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“Via Matris”: I sette dolori di Maria. Preghiera per la Palestina

08-nuovo-documento-2024-03-26t093710-892di Leo Di Simone

La Via della Madre – Via Matris – è il cammino percorso da Maria non solo durante la passione del Figlio, ma in tutta la sua vita. Tanto doloroso quanto è quello di ciascun essere umano. Via Matris è la strada che facciamo tutti insieme a Maria. Cammino che lei ben conosce perché lo ha percorso prima di noi in dimensione tipica. Ce lo siamo già chiesti prima d’ora [1]: Di «che cosa», Maria si fa tipo? Si manifesta tale tipicità nella direzione dell’astrazione o della concretezza? Si idealizza e si divinizza Maria o si trova in lei «il simbolo» che «esprime cielo e terra in uno», storia di debolezza e di potenza della fede che si colma nel colmarsi del mistero nella fanciulla che partorisce il Figlio, rendendo colma con ciò la lacunale frattura mentre lo stesso colmarsi si avverte come istanza cultica che in sé trova il suo culmine e la sua fonte nella consistenza di una presenza che pure le sfugge addolorandola?

In Maria il travaglio generativo, come il travaglio della gestazione, del parto, dell’accompagnamento silente e doloroso della vita incomprensibile del Figlio, del suo mistero messianico, la lacerazione della spada nell’animo prevista e predetta da Simeone… hanno colmato l’atto di culto nella sua totalità, nella misura dello stesso transito pasquale del Figlio, atto di culto perfetto cui lei si è unita con la stessa identica carne, la sua carne umile come trono della kenosis divina. Non c’è Pasqua senza la trasfigurazione della Passione. La Pasqua infatti è il mistero dell’atto di culto nella sua globalità; la Trasfigurazione nel suo travagliato e doloroso farsi.

Quando mi è stato proposto di approntare dei commenti lirici per accompagnare la rappresentazione della Via Matris [2], ho accolto l’invito anche solo per il fatto che mi veniva offerta, ancora, l’occasione di mettere  in luce quella «tipicità» di Maria, emblematica quanto mai in questa nostra drammatica contingenza storica e consistente nel travaglio dell’anima di ogni donna palestinese lacerata dallo strazio dell’incomprensione della violenza, della crudeltà, dell’uccisione dell’essenza umana, nel combattimento della fede con un Dio clemente e misericordioso che inspiegabilmente si fa presente nel silenzio assordante della sua assenza.

Non è facile la lettura fenomenologica dei vissuti, degli stati d’animo, delle impressioni, delle suggestioni, delle premonizioni, di tutto ciò, in una parola, che si “immagina” nell’animo umano. Ci si trova a giocare e lottare con le parole, con le assonanze e le dissonanze interiori, e non si può fare altrimenti davanti alla terrificante attualità delle osservazioni sull’avvenire dell’umanità sotto la guida della follia. E rinvenire la «tipicità» della fede di Maria, protodiscepola di un cristianesimo che forse solo in lei ha trovato piena attuazione, essendo poi diventato, come con urlo lancinante gridava nel 1961 Thomas Merton, nella sua raccolta di liriche Emblemi di un’età di violenza, «il cristianesimo del denaro, dell’azione, delle folle passive, un cristianesimo elettronico fatto di altoparlanti e parate». Da qui «il maggior peccato di quel complesso Europeo–Russo–Americano che noi chiamiamo l’Occidente che non è solo l’ingordigia e la crudeltà, non solo la disonestà morale e il tradimento nei confronti della verità, ma soprattutto l’arroganza sfacciata verso il resto della razza umana. La civiltà occidentale è ora in pieno declino e volta verso la barbarie (una barbarie che scaturisce dentro se stessa) perché colpevole di una doppia slealtà: slealtà verso Dio e s lealtà verso l’uomo» [3].

Pietà di Gaza (ph. Mohammed Salem - Reuters)

Pietà di Gaza (ph. Mohammed Salem – Reuters)

Via Matris è l’itinerario della fede di Maria attraverso la barbarie umana, ma è anche una via che non si ferma al Calvario, che non finisce con la chiusura di un sepolcro; oltrepassa il confine, sfocia oltre l’orizzonte del limite della nostra vita, verso la Pasqua della risurrezione di Cristo. Ed è con questa speranza che si è voluto allestire un momento di meditazione e di preghiera per la tragica situazione della Palestina, terra sua e del suo Figlio, affidando al suo cuore di Madre i dolori e le angosce di quanti, ebrei ed arabi, musulmani, israeliti e cristiani soffrono e muoiono a causa dell’odio e delle ingiustizie; le identiche cause che hanno provocato la morte in croce di suo Figlio, il Signore Gesù, e che ancora oggi lo mandano a morte in ogni essere umano perché non sanno riconoscerlo come il Principe della pace.

