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Welcome back, my Friends, to the show that never ends

 

Powe house mechanic, 1920 (Foto di L.W. Hine)

Power house mechanic, 1920 (Foto di L.W. Hine)

di  Flavia Schiavo  [*]

La città di New York, a ridosso della seconda metà del XIX secolo, inizia a presentare un volto multiplo, dinamico, soggetto a cambiamenti e contraddittorio. Che dà vita a una realtà urbana che si trasforma velocemente, in stretta relazione con il sistema geografico circostante, e in assenza di una pianificazione che fornisce “modelli” stringenti (sia della forma urbis, che della forma e funzione degli edifici, come dei fronti e delle altezze) diversamente da quanto accadeva nelle città europee. Infatti, il Piano del 1811 “scrive” a terra solamente un Grid (una maglia) rettangolare (la cui dimensione, variabile in relazione all’affaccio sulle Streets e sulle Avenue, è 80 m. per 274 m.) che si innesta al sistema urbano preesistente (Downtown).

Questo “piano”, assai flessibile, in una certa misura consente di “governare” le dinamiche del mercato immobiliare, capitolo consistente dell’economia urbana; consente un’espansione del costruito senza prevedere grandi restrizioni (in altezza e per forma delle costruzioni). E innesca, se visto in sinergia con l’economia urbana che esplode in quella fase e che si avvale dell’enorme numero di migranti che giungono dall’Europa e dall’Asia, una consistenza variabile, sia morfologica, sia funzionale, che tipologica del tessuto e del costruito (per quanto sia difficile parlare di tipologie a NYC, non sussistendo un “modello” reiterato o fisso).

La “plasticità” del Piano del 1811, inoltre, fece sì che le tecniche costruttive in rapida evoluzione generassero, soprattutto dalla fine dell’800 e con l’uso dell’acciaio per lo “scheletro” degli edifici, i primi Skyscrapers, e un’enorme varietà di costruzioni destinate a usi diversi, come i numerosi Hotel (NYC è un crocevia), come quelli commerciali o quelli utilizzati per lo stoccaggio di merci o alimenti, o ancora, come quelli che, anche a Manhattan, ospitavano industrie “leggere” mirate alla produzione di abiti.

La mutevolezza, l’eterogeneità e la rapidità urbana si manifestano sia nella compagine sociale insediata, una mixed crow costituita da un enorme e crescente numero di persone presenti (condizione sociale, etnia) che abitano i 5 Distretti (i Boroughs) che costituiscono, dal 1898, NYC, sia nelle modalità di governo urbano, anch’esso multiforme, composto da una rappresentanza istituzionale, autonoma (improntata a un netto federalismo) e da un’altra, che vede l’azione delle Comunità insediate nei differenti quartieri (i migranti e i diversi ceppi etnici) e del sottogoverno dei Bosses (uno per tutti, Twidd) [1] e dalla malavita che spostava voti, promuoveva iniziative, gestiva l’esistenza delle masse dei lavoratori non garantiti da alcuna forma di salvaguardia e tutela. Durante quella stagione, infatti, non esistevano forme di Welfare o Sindacati.

Plan del 1811, la forma urbis

Plan del 1811, la forma urbis

Se in Europa i Sindacati e i movimenti di tutela dei lavoratori nacquero sin dal 1824, con le trade unions, prime forme di rappresentanza sociale, in USA il processo fu molto più lento, anche perché la massa dei lavoratori era fatta da migranti che parlavano lingue diverse, avevano difficoltà di comunicazione tra loro e resistenze a trattare con i neri che, post Civil War e post abolizione dello schiavismo, divennero parte della macchina stritolante del Capitale.

La condizione dei migranti, così come accadeva in quel periodo in molte città europee industrializzate, fu un grandissimo “rimosso”. Se iniziò ad esserci un processo di consapevolezza e disvelamento, esso iniziò tardi, pienamente intorno al 1890, anni in cui un giovane giornalista del New York Tribune, J. Riis (1849-1914), immigrato di origine danese, residente a New York dal 1877, che aveva vissuto per un certo numero di anni di stenti, penetra il buio degli slums newyorchesi (come Lower East Side e Five Points) e li “racconta”, nel suo Report, il cui titolo: How the Other Half Lives, viene elaborato citando un passo di Gargantua e Pantagruele.

Riis in quello straordinario volume scrive:

«Long ago it was said that “One half of the world does not know how the other half lives”. That was true then. It did not know because it did not care. The half that was on top cared little for the struggles, and less for the fate of those who were underneath, so long as it was able to hold them there and keep its own seat. There came a time when the discomfort and consequent upheavals so violent, that it was no longer an easy thing to do, and then the upper half fell to inquiring what was the matter. Information on the subject has been accumulating rapidly since, and the whole world has had its hands full answering for its old ignorance»[2].

In tale quadro di rimozione sociale, le azioni di opposizione, osteggiate dai conservatori e dai gruppi egemoni, soprattutto durante il Panico finanziario del 1893, furono portate avanti, e dal punto di vista strettamente economico e politico, dalla parte pragmatica della piattaforma populista, attiva soprattutto nel sud e nell’ovest del Paese. Va iscritto in tale contesto, tratteggiato in estrema sintesi, l’emergere delle lotte dei lavoratori i quali, nell’industria statunitense, avevano vita difficile: paghe basse (a NYC ciò era meno macroscopico), lunghe giornate di lavoro, condizioni rischiose, nessuna tutela per la salute.

