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Ai confini della Via della Seta. La Repubblica di Corea e il nuovo “Rinascimento” culturale

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L’antica via della seta in una recente ricostruzione grafica

di Olimpia Niglio

Il desiderio di conoscenza ha sempre rappresentato un importante incentivo per andare “oltre” quelle certezze quotidiane che sembrano garantire stabilità ma se non opportunamente alimentate rischiano di avvilire le più prospere comunità. Lo hanno inteso molto bene coloro che, elaborando “utopie” per non accettare la realtà così come si presenta, hanno cercato risposte altrove. La storia ci insegna, infatti, che sempre l’individuo ha tentato di costruire due realtà parallele, esprimendo il rifiuto verso il possibile con una chiara fuga verso l’impossibile. È quanto è accaduto a tanti esploratori, geografi, naviganti, le cui eroiche e visionarie azioni hanno però aperto nuovi cammini, nuove prospettive ed opportunità per lo sviluppo dell’umanità.

Lungo le rotte carovaniere che collegano l’Occidente all’Oriente, sin dal III secolo a.C., come hanno testimoniato ritrovamenti di monete romane, fu possibile stabilire le prime importanti relazioni culturali e commerciali fra Roma e l’Estremo Oriente. È interessante ricordare, con riferimento a personalità italiane, che su queste rotte furono compiute imprese epiche come quella di Fra Giovanni da Pian del Carpine proveniente dall’Umbria, dei commercianti veneziani Matteo e Niccolò Polo e del figlio di quest’ultimo Marco, fino a ricordare le eroiche avventure del gesuita Matteo Ricci di Macerata, del gesuita e pittore milanese Giuseppe Castiglioni e del domenicano Angelo di Bernardino Orsucci di Lucca, morto in Giappone a Nagasaki nel 1622. Questo per ricordare solo alcuni di coloro che hanno messo in atto presupposti per condividere una prima importante “rete di scambi”.

Ecco che nell’immaginario contemporaneo i rapporti così stabiliti, hanno fatto sì che la mitica “Via della Seta” sia ancora rimasta sinonimo storico dell’incontro tra Occidente e Oriente. Tutto ciò ha riguardato però non solo aspetti commerciali. Fu il geografo Ferdinand von Richthofen (1833-1905) a introdurre per la prima volta il termine Seidenstraße, ossia “via della seta” all’interno del Tagebucher aus China [https://archive.org/details/ferdinandvonrich01rich/page/n637].

Lungo queste vie carovaniere non viaggiavano solo merci da Roma verso Oriente e viceversa, bensì importanti patrimoni culturali, tradizioni, religioni, idee e progetti. Una rete fitta di connessioni che attraversava l’Asia centrale e il Medio Oriente per raggiungere la Cina e precisamente la città di Chang’an, attuale Xi’an e da qui importanti diramazioni verso l’India, la Corea e il Giappone. Delle origini di questa antica via ne parlava già lo storico greco Erodoto di Alicarnasso (475 a.C.) descrivendo la “via per la Persia” ma non c’è dubbio che si devono alle conquiste di Alessandro Magno le prime importanti espansioni di questa rotta verso l’Oriente che conobbe il suo massimo sviluppo con l’espansione cinese sotto la dinastia Han (206 a.C. al 220 d.C.) e a seguire l’impero romano e poi Bisanzio che ovviamente riconobbero nel prezioso materiale della seta un tessuto la cui produzione ben presto interessò molti territori della penisola italiana ma anche della Spagna e del Portogallo. Fu poi Venezia per lungo tempo a detenere il dominio e il controllo di questa importante rotta commerciale e a divenire punto di arrivo della seta in Europa e da qui diffusa nelle principali corti del vecchio continente (Niglio, 2012).

