Stampa Articolo

AlpFoodway Final Community Forum

 

unnamed-42_imagefullwidedi Carlotta Colombatto

A partire dalla fine degli anni Novanta, in Italia e in Europa si sono moltiplicati progetti di ricerca e di valorizzazione del patrimonio alimentare in chiave culturale. Lavori di analisi ma anche strategie di marketing che sottolineano come il cibo sia cultura in tutte le fasi che ne costituiscono il percorso: produzione, preparazione, trasformazione, conservazione, consumo.

Come molti hanno sottolineato, l’atto di nutrirsi svolto dalla specie umana ha solo in apparenza un carattere “naturale”. Esso è invece connesso all’artificialità delle tecniche di cucina, agli strumenti utilizzati per la preparazione, alle ritualità collegate al consumo. Nella contemporaneità termini come “cibo” e “cultura” sono affiancati sempre più spesso non tanto perché essi vadano semplicemente di pari passo, quanto piuttosto perché il cibo viene considerato come parte integrante delle culture. Questa può sembrare un’affermazione ovvia, in realtà è entrata solo recentemente nella sensibilità collettiva.

Le strategie di valorizzazione culturale degli alimenti, in vario modo declinate, si connettono a un movimento più generale che ha visto le pratiche culinarie veicolare rappresentazioni consapevoli, al centro delle quali si trova il senso di appartenenza al territorio così come l’interesse per i saperi tradizionali e artigianali. Se fino agli anni Settanta i comportamenti alimentari sono stati studiati in connessione con molteplici fenomeni sociali, a partire da quel periodo le analisi si sono concentrate sull’immagine del cibo come strumento funzionale alla costruzione del Noi. Piatti e alimenti di produzione locale, ricette sentite come tradizionali, modalità di trasformazione legate alla memoria rurale sono utilizzate sempre più spesso per costruire il senso di appartenenza al territorio, per marcare identità territoriali. Del resto, espressioni come “valorizzazione delle tipicità territoriali” e termini come “identità” sono tra i più gettonati nel dibattito politico-culturale inerente a tali tematiche (Oppo, Ferrari, Pitzalis 2008).

All’interno di questo contesto si muove anche AlpFoodway, un’iniziativa promossa da EUSALP [1] e finanziata grazie al Progetto Interreg Alpine Space. Sei nazioni coinvolte, quattordici partner e oltre quaranta osservatori al fine di valorizzare il patrimonio alimentare alpino in prospettiva di una candidatura UNESCO. La fine di un progetto di tre anni, che lascia un’eredità importante per il futuro, è stata celebrata con un’organizzazione imponente, all’interno dello scenografico Palazzo della Regione Lombardia. La giornata di riflessione e scambio è cominciata con i saluti e gli interventi di rito della controparte politica.

20191029_140215

AlpFoodway (@Regione Lombardia)

Il progetto

La sessione successiva entra nel vivo del progetto vero e proprio. Nuno Madeira, Project Officer dell’Interreg Alpine Space, ha sottolineato come la salvaguardia del patrimonio alimentare montano, inteso come cura nella realizzazione del prodotto e attenzione alla sua distribuzione, fosse una necessità condivisa da molti partner locali. Dal territorio emergeva una sensibilità marcata volta a trasformare il prodotto locale in uno strumento di valorizzazione del contesto di produzione anche in chiave turistica. L’alimentazione alpina intesa dunque come patrimonio, anche economico, la cui sostenibilità deve ricoprire un ruolo centrale nelle politiche locali.

Cassiano Luminati, Direttore del Polo Poschiavo e Lead Partner di AlpFoodway, racconta il lavoro svolto dalle quaranta persone coinvolte nelle diverse fasi del progetto. Le comunità locali sono state le protagoniste indiscusse, i valori da esse condivise trovano espressione nelle tradizioni legate al cibo, nelle pratiche e nelle ritualità. La dimensione spirituale, la resilienza, il dialogo interculturale, il km0, l’economia circolare sono princìpi in grado di ispirare pratiche connesse alla salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità. Nel suo intervento, Agostina Lavagnino ha invece riportato all’attenzione dei convenuti l’inchiesta condotta da Regione Lombardia insieme agli Enti partner. Grazie al supporto di un team di antropologi, sono state effettuate delle interviste mirate e un inventario del patrimonio alimentare. Quest’ultimo è stato individuato in stretta sinergia con le comunità di pratica, si tratta dunque di un racconto corale elaborato grazie alla metodologia sviluppata dalla Convenzione UNESCO del 2003. Le schede sono state realizzate seguendo il tracciato di un precedente Interreg e sono visionabili sul sito www.intangiblesearch.eu.