Il Mc Clure’s Magazine nel 1894, attestò che i minatori di carbone «respirano quest’atmosfera fino a che i loro polmoni ne diventano pesanti e malati», per soli “55 cents al giorno”. Una classe operaia sfruttata, spesso sotto occupata, non garantita, con donne e bambini parte della forza lavoro –  documentati da Riis e dai fotografi sociali, tra cui Hine, Strand e Steichen – risentiva anche delle numerose crisi di Panico economico. Il regime dei monopoli inoltre, malgrado lo Sherman Antitrust Act del 1890 [3], costringeva la gran parte della working class a lavorare per determinate Compagnie, senza possibilità di scelta, in una stagione in cui le innovazioni tecnologiche ridussero la richiesta di operai specializzati, virando verso il modello fordista, ancor più sperequativo e stringente.

Brooklyn, lo spazio dei migranti, 1900

Brooklyn, lo spazio dei migranti, 1900

Solo dal 1874, in Massachusetts, si approvò la prima legislazione nazionale che limitava il numero di ore lavorative in fabbrica, per donne e bambini, a 10 al giorno. Prima non esisteva alcuna legislazione sul lavoro e solo nel 1930 il Governo federale si impegnò in questo campo. Il crony capitalism, che dominò la II metà del XIX secolo, promosse enormi concentrazioni di ricchezza e potere e fu sostenuto da un sistema giuridico e da una “filosofia generale” riassunta nelle parole di J. D. Rockefeller: «la crescita di una grande impresa è semplicemente la sopravvivenza del più adatto». Il Darwinismo sociale, di cui parlano anche Mark Twain e Charles Dudley Warner, sostiene che ogni forma di regolamentazione sarebbe equivalsa a una mancata evoluzione della compagine economica.

Malgrado la retorica dell’American Dream, poche erano le possibilità per la classe operaia di sfuggire a tale condizione. La rapidità dello sviluppo, soprattutto in ambito urbano, stritolava migliaia di lavoratori, sebbene essi fossero inseriti all’interno di un meccanismo che potremmo definire democratico, caratterizzato da una componente bottom-up che si esprimeva tramite la partecipazione diretta e l’autogestione di alcuni aspetti. Ciò nonostante la sperequazione era fortissima ed era ammessa anche dai capitani di Impresa, tra cui A. Carnegie che rilevò lo stridente contrasto tra le abitazioni dei lavoratori e le grandi mansions che sorgevano sulla 5th Ave o nelle altre enclave dove dimoravano i ricchi.

Nel 1900, gli Stati Uniti avevano il più alto tasso di morti sul lavoro di ogni altro Paese industrializzato del mondo. Gli operai lavoravano 10 ore al giorno (12 nell’industria dell’acciaio), guadagnando al di sotto della soglia minima di sopravvivenza. Solo nel 1869 iniziarono a comparire i primi gruppi organizzati, su base nazionale, con il Noble Order of the Knights of Labor. Prima una società segreta, nata a Philadelphia, che crebbe sino al corpo a corpo con Jay Gould, il barone delle ferrovie, durante uno sciopero del 1885. In seguito la società declinò e comparve l’attiva American Federation of Labor, anche per iniziativa di Samuel Gompers, che si concentrò sugli operai specializzati, puntando verso l’aumento dei salari e verso la diminuzione delle ore di lavoro. Le condizioni inaccettabili e i conflitti inevitabili produssero una grande quantità di scioperi che sfociarono in sanguinose insurrezioni, come quello dei lavoratori ferroviari del 1877. Altri disordini segnarono la linea evolutiva del movimento operaio negli States, in molte città e non solo a NYC.  Nel 1886 emerse l’Unione Nazionale del lavoro, un sindacato siderurgico. Ma solo durante il Novecento si formò un movimento militante, quello dell’Industrial Workers of the World, un insieme di sindacati attivi per migliorare le condizioni dei minatori, in un periodo in cui gli scioperi e i disordini, spesso in ambito urbano, furono fortemente osteggiati e spesso sedati in modo violento dalla polizia.

Un ruolo diversamente importante per la tutela della working class lo ebbero in una fase successiva le Insurances (le Assicurazioni private), che stipulavano “polizze vita”, quanto meno per i privilegiati della working class, soggetta a un elevatissimo rischio dovuto alle condizioni di lavoro (molti erano impiegati nella produzione dello zucchero o nell’edilizia, settore in crescita e assai vivace, sia per la componente residenziale sia, soprattutto, per quella commerciale e legata alle Compagnie insediate che “edificano”, post 1880 circa, i grattacieli, a Manhattan, prima a Downtown, poi a Midtown), alla velocità che intensifica i ritmi di produzione, sostanzialmente privi di una messa in sicurezza e soggiacenti alla brutale efficienza del capitale locale e internazionale che aveva (e ha) nella città (sede di Banche e della seconda Borsa mondiale) [4] i suoi massimi interessi. Tra essi il Real estate, l’affare enorme della crescita/speculazione immobiliare che focalizzò l’attenzione su alcune aree, allocandovi edifici rappresentativi, i grattacieli, “imprese urbane” che accoglievano economie, società di servizi e innumerevoli funzioni legate allo sviluppo cittadino, a quello occupazionale e culturale e al suo indotto. Essi furono “motori dinamici del progetto urbano” e in tal senso spesso, davano l’avvio a micro strutture urbane (quartieri; spazi misti, aperti e costruiti; open space, tra cui i giardini; assetti di strade e Avenue) e a nodi d’interconnessione (stazioni, fermate di subway, Hotels). Aree caratterizzate da una mixitè funzionale che si compose in base a una sorta di ergonomia urbana iper-efficiente che mise insieme le funzioni stesse non in virtù di una destinazione fissata su carta (o su un Piano) e dunque attribuita apriori, come spesso accade nelle città europee. Oltre a ciò il Real estate, che produsse anche alcune specifiche figure professionali, consolidò, in alcuni luoghi, sia una grande rendita di posizione sia, soprattutto ad Harlem, o in misura leggermente minore a Little Italy, nel quartiere ebraico, o a Chinatown, la presenza di alcuni gruppi etnici che incisero attivamente sullo sviluppo urbano (in termini di Community Planning e di investimenti). Il Real estate, ancora, diede vita all’edificazione di specifiche costruzioni, i tenements, occupati dall’altra metà, cioè dai membri della working class e dalla folla dei diseredati che ebbero un I.D., un documento di identità, newyorchese.

