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Un ricordo del Salinas rivela i luoghi di una Borgata

Antonino Salinas

Antonino Salinas

di Laura Leto

Indagando sul terreno sul quale insiste l’attuale Cimitero acattolico dell’Acquasanta, detto “degli Inglesi”, mi sono imbattuta nel “ricordo” di Antonino Salinas di una lamina di piombo trovata presso il terreno antistante l’originario Lazzaretto. Il reperto, in bronzo, presenta una iscrizione distribuita su otto righe per tutta la sua estensione, misura 1 mm di spessore, 26 cm di larghezza e 24,5 cm di lunghezza. Si presentava già mutila dell’angolo superiore sinistro e fratturata in tre parti a causa dell’ossidazione.

Come scrive Salinas: «chi incise le lettere aveva ancora la mano usa delle belle forme lapidarie del cinquecento, ma […] si vede quella fretta nell’incidere, che dà alle lettere quella tale inclinazione». Di seguito se ne riporta interamente la trascrizione:

(HIERONY)MUS PLATA
(MONIUS) E SOCIETATE JESU
PANORMI NOBILI FAMILIA
ORTUS, DUM PESTIFERA LUE
INFECTIS MINISTRARET, CADEM
TABE CORREPTUS, OBDORMIVIT,
IL DOMINO IV KALENDAS FEBRUARIAS
ANNO CHRISTI MDCXXVI

Il reperto è dedicato al religioso Girolamo Platamone della Compagnia di Gesù. Egli nacque a Palermo da una nobile famiglia, il padre si augurava che proseguisse gli studi di legge, ma la sua indole lo spinse a recarsi nelle Indie, anche se vi rimase per poco tempo dal momento che si ammalò. Nella maturità divenne sacerdote e al tempo della peste, un predicatore affermato. Chiese la licenza per poter assistere gli appestati al Lazzaretto, consapevole che la sua «ardente Carità» lo avrebbe condannato a morte e così avvenne nel 1626 (Capistrano 1808: 77; Aguilera 1860: 205).

È difficile identificare di quale Lazzaretto si trattasse dal momento che ne esistevano diversi, allestiti in tutta fretta per far fronte all’emergenza. Il primo tentativo si fece con il Lazzaretto di contagio allestito dove sorgeva la Chiesa del monastero di S. Spirito, presso il fiume Oreto. Per la peste del 1575 venne predisposto alla Cuba, originario Palazzo dei Borgognoni, a Mezzo Monreale e successivamente, per pochi giorni, presso l’Ospedale di San Giovanni dei Lebbrosi.

Palermo Nuovo stradale sul Monte Pellegrino e veduta della Città - 1925

Palermo, Nuovo stradale sul Monte Pellegrino e veduta della Città, 1925 (gentile concessione Fratelli Marchese)

Nello stesso anno si tentò di convertire il borgo di Santa Lucia in campo sanitario che si estendeva sino alla dimora del Duca di Bivona, nell’odierna Piazza Croci, ma gli abitanti del borgo nel tempo se ne riappropriarono, unitamente al fatto che gli edifici adattati a tale funzione, come il Convento della Consolazione e i magazzini del Puntone al Molo, non erano adeguati allo scopo (De Seta, Di Mauro 1998: 78). Era necessario realizzare un edificio che non solo si adoperasse per l’osservazione della pestilenza, ma che avesse tutti i requisiti per il controllo del fenomeno e la cura di coloro che ne fossero stati affetti.

Planimetria del Lazzaretto e del Fondo Gallo e Berna con l'area cimiteriale del 1626 - Da "Un ricordo della peste di Palermo del 1626" di A. Salinas

Planimetria del Lazzaretto e del Fondo Gallo e Berna con l’area cimiteriale del 1626 – Da “Un ricordo della peste di Palermo del 1626″ di A. Salinas

Dalla planimetria illustrata dal Nostro è evidente che l’area delle sepolture dovesse essere originariamente contigua alla struttura del Lazzaretto. Probabilmente soltanto col taglio della via Acquasanta le sezioni vennero separate. 