La Parola di Dio che sempre tipicizza i fatti, la contemplazione poetica in contrappunto dell’anima e gli scandagli sonori delle composizioni corali di J. S. Bach (di cui si dà referenza compositiva) [4] sono le guide di questo viaggio spirituale che si concluderà con la Preghiera per la Palestina, «terra santa» il cui nome è stato sfigurato e contraddetto. 

Organo: fuga in si minore BWV 579, su tema di Corelli 
Primo dolore – Maria ascolta nel tempio la profezia di Simeone (Lc 2, 33–35)
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”.
Contemplatio
Pensavo fosse mia e mia soltanto quella spada
e che non fosse gravida di sangue,
che già s’era sanata la ferita inferta dal messaggero di fuoco
– e fu di fuoco il colpo nell’anima e nel corpo –
all’annuncio del figlio che ora portavo in braccio
e volentieri offrivo per adempiere legge mai compresa
e forse intesa in un sacro timore.
Una spada, pensavo, come parola alta e sottilissima di vento
che ti svuota il cuore e lo fa puro riempiendolo di Dio,
ausilio al generarlo. A generare Dio?
Così non chiesi nulla al profeta inatteso: nei suoi occhi
si rifletteva il canto che poi sgorga nel pianto, pensavo,
di commozione, al sorriso del bimbo … Mio? Di Dio?
Perché contraddizione? Perché quella parola come segno
di un segno, di un disegno che lui, mio figlio, sarebbe stato?
Il mistero e la spada sono un tutt’uno nel farsi della vita,
dato che seppi della stessa ferita inferta ad ogni madre
non da alito santo ma da umana follia.
No, non è solo mia la spada del dolore
ed ho tante sorelle su questa terra santa, benedetta da Dio
e calpestata
senza pudore
da guerrieri crudeli e sanguinari che hanno pietra nel cuore.
Sorelle di Gerusalemme, di Betlemme, di Haifa, di Gaza,
abbraccio in voi il mio stesso dolore,
che credevo mio solo,
rara perla dell’anima.
Sono le nostre lacrime un torrente che estingue il fuoco distruttore?
Voglia il Signore! 
Organo: Corale, Wenn wir in höchsten Nöten sein 
Secondo dolore – Maria e Giuseppe fuggono in Egitto per salvare Gesù (Mt 2, 13–15)
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
Contemplatio
Tutto sembrava un sogno: quelle strane figure d’uomini in cerca di stelle
e i doni che lasciarono senza parole in quella stalla di rifugiati,
simboli incomprensibili di un destino che non capivamo!
E poi di nuovo il sogno, dentro il sogno,
e l’angelo del Santo a dire morte e fuga
e notte senza fine anche oltre il confine irto di spine senza un perché!
Perché questo bambino è senza patria e senza luogo ove posare il capo?
Che male può recare ai potenti del mondo un bimbo inerme
da provocare l’insana rabbia dell’omicidio ora, e prima, e sempre?
Partimmo come Abramo, avvolti nel manto della sua stessa fede
            – e quale alternativa ormai ci restava che il camminare –
senza sapere dove andare…
Non c’è stato mai luogo per narrare del viaggio e dell’esilio
e del campo di profughi dal terrore, sotto tende di compatimento,
dove lo stento era l’unico cibo per crescere il bambino
tra il fango ripestato dell’umana miseria
e l’inedia del non senso che ci chiudeva i sensi della vita.
Lì ci raggiunse l’urlo di Rachele che piangeva i suoi figli
trucidati al posto del mio, quasi ognuno fosse il mio,
quasi non fossero tutti figli di Dio.
E tu Betlemme di Giuda, cambia il tuo nome,
che l’hai tradito e non sei più casa del pane:
il sangue ed il dolore ti hanno battezzata vergogna e disonore,
luogo dove il livore imbratta quella stella che fu il vanto di Davide.
Solo il bambino rimase quieto oltre il dicibile, forse sognava
il suo domani, il suo destino, il suo calarsi eterno,
il suo attendarsi in ogni accampamento dove il diritto umano
è gettato nel fango dell’umana follia che ancora ordina stragi
di bambini innocenti. 
Organo: Corale, Nun komm, der Heiden Heiland
Terzo dolore – Maria smarrisce e ritrova Gesù nel tempio (Lc 2, 41–50)
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Contemplatio
Sì, se è questo che hai voluto, non dovevi
venire fuori dal corpo di una donna per poi
mutare, con fredda decisione, il caldo affetto in dovere divino:
i Salvatori si devono cavare dalla roccia dove
durezza erompe da durezza senza tenere il cuore
quale inutile ingombro alla salvezza.
Di te, sempre, patire la mancanza quasi che queste braccia
abbastanza non t’abbiano cullato; ed eri nato
            – dovevo pur tenerlo in conto –
dalla spada che squassa le giunture dell’anima in profondo;
e sembra contraddire tale acciaio il giudizio d’amore, che ora so,
risiede in privazione dell’amore di me, che sono Madre
d’un Figlio ch’è di tutti e di tutti è padre, anche di me.
Anche questo rompesti nell’irrompere tuo nel tempo pieno:
