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Camus e l’Algeria di ieri e di oggi: tra politica e poetica

lo-straniero-camusdi Karim Metref 

Lo scrittore Albert Camus è morto da 65 anni, ma né la sua fama né le polemiche che lo riguardano accennano a finire. Se nessuno osa negare la dimensione universale dello scrittore, l’uomo Albert Camus continua a essere oggetto di indagine. Una polemica sempre attuale è quella che contrappone il clan del “Camus algerino” a quello del “Camus non algerino”.

Pur essendo nato e cresciuto in terra algerina, Camus può essere considerato uno scrittore algerino? 

La risposta a questa domanda non è semplice, perché entrano in gioco molti fattori che riguardano non solo il rapporto dello scrittore con la terra e il popolo (o i popoli) d’Algeria, ma anche il concetto stesso di Algeria e di identità algerina. Che cos’è l’Algeria? Cosa significa essere algerino?
Come solo i veri intellettuali sanno fare, Camus è stato e resta un enigma. Era difficile da collocare: colonialista o anticolonialista?

Gli estremisti di entrambe le parti lo considerano un traditore. Gli indipendentisti algerini, pur riconoscendo il suo impegno per i diritti dei poveri in generale e degli “indigeni” in particolare, diffidavano del suo attaccamento all’idea di un’Algeria plurale, in cui europei, algerini ebrei e algerini musulmani convivessero sotto la bandiera della Repubblica Francese. Dall’altro lato, gli estremisti Pied-Noir oggi cercano di recuperare la sua figura per farne un simbolo dell’“Algérie Française”. Ma allora lo consideravano un traditore, un amico degli arabi, uno da eliminare, perché parlava di un’Algeria in cui europei, algerini ebrei e algerini musulmani avrebbero dovuto avere pari diritti e pari dignità, anche se sotto la bandiera francese.

Camus amava davvero l’Algeria? E se sì, quale Algeria amava? Esiste ancora l’Algeria che lui amava? E se non esiste più, si può ancora considerarlo algerino oggi? Prima di ragionare sull’algerianità o meno dell’autore de Lo straniero, cercherò di rispondere a queste domande una alla volta.

Rue de Kabylie

Rue de Kabylie

Camus amava l’Algeria?

Camus aveva con l’Algeria un rapporto quasi carnale. La amava profondamente. Anche chi oggi gli rimprovera il rifiuto di accettare l’indipendenza dell’Algeria riconosce che nessuno ha scritto sulla bellezza dell’Algeria come Camus. Nei saggi contenuti nella raccolta Nozze (Camus, 1959), celebra la luce, il mare, il calore del Mediterraneo e il legame tra l’uomo e la natura. Ma il suo non era un amore solo per la natura, i paesaggi, il sole e il mare del paese. «Non potrò vivere fuori da Algeri. Mai», scrive Camus allo scrittore Claude De Freminville nel 1932. «Viaggerò di certo, perché voglio conoscere il mondo, ma, ne sono convinto, altrove sarei sempre in esilio» [1].

Lo scriveva nel 1932. Tra le due guerre, la vita dei francesi d’Algeria era una vera dolce vita. Il Paese era quasi del tutto “pacificato”: gli indigeni, sfiniti, non si ribellavano più dalla fine del diciannovesimo secolo e, finalmente, i coloni potevano godersi il Paese in tutto il suo splendore. La terra era fertile, il sole e l’acqua abbondavano, la manodopera era disponibile per poco o nulla. Era la bella vita.

Camus, però, non era figlio di grossi proprietari terrieri. Era figlio di petits blancs, i “piccoli bianchi”. Così venivano chiamati gli immigrati europei arrivati in cerca di fortuna dopo la fine delle concessioni di terre da colonizzare: proletariato urbano, piccoli artigiani, piccoli commercianti… Camus ha conosciuto la povertà.