Diego Rinaldo, della Kedge Business School, ha esposto il percorso seguito al fine di valorizzare in chiave commerciale i prodotti locali. L’équipe ha incontrato qualche difficoltà iniziale perché il marketing, nato negli Usa per venire incontro alle esigenze delle grandi multinazionali, dialoga con difficoltà con il mondo UNESCO. L’attività condotta ha comportato un lavoro di campo, un confronto costante con gli operatori al fine di mappare le buone pratiche. Tra queste ristoratori, marchi, grandi chef ma anche musei in grado di diffondere il senso di consapevolezza rispetto al valore del prodotto. Nella comunicazione online manca del tutto l’attenzione alla filiera e alle pratiche di produzione. L’indicazione territoriale, invece, può essere considerata una modalità con cui salvaguardare un patrimonio che è anche di conoscenze.

img-20191029-wa0008

AlpFoodway (@Regione Lombardia)

Che fare?

Il ritorno sul territorio del lavoro condotto con il forte coinvolgimento delle comunità di pratica ha preso le forme di una Carta del Patrimonio Alimentare delle Alpi. Si tratta di un documento partecipativo e condiviso che intende mobilitare cittadini, associazioni e istituzioni di diverso genere e tipo nella salvaguardia dell’alimentazione di montagna intesa come bene culturale, anche per supportarne la sua candidatura nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO. Prodotti, ricette e pratiche di produzione alpine si trovano oggi di fronte ad alcune sfide. L’agricoltura intensiva, il turismo di massa, l’inquinamento e l’espansione urbana influenzano negativamente la vita nelle terre alte. All’interno di questo quadro le Alpi hanno visto una diminuzione degli spazi dedicati alle coltivazioni tradizionali, una perdita di conoscenze e competenze, tradizioni, pratiche. La carta contiene dunque delle vere e proprie assunzioni di responsabilità da parte di soggetti diversi: turisti e cittadini, scuole e istituzioni culturali, produttori e agricoltori, media e istituzioni scientifiche, imprenditori e ristoratori, autorità locali e nazionali.

alpfoodway_00Politiche culturali per la governance delle aree periferiche

Proprio a queste ultime è dedicato il panel successivo, volto a sottolineare il ruolo delle istituzioni politiche nella valorizzazione delle tipicità culturali locali. Il patrimonio alimentare alpino è dunque da intendersi come uno strumento per preservare la qualità dei paesaggi e la biodiversità, assicurare lo sviluppo sostenibile, aumentare l’attrattività delle regioni di montagna.

Giulia Zanotelli ha sottolineato come la Provincia Autonoma di Trento abbia da sempre operato in questa direzione con la collaborazione degli Enti presenti sul territorio. Lavorare in sinergia appare come la base di partenza necessaria per puntare sulle produzioni di nicchia, sulle eccellenze, sull’urbanistica sostenibile. Un lavoro di concerto che punta alla sostenibilità ambientale e imprenditoriale con un occhio di riguardo anche all’etica delle aziende, per lottare contro il caporalato e il lavoro nero in agricoltura.

img-20191029-wa0006

AlpFoodway (@Regione Lombardia)

Eva Štravs Podloga, Ministro Sloveno per lo Sviluppo Economico, ha indicato nel turismo una delle più importanti strategie di crescita. All’interno di questo quadro, il patrimonio alimentare e ambientale rappresentano delle risorse sulle quali puntare. La Slovenia oltretutto è stata scelta come Regione gastronomica europea per il quinquennio 2020-2025, un’occasione importante per valorizzare le tipicità del territorio di montagna, che da solo rappresenta un quarto della superficie della nazione.

La valorizzazione dei prodotti locali attraverso la loro inventariazione è uno degli aspetti su cui si concentra la politica sviluppata dal Ministero bavarese per il Cibo, la Cultura e le Foreste. Il patrimonio alimentare, fortemente legato alle tradizioni locali, è interpretato in chiave moderna e contemporanea. La protezione della proprietà intellettuale e la creazione di marchi territoriali sono viste come uno volano per l’economia territoriale. All’interno di questo contesto il Ministero intende porsi come un riferimento per i produttori locali, anche al fine di limitarne le spese burocratiche. La dimensione economica non è la sola ad essere al centro dell’attenzione, la formazione ricopre un ruolo di non secondaria importanza per valorizzare il legame tra dimensione culturale e produzione agricola.