Nel 1624 – anno di grande rilevanza per la storia di Palermo – su richiesta del viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia [1] il noto Anthony Van Dyck (1599-1641) da Genova, approdò in Città e poco dopo l’arrivo del pittore fiammingo, scoppiò la peste che abbatté gran parte della popolazione. Gli spostamenti erano vietati e Van Dyck continuò a produrre i suoi capolavori, ritraendo mercanti, colleghi e amici. Nello stesso anno vennero rinvenute presso una grotta sul Monte Pellegrino delle ossa che furono attribuite dal Cardinale Doria, arcivescovo di Palermo, all’eremita Rosalia ivi vissuta nel XII secolo. Si decise di portare le ossa in processione per le strade, conservate in un magnifico reliquiario. Il miracolo fu compiuto e la Santa liberò Palermo.

Santa_Rosalia_-_Van_Dyck

Santa Rosalia, Van Dyck, 1624, Galleria Regionale Abatellis, Palermo

A tali argomenti è dedicato il secondo capitolo della Storia del Regno di Sicilia di Giovanni Di Blasi che illustra la condotta del luogotenente del Regno Giannettino Doria, arcivescovo della Città. Morto il Sovrano, il Religioso non voleva occuparsi degli affari del Regno, ma dedicarsi a pieno alla popolazione sofferente. Dovette accettare comunque l’incarico di luogotenente in attesa che venisse eletto il nuovo viceré. L’epidemia non cessava e si ricorse al soprannaturale, organizzando processioni con le Sante patrone Ninfa e Cristina, la Vergine Maria e il Crocifisso, ma come è possibile intuire – oggi più che mai – gli assembramenti non fecero che aumentare il pericolo. La situazione raggiunse il culmine il 14 luglio col ritrovamento delle ossa di Santa Rosalia.

Van Dyck rimase colpito dalla devozione del popolo alla Santuzza e le rese omaggio con una serie di dipinti che ne determinarono in modo indelebile l’iconografia. Uno di questi si trova oggi presso la Galleria Regionale del Palazzo Abatellis di Palermo. Anche quando sembrava che la peste fosse cessata Doria arruolò i migliori medici per far sì che non si ripresentasse. Nonostante le sue premure morì il 28 marzo del 1627 a causa del medesimo morbo che ebbe il merito di combattere.

Nello stesso anno Filippo IV elesse viceré Francesco Fernandez De la Cueva, duca di Alburquerque che sbarcò il 15 novembre al molo, accolto dal Doria. Si dedicò subito con devozione, come riferisce Di Blasi, all’amministrazione di Palermo e alla realizzazione di opere pubbliche come lo stradone di Monreale al quale si aggiungono:

«Fra le fabbriche utili, ch’egli procurò, una fu la porta della doganella presso il molo piccolo, ch’è detto la Cala, per cui rendeasi agevole il passaggio di tutte le mercanzie in città, e poi trasportarsi nella dogana grande. Utile opera fu ancora l’edifizio del lazzaretto, ch’è al di là del molo, e presso il luogo detto l’Acqua Santa, appunto per comodo di coloro, che vengono da’ porti sospetti, e far devono la contumacia. La fabbrica anche dei magazzini di frumento vicino al molo, e presso alla chiesa della Consolazione per farsene il caricatore del senato, il compimento dato all’arsenale delle galee, cominciato nel tempo» (Di Blasi 1847: 142-143).
Planimetria Fincantieri

Planimetria del Cantiere navale e bacino, scala 1:200, Palermo 24.12.1930, Fincantieri