Nasce nel 1913 a Saint-Paul, una frazione del comune di Mondovì, dove suo padre lavorava come gestore di una piccola azienda viticola. Lo stesso padre che viene mobilitato subito dopo per la Prima guerra mondiale. Albert Camus, che diventa orfano di padre a meno di un anno, va a vivere a Belcourt, un sobborgo popolare di Algeri, presso la nonna e gli zii, uno bottaio, l’altro ferroviere.  La vita è dura. Ma nonostante la povertà, e grazie al suo maestro di scuola elementare, Louis Germain, Camus riesce a studiare. Prima al Grand Lycée d’Alger, poi alla prestigiosa scuola preparatoria Hypokhâgne. Nel 1936 ottiene il Diplôme d’études supérieures in lettere, sezione filosofia. Un percorso di studi di questo livello era del tutto irraggiungibile per un indigeno di estrazione modesta. Questi privilegi erano riservati ai pochi figli di dignitari vicini all’amministrazione coloniale. Il massimo che si concedeva alla minoranza di indigeni poveri che aveva accesso all’istruzione era la Scuola Normale per diventare maestri di scuola elementare, la scuola paramedica per diventare infermieri, oppure le scuole professionali per formare muratori, falegnami, fabbri, idraulici, elettricisti e operai specializzati per la nascente industrializzazione del paese.
Camus era quindi povero, ma povero in una classe di coloni privilegiati, per la quale la vita in Algeria tra le due guerre era dolce. Quella dolce vita che fece innamorare il giovane Camus della bellezza della natura, del mare e del sole d’Algeria.

Quale Algeria amava Camus?

Dalle sue parole, Camus amava un’Algeria cosmopolita, in cui francesi, “arabi”, ebrei e altre comunità potessero convivere. A un attivista algerino che lancia un’iniziativa per la riconciliazione tra le varie popolazioni del paese, Camus scrive:

«E tuttavia, tu ed io, che siamo così simili, della stessa cultura, condividiamo la stessa speranza, fraterni da così tanto tempo, uniti nell’amore che nutriamo per la nostra terra, sappiamo di non essere nemici e che potremmo vivere felici, insieme, su questa terra che è nostra. Perché lei è nostra e non riesco a immaginarla senza di te e i tuoi fratelli, così come tu non riesci a separarla da me e da quelli come me».
Rue de Kabylie

Rue de Kabylie

E nella stessa lettera pronuncia la sua famosa frase: «Ho male all’Algeria, come altri hanno male ai polmoni» [2]. «Siamo così simili», dice. Intende: noi francesi e voi “arabi”. Ma nelle sue opere e nelle sue posizioni, Camus ha dimostrato di essere molto lontano da quelli che chiama semplicemente gli arabi”.

Nelle sue opere, gli arabi sono una massa indistinta, priva di volto e di voce. Nel suo romanzo Lo straniero, che si svolge ad Algeri, gli arabi non hanno nomi. Il protagonista, Meursault, uccide un arabo senza nome, per ragioni vaghe e oscure, e non sembra provare né rimorso né emozione. Camus non dà alcuna profondità psicologica ai personaggi arabi del suo romanzo, al punto che il celebre scrittore algerino Kamel Daoud ha pubblicato una sorta di contro-romanzo, Il caso Meursault, in cui restituisce un nome e una storia all’“arabo senza nome” ucciso da Meursault: si chiamava Moussa e aveva una famiglia, una vita, dei sentimenti. (Daoud, 1916).

Non si tratta di un caso isolato. In La peste, romanzo ambientato a Orano, l’Algeria è descritta come una città di europei. Gli arabi sono invisibili. La loro presenza è appena accennata, marginale. Una cecità del tutto comprensibile. Come già detto, Camus è nato nella località di Saint-Paul, frazione del comune di Mondovì, dipartimento di Bône, poi si è trasferito a Belcourt, ad Algeri, dove abitava al 93 di rue de Lyon… Tutti nomi francesi. Viveva tra europei, mangiava francese, studiava francese, lavorava francese, ballava francese… Gli “arabi” c’erano, come ci sono i piccioni in città: erano solo una parte del paesaggio.

Ma questa visione di un’Algeria senza “arabi” non era solo letteraria. Era anche politica. Camus sosteneva un’Algeria in cui arabi” ed europei potessero vivere insieme, ma sotto la bandiera della Francia. Per molto tempo non è riuscito ad accettare l’idea che l’Algeria potesse essere indipendente, che gli indigeni potessero governarsi da soli, senza stare sotto la “benefica” ombra della Francia.