Alenka Smerkolj, Segretario Generale della Convenzione delle Alpi, riprende alcuni temi sottolineati dai suoi predecessori. Il documento firmato negli anni Novanta sottolinea la necessità di lavorare in sinergia sulle sfide cha accomunano i Paesi firmatari. Protezione dell’ambiente, green economy, agricoltura di montagna, ma anche pianificazione territoriale, turismo e cultura sono alcuni dei temi su cui l’ente ha lavorato e che lo impegnano nella contemporaneità.

vue-sur-le-trlod

Parc Naturel Régional du Massif des Bouges

Il patrimonio alimentare alpino come strategia per uno sviluppo sostenibile

La giornata prosegue con una tavola rotonda nella quale i partecipanti si interrogano sulle modalità con cui le politiche sviluppate in area alpina possono legarsi all’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile promossa dall’Onu. Grazie alla moderazione di Agostina Lavagnino e di Valentina Zingari, Facilitatore UNESCO del Parc Naturel Régional du Massif des Bouges, professionalità diverse si sono alternate nel prendere la parola.

Secondo Annibale Salsa, antropologo chiamato a interrogarsi sull’obiettivo 12 relativo al consumo responsabile, le Alpi sono da sempre uno spazio strategico. Ridotte dalla modernità a un ruolo marginale e di confine politico, le montagne necessitano di recuperare la loro funzione di cerniera tra le popolazioni. Ridare dignità alla catena alpina, azione rispetto alla quale l’agricoltura gioca un ruolo importante, significa anche valorizzarne i paesaggi non in termini di panorama, ma di spazio di vita, frutto di pratiche anche di natura economica.

img-20191029-wa0009

AlpFoodway (@Regione Lombardia)

La montagna intesa come laboratorio di sistemi adattativi e dunque anche come scuola di buone pratiche per l’educazione all’ambiente e alla sostenibilità. Questo il pensiero di Janez Grašic, del Triglav National Park, in Slovenia, che si sofferma su come intrecciare la vita sulla terra (Obiettivo 15) a un’istruzione di qualità (Obiettivo 4). L’analisi della natura può essere maestra di umiltà nei confronti di un mondo contemporaneo dai ritmi accelerati.

Se dalla montagna si può imparare, questa indicazione è condivisa anche da Claire Delfosse, dell’Università di Lione. Chiamata a riflettere sull’opportunità del lavoro in partenariato (Obiettivo 17), sottolinea come le comunità alpine siano di grande insegnamento rispetto alla capacità di fare rete. Le Alpi appaiono come maestre rispetto a una gestione integrata dell’ambiente, degli animali da allevamento, dell’agricoltura. Esse possono dunque trasmettere valori importanti rispetto alla relazione tra cambiamento climatico, turismo di massa, sfruttamento del suolo. Le Alpi sono importanti in termini di circolazione di persone (non solo tra Stati diversi, ma anche tra nuovi abitanti e vecchi abitanti) e di animali (come si evince dal ruolo della transumanza). Ragionare sulle comunità alpine significa dunque valorizzarne le tipicità potenziandone contemporaneamente le connessioni e i contatti.

Andrea Segré della Fondazione Edmund Mach, chiamato a riflettere sull’Obiettivo 3 Salute e benessere, riporta i risultati di uno studio condotto nell’area Euregio Tirolo – Alto Adige – Trentino. Secondo l’analisi, anche in questa zona vi sarebbe una tendenza all’invecchiamento e all’obesità della popolazione. La Fondazione, pensando alla dieta come stile di vita, intende valutare l’apporto nutrizionale del patrimonio alimentare alpino. L’idea è quella di promuovere la salute della popolazione a partire dal territorio all’interno del quale è inserita, valorizzandone dunque il contesto ambientale, naturale e produttivo. Ritorna quindi l’idea della complementarietà: un’economia circolare che nutra il benessere di persone, animali e piante.

In conclusione, Elena di Bella di Città Metropolitana di Torino ragiona sull’obiettivo 11 e si rivolge al mondo urbano. In futuro la grande maggioranza della popolazione abiterà all’interno di città diffuse, spalmate sul territorio. I centri urbani veri e propri si spopolano così come le aree ultra periferiche, a vantaggio delle seconde e terze fasce. La montagna si colloca all’interno di questo contesto, non solo perché sarà sempre più ripopolata, ma anche perché può fornire insegnamenti importanti. La catena alpina ancora una volta come maestra, in grado di educare a gestire il limite (e lo dice alle nostre città divoranti) e il tempo (non solo quello meteorologico, ma anche quello del nostro pianeta). La montagna che insegna anche a ricreare comunità e a raccogliersi intorno a valori primari da celebrare in modo sacrale.

20191029_140322

AlpFoodway (@Regione Lombardia)

La candidatura UNESCO

La tavola rotonda che conclude la densa mattinata di lavoro è stata incentrata sulla candidatura UNESCO del patrimonio alimentare alpino. Raffaele Cattaneo, Assessore all’Ambiente e al Clima della Regione Lombardia, sottolinea come l’idea di fondo della strategia macroregionale di EUSALP sia quella di unire territori per ragioni culturali e funzionali. L’area delle Alpi evidenzia questo fenomeno. Secondo Cattaneo abbiamo bisogno di guardare allo sviluppo con modelli diversi da quelli dell’economia industriale. La montagna si nutre di tantissime esperienze che in questo senso possono essere viste come centrali e importanti. Il cibo si colloca all’interno di questo contesto e la candidatura UNESCO appare tanto più forte in quanto si tratta di un processo fortemente bottom up.

