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Appunti per un Mediterraneo di pace e solidarietà

Mediterraneo, di Jean Baneton, 1942

Mediterraneo, di Jean Baneton, 1942

di Piero Di Giorgi

Venti di guerra spirano in Europa e in particolare nel Mediterraneo e molte sono le basi militari di potenze straniere. Credo che sia maturo il tempo di una geopolitica europea che metta al centro della sua prospettiva un’identità mediterranea plurale per tutelare il mare nostrum, una risorsa economico-sociale e ambientale da valorizzare per il benessere dell’umanità. Ritengo che ci sia l’urgenza di creare uno spazio generatore di un’umanità nuova, basata sulla convivenza e sulla democrazia partecipata, che abbia come obiettivo la pratica della pace, la salvaguardia della salute e delle risorse sufficienti per una vita quotidiana, dove siano garantiti per tutti i cittadini i diritti civili e sociali, dove non esistano disuguaglianze come quelle attuali, dove siano salvaguardati i beni comuni, come l’acqua e tutti i presidi pubblici, nella salvaguardia delle tradizioni locali e dell’eredità di una storia millenaria.

Lo aveva ben intuito lo storico del Mediterraneo Fernand Braudel, principale rappresentante della seconda generazione dell’Ecole des Annales, fondata da Lucien Febvre e Marc Bloch, alla fine degli anni ’20, con la rivista Annales  d’histoire économique et sociale, che rappresenta una svolta, un modo nuovo di studiare la storia, forse il più rivoluzionario del Novecento e il cui  tratto distintivo è l’interdisciplinarietà, attraverso la quale si crea uno sguardo attento ai diversi ambiti della realtà sociale. Per l’autore francese, le culture del bacino del Mediterraneo sono così profondamente connesse da non potersi separare e deve essere proprio per questo che chi è nato in una qualsiasi delle terre bagnate dal Mare di Mezzo non può fare a meno di ricercare legami.

Lo storico francese ha visto la presenza nel suo territorio di vari popoli che hanno contribuito a creare la cultura e le tradizioni e, nel libro Il Mediterraneo, lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni (1987), scritto insieme a Georges Duby, racconta vicissitudini e storie del Mediterraneo. Nella sua introduzione l’autore afferma che

«la storia non è altro che una serie d’interrogativi rivolti al passato in nome dei problemi e delle curiosità, nonché delle inquietudini e delle angosce del presente che ci circonda e ci assedia. Più di ogni altro universo umano ne è prova il Mediterraneo, che ancora si racconta e si rivive senza posa. Per gusto certo, ma anche per necessità».

9788845251146_0_536_0_75Oggi, il Mediterraneo è pervaso da guerre, conflitti interni a singoli Paesi, alimentati, a volte, da Paesi esterni all’area mediterranea. I gruppi di potere dominanti nell’area, talvolta con il sostegno di potenze straniere e di multinazionali, mettono in atto strategie politiche predatorie delle risorse delle comunità locali, incrementando la povertà e le disuguaglianze.

I grandi flussi migratori, diretti in gran parte verso l’Europa, provengono da Paesi dove, a causa dei cambiamenti climatici, si è diffuso un processo di desertificazione tale per cui non è più possibile vivere, oppure fuggono da zone di guerre endemiche e conflitti locali. La condizione di questi migranti, mentre la destra parla, con nonchalance, di “carichi residuali” o di “sostituzioni etniche”, ci riguarda e ci deve indurre a costruire un nuovo umanesimo e una comune sponda mediterranea.

Il Mediterraneo, nonostante i tanti cambiamenti nel tempo, in termini di sviluppo e di accelerazioni dei commerci, è ancora oggi uno spazio nevralgico dell’economia mondiale, attraverso cui passa almeno il 15% dei traffici commerciali marittimi del nostro pianeta.

A fronte di questa situazione è necessario che i popoli che vi abitano riprendano coscienza del loro habitat e puntino alla crescita qualitativa dei loro territori, riconoscendone i valori, le tradizioni, le identità, condizioni tutte per l’affermazione di una capacità di autogoverno, un governo collettivo dei beni comuni, per la valorizzazione delle risorse locali, l’inclusione sociale, in direzione di un modello di sviluppo capace di produrre relazioni solidali tra comunità diverse. La partecipazione dal basso non rappresenta soltanto un potenziamento della democrazia ma diventa anche una pratica ordinaria di governo, che crea benessere ed esalta la qualità complessiva dell’esistenza di ciascuno/a.

img_20230117_163544-1In buona sostanza, si tratta di ridare vita a una vera e propria Agorà dei cittadini del Mediterraneo, come avveniva nell’antica Grecia. Occorre ricostruire una storia mediterranea comune nel rispetto delle diversità. Aggiungo che occorre creare anche una lingua preponderante comune e promuovere le condizioni per favorire occasioni di incontro e di conoscenza tra i giovani, anche attraverso il digitale, ma soprattutto attraverso esperienze concrete, come l’Erasmus, che potrebbe chiamarsi MedErasmus o anche Al-Idrisi, come il cartografo e geografo arabo del XII secolo, grande viaggiatore lungo tutti i Paesi del Mediterraneo, compresa Mazara del Vallo, cui diede l’appellativo di inclita urbs.

Inoltre, bisogna intervenire sullo scandalo delle disuguaglianze e della povertà. È intollerabile l’aumento delle disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri ma anche quelle all’interno dei singoli Paesi. Bisogna riaffermare con forza il diritto al minimo vitale di acqua e di cibo, chiedendo il rispetto delle convenzioni internazionali. Tanto più che l’espansione delle fonti energetiche rinnovabili trova nell’area mediterranea, tra mare, sole e vento, risorse inesauribili e tali da poterle esportare. Nel contrastare la privatizzazione delle risorse comuni in generale va riaffermato il diritto inalienabile della mobilità umana perché la storia è una storia endemica di migrazioni. Occorre trasformare il Mediterraneo da cimitero di migranti, come è stato ridotto negli ultimi anni, a luogo di approdo sicuro e legale, rivendicando il diritto di migrare, sancito dall’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Va sbarrata la strada ai trafficanti del mare, favorendo i corridoi umanitari, diffondendo nei Paesi di destinazione la cultura dell’integrazione e sollecitando l’Europa a istituire un servizio civile europeo di salvataggio in mare e terra.

porti-militari-mediterraneo-1024x693Nella logica della solidarietà e della pace, occorre imitare la scelta fatta, in America latina, da Costarica, che ha abolito l’esercito e le armi. Smilitarizzando il Mediterraneo e costruendo uno spazio di neutralità e di pace, nel pieno rispetto della dignità umana, si liberano i popoli del Mediterraneo da potenze militari esterne e si esercita un controllo dal basso sulle spese militari da parte dei Paesi del Mediterraneo, così da favorire l’interculturalità, il dialogo interreligioso in direzione di una cultura della pace.

Da qui la necessità di investire i soldi spesi per l’acquisto di armi nella ricerca scientifica, nella scuola e nella salute e nell’accesso a tutte le cure per tutti i suoi abitanti; abolire i brevetti per i vaccini, considerandoli beni comuni; fare delle città e delle comunità del Mediterraneo luoghi di sviluppo sostenibile e di sperimentazione della democrazia partecipativa. Infine, non va mai dimenticato che una vera democrazia non può non avere un’informazione libera e autonoma. 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014); Siamo tutti politici (2018); Scuola ed educazione alla democrazia (2021).

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