Tipasa (ph. Karim Metref)

Tipasa (ph. Karim Metref)

Prima della Seconda guerra mondiale, Camus è stato completamente cieco di fronte alla condizione del popolo algerino, fino a quando la realtà lo spinge ad aprire gli occhi. Dal 5 al 15 luglio 1938, inviato dal quotidiano comunista Alger Républicain, Camus va per la prima volta in Cabilia. Anche se distante poche decine di chilometri da Algeri, scopre questa terra come fosse un David Livingstone che si affaccia per la prima volta alla profonda giungla africana. I suoi reportage, intitolati La miseria della Cabilia, sono toccanti nella loro verità. Non nasconde nulla. Si indigna sinceramente per la sorte riservata a questo popolo, di cui finalmente si accorge (Camus, 2012).

Ma poi arriva la Seconda guerra mondiale e tutto passa in secondo piano. È subito dopo la fine della guerra che Camus riapre gli occhi, in occasione dei massacri di Sétif nel 1945 [3], ma solo per constatare che le premesse per la guerra di liberazione sono ormai chiare. Lo scontro è inevitabile. Camus non è ingenuo. Vede arrivare il frutto di secoli di violenza coloniale. Dopo le stragi di Sétif, scrive:

«È la giustizia che salverà l’Algeria dall’odio. Sono appena cadute delle sfortunate e innocenti vittime francesi e questo crimine di per sé è inescusabile, ma vorrei che rispondessimo all’omicidio solo con la giustizia, per evitare un futuro irreparabile» [4].

Di questo “futuro irreparabile”, lui non vuole sapere e tenta fino all’ultimo di ricucire i pezzi strappati, di far incontrare tutti intorno a un tavolo di dialogo. Ma i venti di guerra erano troppo forti e presto la guerra di liberazione, prima, e la violenza dell’estrema destra francese, poi, spazzano via ogni speranza di riconciliazione.

Nel 1957, quando ricevette il Premio Nobel per la letteratura, un giovane lavoratore algerino stabilito in Svezia gli chiese perché non condannasse più apertamente la repressione francese contro i civili algerini. Camus rispose con la famosa frase:

«In questo momento stanno lanciando bombe nei tram di Algeri. Mia madre potrebbe trovarsi su uno di quei tram. Se questa è la giustizia, allora io scelgo mia madre».

Questa frase è diventata il simbolo dell’ambiguità di Camus riguardo alla guerra d’Algeria. Da un lato, non sosteneva la repressione francese. Dall’altro, non poteva accettare la lotta armata degli algerini per l’indipendenza, perché metteva in pericolo la sua gente, i Pied-Noir, e in particolare sua madre. Ancora una volta, le madri algerine che morivano sotto i bombardamenti e sotto tortura, a migliaia, passavano in secondo piano.

Scuola  di Agonui Ahmed

Scuola di Agonui Ahmed, 1883

L’Algeria di Camus esiste ancora oggi?

Nei suoi tentativi di riappacificazione, Camus parlava di un’Algeria in cui europei e indigeni, cristiani, musulmani ed ebrei potessero vivere in pace e in armonia. Amava una sua versione di Algeria, diversa da quella degli ultras Pied-Noir, che volevano un dominio esclusivamente europeo, ma comunque un’Algeria vista dal lato europeo. Un’Algeria che, nel 1962, ha cessato di esistere.

Pur avendo lottato fino all’ultimo per trovare una via di mezzo, un modo per salvaguardare la convivenza tra comunità diverse, verso la fine Camus iniziò a considerare l’autonomia degli algerini come inevitabile. Lo scrisse in una lettera, forse l’ultima della sua vita, spedita il 19 novembre 1959 allo scrittore italiano Nicola Chiaromonte, con cui intratteneva una corrispondenza da oltre dieci anni. In quella lettera, riconosceva come inevitabile «il diritto all’autodeterminazione per gli abitanti dell’Algeria» (Camus, Chiaromonte, 1959).

Morto in un incidente stradale il 4 gennaio 1960, Camus non assistette né all’avvio dei trattati di pace di Évian né alle stragi compiute dall’Organisation Armée Secrète (OAS), il gruppo paramilitare di estrema destra che distrussero ogni speranza di convivenza pacifica [5].