Sebbene il Lazzaretto fondato nel 1628 dal duca di Alburquerque presso la borgata dell’Acquasanta non fosse degno di essere considerato tale, nel 1883 sarà dotato di tutti le caratteristiche che lo qualificheranno – in maniera del tutto giustificata – Lazzaretto della città di Palermo. Come scrive Salinas – «Di Lazzaretti son ricordati parecchi; ma questo [all’Acquasanta] durò sino ai giorni nostri, quando è stato trasformato in Regia Manifattura Tabacchi […]. L’epigrafe del p. Platamone prova ora come quelle adiacenze fossero adoperate come cimitero di appestati sin dal 1626» (Salinas 1906: 10). Il contributo dell’Archeologo palermitano consente di determinare la presenza di un’area cimiteriale che «pel ricordo di tante virtù e di tanti eroismi [di coloro che prestarono assistenza agli appestati], può esser cagione di conforto e di soddisfazione all’amor proprio nostro di cittadini e di uomini» (Catalano, Lazzara 2018: 23).

Il 13 maggio del 1905, in occasione degli scavi effettuati dalla Società Anonima Cantieri Navali Riuniti che aveva acquistato parte dell’area antistante il Cimitero – vennero scoperti degli scheletri, nello specifico all’interno del fondo Gallo e Berna, i quali inizialmente hanno fatto pensare ad un collegamento col reperto. Ho avuto modo di consultare l’atto di vendita del 14 febbraio 1899, conservato presso l’archivio di Fincantieri, con le relative note di trascrizione, ma anche nella documentazione a corredo degli atti non vi era notizia delle perizie topografiche e anatomiche, effettuate nel maggio del 1905 dal Procuratore giudiziario e la cosa non mi sorprende affatto.

Un ricordo della peste di Palermo del 1626, pag.

Lamina a piombo 1926, da Un ricordo della peste di Palermo del 1626, di Salinas

In questi documenti Salinas riferisce che gli scheletri fossero disposti in coppia in maniera ravvicinata e che ognuno fosse distante circa tre metri, ad eccezione di uno scheletro collocato a venti metri di distanza e di alcuni resti di un bambino dell’età di tre anni. Su di essi vi era uno strato di calce, non necessariamente posto per questioni igienico-sanitarie. Il perito dichiarò che fossero stati sotterrati dai 15 ai 40 anni prima, dunque non potevano di certo risalire alla peste del 1621, ma dal 1865 in poi. Secondo le testimonianze locali dell’epoca, si è pensato a decessi a causa del colera del 1837 o del 1885 [2]. Nel bel mezzo dell’indagine, alcuni operai trovarono la lastra di piombo con iscrizione latina che venne consegnata al Museo Nazionale di Palermo, da parte dell’allora direttore dei Cantieri Navali, Cavaliere Giuseppe Torrente.

Dall’atto n° 13299 del Repertorio Compra-Vendita dell’anno 1899, ho potuto costatare che i proprietari del fondo omonimo in contrada Acquasanta erano i coniugi Domenico Gallo e Teresa Berna – sposata in seconde nozze a Palermo il 4 ottobre del 1835 [3] – i quali possedevano metà per ciascuno il vasto terreno che comprendeva una casa di campagna a due elevazioni e diversi corpi dislocati in varie zone della proprietà, soprattutto su quella che divenne la via Acquasanta, oggi via Comandante Simone Gulì [4].

«Nella parte di esso fondo che fronteggia lungo la via Acquasanta e precisamente presso la odierna Manifattura dei Tabacchi, furono costruite delle case terrane che portano i numeri civici 224, 226, 228, 230, 232, 234, 236, 238, mentre la casa esistente dentro il fondo venne a cura ed a spese della Signora Teresa Berna, abbellita ed accresciuta da formarne una casina come risulta dalla relazione del capo Mastro Salvatore Fontana».
Atto del 14 febbraio 1899

Atto del 14 febbraio 1899, Notaio Cammarata di Palermo, Faldone 5, fasc. 10 ,(Archivio Fincantieri)

