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Uomini che vengono dal mare. L’acqua smitizza la scultura

per Consagra

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Mazara, agosto 1964, Consagra e le maestranze davanti alla Fontana

di Pietro Consagra [*]

Da tempo desideravo dare una scultura a Mazara del Vallo. Ma dove metterla?

Una fontana per il mio paese sarebbe stato il modo più adeguato di dare una scultura. Prendere una mia scultura così com’è da studio e portarla a Mazara, così com’è una mia scultura e così com’è la gente, anche delle città, ancora sospettosa verso l’arte moderna sarebbe stato rischiare la fiducia dei miei paesani.  O una fontana o niente tra me e Mazara del Vallo.

L’acqua smitizza la scultura. Una cosa che butta acqua, voglio dire qualunque cosa per fontana, suscita minore diffidenza della stessa cosa che non butta acqua. Se viene fuori acqua da una scultura si ritirano dalla gente le suscettibilità culturali, le pretese estetiche, perché sembra che ci si trovi di fronte a qualcosa che non vuole assumere impegni. L’acqua disarma, questo è il senso comune.

Ma se dessero da fare a me un monumento a Garibaldi lo farei che butta acqua da tutte le parti e non avrei paura né della smitizzazione del personaggio né della scultura in se stessa, anzi l’acqua l’adopererei in modo che la figura ne risultasse emozionante come nella fontana di Mazara. Ora mi sono reso conto che l’acqua può essere legata in modo tale con la scultura da rovesciare il senso comune che vuole quel rapporto solo a scopo decorativo.

La grande libertà acquisita nella scultura moderna mi permetteva lo sviluppo di un nuovo tipo di espressione adoperando le possibilità dinamiche dell’acqua nel rapporto diretto, con svariati modi di uscita e di incontri, che potevo realizzare con il bronzo saldato a piastre. Una scultura perciò di bronzo ed acqua, fuori completamente dall’area del decorativo, era possibile.

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Mazara, la Fontana, 1964 (ph. Ugo Mulas)

In una fontana tradizionale il rapporto tra scultura e acqua era regolato con un adattamento plastico di tipo decorativo per adeguarsi al senso di paesaggio leggiadro in miniatura che l’acqua impone se funge da stagno, fiume, cascata, pioggia, ecc. come in un presepe, vedi Fontana di Trevi o le fontane di piazza Navona. Oppure l’acqua è fatta uscire direttamente dalle figure imponendo orifizi grotteschi. Naturalmente nelle epoche passate è stato fatto il migliore uso possibile di quel rapporto acqua-scultura. Voglio dire che ho realizzato un nuovo tipo di fontana solo perché nella scultura moderna è stato possibile fare intervenire nuove tecniche costruttive e nuovi orizzonti formali.

In ogni caso l’acqua creava un rapporto più sopportabile tra la mia scultura e un’opinione tradizionalista dell’arte che ancora non abbandona per le strade del mondo e la fontana perciò è stata accolta e ha fatto buona impressione e se ne parlava in giro con soddisfazione. Certo senza sospettare minimamente le mie paure e la trafila di complessi e di calcoli nell’adagiarmi a quel senso comune che l’acqua smitizza la scultura e al rovesciamento che mi succedeva nel realizzare l’opera qui in studio provando e riprovando progetti e cambiando modi e modi dell’intervento dell’acqua e i vari sensi che si sovrappongono in questa nuova scultura che man mano veniva fuori proprio nel colloquio sempre più interdipendente delle due materie adoperate. Bronzo e acqua: un elemento statico e l’altro dinamico, accorgimenti nuovi da adottare per modulare le uscite, dall’espandere allo sbattere, dal gaio al drammatico, dall’estroverso all’introverso. Un nuovo linguaggio espressivo, eloquente, come gestire o parlare.

Quando mi recai a Mazara per scegliere il posto con gli amici e con i rappresentanti del Comune fu stabilito il punto più bello: il margine della piazza Mokarta prospiciente il mare. La fontana si sarebbe proiettata tutta nel mare aperto. A poter fare una scultura sul limitare tra terra e mare invade un’emozione imprevista, qualcosa di remoto. E sarà anche per il ritrovarsi nel paese dove si è nati: certo che dentro ci si scioglie e si ha voglia di ritornare tanto indietro a non finire mai.

La separazione tra mare e terra diventa il confine conturbante tra materia e tempo, il movimento e la trasformazione delle cose, la tenacia del vivo, la disponibilità e il divertimento del vivere. Ho immaginato come da un anello di Darwin quattro personaggi usciti dalle acque che provano a stare sulla terra. Insicuri e affascinati dalla nuova condizione di esistenza.

Quattro comportamenti diversi come reazione proiettata dalla nostra apprensione al seguito dell’avventura degli astronauti che stanno provando ancora una volta la sortita dal proprio elemento, adesso, per lasciare il pianeta e vivere nella sospensione dello spazio.

Questa è la letteratura con cui è nata e si è realizzata la fontana di Mazara e di questi motivi scrivevo agli amici da Roma che mi chiedevano notizie ed il soggetto dell’opera, mentre saldavo le strutture del bronzo o mi bagnavo come un pulcino. L’acqua era diventata la materia più esaltante, nel suo scivolare sul bronzo, nel suo travasarsi, nell’incanalarsi, nel gorgogliare, nello schizzare dritta e spruzzarsi in modi diversi, isterica, dolce, impetuosa, dagli spacchi, dagli ugelli a vista o a tradimento, dai canali per tubi interni da montare e smontare in un lavoro lungo, affascinante e nuovo.

Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
 [*] Testo apparso per la prima volta nel 1965 sul n. 48 della rivista Sicilia, edita da Flaccovio, ristampato in Mazara 800-900. Ragionamenti intorno all’identità di una città, a cura di A. Cusumano, R. Lentini, Mazzotta 2002, Sigma 2° ed. 2004: 327-27.
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Pietro Consagra (Mazara del Vallo 1920-Milano 2005), scultore universalmente noto per l’originalità delle sue realizzazioni. Ha studiato all’Accademia di Palermo, quindi a Roma (dal 1944) con Renato Guttuso, orientandosi poi ben presto verso l’astrattismo (nel 1947 è stato tra i fondatori del gruppo Forma 1). Nelle sue opere in bronzo, ottone, ferro, legno, predilige lo svolgimento nelle due dimensioni, conferendo all’oggetto scolpito, solcato da graffiti, tagli, elementi in rilievo, un significato drammatico di limite dialetticamente opposto allo spazio in profondità che si sviluppa al di là di esso. Il suo interesse per problematiche architettoniche e urbanistiche si è concretizzato nella proposta utopica delle Città frontali (1969) e nelle realizzazioni a Gibellina (1976-81, tra cui la grande stella in acciaio detta Porta del Belice. Autore di La necessità della scultura (1952), vincitore del Gran Premio alla Biennale di Venezia del 1960,  si è dedicato anche a pittura e grafica. Nel 1980 ha pubblicato l’autobiografia Vita mia. Tra le ultime sculture monumentali si ricorda nel 1998 quella posta in largo S. Susanna a Roma. Nel 2000 nella Galerie der Stadt a Stoccarda è stata dedicata una sala all’artista [ da Treccani Enciclopedia].

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