Il primo luglio 1962, tutti gli abitanti dell’Algeria furono chiamati a partecipare al referendum per l’autodeterminazione. L’affluenza fu stimata al 91,87%, con 6.017.680 votanti. Alla domanda: “Volete che l’Algeria diventi uno Stato indipendente che coopera con la Francia nelle condizioni definite dalla dichiarazione del 19 marzo 1962?”, risposero “Sì” in 5.975.581 (99,72%). Subito dopo la proclamazione dei risultati, la popolazione europea iniziò un vero e proprio esodo verso la Francia. In circa un mese, un milione di persone lasciò il Paese. Il 5 luglio 1962, con la proclamazione dell’indipendenza, l’Algeria di Camus cessò di esistere.

Contadino Cabilo

Contadino Cabilo

Si può ancora considerare Camus algerino, oggi?

Che fine avrebbe fatto Albert Camus se fosse sopravvissuto alla guerra di liberazione? Sarebbe rimasto amico del popolo e dello Stato algerino, come lo sono diventati molti Pieds-Noirs di sinistra? Un esempio è il celebre attore e scrittore Roger Hanin [6], che rimase sempre legato all’Algeria e che, alla sua morte, fu accolto con onore per essere sepolto accanto ai suoi genitori in un piccolo cimitero ebraico vicino ad Algeri.

Oppure Camus sarebbe progressivamente scivolato nell’amarezza e nell’odio, rifugiandosi tra i nostalgici dell’Algeria francese e rifiutando di accettare il corso della Storia? Chi può dirlo? L’essere umano è imprevedibile e il tempo gioca spesso brutti scherzi. Ma ciò che sarebbe potuto accadere resta un’incognita. Quello che invece sappiamo con certezza è ciò che è successo davvero.

L’Algeria che Camus conosceva e amava non esiste più. Il milione di cittadini europei che vi abitavano è andato via, dall’oggi al domani. Al suo posto è nata un’Algeria nuova, che inizialmente si è iscritta nella logica anticoloniale e nella lotta dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo per un posto al sole. Posizione questa che mise sin da subito l’Algeria indipendente contro lo Stato francese che, da sua parte, non smise mai con le sue strategie coloniali e poi neocoloniali.

Stampa coloniale

Stampa coloniale

Quale sarebbe stato il rapporto di Camus con la nuova Algeria? E quale quello della nuova Algeria con Camus?

Non possiamo saperlo. Gli intellettuali, sia in Francia che in Algeria, hanno dibattuto a lungo, e ancora oggi si dividono, sulla relazione tra Camus e la terra d’Algeria, così come sul suo legame con il popolo algerino.

Tra gli scrittori algerini suoi contemporanei, le opinioni sul pensiero e sulla scrittura di Camus sono state diverse e contrastanti. Il poeta Jean Amrouche [7], inizialmente vicino a Camus, se ne allontanò progressivamente quando decise di sostenere apertamente la lotta per l’indipendenza. Nelle sue poesie, raccontò con forza il sentimento di espropriazione e il desiderio di riappropriazione della patria da parte degli algerini:

La patria dei loro padri fu loro tolta
ma non furono accolti alla tavola della Francia.
[…]
Poi arrivò una grande stagione della storia
col grembo carico di bambini
indomiti
che parlavano una nuova lingua
e tuonavano di una furia sacra:
non saremo più traditi
non ci lasceremo più mentire
[…]
Vogliamo vivere nel nostro nome
vivere o morire sulla nostra madre terra
[…]
Vogliamo la patria dei nostri padri
la lingua dei nostri padri
[…] [8]

Lo scrittore Mouloud Feraoun [9], ucciso nel 1961 dagli estremisti dell’OAS, mantenne con Camus un rapporto di amicizia. Tuttavia, nella sua prima lettera, gli espresse un rammarico profondo a proposito del romanzo La peste: «Mi dispiaceva che tra tutta quella gente non ci fosse nessun indigeno e che Orano non fosse ai tuoi occhi altro che una qualunque prefettura francese» [10]. Nonostante questa critica, Feraoun riconosceva in Camus un uomo “visceralmente algerino”, diviso tra l’amore per la sua terra e il senso di appartenenza alla cultura e alla nazione francese. Considerava questa frattura interiore una condizione inevitabile per una persona dalla grande sensibilità [11].