Domenico Gallo morì il 20 marzo del 1889 e con testamento del 13 marzo del 1881 lasciò erede universale la moglie, disponendo che la collaboratrice domestica Giuseppa Mercurio ricevesse un catodio [5] all’Acquasanta e una rendita perpetua di 85 centesimi al giorno. Inoltre destinò al cognato Francesco Berna la perpetua rendita di una lira e ventisette centesimi al giorno. Tutti contenti tranne il primogenito, avuto dal precedente matrimonio, Giuseppe Gallo che inizialmente voleva impugnare il testamento, ma grazie all’intervento di amici di famiglia raggiunse un accordo con i fratelli Berna e la signora Mercurio. Con atto dell’8 agosto 1889, presso il notaio Lionti, Teresa Berna gli cedette una casina insistente in una parte del fondo e quattro catodii sulla via Acquasanta. Questi corpi, per lo più botteghe e magazzini, vennero ceduti a vario titolo nel corso degli anni, sino al 28 agosto del 1893, quando morì la signora Berna, la quale con testamento del 27 maggio 1892, presso il notaio Mirabelli Candura, lasciava i suoi beni al nipote Antonino Tetamo [6] e l’usufrutto alla madre di quest’ultimo Concetta Di Gregorio, sposata a Gaspare Tetamo dal 12 giugno del 1860 presso la Chiesa di S. Oliva di Palermo [7], la quale si sarebbe dovuta occupare di pagare le rendite vitalizie di cinque lire al giorno al fratello Francesco Berna e una lira al giorno a Giuseppa Mercurio [8].

Dalla vendita del fondo da parte della famiglia Tetamo-Di Gregorio – atto N° 1758/996 del 14 febbraio 1899, presso il notaio Francesco Cammarata, a favore della Società Anonima Cantieri Navali, Bacini e Stabilimenti Meccanici Siciliani, con sede a Palermo in via Borgo n. 55, con rappresentante Commendatore Francesco Benedetto Rognetta, in qualità di Amministratore Delegato – è stato interessante scoprire che il fondo confinasse a nord-ovest con i terreni del Marchese De Gregorio, allacciandosi probabilmente all’estensione del terreno che da Villa Belmonte giungeva sino al mare. In quest’area vennero ritrovate ceramiche, anfore, monete, punte di freccia e fondamenta di sistemi difensivi, esaminati dallo stesso Marchese Don Antonio de Gregorio Brunaccini Principe di San Teodoro [9] che hanno attestato la presenza di un insediamento abitativo e/o militare presso il feudo Barqah, dal generale cartaginese Amilcare Barca, padre del noto Annibale, che nel corso della prima guerra punica scelse le falde del monte Ercta come base per il suo accampamento militare per prendere il comando delle forze siciliane da schierare contro i Romani che nel 247 a.C. occupavano Palermo. L’area doveva apparire come luogo ideale, offriva un approdo, un complesso di grotte termali lungo la costa e un promontorio, condizione che – in aggiunta all’esposizione ai venti e alla distanza dal centro abitato – lo rese tale anche per il sorgere del Lazzaretto.

Il fondo Berna Gallo confinava, come scritto, a est con la “strada pubblica Acquasanta” e a sud con le “terre del Salinas”, ciò giustificherebbe la partecipazione piuttosto attiva alle indagini sul ritrovamento dei corpi, diversamente dal naturale interesse sviluppato verso il reperto, i quali ci è riferito siano stati traslati al Cimitero di Santa Maria dei Rotoli. Non mi risulta vi sia una epigrafe commemorativa, almeno per quanto riguarda la sezione acattolica, ma bisogna approfondire. In un anno la Società Cantieri Navali riuscì ad acquistare tutti gli altri ‘frammenti’ di terreno e catodii ceduti nel corso del tempo.

carta OMIRA 1935 casa con crocetta accanto

Atlante delle carte tecniche di Palermo  OMIRA , Acquasanta 1935

Dalla Pianta generale del Cantiere navale e Bacino, datata il 24 dicembre del 1930 è possibile individuare, in scala 1:2000 il fondo col terreno circostante che presenta alla lettera ‘H’ della leggenda un fabbricato con corpi adiacenti e altri due edifici, alla lettera ‘HI’, che si affacciano sulla via Acqua Santa, tutte già di proprietà dei Cantieri Navali. È inoltre visibile una linea tratteggiata che separa il “Giardino del Marchese De Gregorio”, segnato alla lettera ‘HII’, dalla “Ex Villa Berna Gallo”. Questa corrisponde ad un muro che sarebbe stato demolito per unificare i due fondi.

