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Appunti sui giorni del coronavirus

il centro in periferia

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Avola, Piazza Umberto I con la Chiesa Madre San Nicolo’ e a destra la Torre dell’Orologio (ph. Lorenzo Caldarella)

di Sebastiano Burgaretta

Come credo tutti, sono stato fortemente sorpreso dal ciclone esistenziale e sociale scatenato dal contagio del Covid 19 ai primi di marzo. In quei giorni, pur cosciente di quanto era successo in Cina, speravo che la diffusione del virus si rivelasse circoscritta solo ad alcune zone del nostro Paese. Ho subito cercato di limitare gli impegni fuori casa, fino alla sera dell’8 marzo, quando il Presidente del Consiglio, Conte, ha annunciato il DPCM col quale estendeva a tutta l’Italia i provvedimenti in precedenza già presi per le zone del Nord in cui il contagio era esploso in modo furioso. Prima che il giorno dopo il provvedimento venisse emanato, decine di migliaia di persone si erano già, spostandosi precipitosamente di notte, messe in viaggio verso le regioni del Sud, con le conseguenze, sul piano sanitario e su quello psicologico, che si possono immaginare nella vita degli abitanti delle regioni meridionali. Quel giorno segnò uno spartiacque nella mente e nelle abitudini di tutti in Italia. Da un giorno all’altro si annunciavano le chiusure delle attività lavorative di ogni tipo, tranne quelle di assoluta necessità, come quelle dei trasporti, dell’approvvigionamento alimentare e dei farmaci. Da lì s’è capito che cambiava tutto nella nostra vita quotidiana, e io mi sono chiuso in casa, uscendo pochissime rare volte per motivi urgenti connessi all’acquisto di medicinali per i quali necessitava la mia presenza.

Devo dire che in quello stesso fatidico giorno 9 a me giunse da Madrid la triste notizia della morte del grande scrittore José Jiménez Lozano, che da un trentennio mi onorava della sua amicizia. Questo evento fu decisivo nel fare scattare in me una sorta di reazione che mi diede la spinta a riorganizzare, più che le giornate, il mio rapporto con me stesso e con la realtà esterna. Dovetti smettere di uscire di casa e vissi con maggiore intensità di applicazione e con più tempo le attività che già tra le pareti domestiche erano nelle mie consuetudini giornaliere. Ho potuto, nell’arco dei tre mesi successivi, abbinare con più regolarità rispetto al passato le attività intellettuali e quelle materiali, che ho sempre coniugato nel corso della mia vita. Perciò, da un lato, ho intensificato l’esercizio della scrittura e della lettura, dall’altro, ho badato alla cura delle piante e dei fiori che coltivo nei terrazzi e nei balconi di casa mia, accentuando anche le collaborazioni domestiche con mia moglie.

Ho cominciato a registrare quotidianamente una specie di diario in versi su quanto vivevo interiormente e su quello che accadeva nel Paese e che mi colpiva in modo particolare, in una sorta di work in progress uno stralcio del quale è stato pubblicato nel numero scorso di questa rivista. Ho completato alcuni lavori che avevo in corso di redazione, altri ne ho scritti di nuovi, ho lavorato alla preparazione di un numero di una rivista illustrata della cui redazione faccio parte. Ho trascorso ogni giorno molte ore scrivendo, sempre ascoltando musica, come sono abituato a fare sin dalla giovinezza. E devo ammettere che questo esercizio, sempre emotivamente positivo per me, mi ha tenuto al riparo da cedimenti psicologici e anzi mi ha dato ulteriore carica di energia. Quella che ho cercato di comunicare a parenti e amici, vicini e lontani ma tutti distanti per motivi di sicurezza sanitaria, con telefonate, specialmente alle persone anziane e a quelle che vivono da sole; di questo mi sono fatto un intimo dovere; quella che ho cercato di diffondere nel gruppo degli amici che fanno parte del Consiglio direttivo dell’Associazione “Gli avolesi nel mondo” e degli altri della redazione dell’omonima rivista. Ho fatto il “buffone”, stante il rapporto confidenziale esistente tra i componenti dei due gruppi, per tenere su il morale di tutti, in particolare di qualche giovane che mostrava segni di fragilità e di insicurezza. Li ho tempestati, a ritmo quotidiano, di messaggi scherzosi, ironici e soprattutto autoironici, che mettevano in moto le reazioni di tutti nel rispondere e nel condividere stati d’animo e anche riflessioni, quando era il caso. Tutti insieme, verso la metà di marzo, autotassandoci abbiamo raccolto una grossa somma, che, dopo esserci consultati col personale sanitario dell’ospedale di Avola, abbiamo ad esso consegnato, per il pronto acquisto di camici sanitari adatti alla situazione emergenziale. A un certo momento ho sollecitato alcune riunioni che abbiamo sperimentato e organizzato in video-conferenza, mettendo a frutto le competenze che proprio i più giovani possiedono più e meglio degli anziani. Ho potuto perciò, io che sono anziano, apprendere nuove tecniche di comunicazione telematica, fino a potere poi intervenire, nell’impossibilità di accedere alla tipografia peraltro chiusa, nel lavoro di editing e di correzione di bozze di stampa, su testi in pdf.