Tipasa (ph. Karim Metref)

Tipasa (ph. Karim Metref)

Anche Mouloud Mammeri [12] riconobbe la sensibilità di Camus, affermando di ritrovare nella sua scrittura l’Algeria che conosceva, pur nella quasi totale assenza degli “indigeni”. Secondo Mammeri, questa omissione non era casuale: era una scelta di onestà intellettuale. Camus, essendo nato e cresciuto dietro la cortina che separava coloni e autoctoni, non avrebbe potuto descrivere gli algerini senza cadere nei luoghi comuni. Per questo, piuttosto che rappresentarli superficialmente, preferì non farlo affatto [13].

Diverso fu il giudizio di Kateb Yacine [14], il più radicale nel negare qualsiasi legame tra Camus e l’identità algerina. Pur riconoscendogli una sensibilità di sinistra e una vicinanza agli oppressi, Kateb riteneva che Camus fosse rimasto prigioniero di un atteggiamento moralistico, evitando di confrontarsi realmente con la realtà coloniale e con i veri oppressi: gli indigeni.
Per spiegare il suo punto di vista, Kateb fece un confronto con William Faulkner, scrittore del Sud segregazionista degli Stati Uniti. Faulkner, pur essendo cresciuto in una società razzista, dialogava costantemente con i neri nei suoi libri, pur cadendo spesso anche lui nel pregiudizio. Camus, invece, a suo dire, evitava ogni confronto con gli algerini per non dover mettere in discussione il sistema coloniale. Secondo Kateb, Camus soffriva di quello che lo studioso palestinese Edward Said avrebbe poi definito l’inconscio coloniale [15]. L’Algeria di Camus era esclusivamente francese: gli autoctoni, quando presenti, restavano figure di sfondo, senza volto né profondità.

Tutti questi scrittori, in modi diversi, riconobbero un dato di fatto: nel mondo raccontato da Camus gli algerini non europei erano pressoché assenti. Questa separazione tra il mondo dei coloni e quello degli indigeni fu descritta con estrema lucidità da Frantz Fanon, intellettuale originario della Martinica, che visse e lavorò a lungo in Algeria, aderendo attivamente al Fronte di Liberazione Nazionale. Fanon parlò di un mondo compartimentato, diviso in due, dove la segregazione era evidente non solo nelle disuguaglianze economiche, ma nell’intera struttura dello spazio coloniale:

«Il mondo coloniale è un mondo compartimentato. […] Un mondo tagliato in due. La linea di demarcazione, il confine, è indicato da caserme e stazioni di polizia.
La città del colono è una città solida, tutta di pietra e ferro. È una città asfaltata e illuminata a giorno […], il suo ventre è pieno di cose buone in modo permanente. La città del colono è una città di bianchi, di stranieri. La città del colonizzato, o almeno la città indigena, il villaggio dei negri, la medina, la riserva sono luoghi malfamati, popolati da uomini malfamati. […] È una città affamata, affamata di pane, di carne, di scarpe, di carbone, di luce. È una città accovacciata, in ginocchio, tentacolare. È una città di negri, una città di ‘bicots’ [16].
[…] Quando osserviamo il contesto coloniale nella sua immediatezza, è chiaro che ciò che divide il mondo è prima di tutto il fatto di appartenere o meno a una determinata specie, a una determinata razza» (Fanon F. 1961: 46).
Misere de Kabylie

Misere de Kabylie

Nonostante il suo amore per la terra, il mare e la luce dell’Algeria, nonostante il suo sogno di un Paese dove potessero convivere popoli diversi, Camus rimase, innegabilmente, un europeo: un colono bianco. Da una parte, possiamo dunque dire che Camus è stato algerino, ma di un’Algeria che non esiste più. Era algerino di un Paese che è durato 130 anni, un Paese scomparso nel 1962. Da un’altra parte, possiamo, altrettanto sicuramente, dire che la terra, la luce, il mare, i paesaggi e l’atmosfera che Camus descrisse nei suoi saggi ci sono ancora… e ci saranno per sempre.