Tenements

Tenements

I Tenements – uno dei due “soggetti” (le persone e le “loro” case) del già citato Report di Riis: How the Other Half Lives. Studies among the Tenements of New York, del 1890 – sono edifici di infima qualità, diffusi a partire dall’inurbamento coevo alla Rivoluzione industriale, anche in Europa. Occupati da parecchie famiglie di lavoratori in una ridotta superficie, con i servizi in comune, presentano varie declinazioni, simili alle case a ballatoio o di ringhiera. Sono definiti a NYC, tipologicamente, dalla Tenement House Act del 1867, come:

«Any house, building, or portion there of, which is rented, leased, let, or hired out to be occupied or is occupied, as the home or residence of more than three families living independently of one another and doing the iron cooking upon the premises, or by more than two families upon a floor, so living and cooking and having a common right in the halls, stairways, yards, water-closets, or privies, or  some of them»[5].

Diffusi in ambiti insospettabili (es. Park Avenue che nel XIX secolo aveva ben altro aspetto da quello attuale) furono, a NYC, edificati fin dal 1820-‘30 in Lower East Side, a Mott Street, a Mulberry Bend, e in altri luoghi, come i Five Points. Erano costruzioni di 3 o 4 piani, chiamati colloquialmente “railroad flats” perchè costituiti da una sequenza di stanze senza finestre, o “school sinks” (con sinkschool si intende una scuola in quartieri poveri frequentata da alunni con problemi disciplinari e di rendimento), e spesso avevano al proprio interno cortili occupati da officine e stalle. Nel 1865, come restituito da varie fonti, vi vivevano 500 mila persone. L’edificazione fu, come già detto, post 1811, facilitata dalla griglia a terra del Piano, condizione che favorì l’occupazione massiva del suolo edificabile. Sino alla Law sui tenements, del 1867, infatti, era consuetudine che quasi il 90% del lotto rettangolare fosse occupato da questi edifici che raggiungevano i cinque livelli, avevano circa 20 camere per piano di cui solo due erano illuminate dal sole. Altri alloggi utilizzati furono le cantine, luoghi se possibile ancor più malsani dopo la costruzione del Croton Aqueduct (1837-1842) che fornì l’acqua corrente ai ricchi e provocò un rialzo della falda acquifera e dunque un allagamento delle cantine. La legge del 1867 impose alcune indicazioni, poi ridefinite dal provvedimento successivo, del 1879, e da quello del 1901. La legge del 1867, nota come Old Law, prescrisse un massimo di copertura del 65% del lotto. Il New York City Board of Health, che avrebbe dovuto far rispettare i dettami, declinò ogni responsabilità.

 Five Points

Five Points

In tale quadro di pressioni speculative, sperequazioni, disagi abitativi e disastri, si giunse a un compromesso e si varò, in quella fase, un “tipo” edilizio, che prevedeva una morfologia a “manubrio” con un’occupazione massima dell’80% del suolo, e una maggiore, sebbene esigua, penetrazione dell’aria e della luce.  Tali dinamiche, proprie del Real estate e del mercato del lavoro, agirono, dunque, per “costruzione” di luoghi e luoghi di status (socio-economico) e per “rimozione”, generando in tal modo sacche marginali, anche a Manhattan, tra cui Lower East Side o Five Points. I luoghi del degrado si stabilizzarono ancor più durante le migrazioni: nel 1870 a New York, arrivarono, infatti, un’ingente quantità di migranti, che cercavano “casa” e, nell’economia in ascesa, post Civil War, cercavano le condizioni (insieme stritolanti e fluide, intrise della retorica del “tutto è possibile”) che il proprio Paese d’origine non offriva. 24 milioni di persone si erano trasferite in quegli anni, e le previsioni di aumento degli “approdi” umani erano di circa otto volte per l’immediato futuro. Una demografia eterogenea con enclave etniche più popolose di ogni altra città di provenienza, affollando sino all’inverosimile aree di ridotte dimensioni. Nel 1880, infatti, 334mila persone vivevano in ogni singolo miglio quadrato di Lower East Side, che era il luogo più densamente popolato della terra.