l’illusione dell’umano possesso sugli umani, a partire
da quelli della stessa carne, che non salva, dicesti.
E questo non compresi, lo confesso, senza il dolore
che non fu di parto ma d’abbandono.
Solo allo sguardo amante e silenzioso lasciasti agio
per posarsi, timida luce amorosa sulla tua accecante
che brucia come eterno roveto che consuma non consumato.
Delle cose del Padre tuo potevo immaginare dedizione
che esclude ogni materno affanno, ogni apprensione?
E poi dicesti di non avere Madre ed ero solo donna al dire tuo,
fino alla croce. Fu la tua voce spada acuminata più d’ogni altra
nel mentre brancolavo nell’oscura notte ch’eri per me.
Come vederti luce nell’ombra spaventosa della morte del cuore
che tra i dottori del tempio, già, lambiva il tuo bel viso?
Solo il fanciullo sorriso era ricordo vago che leniva la pena. 
Organo: Corale, Liebster Jesu, wir sind hier 
Quarto dolore – Maria incontra Gesù sulla via del calvario (Lc 23, 27–31)
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?”. 
Contemplatio
Aveva lo stesso gelido accento del vento tagliente di Parasceve
il lugubre lamento delle donne mentre salivi alla tua elevazione
                        – eh sì, lo avevi detto di attirare tutto a quell’altezza d’uomo e di Dio,
                        fino a che punto poi non sapevamo, né si pensava tanto –
scala d’amore senza comprensione del movimento inverso al tuo venire
quando nel ventre mio crebbe la tua bellezza, quella più mia.
Ora sembra svanita, imbrattata dal sangue del tuo volto simile a quello
d’uomo senza nome che più non riconosco, tanto è sformato
                        – figlio dell’uomo tu l’hai preferito ad ogni titolo regale
                        l’essere uguale ad ogni figlio d’uomo d’ogni colore
e d’ogni sofferenza dell’umana natura cui usare… con–passione –
e tanto stento a rivedervi il figlio che di carne e sangue ho rivestito. E’ l’uomo
senza volto, ora, il figlio mio, ovunque maltrattato e martoriato. Solo la voce
veramente tua mi cresce dentro, si sporge come un grido di dolore dal mio labbro
                        – non su di me piangete figlie di Gerusalemme, le lacrime serbate
                        per tutti i vostri figli uccisi ancora, allora, come gli innocenti, dalle lame feroci
                        che i potenti forgiano nell’intimo di templi madidi di rapina –
o donne che non avete partorito, quale benedizione è la vostra senza prezzo
che il ventre fecondato da Dio rivela ora il suo volto sfigurato?
                        – Dio sfigurato nel suo stesso amore, nella sua verità luce del Figlio
                        che splende mentre il buio invano cerca rivalsa: colline e monti su di voi
                        cadranno. Per la vostra rovina è questa luce! –
E tu non piangi Agar per tuo figlio Ismaele? Vedo copiose lacrime, rosse
del sangue suo sgorgare dagli occhi delle madri e calde si riversano
sui figli crivellati di proiettili d’odio, e con il loro sangue si con–fondono.
Vieni, saliamo insieme, questo inumano Golgota amaro
                        – due dolori si fondano, due madri si confortino, due sorti si abbraccino –
il legno secco brucia come l’incenso a Dio, e nello stesso fuoco s’è consumato il verde
come profumo da lui preferito. Gerusalemme, stanotte, è senza canti. 
Organo: Corale, Erbarm’ dich mein, O Herre Gott  
Quinto dolore – Maria sta presso la croce di Gesù (Gv 19, 25–27)
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Contemplatio
E di me scrissero che “stavo”, senza il verbo d’una lacrima
                        – prosciugato ormai al suo fondo il pozzo di Giacobbe –
e l’unica acqua era sgorgata dal costato del Figlio, trafitto come il mio;
e di porpora il sangue lo vestiva in ammanto regale,
aspergendo la mia vita prostrata nella polvere, ai suoi piedi.
Ero come il tamerisco nella steppa e dall’albero spoglio il frutto maturava
di redenzione. Come gustarlo dentro lo stordimento dei sensi
e della mente che vagava nel giardino dell’Eden che strappato
l’aveva l’insensatezza umana? Già scivolava il giorno
verso il grande riposo del culto rituale e il Santo riposava
nel corpo del suo Cristo per lo Shabbat pasquale.
Alitava il silenzio del principio sopra il giardino nuovo con l’albero innalzato
piantato dall’Amore, nel suo pieno fulgore che nessuno vedeva
–         ognuno ad imbandire la sua Pasqua se n’era andato,
                        in fretta, per timore della notte che incombeva –
e nessuno s’accorse che l’Agnello del banchetto era lì, appeso e…
nuovo rito l’aveva preparato: sacerdozio, sinedrio, potere dell’impero
l’avevano scannato … nuova espiazione… fu, caricato di colpe d’altri …