In conclusione, quindi, credo che se politicamente Camus è stato ma non è più algerino, poeticamente lo è stato nel modo più profondo e lo rimarrà per l’eternità. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025 
Note
[1]. «Je ne pourrai pas vivre en dehors d’Alger. Jamais. Je voyagerai car je veux connaître le monde mais, j’en ai la conviction, ailleurs, je serais toujours en exil». Lettera a Claude de Fréminville, ottobre 1932. menzionata nella biografia Albert Camus. Una vita, Olivier Todd, Bompiani, 1997: 57.
[2]. «Et pourtant, vous et moi, qui nous ressemblons tant, de même culture, partageant le même espoir, fraternels depuis si longtemps, unis dans l’amour que nous portons à notre terre, nous savons que nous ne sommes pas des ennemis et que nous pourrions vivre heureusement, ensemble, sur cette terre qui est la nôtre. Car elle est la nôtre et je ne peux pas plus l’imaginer sans vous et vos frères que sans doute vous ne pouvez la séparer de moi et de ceux qui me ressemblent. [...] j’ai mal à l’Algérie, en ce moment, comme d’autres ont mal aux poumons». Camus Albert, Lettre à un militant algérien,  Rivista “Communauté Algérienne”, n°1 ottobre 1955. La lettera è stata ripresa poi in “Actuelles III”, Gallimard, 1958: 125. La lettera inegrale può essere letta qui: https://www.gildasbernier.fr/wp-content/uploads/2011/08/Albert_Camus-%C3%A9crit-%C3%A0-un-militant-alg%C3%A9rien.pdf
[3]. I massacri detti “di Setif, Guelma e Kherata” iniziati l’8 maggio 1945 a 200 km a est di Algeri. Per saperne di più leggere qui. https://www.labottegadelbarbieri.org/scor-data-8-maggio-1945/ . https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/2827576001025/rappel-historique-des-massacres-repressifs-a-setif-en-mai-1945.
[4]. «C’est la justice qui sauvera l’Algérie de la haine. De malheureuses et innocentes victimes françaises viennent de tomber et ce crime en lui-même est inexcusable mais je voudrais que nous répondions au meurtre par la seule justice pour éviter un avenir irréparable».  Articolo: “La crise en Algèrie”, pubblicato sul giornale “Combat” n° 291, del 13 maggio 1945.
[5]. OAS. Organisation Armée Secrète. era un’organizzazione paramilitare clandestina francese, 13. creata il 20 gennaio 1961 in Spagna e attiva durante la guerra d’Algeria. L’organizzazione cercò, con numerosi attacchi terroristici, attentati dinamitardi e assassinii, di impedire il conseguimento dell’indipendenza dell’Algeria e la sua liberazione dal dominio coloniale francese. Negli ultimi cinque mesi di presenza francese in Algeria (maggio 1961-settembre 1962) il numero di vittime dell’OAS è stimato a circa 2.700, di cui 2.400 algerini. Per saperne di più sui fatti e misfatti dell’Oas: https://danielebarbieri.wordpress.com/2014/01/24/scor-data-25-gennaio-1961/
[6]. Roger Hanin, del suo vero nome Roger Paul Jacob Levy, è un attore, regista e scrittore francese, nato il 20 ottobre 1925 ad Algeri e morto l’11 febbraio 2015 a Parigi. Dopo la morte è stato trasportato e sepolto nel cimitero ebraico di Bologhine ad Algeri, insieme al resto della sua famiglia.
[7]. Jean El Mouhoub Amrouche (1906 -1962). Poeta, scrittore, giornalista e animatore radiofonico. In Italia sono state pubblicate le Conversazioni radiofoniche di Giuseppe Ungaretti e Jean Amrouche. Universosud, 2017. Nella traduzione di Hamza Zirem, Filomena Calabrese 
[8]. Jean Amrouche. Le combat algérien. In, «Poèmes à dire» Editions Seghers, 1974. Si può leggere in rete qui: https://www.barapoemes.net/archives/2023/07/23/39983346.html. Mouloud Feraoun (1913 – 1962) è stato uno scrittore algerino in lingua francese. Di Feraoun, in Italiano sono stati pubblicati: Il figlio del povero. Mesogea, 2008, Terra e sangue, Mesogea, 2006.
