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Butchery, boucherie, vucciria. Non siamo poi così tanto diversi

Macelleria-in-Portobello-Road.-Notting-Hill.

Macelleria-in-Portobello-Road.-Notting-Hill.

di Alessandro Curatolo

Londra. Aprile 2014. Oggi è il mio giorno libero e dopo aver visitato l’Institute of Contemporary Art decido di tornare dal centro della città sino in zona est a piedi piuttosto che prendere i trasporti pubblici. Percorrendo High Holborn Street mi ritrovo in una piccola strada sulla destra: preferisco sempre le vie meno transitate piuttosto che quelle principali tutte uguali, con gli stessi negozi e le stesse vetrine. Ed ecco lì la scoperta sulla mia sinistra, un’insegna: The Butchery, La Macelleria. Qualcosa di inusuale, il rivenditore di carne a Londra. Di solito, la carne si compra al supermercato qui in Inghilterra, cellofanata, imbustata, pulita, pronta da consumare come del resto anche in Italia nelle grandi città e nei centri commerciali. Pensando alla carne non sono poi così tanto lontani per me i ricordi del cibo da strada, i profumi e il fumo delle braciolate della meravigliosa e colorata Palermo (le cosiddette arrustute). Ricordi odorosi di quando, arrivando dall’autostrada Palermo-Trapani la domenica pomeriggio, percorrevo il ponte della circonvallazione per via Ernesto Basile e “sentivo” il fumo delle carbonelle prodotto dai venditori di stigghiole.

A dir la verità non avevo mai notato che il termine butchery è un francesismo derivante da boucherie. Era a me noto dai tempi dell’università che il termine vucciria derivasse dal francese boucherie ma non avevo mai riscontrato la vicinanza col termine inglese. Lungi dall’elaborare un’accurata e dettagliata analisi storico-linguistica, vorrei solo intraprendere una piccola incursione nell’itinerario linguistico articolato attorno al termine butchery.

Butchery è il vocabolo inglese adoperato per indicare il commercio delle carni (il commercio del butcher, del macellaio appunto). Etimologicamente deriva dal francese bouc che indica il maschio della capra. L’uso del termine è attestato fin dal XIV secolo nell’anglo-francese. Tradizionalmente la boucherie era il luogo dove si uccidevano gli animali destinati al consumo ovvero il luogo dove si vendeva la carne. Un gallicismo derivante dal tardo latino bocharîa e bocharius indicanti rispettivamente la macelleria e il macellaio, resi in italiano con i termini beccheria e beccaio (provenienti dalla parola becco). Non da meno si attestano i cognomi Buccheri e Vucceri in Calabria e in Sicilia.

Risalendo al termine francese boucherie il passo per arrivare a Palermo è davvero breve. La Vucciria, il nostro caro mercato storico palermitano che si estende tra via Roma, la Cala, lungo la via Cassari, la piazza del Garraffello, la via Argenteria nuova, la piazza Caracciolo e la via Maccheronai, all’interno del mandamento Castellammare. Si presume che l’impianto e l’origine del nome siano di epoca angioina, quando il sito era utilizzato per la vendita delle carni, in seguito adibito al commercio anche di pesce, frutta e verdura e non solo.

Liaison di popoli diversi diventa dunque il mercato, luogo di incontri, di scambi e di commistione di profumi, colori e sapori diversi. Londra e Palermo non sono allora poi così tanto diverse, accomunate dalla tradizione dei mercati dove quotidianamente la gente si incontra e si confronta, dove si vende e si compra.

Dalle foto della macelleria situata a Notting Hill in Portobello Road, all’interno di uno dei più famosi mercati londinesi, possiamo notare come nell’insegna, oltre al nome del negozio (Master Butchery – Il Mastro Macellaio) viene designato il termine halāl (حلال) che indica il tipo di macellazione accettata dalla cultura musulmana. Secondo coloro che aderiscono a questa religione, affinché il cibo possa essere considerato halāl esso non deve essere una sostanza proibita e la carne deve essere stata macellata secondo le linee guida tradizionali indicate nella Sunna: gli animali devono essere coscienti al momento dell’uccisione che deve essere procurata recidendo la trachea e l’esofago e sopravvenire per il dissanguamento completo dell’animale (dhabīha). Questa pratica è di gran lunga la più diffusa tra i musulmani, perché fedele alle prescrizioni islamiche.