                        – Dio s’era fatto, Re di un regno nuovo e “nemico di Cesare”
                        all’unisono gridava il popolo indignato: “crucifige” –
nuova Pasqua per celebrare il riscatto dei poveri,
 buona notizia agli ultimi crocifissi dei popoli, vittime dei potenti
e Lui come l’Agnello in cerca del suo gregge da condurre ai pascoli
di giustizia e di vita, il gregge grande degli ultimi per farli primi.
Ma io non ho più voce per gridare: guardate voi la pace trucidata,
i bimbi sotto travi squassate d’ospedale,
guardate, hanno il volto di mio figlio che pace disse e fece con la vita
e il Regno di giustizia ha inaugurato con questa croce
 che non è monile, ma spada che trafigge mente e cuore. 
Organo: Corale, Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ 
Sesto dolore – Maria riceve tra le braccia Gesù deposto dalla croce (Mc 15, 42–46)
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. 
Contemplatio
Ora il mio dolore è compiuto e senza forze, lo svuotamento
non si può nominare: nessun annuncio più può fecondarmi,
né riempirmi di Dio, né partorirti più, solo cullarti
per un batter di ciglia, né momenti ci restano
prima che fasce nuove avvolgano il tuo corpo per il riposo.
Potessi ancora tessere, di nuovo, con rinata speranza
la veste pura senza cuciture … non di bisso, di lino, di lana
ma di carne come mi fu concesso per aver creduto
che Dio abbatte dai loro troni i potenti  e sazia
chi ha fame e sete della sua giustizia! Quella tua veste ho tessuto
col filato divino dello Spirito, per darti forma nuova di umanità divina,
ciò che sei stato fuori d’ogni limite della stessa natura.
Ora giaci traverso sul mio grembo e dormi quieto, ed io lo credo,
che della tua vita amante nulla è perduto! che del tuo folle amore ci rimanga
fonte e misura per cucire, almeno, vesti nostre di grazia.
Questo corpo svenato e senza vita è quello stesso dei tuoi fratelli:
 il loro corpo sia sempre più tuo ora ch’è offerto al nome di tuo Padre:
 le stesse impronte, nelle mani piagate, nei piedi trapassati,
 nel costato trafitto e generante … guarda o Dio,
sei tu il primo a toccarle queste membra del Servo sfigurato,
guarda attraverso queste ferite e vedi il grido dei tuoi figli
che da ogni dove invocano il tuo nome e sentirai innumerevoli voci
e in esse udrai quella di Lui: per te, tutto è compiuto.
                        – Sì, vedi le mie mani e i miei piedi, immergi la tua mano
                        nel mio costato e vedi fin dove tu li ami, fin dove io ti ho amato –
Figlio mio unico, quanti fratelli mi lasci segnati dalle tue stesse ferite?
Ma non più tesserò vesti divine, che la tua
 tutti riveste e ammanta dell’immutato amore.
                        – Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre – 
Organo: Corale, O Mensch, bewein dein Sünde groß 
Settimo dolore – Maria affida alla sepoltura il corpo di Gesù (Mt 27, 59–61)
Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.
Contemplatio
Sorelle mie, Marie, avviamoci in fretta, che questa Parasceve che finisce
non ci consente di irrorare la pietra con ciò che resta del pianto,
né riti compiere, che quello pasquale per noi già si è compiuto
ed ebbe per tavola una lastra tombale. Nessun Hallèl stanotte canteremo
e nessun lume schiarirà le tenebre del Passaggio dei padri.
Andiamo al riposo che il Santo ci propone, benedetto il suo nome,
lui che dispone il vivere e il morire. Gesù è entrato nel suo grande riposo
e noi siamo private della gioia del suo volto. Quando vedrò il tuo volto?
Forse nel sogno vedrò il volto di Dio? È stato cancellato
il suo disegno sul mondo? Apparirà forse fra le rovine, fra le pietre divelte
del tempio della sua gloria dove il velo scisso ha rivelato il vuoto?
Avviamoci in fretta, scendiamo alla città della guerra: Gerusalemme
ha scordato il senso del suo nome.
                        – E Lui scese con loro ed andò più oltre, più in fondo d’ogni fondo immaginato,
nella kènosi estrema. Anche il riposo infranse, legge intangibile,
                        dogma di una fede esteriore paga di lumi e cibi. Operò differente!
                        Nessun occhio vide il suo viaggio nel cuore dell’afflizione,
                        negli inferi di Adamo, portando il Vangelo della gloria
                        nelle regioni in cui non si parla d’amore: sono vostro fratello,
                        disse, come Giuseppe, ai prigionieri della colpa antica. Operò sanamente!
                        E li prese per mano e li condusse allo sguardo supremo del Padre
che in Lui si riconpiacque –
Potremo ancora cantare: rallegrati Gerusalemme, raccogli i tuoi figli nelle tue mura?
