellozzo: nel suo articolo, intitolato Nuove appartenenze, nuove comunità: fare cittadinanza nelle aree interne, egli cita uno studio di Bergamasco, Mambretti & Molinari pubblicato su “Scienze del territorio” numero 9 dal titolo Chi ha bisogno della montagna italiana? Migrazioni internazionali e nuova centralità delle Alpi e degli Appennini, riportandone la seguente affermazione: 

«Da un punto di vista demografico, l’insediarsi dei migranti stranieri rappresenta il principale fattore di contrasto allo spopolamento, al calo del tasso di natalità e all’aumento dell’età media nelle terre alte, con un impatto ben più rilevante in termini numerici rispetto al fenomeno dei “nuovi montanari” [...]. Il loro contributo alle economie montane ha inoltre spesso permesso la sopravvivenza, e in alcuni casi anche la crescita, di interi sistemi produttivi, [...] ma anche il mantenimento in loco di servizi che altrimenti sarebbero stati chiusi o drasticamente ridimensionati per mancanza di utenti». 

Il processo di insediamento di migranti stranieri è molto evidente anche nel territorio di Rocca Busambra: a Villafrati vi è da anni ormai una comunità ben insediata di persone che provengono dal Marocco o dalla Tunisia; a Mezzojuso si è toccato il picco di stranieri residenti nel 2016 (ben 97 persone residenti, circa il 3,3% della popolazione totale); nel 2021 sono 66 gli stranieri residenti a Villafrati, soltanto 7 a Godrano con un decremento sensibile dal 2019, quando erano 50 i cittadini stranieri residenti. Oggi queste persone possono portare “aria nuova” nei paesi. Sono persone che però andranno via se non saremo capaci di attuare strategie concrete perché in questi luoghi si rimanga e si attivino percorsi di cittadinanza consapevole: il pubblico non può essere inteso come sistema di elargizione di prebende, la politica in questi paesi deve guardare oltre il voto e avere proposte, visioni, capacità di lettura della realtà che non ha dimostrato finora di possedere.

Villafrati

Villafrati (ph. Nicola Grato)

Se a livello internazionale (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, Strategia Europa 2020, Agenda 2030) si discute di sviluppo sostenibile, solidale ed ecologico, ebbene: anche nei paesi, nei piccoli luoghi d’Italia, si possono costruire relazioni sociali e tra persone e ambiente di grande qualità. Occorre fatica, unitamente alla consapevolezza a tutti i livelli che i paesi dell’interno soffrono di una crisi dei livelli minimi di cittadinanza e quindi di democrazia; invece mi pare di non cogliere nella politica una seria preoccupazione per la situazione in cui versano i nostri paesi, anzi è evidente lo stallo colpevole di decisioni, l’insensibilità a capire e intervenire per assicurare un possibile futuro a questi territori.

Non possiamo certo rassegnarci a questa situazione di immobilità né possiamo accettare questo cronicizzarsi della malattia senza scriverne (e questo forum sulla Cittadinanza in “Dialoghi Mediterranei” è uno spazio molto importante), e senza agire attraverso l’associazionismo e i comportamenti personali per ricompattare il tessuto sociale dei paesi dai quali è in atto una fuga cospicua e irrefrenabile, per ricomporre i cocci di ciò che sembra frantumato per sempre. 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022

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Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”. Ha svolto il ruolo di drammaturgo per il Teatro del Baglio di Villafrati (PA), scrivendo testi da Bordonaro, D’Arrigo, Giono, Vilardo. Nel 2021 la casa editrice Dammah di Algeri ha tradotto in arabo per la sua collana di poesia la silloge Le cassette di Aznavour.

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