Five Points e Lower East Side erano sostanzialmente prossimi, e in stretta connessione: entrambi “casa” di disagio sociale e di newyorchesi contraddizioni. Intorno al 1840, nell’area nota come Five Points [6] (all’incrocio delle vie Anthony, oggi Worth Street; Cross, oggi Mosco Street; e Orange, oggi Baxter Street: slum ad alto rischio e con intensa criminalità locale, presente sino agli anni ’70 del Novecento), iniziò a insediarsi una disastrata working class fatta da indigenti, per lo più irlandesi già a NYC, in fuga dalla loro terra natale a causa della carestia di patate. Mulberry Bend, oggi Baxter Street, interna al quartiere di Five Points (il cui stato fu documentato attentamente da Jacob Riis, nel 1896) era caratterizzata da case di ringhiera, poi demolite per la creazione del Mulberry Bend Park (l’attuale Columbus Park). Le condizioni di quelle strade davano la misura dello stato dell’intero nucleo, che versava in condizioni simili ad altre zone malsane, come l’East End di Londra, in cui densità di popolazione, malattie, mortalità neonatale e infantile, disoccupazione, prostituzione, criminalità violenta, allignavano. Dal punto di vista demografico il quartiere era abitato, oltre che da irlandesi presenti sin dal XVII secolo, in prevalenza da afro-americani, appena liberati dall’abolizione della schiavitù, resa definitiva il 4 luglio 1827. Pur essendoci conflitti dichiarati tra le due etnie, il quartiere rappresentò un primo caso d’integrazione interraziale autoprodotta, sin quando i neri americani “migrarono” verso West Side in Uptown in un’area non ancora abitata.

Lower East Side

Lower East Side

Il quartiere di Five Points registrò per lungo tempo un tasso di criminalità elevatissimo, denunciato come il più alto che in ogni altro slum del mondo: una vecchia fabbrica di birra, sovraffollata, abitata da circa un centinaio di indigenti, registrò un omicidio per notte per quindici anni, sino alla demolizione nel 1852. L’integrazione, invece, fu possibile anche grazie alla presenza di alcuni spazi “comuni”, tra essi una sala da ballo, l’Almack’s, nota come “Pete Williams’ Place” (inizialmente una fabbrica), dove musica e danza divennero occasione di fusione e integrazione tra gli afroamericani e gli “Irish American”, grazie a musicisti e ballerini che, danzando tiptap e suonando generi musicali precursori del jazz e del rhythm and blues, favorirono la conoscenza tra le persone, depotenziando le conflittualità urbane.

Nel 1842, in American Notes, Charles Dickens così descrive il quartiere:

«What place is this, to which the squalid street conducts us? A kind of square of leprous houses, some of which are attainable only by crazy wooden stairs without. What lies be hind this tottering flight of steps? Let us go on again, and plunge into the Five Points (…). This is the place: these narrow ways, diverging to the right and left, and reeking everywhere with dirt and filth. Such lives as are led here, bear the same fruits here as elsewhere. The coarse and bloated faces at the doors, have counterparts at home, and all the wide world over. Debauchery has made the very houses prematurely old. See how the rotten beams are tumbling down, and how the patched and broken windows seem to scowl dimly, like eyes that have been hurt in drunken frays. Many of those pigs live here. Do they ever wonder why their masters walk upright in lieu of going on all-fours? and why they talk instead of grunting?» [7].

Un film del 2002, Gangs of New York, di M. Scorsese, girato a Cinecittà, è ambientato a Five Points. Fortemente rievocativo del “paesaggio”, racconta una storia ispirata a quanto contenuto nel saggio omonimo, del 1928, di Herbert Asbury, che si svolge in una fase cruciale per lo sviluppo della città, dal 1846 al 1862, e tratta alcune vicende relative a due temi caldi del periodo: l’immigrazione irlandese e la Civil War. William “the Butcher” Cutting, uno dei protagonisti è realmente ispirato a William Poole, boss della malavita che agì sotto la guida del Boss W. Tweed. Culmine del film è lo scontro tra Cutting e la sua gang e alcuni immigrati irlandesi, capitanati da Amsterdam Vallon, anch’esso realmente esistito, in un momento coincidente con i “Disordini urbani” del 1863 (dovuti anche alla Legge sulla coscrizione).

Lower East Side è, invece, un quartiere sud-orientale delimitato dalla Bowery a ovest, da East Houston Street a nord, dalla F.D.R. Drive a est e Canal Street a sud. A sud e ovest LES confina con Chinatown. Dopo un consolidarsi delle attività agricole, nel corso del XVII secolo, Lower East Side, teatro del Report di Riis, anche in risposta alle pressioni della città in crescita, iniziò a presentare uno sviluppo dell’insediamento assai poco pianificato, caratterizzato, sin dalla prima metà del XIX secolo, da una situazione complessiva di degrado sociale Già dal 1820 la massa dei migranti in arrivo a NYC trovò casa a Lower East Side, all’interno dei tenements edificati in quel quartiere, noto in quella fase, come “Klein Deutschland” (piccola Germania). Oltre ai tedeschi arrivarono italiani, ebrei, greci, ungheresi, polacchi, rumeni, russi, slovacchi e ucraini, che si stabilirono in enclave relativamente omogenee. Nel 1920 il quartiere ebraico, tra i più estesi per l’etnia, ospitava circa 400mila persone. La condizione dello slum era assai precaria e lo status umano era tutt’altro che ideale, nonostante le leggi sui tenements che, se pure debolmente e manifestando un chiaro asservimento al Capitale e alle dinamiche sperequative del Real estate, puntarono ad alcune migliorie, assai blande. I movimenti di riforma, successivi al volume di Jacob A. Riis, tentarono di alleggerire e risolvere i problemi urbani e sociali con alcuni interventi, strettamente connessi all’insediamento, per esempio a Henry Street, o con iniziative mirate a fornire servizi previdenziali.