 Non siamo noi, ora, fuori d’Israele?  Non siamo con Lui anàtema per sempre?
Non gli è stata forse serbata la sorte dei profeti che amarono, del culto, spirito e verità?
                        – E lui prendeva intanto le ali dell’aurora, mentre dal cielo Satana
                        cadeva come astro e le città di Giuda giacevano immerse ancora nella notte –
Ti rivedrò, lo so, nella gloria dell’Altissimo, perché della sua gloria splendeva il tuo volto!
L’ho detto e lo ripeto: sono la sua ancella, Lui ha spezzato le mie catene con le tue. 
Organo: Corale, Herzlich tut mich verlangen 
Preghiera per la Palestina
Clemente e misericordioso Dio, noi ti preghiamo, per il tuo servo Gesù, il Messia e figlio di Maria:
Tu che hai fatto di Lui Parola e Spirito e lo hai mandato nel mondo ad annunciare ai poveri
 la buona notizia della vita vera, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia, a portare la pace
 in ogni luogo della terra e l’armonia tra i popoli;
Tu che a Lui hai dato il compito di gridare la Tua giustizia, perché la Tua verità possa germogliare
sopra la terra e i puri di cuore ti possano vedere, ascolta la nostra umile invocazione.
Non c’è più pace nel mondo e nessuno osserva più la tua legge che non è lettera ma spirito e vita.
Noi ti preghiamo: volgi il tuo sguardo su quanti vagano nelle tenebre e nell’ombra della morte;
guarda alla terra del tuo Servo Gesù: il luogo dove egli predicò la pace e visse nella pace del tuo nome
è divenuto campo di battaglia.  Nessuno più comprende l’altro e i più forti calpestano i più deboli;
 nessuno ha più pietà dell’altro e la violenza gronda sangue e morte.
Bambini, donne, anziani ed uomini innocenti non sanno più gridare né piangere invocando il tuo nome.
Guarda alla Palestina, la terra di Gesù, il figlio di Maria. Per la fedeltà di questa donna
che tanto ha sofferto per amore del figlio, guarda alle madri i cui figli sono morti
a causa dell’odio dei potenti, della violenza delle politiche umane, e della nostra stessa indifferenza.
Nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini, fa che siano deposte le armi dell’odio e della vendetta
 per imbracciare la preghiera e la carità; fa che siano superate le antipatie, le invidie e le lotte
tra i figli di Abramo che nel tempo sono diventate croniche ed hanno prodotto questo disastro.
Sappiamo che la pace nel mondo dipende anche da noi e per questo ti preghiamo:
fa che possiamo essere veri “operatori di pace”, seguendo l’insegnamento e l’esempio di Gesù e
che impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce; e il lievito della compassione perché tutti gli uomini possano sentirsi tuoi figli e fratelli.
Amen!
Organo, brano finale: Corale, Christ lag in todesbanden
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
Note
[1] Cf. L. Di Simone, Generare Dio. Per una fenomenologia del culto mariano, in «Dialoghi Mediterranei» n. 53, gennaio 2022.
[2] Devo ringraziare il Maestro ed amico Leonardo Nicotra che ha ideato la rappresentazione della Via Matris a partire dalle musiche di J. S. Bach che ha poi eseguite all’organo della Basilica Cattedrale di Mazara del Vallo la sera del 26 marzo 2024. I miei testi sono stati declamati da due “voci recitanti”: Giovanna Busterna e Corrado Tumminello. L’evento è stato promosso dal “Centro Operatori di pace” della Diocesi di Mazara del Vallo e dalla Scuola Diocesana di Musica Liturgica.
[3] T. Merton, Emblemi di un’età di violenza, Garzanti, Milano 1971:155.
[4] I brani di J.S. Bach nei diversi momenti: Apertura: fuga in si minore BWV 579, su tema di Corelli; I dolore: Maria ascolta nel Tempio la profezia di Simeone; Corale: WENN WIR IN HOCHSTEIN NO TEN SEIN; (Quando siamo nelle necessita estreme); II dolore: Maria fugge con Giuseppe in Egitto per salvare Gesù; Corale: NUN KOMM DER HEIDEN HEILAND (Ora vieni, Salvatore delle genti);  III dolore: Maria smarrisce e ritrova Gesù nel Tempio;  Corale: LIBSTER JESU WIR SIND HIER (Amatissimo Gesù, noi siamo qui); IV dolore: Maria incontra Gesù sulla via del Calvario; Corale: ERBARM’ DICH MEIN, O HERRE GOTT (Abbi pieta di me, mio Dio); V dolore: Maria sta presso la Croce di Gesù; Corale: ICH RUF ZU DIR, HERRE JESU CHRIST (Io ti invoco, Signore Gesù Cristo)VI dolore: Maria riceve tra le braccia Gesù deposto dalla Croce; Corale: O MENSCH, BEWEIN DEIN SUNDE GROSS (O uomo piangi il tuo grave peccato); VII dolore: Maria affida alia sepoltura il corpo di Gesù in attesa della risurrezione; Corale: HERZLICH TUT MICH VERLANGE (Desidero di cuore una fine beata); Finale: Corale: CHRIST LAG IN TODESBANDEN (Cristo giaceva nelle bende delle morte).