Soltanto nel 2014 l’antico tracciato della Via della Seta è stato inserito nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO. Il tracciato preso in esame parte proprio dalla Cina, dalla città di Xi’an e immediatamente si divide in più rami raggiungendo la provincia di Gansu fino a Dunhuang e al celebre centro buddista di Mogao. I differenti rami interni si riuniscono creando un corridoio unico attraverso lo Uzbekistan, Afghanistan, Turkmenistan fino a raggiungere Gaghdad in Iran e da qui il Mediterraneo. Questo antico tracciato è oggi anche un importante programma di valorizzazione e rivitalizzazione economica voluto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo presso le Nazioni Unite (UNWTO) e che ha dato vita al progetto “Silk road”.

Intanto se la storia ci ha tramandato storie di relazioni culturali e di importanti scambi commerciali, nel più recente progetto per la nuova Via della Seta, fortemente sostenuto dalla Cina, emergono chiaramente disaccordi diplomatici che certamente non fanno onore ad una così importante storia che per secoli ha unito l’Oriente con l’Occidente. All’interno di questi disaccordi riemergono anche relazioni di supremazia territoriale e commerciale che continuano a interessare territori già particolarmente sofferenti per una complessa storia passata e presente.

Parliamo della Repubblica di Corea, quel settore sudorientale dell’Asia che è bagnato dal Mar Orientale (o anche Mar del Giappone così come denominato dai giapponesi) e dal Mar Giallo e confina con la Corea del Nord ma su cui incombe l’imperialismo di tre grandi potenze: la Cina, la Russia e il Giappone, a cui si aggiungono anche gli Stati Uniti per ben noti interessi. Era proprio su questa penisola sudorientale dell’Asia che giungeva un ramo dell’antica via della Seta per poi continuare fino a raggiungere le isole del Giappone.

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Mappa della penisola coreana riunificata sotto il regno di Silla (668-935 d.C.)

 Ai confini dell’Oriente

La penisola coreana, seppur non visitata da Marco Polo, fu citata nel libro Il Milione con il nome di “Cauli” che altro non era che la traslitterazione del nome Gāolí tradotto in cinese di Goryeo, forma abbreviata di Goguryeo. Quest’ultimo rappresentava uno dei tre principali regni della penisola coreana, insieme a Baekje e Silla che avevano occupato anche la Manciuria tra il I° a.C. e il VII° secolo d.C. (facendo riferimento al calendario gregoriano). A quest’ultimo periodo corrisponde la prima importante unificazione della penisola, nota come unificazione Silla (668-935 d.C.) che ovviamente comportò anche una serie inesauribile di problemi proprio per le diversità sociali e amministrative dei diversi territori (Riotto, 2018).

Seguì all’unificazione il periodo del cosiddetto “Medioevo coreano” con forti turbolenze militari e guerre interne fino all’istaurarsi della società di Koryŏ, periodo che va dal 918 al 1392, fortemente classista e schiavista. Tuttavia come la rivisitazione del periodo medievale occidentale anche quello coreano non fu affatto un periodo di oscurantismo. Seppure costellato da eventi certamente non lieti il “Medioevo coreano” è stato rappresentato da un fervente ed attivo sviluppo del pensiero filosofico e religioso. Fu questo infatti il periodo in cui la religione buddista ebbe modo di affermarsi e svilupparsi in modo determinante lungo tutta la penisola, contribuendo anche alla costruzione di quella identità coreana che a lungo era stata ricercata.

Il buddismo in questo periodo divenne religione di Stato e conobbe una prosperità senza precedenti. Ne furono testimonianza anche la fondazione di numerose scuole nonché la costruzione di templi, pagode e monasteri e da qui anche lo sviluppo delle arti pittoriche e della scultura (Sung-woo Kim, 2007). In particolare in questo periodo si poté assistere ad una interessante affermazione del confucianesimo fortemente sensibile ai problemi sociali e ai valori etici delle riforme. Purtroppo gran parte di questo patrimonio costruito è andato perduto soprattutto durante la dominazione giapponese della prima metà del XX secolo.