Esistono due tipi di macellazione degli animali, uno aderente alla tradizione coranica, l’altro che va in netta contrapposizione ad essa. Nell’Halāl “Bimillāh di primo tipo, le linee guida della dhabīĥa non devono essere necessariamente seguite. Recitare la formula del Bismillāh al-Raĥmān al-Raĥīm (“In nome di Dio Clemente Misericordioso”) immediatamente prima di consumare i pasti renderebbe la carne permessa. Chi aderisce a questo tipo di halāl generalmente considera che qualsiasi cibo, sia esso una sostanza proibita o meno, diventa halāl una volta che la formula rituale sia stata pronunciata. Contravvenendo ai rigorosi principi islamici, però, questa pratica è ritenuta inaccettabile dalla stragrande maggioranza dei musulmani. La macellazione rituale (sia islamica che ebraica) viene pesantemente criticata da gruppi laici ed animalisti; motivo di contrasto sono le ulteriori ed inutili sofferenze causate agli animali, costretti a rimanere coscienti durante il proprio dissanguamento senza venire preventivamente storditi.

La numerosa presenza di macellerie di impronta musulmana a Londra, e in tutto il Regno Unito in generale, è dovuta a una forte immigrazione di etnie provenienti dai Paesi arabi o dal nord Africa, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra. Queste comunità hanno ricreato veri e propri microcosmi muslim, dotati di grandi moschee, nei quartieri del Tower Hamlet ad est di Londra, passando per Whitechapel e Brick Lane, o per Brixton e Poplar, con mercati di frutta, verdure e carni provenienti dai rispettivi paesi e macellati secondo la tradizione.

 Bancone di macelleria a Londra

Bancone di macelleria a Londra

Tornando ai termini butchery, boucherie e vucciria è chiaro che alla base di questo fenomeno etimologico si radica una profonda e complessa rete di scambi commerciali, simbolici, culturali e alimentari che si sono susseguiti nel corso dei secoli tra Sicilia e Francia, e tra quest’ultima con l’Inghilterra in nome di un comune denominatore latino. Una rete di fenomeni storico-antropologici che meriterebbe ben più seri e approfonditi studi. Il titolo di questo articolo riflette proprio questa connessione tra popoli, che a prima vista sembrerebbero tanto diversi tra loro ma che in realtà non sono poi così tanto lontani. Siamo fatti di scambi, contatti, connessioni e trasmissioni di codici, gesti, parole.  Una cultura del cibo a lungo analizzata da antropologi di tutto il mondo è alla base delle nostre più elementari esperienze di vita, e per questo attribuiamo determinati significati al cibo che scegliamo di mangiare, e diamo loro un nome che spesso e volentieri viene trasmesso in epoche e paesi diversi attraverso i processi di migrazione.

Per questo è affascinante ed emozionante il viaggio che intraprendiamo ogni volta che ci proponiamo di studiare l’origine di una parola, di seguirne gli avventurosi percorsi. La linguistica mai come oggi dovrebbe essere rivisitata in una chiave interdisciplinare, soprattutto nell’attuale epoca della globalizzazione, della mediatizzazione e perchè no dell’anglicizzazione. Le parole hanno un valore evocativo e performativo, se è vero che ancora oggi qui a Londra, a più di 3000 km di distanza dalla Sicilia, passando per un vicolo del centro non troppo esposto agli occhi dei passanti o di turisti affamati di shopping, posso chiudere gli occhi e immaginare Ballarò, la Vucciria o via Basile e percepire  il fumo ed essere investito dagli odori intensi della brace e delle frattaglie delle tante cucine di strada di Palermo.

Dialoghi Mediterranei, n.7, maggio 2014

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