Lower East Side fu luogo dove vennero condotte alcune rivendicazioni ed ebbero sede alcuni movimenti, legati al socialismo e al comunismo. Vi ebbero i natali numerosi artisti, tra cui i fratelli Marx, Eddie Cantor, Al Jolson, George e Ira Gershwin, Jimmy Durante, e Irving Berlin. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Lower East Side divenne il primo quartiere in cui si manifestò un’integrazione tra etnie differenti, accogliendo afroamericani e portoricani. Qualche anno dopo (tra i difficili anni ’60 e ’70) fu interessato da una crisi, registrando un aumento di povertà persistente, criminalità e droga.

Jacob A. Riis (1849-1914) – che come già affermato, descrisse il grande quartiere – era nato in Danimarca e, migrante negli States all’età di 21 anni, prima carpentiere, si trasferì a NYC dove visse anche da indigente, per poi raggiungere Philadelphia: qui fu rimesso in sesto con l’aiuto del Console danese. Dopo tale periodo difficile, che certamente lo aiutò a comprendere meglio le condizioni di quelle persone che di lì a poco avrebbe puntualmente e con spirito riformista documentato, egli tornò a NYC e, dopo numerosi lavori precari, si dedicò alla carriera di scrittore, diventando anche direttore di un settimanale, un Magazine chiamato The News.

Egli fu autore di numerose pubblicazioni (interessante anche la sua autobiografia The Making of an American, del 1901), tra esse il Report: How the Other Half Lives: Studies among the Tenements of New York. Si tratta di un’importantissima fonte storica, pubblicata nel 1890 (successiva a un suo articolo, diffuso l’anno precedente). Il Report è costituito da fotografie e da uno scritto puntuale e dettagliato. Con tale opera monumentale egli inaugurò il fotogiornalismo e fondò le basi per il “muckraking” (lett. “scandalismo”). Il libro, che espone lo stato degli slums newyorchesi, mettendo in luce le condizioni degli abitanti delle aree disagiate a Manhattan, e definito “potente” dal New York Times poco dopo la pubblicazione, descrive i bassifondi e i tenements, criticando la sperequazione, denunciando l’assenza di assistenza, le carenze endemiche (es. la mancanza d’acqua negli slums) ed evidenziando infine la correlazione tra la criminalità, l’abuso di alcol e le atroci condizioni di vita di quella disastrata working class, così come accadeva in Europa, a Londra o nelle altre città industriali. Il libro di Riis è strutturato in numerosi capitoli corredati da un enorme numero di fotografie, che il Reporter riprese anche grazie all’uso di un particolare flash, appena inventato, che gli consenti di catturare i volti (stralunati, anche per l’effetto del lampo di luce bianca e dura) e le abitazioni degradate.

La Brooklyn dei ricchi

La Brooklyn dei ricchi

La condizione geopolitica e la struttura che NYC andava via via assumendo, fece sì, quindi, che essa si configurasse come uno specifico e complesso territorio, la cui esplorazione, anche solo morfologica, mostra la fluttuante condizione abitativa sia delle varie etnie che delle classi abbienti, come della working class (fluttuante perché i singoli quartieri e i singoli soggetti presentavano una certa “deformabilità” delle condizioni data dalla flessibilità dei processi urbani e di quelli economici) e consente di capirne lo stato, in relazione alla struttura urbana in fieri, alla convergenza/divergenza dei fenomeni, alla frizione e prossimità tra ambiti molto diversi e al sistema dei “confini” interni (distretti commerciali e finanziari, insediamenti della upper class, speculazioni immobiliari residenziali e produttive gestite dal “basso” o dagli stakeholders) come pure all’avanzamento diversificato dell’espansione urbana nei cinque Distretti [8]. L’insediamento è costituito, ancor oggi, da enclave. Alcune sono caratterizzate da una presenza etnica o da una specifica condizione sociale, altre da una distinta produzione e distribuzione di edifici (per esempio i grattacieli, i tenements, le brownstone houses) o di distretti produttivi.

Fin dallo start della formazione urbana, letta in termini complessivi, si manifestarono caratteri differenti a seconda della localizzazione nei diversi Distretti. A Manhattan sorsero quartieri residenziali (sia per la upper class che per la working class) e si andava strutturando il settore finanziario che comprendeva vari “tipi” di edifici; a Brooklyn, comparivano alcune industrie più “pesanti”, e prevalentemente abitavano i lavoratori delle categorie meno abbienti, eccezion fatta per alcune enclave, come Brooklyn Heights, un quartiere residenziale (per la upper class) appena a sud del Brooklyn Bridge, il cui sviluppo iniziò già nei primi anni del XIX secolo. Nello stesso distretto, a testimonianza della prossimità tra realtà urbane differenti, oltre all’insediarsi dei lavoratori, furono progettati e costruiti interventi importanti per l’intera NYC, tra essi il gigantesco Prospect Park che fu disegnato e realizzato tra il 1865 e il 1895, da F. L. Olmsted e C. Vaux, dopo il completamento del Central Park.

Le industrie, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, per esempio gli zuccherifici, erano localizzate a Brooklyn (sulle rive dell’East river), dove abitavano molti dei lavoratori, molti gli italiani, (nei diversi quartieri, tra cui Williamsburg, dove si insediarono irlandesi, olandesi e tedeschi, inizialmente) e secondo distretto per estensione, dopo i Queens che però era ed è caratterizzato da minore densità abitativa. Altri quartieri contrassegnati da presenze industriali erano: Long Island City (ai Queens) e il limitrofo quartiere di Greenpoint (a Brooklyn) sede di costruzioni navali e stamperie, produzione di ceramiche, vetrerie e fonderie, gestite da generazioni d’immigrati, soprattutto tedeschi e irlandesi giunti a metà del XIX secolo e poi da un gran numero di polacchi.