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Leo Di Simone, teologo, scrittore, liturgista, esperto di musica liturgica e di arte sacra, ha insegnato Antropologia culturale e Liturgia presso la Facoltà Teologica di Sicilia (Palermo), l’Istituto di Scienze Religiose di Mazara del Vallo e l’Istituto Teologico di Scutari (Albania). È presbitero della Diocesi di Mazara del Vallo, docente e Direttore della Scuola Diocesana di Teologia e della Biblioteca diocesana. Nella stessa Diocesi coordina il progetto “Operatori di pace” e dirige l’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso. Attualmente è anche Referente diocesano per il Sinodo. Tra le sue pubblicazioni, si segnalano i seguenti volumi, editi da Feeria (Panzano in Chianti – Firenze): Liturgia secondo Gesù. Originalità e specificità del culto cristiano. Per il ritorno a una liturgia più evangelica (2003); Vexilla Regis. La croce dipinta di Mazara del Vallo. Icona pasquale della liturgia (2004); Beato Angelico. L’estetica del Verbo incarnato (2004); Le rotte dei Misteri. La cultura mediterranea da Dioniso al Crocifisso (2008); Liturgia medievale per la Chiesa postmoderna? La questione del “rito antico” nel racconto del “rito romano” (2013). Ha curato, per i tipi de Il Colombre, il volume Trasfigurazione. La Basilica Cattedrale di Mazara del Vallo. Culto Arte e Storia (2006). L’ultimo suo volume è un saggio biografico su Thomas Merton: Il romanzo di Thomas Merton. Un umanista cristiano nell’era postcristiana, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani (2018). Nel campo dell’innografia liturgica ha pubblicato con le Edizioni Paoline due volumi di inni: O fonte della luce; O Cristo splendore del Padre.

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