Dall’Atlante delle Carte Tecniche di Palermo OMIRA del 1935 è possibile scorgere ulteriori dettagli, viene tracciata una strada (possibilmente sterrata) che collegava una ipotetica guardiola al grande fabbricato, mettendolo in comunicazione con la via Acquasanta. Si scorge un piazzale di sosta davanti all’ipotetico ingresso del corpo principale e altri due ambienti distanziati, a nord. Il muro della planimetria precedente non era stato ancora abbattuto, ma il fondo de Gregorio si presenta differente.

Veduta aerea dell'area presa in esame con il campetto di calcio proprietà dei Cantieri Navali Riuniti di Palermo - Da Ing. Majone nel 2018

Veduta aerea dell’area presa in esame con il campetto di calcio proprietà dei Cantieri Navali Riuniti di Palermo – Da Ing. Majone nel 2018

Altre delucidazioni provengono dalle testimonianze da me raccolte tra gli abitanti della Borgata, ho avuto modo di riscontrare che sino agli anni ‘60 la zona era conosciuta come “giardino ‘ri Paparini”, dei papaveri, era un’area di campi coltivati. In corrispondenza con l’angolo tra le attuali via S. Gulì e via Giordano Calcedonio, realizzata alla fine degli anni ‘60, si innalzava un possente arco che immetteva in una strada privata, dove in fondo c’era una specie di masseria a due elevazioni e con la facciata rossa. Tutto intorno era terra battuta. Il campetto di calcio venne realizzato nel dopoguerra, ma le mie fonti ne accertano l’esistenza dal 1954 ca. In corrispondenza dell’arco vi era una guardiola che successivamente venne adibita a “ricovero” affiancato da un campo di bocce. L’arco venne probabilmente demolito intorno al 1957, quando l’intera area venne spianata e vi realizzarono un distributore di carburante. Nella “masseria”, a nord del campetto di calcio, abitavano due o tre famiglie ed era di proprietà di tal Nicola Alessandro, noto come Cola Alessantru [10].

Indagare la storia dell’originario Lazzaretto di Palermo, attuale Cimitero acattolico “degli Inglesi” ha permesso di evidenziare come la storia dello sviluppo a nord della città di Palermo, in particolare l’area di Monte Pellegrino e delle sue falde, abbia acquisito una forte connotazione ‘salubre’ e ‘sacra’ sin dal III sec. a.C. Tutto ciò è avvalorato dalle testimonianze che i suoi abitanti hanno lasciato nel corso dei secoli e più tardi dalla presenza di strutture sanitarie, cimiteriali e industriali, le quali ne hanno condizionato fortemente l’assetto urbanistico, modificandone conseguentemente la caratterizzazione culturale.

L’area deve ritornare ad essere – come lo era nel XIX secolo – uno spazio di relazione/scambio, non soltanto tra persone, ma anche tra culture differenti.  L’unica soluzione possibile alla riqualificazione della borgata Acquasanta è nel recupero della conoscenza dei suoi luoghi, indispensabile per la riappropriazione degli stessi da parte dei cittadini.