A partire dal XV secolo anche nella penisola coreana si assiste a quello che in Occidente è stato definito “Rinascimento”. Di fatto, scrive Maurizio Riotto, «il termine Rinascimento […] viene meritato dalla Corea del periodo Chosŏn perché viene applicata ad una particolarissima fase storica che si svolge sotto le direttive di un periodo confuciano assai propositivo che rivaluta il ruolo dell’uomo in un Universo migliorabile attraverso quello sviluppo delle scienze e delle lettere che infatti viene alacremente perseguito». Né si deve dimenticare la necessità, per la nuova dinastia, di dotarsi di fondamenti intellettuali che ne giustificassero l’ascesa anche (e soprattutto) attraverso una formidabile campagna di pubblicazioni governative tendenti a sottolineare innanzitutto la “coreanità”, ossia l’identità culturale calpestata dai Mongoli e dalla Casa Reale precedente gravemente compromessa con i dominatori (Riotto, 2018: 199).

Intanto il periodo Joseon o anche Chosŏn è stata l’ultima dinastia imperiale della Corea e quindi il più importante governo confuciano. Dopo la dichiarazione dell’impero coreano nel 1897 e la sua annessione al Giappone nel 1910, la dinastia decadde inesorabilmente. Il periodo Joseon, intanto, soprattutto sotto il pensiero dominante del neoconfucianesimo è stato quello più interessante per lo sviluppo del pensiero filosofico e scientifico nonché per l’incremento di quelle arti che hanno contributo anche ad aprire dialoghi lungo la Via della Seta, di cui questo territorio era un semplice avamposto di approdo finale, prima di raggiungere l’arcipelago giapponese.

Tuttavia le sorti di questa penisola a partire dall’occupazione giapponese cambiarono in modo determinante. L’intera Corea aveva in poco tempo perduto quell’indipendenza che faticosamente e a caro prezzo era riuscita a salvaguardare per diversi secoli. Purtroppo l’occupazione giapponese non aveva riservato alla Corea un periodo florido e dignitoso tanto che la repressione fu molto forte con conseguenze drammatiche anche sotto il profilo culturale ed economico. Intanto anche l’opinione pubblica internazionale rimase inerme difronte alla situazione coreana dato che la prima metà del XX secolo non si prospettò allettante per l’Occidente viste anche le due guerre mondiali scoppiate a poca distanza l’una dall’altra.

Nuove e tristi pagine di storia si sono così abbattute sulla penisola coreana con fortissime implicazioni sociali e di sviluppo interno. Anche tutta la letteratura coreana di questa prima parte del XX secolo si nutrì fortemente di dolore per la perdita dell’indipendenza e per il desiderio di riscatto sociale.

Intanto alla fine della Seconda Guerra Mondiale anche la Corea risultava tra i territori sconfitti ma rientrò nella lista della decolonizzazione dei territori asiatici allorquando, verso la fine del Secondo conflitto mondiale, i Paesi che pensavano di poter vincere il combattimento, quali gli Stati Uniti, Urss e Gran Bretagna, avevano già iniziato a prevedere un futuro per tali aree o per lo stesso Sol Levante. Pertanto alla fine della Seconda Guerra mondiale il problema per le grandi Potenze era di decidere cosa fare della Corea, una volta tolta al Giappone. La divisero così temporaneamente in due zone, in vista di libere elezioni, con un’occupazione a Nord da parte dei sovietici e una a Sud con gli americani, con una linea divisoria tra le due aree che avvenne lungo il 38° parallelo.  Si formarono pertanto due Stati, distinti dal confine divisorio. Al Nord nasceva la Repubblica Popolare guidata da Kim Il-sung, con un sistema completamente diverso, dall’altro, a Sud, ispirato ai principi occidentali e quindi liberista, guidato da Syngman Rhee. Intanto nel 1950 l’invasione della Corea del Nord verso il Sud aprì un tremendo conflitto militare le cui risoluzioni sono tuttora in atto (Lee, 2015; Duce, Niglio, Attento, 2018).