20191029_140235

AlpFoodway (@Regione Lombrdia)

Se la catena alpina può veicolare modelli positivi di integrazione uomo-territorio, anche al fine di dare corso a un’economia maggiormente sostenibile, questo è il pensiero al centro dell’intervento di Philippe Gamen, del Parc naturel régional du Massif des Bauges. La tutela del patrimonio, anche alimentare, implica una partecipazione alla salvaguardia dell’ambiente, indispensabile anche perché strettamente connesso al benessere fisico e psicologico delle persone che lo abitano.

Harriet Deacon, Facilitatore UNESCO, si complimenta per le modalità con cui il progetto Alpfoodway è stato portato avanti. L’inventario dettagliato si è nutrito della forte partecipazione delle comunità di pratica, che davvero sono state messe al centro del lavoro di ricerca. Anche la collaborazione tra Enti diversi è stata condotta in maniera molto chiara. Emerge il tentativo di intrecciare positivamente aspetti culturali e green economy, una connessione importante che risponde ai bisogni del territorio e che va sottolineata nel dossier.

Una conclusione degna di questo nome non poteva non coinvolgere le comunità di pratica, più volte richiamate e considerate al centro del progetto di ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio alimentare alpino. In piazza Città di Lombardia, davvero nel cuore pulsante di Milano, è stato possibile interagire con i protagonisti e osservare le lavorazioni. Succhi di mela, antichi cultivar, pecore, formaggi, pane, legno intagliato, un assaggio di quello che è stato il lavoro di campo. Le comunità al centro, per salvaguardare il patrimonio alimentare alpino come strumento di rinascita dei territori.

Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Nota
[1] Si tratta della strategia macroregionale per le Alpi, approvata dal Consigli europeo e finanziata con fondi strutturali e di investimento.
Riferimenti bibliografici
Bonomi A., Il capitalismo in-finito. Indagine sui territori della crisi, Einaudi, Torino, 2013.
Capatti A., Montanari M., La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, Roma-Bari, 2008.
Clemente P., «La poubelle agrée»: oggetti, memoria e musei del mondo contadino, in “Parolechiave” n.9, “La memoria e le cose”, Donzelli, Roma, 1996.
Dei F., Beethoven e le mondine. Ripensare la cultura popolare, Meltemi, Roma, 2007.
Franco M., Pane e polenta. L’alimentazione popolare in Piemonte tra Ottocento e Novecento, Bollettino storico-bibliografico n.1, 2002.
Montanari M., Il cibo come cultura, Laterza, Roma-Bari, 2004.
Montanari M., L’identità italiana in cucina, Laterza, Roma-Bari, 2010.
Montanari M., L’identità italiana in cucina, Laterza, Roma-Bari, 2010.
Nicolosi G., Lost food, comunicazione e cibo nella società ortoressica, Editpress, Catania, 2007.
Oppo A., Ferrari M., Pitzalis M., Cibo e identità locali, in Neresini F., Rettore V., Cibo, cultura, identità, Carocci, Roma, 2008: 45-55.
Rebora G, La civiltà della forchetta. Storie di cibi e di cucina, Laterza, Roma-Bari, 2000.
Rossi P., Mangiare: bisogno, desiderio, ossessione, Il Mulino, Bologna, 2011.
Sorcinelli P., Gli italiani e il cibo. Appetiti, digiuni e rinunce dalla realtà contadina alla società del benessere, Clueb, Bologna, 1995.
Sorcinelli P., Gli italiani e il cibo. Dalla polenta ai cracker, Bruno Mondadori, Milano, 1999.
___________________________________________________________________________
Carlotta Colombatto, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Scienze Antropologiche presso l’Università degli Studi di Torino, dove ha svolto ricerche sui musei etnografici piemontesi. Attualmente è la conservatrice del Museo Regionale dell’Emigrazione, con sede a Frossasco (TO). Colombatto si è laureata con lode in Antropologia culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Torino. Successivamente ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici promossa dall’Università degli Studi di Perugia. Ha lavorato ad alcuni progetti di ricerca tra cui “Musei etnografici e beni DEA in Provincia di Cuneo. Dall’identità alla creatività”, dell’Università di Torino, e l’Interreg “E.CH.I. Etnografie italo-svizzere per la valorizzazione del patrimonio immateriale”, della Regione Piemonte.

_______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>