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Gerani (ph. S. Burgaretta)

Come ho accennato, ho curato anche le attività materiali e manuali a integrazione di quelle intellettuali. Quando avevo bisogno di rilassarmi un po’ o di fare riposare gli occhi, andavo in terrazzo e al balcone a controllare la vegetazione e la fioritura delle tante piante che da sempre mi piace coltivare, quasi trattando e parlando con loro. E devo riconoscere che esse sanno ripagare bene queste mie cure, come si può evincere dalle foto che corredano questo mio scritto. Altri momenti canonici sono stati quelli dell’esercizio fisico con mezz’ora al giorno di cyclette, dell’apparecchiare, sparecchiare la tavola, lavare le stoviglie, rigovernare in cucina, stendere e ritirare panni, collaborare in casa, come ho fatto sempre, con mia moglie, la quale è cuoca bravissima e si è sbizzarrita nel cucinare, nel fare il pane in casa e il sabato la pizza tipica siciliana, quella che ad Avola chiamiamo muddhiata. Con lei ho anche condiviso momenti di preghiera comune.

Come si vede, tra le pareti domestiche non ho patito scompensi o sofferenze. Diverso il discorso è stato nel rapporto con la realtà esterna, con la quale non ho perso mai i contatti. La prima cosa che mi è mancata è stato il mattutino rito della visita alla cartoleria–edicola, dove, andando per i giornali, sono abituato a scambiare due chiacchiere col giovane titolare e con gli amici, sempre gli stessi, che al mattino incontro puntualmente. Non mi è mancato il bar, che abitualmente non frequento. I giornali, a un certo momento, si è offerto di portarmeli a casa un altro edicolante, figlio di un caro amico di sempre. Però, per non pesare sulla sua generosità, l’ho pregato di portarmi soltanto la domenica i giornali degli ultimi tre giorni della settimana unitamente ad alcune riviste che abitualmente acquisto. Due cose mi sono poi profondamente mancate e di ciò ho sofferto non poco.

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Avola, Piazza Teatro e a destra la chiesa di Santa Venera (ph. Lorenzo Caldarella)

La prima è stata l’impossibilità di partecipare ai funerali di alcuni amici e di qualche parente, che sono morti in questi mesi. In due soli casi ho fatto lo strappo di rendere fugacemente omaggio, con la recita di un requiem, a un giovane, portatore di handicap da tempo ammalato cui facevo visita settimanalmente, e a un caro amico al quale poi ho anche dedicato dei versi nel diario cui ho accennato sopra. L’altra cosa che mi è pesata e ancora mi pesa è il non potere andare, come settimanalmente faccio da tredici anni, a incontrare, in qualità di assistente volontario, quelli che io chiamo i miei detenuti nel carcere di Noto. In qualche caso ho cercato di sopperire a questa privazione, stabilendo una corrispondenza epistolare, che ancora continua.