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Isola di Nahmae, aula scolastica degli anni 50 del XX secolo (ph. Niglio)

Verso un nuovo “Rinascimento” della cultura coreana

Intanto la zona sud della penisola era a quei giorni prevalentemente agricola, lo sviluppo economico e culturale era davvero molto limitato. Dal 1953 fino a oggi le relazioni tra le due Coree hanno avuto un’andatura molto ondeggiante, caratterizzate a volte da momenti di apertura, come il caso delle Olimpiadi invernali del 2018, e altre di forte opposizione, restando comunque sempre molto tese, come hanno dimostrato anche gli ultimissimi avvenimenti dopo la visita del presidente Trump a Seoul a fine giugno 2019 all’indomani del G20 di Osaka. Tuttavia è interessante osservare come a partire dalla metà degli anni ’50 del XX secolo la Corea del Sud abbia iniziato un percorso attivo e costante di ripresa puntando tutto sulla cultura.

La situazione del territorio della penisola, alla fine della guerra era davvero drammatica sotto tutti i punti di vista. Infatti subito dopo la guerra del 1950 la Corea era uno dei Paesi più poveri al mondo. Intanto dopo tumultuosi periodi iniziali anche per dissensi nei confronti dei governanti, la Repubblica di Corea ha avviato programmi di sviluppo favoriti ovviamente anche con capitali stranieri, nonché giapponesi, che investivano nel territorio. Anche la Corea del Sud infatti, a partire dalla fine degli anni ’60 del XX secolo, ha conosciuto una forte ripresa economica da qui la nascita e lo sviluppo di imprese ad alta tecnologia, come la Samsung, LG, tuttora importanti realtà produttive coreane, insieme anche al mercato dell’automobile della Hyundai.

Tutto questo è stato favorito da un severo e serio programma di educazione che ha consentito anche al Paese di riscattarsi in tempi piuttosto brevi da forme di totale analfabetismo. Questi programmi hanno riguardato tutto il territorio sin anche le più piccole isole al sud, certamente più lontane ma non con questo meno attive nell’istruire la popolazione. Interessante sull’isola di Namhae al sud del Paese un museo dove si conserva ancora un’aula scolastica dei primi anni ’50 del XX secolo ed una lista di diplomi degli studenti.

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Un diploma di un alunno riporta la data del 6 maggio 4283, anno del calendario lunare coreano corrispondente al 1950

Lo sviluppo culturale della Corea del Sud è stato certamente determinante nell’affrontare anche serie situazioni politiche ed economiche che negli ultimi decenni hanno continuato a segnare fortemente la storia di questo territorio. Già a partire dagli anni sessanta ad un piano di sviluppo educativo sono seguite politiche di industrializzazione e strategie finanziarie che hanno consentito una crescita costante e senza mai interruzione, nonostante anche la forte crisi economica asiatica della fine degli anni ’90 del XX secolo. Già alla fine degli anni ’80 la Corea del Sud ha saputo dimostrare al mondo intero la sua forza e determinazione affrontando in maniera proverbiale l’ospitalità dei XXIV Giochi Olimpici nel 1988 modernizzando così le infrastrutture della capitale che tuttora continuano ad essere simbolo del suo sviluppo culturale.

Seppure per un periodo l’influenza giapponese è stata particolarmente incisiva sul piano formale dell’architettura coreana, tutto questo ha ricevuto una svolta alla fine degli anni ’90 quando sono rientrati in patria molti professionisti coreani, emigrati soprattutto in Europa e negli Stati Uniti per studiare, assumendo incarichi presso le Università o le istituzioni al fine di rinnovare il paese. Certamente l’architettura ha assunto un ruolo importante nel dialogo con la politica e gli interessi sociali e i risultati sono evidenti e sotto gli occhi di tutti. Soprattutto a Seoul, ma non meno in altre città coreane, con il nuovo millennio si sono sviluppati numerosi progetti di rinnovamento di vecchi quartieri degradati che stanno dando spazio a rinomati e innovati “smart city districts”.