[9]. «J’avais regretté que parmi tous ces personnages il n’y eût aucun indigène et qu’Oran ne fût à vos yeux qu’une banale préfecture française» Mouloud Feraoun: Extrait de Lettres à ses amis, Edition Enag, 2006. Questa lettera si può leggere in rete qui: https://www.founoune.com/inedit-lettre-de-mouloud-feraoun-a-albert-camus-1951/
[10]. Video- Mouloud Feraoun Parla di Camus: https://youtu.be/OccQRA73tEA
[11]. Mouloud Mammeri (1917-1989) è stato uno scrittore, linguista e antropologo algerino. Di Mammeri in Italiano sono stati tradotti: Scali, Ibis, Como-Pavia, 1994, e Le parole negate dei figli di Amazigh. Poesia berbera tradizionale e contemporanea, a cura di Domenico Canciani, con la collaborazione di Mouloud Mammeri e Tassadit Yacine, Abano Terme, Piovan, 1991
[12]. Video-Mouloud Mammeri parla di Camus, Video dell’INA: https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/i09335540/mouloud-mammeri-et-la-vision-de-l-algerie-de-camus .
[13]. Yacine Kateb, ma firmatosi sempre Kateb Yacine (1929-989), è stato uno scrittore, drammaturgo, poeta, giornalista e attivista algerino. Di Yacine in italiano è stato pubblicato un solo titolo: Kateb YACINE – NEDJMA, Jaca Book, 1983
[14]. Edward Said,“Albert Camus, ou l’inconscient colonial”, su Le Monde diplomatique.  https://www.monde-diplomatique.fr/2000/11/SAID/2555 .
[15]. Video- Kateb Yacine parla di Camus: https://youtu.be/J7oHJqYav_k
[16]. “Bicot” è il dispreggiativo usato dai francesi nei confronti dei Nordafricani.  
Riferimenti bibliografici
Amrouche J., 1974, Le combat algérien, in, «Poèmes à dire» Editions Seghers,
Camus A., 1959, Il rovescio e il diritto; Nozze; L’estate, Bompiani. 
Camus A., 2012, Miseria della Cabilia, Aragno [reportage del giugno 1939]
Carroll D., 2007, Albert Camus the Algerian. Colonialism, Terrorism, Justice. Columbia University Press.
Chiaromonte N., Camus A., 2021, In lotta contro il destino. Lettere dal 1945 al 1959, Neri Pozza. 
Daoud K. (2015), Il caso Meursault, Bompiani.
Djerroud T., 2022, Camus & le FLN, Érick Bonnier,
Fanon F. 1961, Les Damnés de la terre, Éditions Maspero.  tr. it. I dannati della terra, Einaudi, 2000
Todd O.  1997, Albert Camus. Una vita, Bompiani
Ungaretti G., Amrouche J., 2017. Conversazioni radiofoniche Universosud.
Vircondelet A., 2022, Albert Camus et la guerre d’Algérie: Histoire d’un malentendu. Editions du Roche. 
Qualche articolo
L’Antigone révolté: Camus e la “questione algerina”, di GianCarlo Zanon: http://www.igiornielenotti.it/camus-lantigone-revolte-la-questione-algerina/
Camus et l’Algeria:  (reportage e foto). https://www.radiofrance.fr/franceinter/podcasts/france-inter/albert-camus-l-algerien-4975851
“Du nouveau sur Albert Camus et l’autodétermination de l’Algérie” sul Club di Mediapart, del 12 febbraio 2023 (https://blogs.mediapart.fr/histoire-coloniale-et-postcoloniale/blog/120223/du-nouveau-sur-albert-camus-et-l-autodetermination-de-l-algerie).  

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Karim Metref, nato in Cabilia (regione Amazigh del Nord dell’Algeria), è educatore, insegnante, giornalista indipendente, collabora con varie testate italiane e ha pubblicato vari libri. Ultimo in libreria: Algeria Tra Autunni e Primavere. Multimage, 2019. Molti degli articoli di Karim Metref si possono leggere sul suo blog/archivio personale: www.karimmetref.blog.

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