Uscendo dalla sfera mia personale, la cosa che mi ha fatto soffrire molto è stato il pensiero delle migliaia di persone che sono morte in ospedale senza il conforto dei familiari, senza uno sguardo amico, una carezza affettuosa dei parenti nei momenti critici del trapasso. Insopportabile e struggente per me questo pensiero. L’altra cosa che mi ha preoccupato, e continua ancora a preoccuparmi, è il pensiero dei tanti, davvero tanti, troppi nostri concittadini che si ritroveranno senza lavoro, perché chiuderanno bottega o perché saranno licenziati dai loro datori di lavoro. La crisi economica sarà gravissima e avrà le sue fatali ripercussioni sul piano psicologico e in campo sociale, e se ne intravvede qualche brutto segnale, per esempio, nel suicidio di alcune persone che non hanno retto al duro colpo provocato loro dalla pandemia, e nelle prospettive sociali e sindacali che balenano, sia pur ancora velatamente, per il prossimo autunno, che in molti già prevedono sarà caldo.

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Ippeastri (ph. S. Burgaretta)

La nota per me più inquietante è stata causata da una notizia che stranamente mi venne data telefonicamente da lontano. Il 21 di marzo, nel pieno del contagio, che non accennava a diminuire ma che anzi aumentava con un quotidiano numero tremendo di morti e con quelle dolorose, mortificanti immagini dei camion militari che la sera del 18 marzo da Bergamo portavano via le salme dei defunti che non trovavano più posto nel cimitero locale, mi fu comunicato che il mio giovane vicino di casa, infermiere e allenatore di basket era stato, primo in città, contagiato dal virus quando a febbraio era andato con una squadra di giovani atleti a giocare proprio a Bergamo. Per questa sua assenza, infatti, io non lo vedevo da tempo. Ora era ricoverato all’ospedale, prima a Siracusa e poi a Noto. I suoi familiari, tutti sottoposti ai controlli di rito, erano chiusi in casa e per molti giorni non hanno messo il naso fuori. È facile immaginare il dispiacere che in famiglia ne abbiamo provato e la cautela nel muoverci, stante il fatto che la famiglia del giovane ha due abitazioni, una a destra l’altra a sinistra della mia casa. Stiamo in mezzo noi, che però, per prudenza, nei giorni cruciali, abbiamo utilizzato l’ingresso che la mia casa ha nel retro di essa in una strada parallela, e ciò specialmente quando, finita la quarantena per i suoi familiari, questi hanno ripreso l’andirivieni fra le due loro abitazioni, per fare la qual cosa passavano decine di volte al giorno davanti al portone di casa mia. A parlarne dopo, il nostro sembrerebbe un comportamento eccessivamente prudente, ma occorre rifare presenti alla mente le preoccupazioni e le paure di tutti, ricordando la pressione psicologica che veniva dai mezzi di comunicazione, dalle confuse e persino contraddittorie opinioni dei cosiddetti tecnici e degli scienziati, che dicevano tutto e il contrario di tutto nelle TV, e ancora dalla maldestra azione politica di chi convogliava tutto il bailamme venutone fuori nella prospettiva della propaganda elettorale, che, come si sa, in Italia è perennemente attiva e in corso di continuo svolgimento da un anno all’altro. Era martellante la serie di frasi: Non uscite di casa, non uscite di casa, lavatevi spesso le mani, mettete in viso le mascherine, usate guanti e disinfettante, pur sapendo tutti che né mascherine, né guanti né disinfettanti si trovavano in giro. Fortunatamente il giovane mio vicino di casa è guarito, senza aver passato il contagio ad alcuno dei suoi familiari.