Ulteriori realtà, come i mercati o altri nuclei meno invasivi (produzione di abiti, stoccaggio alimenti), erano invece localizzate nel Bronx o a Manhattan quasi unicamente nelle aree lungo l’Hudson e l’East river, in ragione dell’esigua superficie dell’Isola (solo 59 kmq), dell’enorme valore/costo dei terreni e in ragione della prossimità dei punti di snodo della mobilità extraurbana, e dei fiumi: l’Hudson che mette NYC in contatto con il New Jersey e con l’entroterra; l’East river che connette, anche grazie ai ponti, Manhattan con i Queens e Brooklyn. Proprio Williamsburg è il luogo, controverso, dove è ambientato Un Albero cresce a Brooklyn (A Tree grows a Brooklyn), un libro delizioso, un classico della letteratura americana, scritto nel 1943 da Betty Smith, nonché il testo da cui E. Kazan nel 1945 trasse l’omonimo e appassionante film in B/N.  La vicenda del libro è ambientata appunto a Williamsburg, l’ampio quartiere di Brooklyn, a nord della “bocca” del ponte omonimo. Nel grande ambito, collegato a Manhattan dal Williamsburg Bridge, in prosecuzione di Delancey St. (Downtown), vivevano molti migranti, italiani, irlandesi o provenienti dall’Europa del nord. E infatti il libro racconta, alle soglie del 1912 (e per due decenni), la vita di una famiglia di migranti, i Nolan, e di una vivace e assennata ragazzina undicenne, Francie, che cresce e trova la propria identità, a partire da una condizione esistenziale difficile. Il fascino del libro risiede nell’avere messo al centro una compagine umana fatta da migranti di seconda e terza generazione (in questo caso provenienti dall’Irlanda e dall’Austria) che abitano Brooklyn e cercano di affrancarsi dalle proprie complesse radici in un contesto contraddittorio: l’amata New York che offre possibilità, ma è in grado di schiacciare uomini e cose. Grande importanza viene data ai personaggi femminili (la nonna, la madre e la zia della protagonista) come pure all’amore che la giovane Francie ha per il padre, un sognatore irrisolto che muore ancor giovane e, pur disattendendo il mito dell’americano capace di far fortuna, è un antieroe buono ed educa la figlia all’amore e al sogno. Probabilmente anche grazie alla commistione tra la determinazione della madre e alla lieve dolcezza senza direzione del padre che Francie vive il proprio riscatto ed edifica la propria identità, che passa anche attraverso il suo amore per i libri e per la lettura.

Storie di migranti del XIX sec.

Storie di migranti del XIX sec.

La geografia industriale e quella residenziale di New York, ripartita in specifiche aree, dava alla città, a Manhattan soprattutto, un carattere particolare: distretti finanziari, commerciali, industriali, mercati, edifici per lo stoccaggio, il “Distretto dei diamanti”, realtà produttive, open space, aree abitative e residenziali (slums, definiti da Riis con lucida amarezza critica, “measure of civilization”, e quartieri eleganti), compresse in uno spazio esiguo che mise i lavoratori, i ricchi, i datori di lavoro, i bosses, i corrotti, in condizioni di scambiarsi informazioni e di costruire/decostruire codici di comportamento, confliggere, misurarsi in un corpo a corpo davvero singolare. Uno spazio di condivisione belli- gerante/pacifica in cui nessuno nasceva ricco e moriva per forza tale o veniva alla luce miserabile e tale sarebbe necessariamente rimasto: la “Speranza” in America è una condizione attiva dell’essere, è progetto di futuro, in un fare che un po’ scardina sia il concetto di speranza come utopia, sia il bipolarismo sussistente tra marxismo e cristianesimo di cui parlerà successivamente E. Bloch. I codici di comportamento, gli “urti”, uniti a una grande flessibilità, contribuirono alla dinamica di trasformazione urbana, all’incremento delle attività economiche e al loro mantenimento, generarono differenti e, a volte, antitetiche condizioni della “qualità” della vita e dell’abitare.

In tale configurazione complessa si organizza la città, soprattutto la densissima Manhattan. E in virtù di tale densità l’Isola ha in sé, tutti prossimi, quartieri molto diversi: il Finacial District è pressoché limitrofo a Lower East Side e a Five Points, a loro volta limitrofi ai ricchi quartieri residenziali, contigui ai giardini, ai parchi, alle piazze sorte per l’azione di un’antesignana Community Planning o per l’aggregarsi di specifici edifici (es. Union Square). Aree limitrofe, a volte permeate reciprocamente, altre volte incomunicabili.

NYC divenne in quella fase un “hub” potente – in parte esente da quella pianificazione un po’ soffocante di matrice europea – e un punto di snodo e di confluenza di elementi difformi e divergenti, di elementi conformi e convergenti, in cui giunsero flussi umani spaventosi: una singolare integrazione (integrazione senza omologazione), un singolare “duello”, che diede vita a una componente umana in cui si mischiano, interagendo politicamente, senza sparire, culture assai differenti. Innovatori, capitalisti (onesti e corrotti), politici, bosses, e una sterminata working class, linfa, a partire dalla fine del XIX secolo, delle piccole, medie e fortissime economie.