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Seoul, Olympic bridge edificato per le Olimpiade del 1988 (ph. Niglio)

In realtà la caratteristica fondamentale della generazione attiva in Corea è quella di condividere progetti, idee e temi anche con altre culture in modo da mettere in stretto e costante dialogo la crescita culturale del Paese. La costante attività di ricerca, in tutti i settori, rappresenta un’energia propulsiva che alimenta quotidianamente il progresso che punta anche alla sostenibilità. Tutto questo perché al centro del progresso c’è l’interesse per la natura ed il paesaggio che da sempre definiscono un riferimento fondamentale non solo per le aree sacre ma anche per lo sviluppo urbano. Questo interesse per la natura si percepisce perfettamente nel cuore della capitale nella piazza di Gwanghwamun le cui dimensioni sono in perfetto dialogo con lo skyline delle montagne che fanno da prospettiva privilegiata a questo luogo pubblico.

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Seoul, piazza Gwanghwamun (ph. Niglio)

Questa attenzione all’architettura e al paesaggio ha consentito di rimettere al centro l’identità culturale coreana tanto che negli ultimi decenni il governo è stato anche fortemente impegnato in progetti di ricostruzione di edifici monumentali distrutti dalle precedenti colonizzazioni ma che oggi sono stati riedificati proprio per rimettere al centro il valore della cultura del Paese.

Nonostante la diplomazia e la politica nazionale continua ad essere concentrata sui temi soprattutto di politica estera, non ultime anche le guerre commerciali con il Giappone che hanno riempito le pagine di molti giornali della calda estate del 2019, la Repubblica di Corea sta dimostrando al mondo intero di aver saputo costruire il suo nuovo “Rinascimento” e l’augurio è che le nuove generazioni se ne facciano carico e portino avanti un progetto davvero importante ed esemplare per quanti invece hanno rinunciato a credere che investire in cultura significa guardare al futuro con determinazione e sicurezza.

Dialoghi Mediterranei, n. 39, settembre 2019
Riferimenti bibliografici
Duce, Alessandro; Niglio, Olimpia, Attento, Mary, Pace e strategie di potenza, a cura di Ugo Frasca, Guida editore, Napoli 2018.
Frankopan, Peter, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Mondadori, Milano 2015.
Lee, Eric Yong-Joong, Trans-Pacific Partnership (TPP) as a US Strategic Alliance Initiative under the G2 System: Legal and Political Implications, in Journal of East Asia International Law, Volume 8, n.2, 2015: 323-352. Consultato il 19 luglio 2019.
http://journal.yiil.org/home/pdf/publications/2015_8_2_pdf/jeail_v8n2_02.pdf
 Niglio, Olimpia, La seda. Un hilo sutil que, por siglos, ha unido a los pueblos de Oriente y de Occidente, rivista internazionale APUNTES, Pontificia Universidad Javeriana (Colombia), volume n°25-1, gennaio-giugno 2012: 8-15,  ISSN 1657-9763.  Consultato il 19 luglio 2019.
http://openarchive.icomos.org/1117/
 Riotto, Maurizio, Storia della Corea. Dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Firenze, 2018
 Sung-woo Kim, Elizabeth, Buddisth architecture of Korea, Hollym, Seoul, 2007
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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente di Storia dell’Architettura comparata. Da dicembre 2018 è Ministro della Cultura presso il Ministero della Cultura in Asgardia, Aerospace International Research Center con sede in Vienna, Austria. È Follower researcher presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. E’ stata full professor presso l’Universidad de Bogotá Jorge Tadeo Lozano (Colombia) e Visiting Professor in numerose università sia americane che asiatiche. Dal 2016 in qualità di docente incaricato svolge i corsi di Architettura sacra e valorizzazione presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Santa Maria di Monte Berico” della Pontificia Facoltà Teologica Marianum con sede in Vicenza, Italia.

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