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Ippeastri (ph. S. Burgaretta)

Mi ha disturbato molto la malcelata retorica in cui siamo stai costretti tante volte a districarci di fronte all’eroismo conclamato per i sanitari che hanno dato la vita e la loro fatica, quegli stessi sui quali però fino a poco tempo prima si lanciavano accuse continue di malasanità, con qualche coda velenosa anche nei giorni più tragici, quando c’erano avvocati che offrivano assistenza legale gratis a quanti tra i parenti di morti per il coronavirus volessero denunciare quelli che altri negli stessi giorni venivano esaltati come eroi. Mi ha disturbato la persistenza con la quale le varie reti televisive si sono crogiolate, con fare serio e compunto, nel titillare artisti, attori e cantanti, strappando loro stanchi finti sorrisi e vuote, ripetitive opinioni sul niente in fin dei conti, poiché bisognava comunque mandare avanti i programmi. E sì che invece si sarebbe potuta cogliere l’opportunità offerta dal momento, per offrire ai telespettatori programmi ben più sostanziosi, trasmettendo, per esempio, opere teatrali registrate nei passati decenni o anche film di particolare valore artistico e culturale, oppure programmi variamente scientifici e divulgativi, come quelli che la Rai ha riproposto con Alberto Angela, oppure ancora presentando al pubblico i tanti libri importanti usciti in quei giorni e passati nel silenzio generale o bloccati, come le persone, in quarantena, per essere rimessi in circolazione successivamente in momenti migliori, motivo per cui tante pubblicazioni sono slittate ai mesi autunnali.

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Avola, telo quaresimale con la Scena dell’Ecce Homo in Chiesa Madre (ph. Lorenzo Caldarella)

Mi ha disturbato non poco l’atteggiamento altero, pretenzioso e talora arrogante di alcuni sacerdoti e di qualche alto prelato, nell’agire e nel parlare pubblicamente, come se fossero stati al di sopra e più…uguali di tutti gli altri cittadini nel rispetto dei provvedimenti assunti dal Governo. In particolare un alto prelato, che ha parlato con aria di sfida, rivolgendosi al Governo con termini duri e con uno stile quasi minaccioso degno di altre bocche e di altri contesti che non quello ecclesiastico. Per fortuna il giorno dopo quel vescovo è stato ripreso, pur senza che ne fosse fatto il nome ma il riferimento era evidentissimo, da papa Francesco, il quale durante la messa al mattino in Santa Marta il 28 di aprile, è intervenuto in questi termini precisi, che nel linguaggio diplomatico adoperato in ambito ecclesiastico e curiale non sono di poco conto: «In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni».

Voglio chiudere questi appunti con la nota positiva di un pensiero di riconoscente omaggio a chi è venuto dall’estero, per aiutare gli italiani in un momento così difficile e traumatico, così bisognoso di sostegno, in particolare il personale medico e infermieristico venuto a Brescia dalla vicina Albania, le parole del cui premier, Edi Rama, rivolte per l’occasione agli italiani, mi hanno commosso, e l’altro venuto dalla lontana Cuba, per prestare servizio nell’ospedale da campo costruito a Crema. Segnali, per quanto piccoli e in parte simbolici, di concreta solidarietà e di reale, fattiva pace tra i popoli e le nazioni.

Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020

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Sebastiano Burgaretta, poeta e studioso di tradizioni popolari, ha collaborato con Antonino Uccello e, come cultore della materia, con la cattedra di Storia delle Tradizioni Popolari dell’Università di Catania. Ha curato varie mostre di argomento etnoantropologico in collaborazione col Museo delle Genti dell’Etna, con la Villa-museo di Nunzio Bruno, con la Casa-museo “A. Uccello”, col Museo teatrale alla Scala di Milano. Ha pubblicato centinaia di saggi e articoli su quotidiani, riviste e raccolte varie. Tra i suoi volumi di saggistica: Api e miele in Sicilia (1982); Avola festaiola (1988); Mattia Di Martino nelle lettere inedite al Pitrè (1992); Festa (1996); Sapienza del fare (1996); Retablo siciliano (1997); Cultura materiale e tradizioni popolari nel Siracusano (2002); Sicilia intima (2007); La memoria e la parola (2008); Non è cosa malcreata (2009); Avola. Note di cultura popolare (2012).

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