Utile per comprendere cosa stesse accadendo, oltre alle fonti storiche, è un film del 1928 di King Vidor, un cineasta americano, che realizza The Crowd, una pellicola muta che narra le vicende e le condizioni umane difficilissime a NYC, a partire da quelle, drammatiche, del protagonista, John Sims, nato il 4 luglio del 1900. Una data topica il 4 luglio, l’Independence Day, dotata di un enorme valore concreto e simbolico, più volte ripresa in altre opere, come per esempio il film di O. Stone, Born on the Fourth of July, del 1989. Di grande efficacia sono le immagini del film di Vidor che, oltre a registrare le difficoltà e la volontà di affermazione intenzionale, tipica degli individui americani che addentano con determinazione la vita, restituiscono New York, frenetica e impietosa alle soglie di una fase davvero critica, la Great  Depression del 1929.

Piccole operaie, 1909 (foto di Hine)

Piccole operaie, 1909 (foto di Hine)

Molte delle nascenti Società che ebbero per mercato l’America e, in alcuni casi, l’Europa (es. la Woolworth Company), scelsero NYC come sede, innervata e al centro di un flusso di comunicazioni, tanto quanto il fiume umano che alimentò, con il proprio sangue, l’esplosione, rapida e fortemente discorde; citando J. Riis: «Oh, God! That breads hould be so dear, and flesh and blood so cheap!» . Che in tal modo racconta una faccia della città, dove il pane per alcuni era un genere di lusso, e dove “flesh and blood”, la carne e il sangue dei diseredati, erano a buon mercato. Quella città, in cui tonnellate di carne vennero sbranate e litri di sangue vennero versati, surclassò le competitors locali (Boston, Philadelphia, Chicago) e quelle oltre oceano (Parigi e soprattutto Londra), divenendo sede di grandi Imprese e Company, di una Borsa, di Assicurazioni e di Banche: la Bank of New York aprì già nel marzo del 1784 in Pearl Street (a nord est, da Battery Park allo snodo da cui parte il Brooklyn Bridge).

Come Thomas McCormick [9] sostiene, NYC è (e fu) una “central metropolis” del sistema capitalistico mondiale, una «dominant city that acts as the coordinating point and clearing house of international capital», una città dominante, che agisce come polo di coordinamento e di “compensazione” del capitale internazionale. Engels, nel descrivere la condizione della classe operaia a Manchester, afferma che la città inglese è bipartita: quella borghese da un lato, i quartieri operai dall’altro. A NYC altri protagonisti, in momenti diversi, raccontano un’altra “verità”, che parla di uno spazio ibrido, contaminato, in cui i confini, pur presenti, non disegnano luoghi identificabili geometricamente. L’innovazione allora, come soprattutto si coglie nel Report di Riis, riguarda non solo i processi, ma anche i modi tramite cui i processi vengono raccontati: la problematicità e la peculiarità del contesto spingono oltre lo sguardo di chi osservi quel caos esploso e in movimento. Lo sguardo tagliente di Vidor, la visione impietosa di Twain e la delicata e originale narrazione di Smith che mette una ragazzina, una figura emblematica, al centro di una vicenda in cui gli immigrati, di seconda e terza generazione, inseguono l’American dream. Prospettive interpretative che costruiscono un’immagine concreta di una città che fin dal XIX secolo inizia a diventare la Capitale del XX Secolo.

Negli anni più recenti, post II Guerra mondiale, una gran parte dei lavoratori è occupata nella finanza, Wall Street è il centro del centro, così come lo sono le Assicurazioni o le Banche. Nel 1950 la sola Metropolitan Life (una Compagnia di Assicurazione), su Madison Square, impiegava 15.000 lavoratori. L’economia urbana della città sin dagli esordi ha manifestato grande portata e diversificazione interna. E, pur nelle stridenti contraddizioni raccontate, ha manifestato un alto livello d’integrazione, data soprattutto dalle pratiche di partecipazione insite nel modello di democrazia. Andreas Feininger la fotografa, negli anni ’40, mostrando gli skyscrapers, lo skyline e gli interni in cui le folle lavorano, dove il potere decide, dove i dollari si spostano. Affacciandosi dalle finestre fotografate, invece, si coglieva un altro movimento, quello della gente, degli operai per strada e nei cantieri di una metropoli iperattiva ma stabilissima.

Il capitalismo locale ha introdotto anzitempo la smaterializzazione degli oggetti, la diversa produzione di simboli, così diversi da quelli europei: Soldi, America dream, individualismo, consumo. Una generale reificazione in cui le persone valgono, poco o tanto, e spesso solo quanto le cose.

Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
[*] Questo testo costituisce la seconda parte di una ricerca in corso. La prima parte è stata pubblicata nel numero precedente di marzo: Alle origini della città-mondo: migrazioni, economie, urbanizzazione.
Note
[1]  William Magear Tweed (1823-1878) fu un politico, nato a Manhattan, figlio di uno scozzese fabbricante di sedie. Noto come Boss Tweed, fu capo della Tammary Hall, apparato del Partito democratico,determinante nella politica a NYC del XIX secolo. Tweed fu uno dei più ricchi proprietari terrieri, capo Erie Railway, della Tenth National Bank, della New York Printing Company, titolare del Metropolitan Hotel. Eletto alla Camera dei rappresentanti degli States e nel Consiglio comunale di NYC, nel 1867 fece parte del Senato dello Stato di NY. Fu condannato per aver rubato tra i 40 e i 200 milioni di dollari (in base al tasso di inflazione o svalutazione dal 1870 del 2,7%, l’importo oscilla tra 1,5 e 8 miliardi di dollari del 2010) dei contribuenti di New York City, ricorrendo alla corruzione. Morì nel carcere federale di Ludlow Street a New York. Una figura controversa che dà la misura del “governo” urbano newyorchese e, per certi versi, della “natura” del Capitalismo americano. Tweed è una sorta di tipico Giano bifronte: sottrasse soldi pubblici e promosse migliorie urbane, come l’ampliamento di Broadway tra la 34th e la 59th Street; agì perché si varassero leggi relative agli istituti di beneficenza di tutte le confessioni religiose. Tra il 1869 e il 1871, su incentivo di Tweed, lo Stato di NY spese per beneficenza molto di più che nel periodo precedente. Tweed finanziò una scuola per insegnanti e si spese per l’abolizione delle pene corporali nelle scuole e per un aumento degli stipendi agli insegnanti.
[2]«Molto tempo fa si diceva che, una metà del mondo non sa come viva l’altra metà. Questo era vero allora. Non lo sapeva perché non gliene importava. La metà che era al top non si curava affatto delle lotte per la sopravvivenza e ancor meno del destino degli asserviti, sin quando le categorie forti fossero in grado di tenerli lì e mantenere il proprio assetto. Venne un tempo in cui il disagio e i conseguenti sconvolgimenti furono così violenti, che non fu più tanto facile proseguire tale modello, e quindi la metà dominante dovette indagare su quale fosse la questione. Informazioni sul nodo furono accumulate rapidamente, e tutto il mondo era pienamente impegnato a fornire risposte alla propria atavica ignoranza».
[3]  La più antica legge antitrust degli States, prima azione governo Uniti per limitare monopoli e trust.  L’Act fu firmato dal Presidente B. Harrison nel 1890 e redatto dal senatore repubblicano John Sherman. La legge rimase inutilizzata per alcuni anni, sin quando T. Roosevelt ne fece un utilizzo estensivo durante la propria campagna antitrust, mirata a scindere la Northern Securities Company; venne poi adoperata per colpire il monopolio dell’American Tobacco Company, sino a giungere allo smembramento della Standard Oil, su cui J. D. Rockefeller aveva costruito la propria immensa fortuna.
[4] La Philadelphia Stock Exchange è fondata nel 1790 (è la prima degli States) a NYC la Borsa è fondata nel 1792, anticipando di 11 anni la apertura del London Stock Exchange nella città più popolosa del globo (in quegli anni).
[5] «Ogni casa, costruzione o porzione di essa che sia affittata, noleggiata oppure occupata, come abitazione o residenza di tre o più di tre famiglie che vivano in modo indipendente l’una dall’altra, e cucinando il loro cibo in quegli stessi luoghi, o da più di due famiglia per ogni piano, così vivendo e cucinando ed esercitando un diritto comune su spazi come la cucina, i corridoi le scale, le latrine e altri tra essi».
[6] È un’area situata a metà strada tra Chinatown e il Finacial District, Baxter Street e Worth Street. Il nome deriva dai 5 angoli dell’incrocio principale. Le case si estendevano da Mulberry Street a Little Water Street (oggi non più esistente).
[7] «Che posto è questo, al quale ci conduce la squallida strada? Una sorta di “quadrato” di case per lebbrosi, alcune delle quali non sono raggiungibili se non tramite spericolate scale di legno. Cosa si cela dietro questo insieme traballante di scalini? Andiamo ancora a immergerci all’interno di Five Points (…). Questo è il luogo; questi vicoli stretti che divergono a destra e a sinistra, ovunque puzzolenti per la sporcizia e il luridume. Ognuna delle vite umane, qui condotte, sopporta i medesimi “frutti”, come altrove. I volti rozzi e gonfi affacciati alle porte, hanno un corrispettivo nelle loro dimore e ovunque nel mondo (…). La depravazione ha reso le innumerevoli case prematuramente vecchie. Guarda come le travi marce stiano cedendo, e le finestre rattoppate, somiglino a uno sguardo torvo, vagamente ombroso, come occhi feriti da un’incursione di ubriachi. Molti di questi “maiali” vivono qui. Si chiedono mai perché i loro padroni camminino eretti, in posizione verticale invece che a quattro zampe, e perché essi parlino, invece di grugnire?»
[8] NYC è costituita, dal 1898 con l’annessione di Brooklyn, da 5 Distretti (i “five Boroughs”): Manhattan; Bronx; Brooklyn; Queens; Staten Island. Alcuni dati: Popolazione totale (al 2014): 8.491.079, superficie totale: 786 kmq, densità di popolazione ab/kmq: 10.756; Manhattan: pop. tot.: 1.636268; sup. tot.: 59 kmq, densità, ab/kmq: 27.673; Bronx: pop. tot.: 1.438.149, sup. tot.: 109 kmq, densità, ab/kmq: 13.221; Brooklyn: pop tot.: 2.621.793, sup. tot.: 183 kmq, de, ab/kmq: 14.182; Queens: pop. tot.: 2.321.580; sup. tot.: 283 kmq; densità, ab/kmq: 8.237; Staten Island: pop. tot.:473.279, sup. tot.: 151, densità, ab/kmq: 3.151.
[9]  Vd., per esempio, Creation of The American Empire: Volume 1: U.S. Diplomatic History to 1901, With Lloyd C. Gardner and Walter F. LeFeber, New York: Rand McNally& Co.,1973.

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Flavia Schiavo, docente di Fondamenti di urbanistica e della Pianificazione territoriale presso l’Università di Palermo, ha pubblicato saggi, monografie e articoli su riviste nazionali e internazionali. Conduce attività didattica e di ricerca in Italia, Europa e America del Nord, dove è stata visiting presso la Columbia University. Tra le sue pubblicazioni, Parigi, Barcellona, Firenze: forma e racconto (Sellerio 2004); Tutti i nomi di Barcellona. Il linguaggio urbanistico (F. Angeli 2005).

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