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021 
Note
[1] Il suo ritratto, un olio su tela, è considerato uno dei più riusciti e oggi è conservato presso la Dulwich Picture Gallery di Londra. Emanuele Filiberto viene immortalato con una meravigliosa armatura, conservata nella collezione dell’Armeria Reale di Madrid, nella quale emergono i dettagli in oro su fondo nero che riproducono in modo esemplare gli emblemi dei Savoia. L’abbigliamento del Viceré comunica la sua posizione di potere e raffinatezza. Si racconta che una mattina Emanuele Filiberto, entrando nella sala dove era situato il ritratto, lo trovó caduto per terra, considerandolo un pessimo presagio. Poche settimane dopo, effettivamente, si ammalò di peste e morì il 3 agosto del 1624. Emmanuel Philibert of Savoy, Prince of Oneglia, in www.dulwichpicturegallery.org.uk
[2] Si è vagliata anche l’ipotesi di delitti legati alla mafia.
[3] Cfr. Palermo, Matrimoni in Italia, 1820-1895 [database on-line]. Provo, UT, USA: Ancestry.com
[4] Il comandante Simone Gulì nacque presso la Borgata il 26 giugno 1865, da Vincenzo Gulì e Laura Monasteri. Il 26 dicembre del 1895 sposò Maria Concetta Rallo. La sua storia si concluse eroicamente nell’ottobre del 1927, quando il transatlantico Principessa Mafalda (dalla secondogenita di Vittorio Emanuele III e la regina Elena), originario fiore all’occhiello della Marina Mercantile Italiana, affondò assieme al suo capitano al largo del Brasile. Misurava 141 m di lunghezza e 17 di larghezza, era considerato un piroscafo di lusso che apparteneva alla Società di navigazione Lloyd, con sede a Genova e Napoli. Ospitò tra gli altri, Pirandello e Marconi, ma soprattutto molti dei migranti italiani che raggiungevano le Americhe. Nel 1927 la nave non era più al suo originario splendore e una falla in sala macchine ne determinò l’affondamento. La tragedia coinvolse centinaia di persone che persero la vita in mare. Cfr. P. Guaglianone, Il naufragio previsto: Il Principessa Mafalda, l’ultimo tragico viaggio, Nuova Santelli Edizioni, Cosenza 2013.
[5] Il termine deriva dal siciliano catoiu, qui italianizzato in catodio, parola di origine greca dal significato di “sotterraneo”, utilizzato con l’intento di indicare un misero locale d’abitazione al pianoterra o seminterrato. Cfr. Graziadio Ascoli, Archivio glottologico italiano, vol. XV.I, 1873.
[6] Individuato tra gli immatricolati della Facoltà di Giurisprudenza per l’anno 1889-90. Cfr. Annuario della R. Università degli Studj di Palermo per l’anno accademico 1889-90, Tipografia dello Statuto, Palermo 1889: 164; fra i 375 vincitori del concorso per Ufficiale giudiziario di pretura, bandito col decreto ministeriale l’8 luglio del 1931, Cfr. Bollettino Ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia, vol. 54, anno 1933, Tipografia della Camera dei Deputati, Ditta di Carlo Colombo, Roma 1993: 116.
[7] Cfr. Palermo, Matrimoni in Italia, 1820-1895 [database on-line]. Provo, UT, USA: Ancestry.com
[8] Non è ben chiaro quale sia il legame di parentela tra Teresa Berna e Concetta Di Gregorio e i siti di genealogia non mi hanno aiutata a scoprirlo.
[9] Antonio de Gregorio Brunaccini, Marchese del Parco Reale e Principe di San Teodoro (Messina 1855 – Palermo 1930) era un naturalista, geologo, archeologo. Laureatosi nel 1880 in Scienze naturali presso l’Università di Palermo, per due anni è stato assistente di Giuseppe Pisati nel Gabinetto di Fisica, di Agostino Todaro presso l’Orto botanico e infine, per tre anni, di Giorgio Gemmellaro presso il laboratorio di geologia. L’Orto botanico di Palermo, sorgeva sulla Vigna del Gallo, fondo acquisito dal Nostro al momento del matrimonio con Maria Francesca Vanni d’Archirafi, avvenuto nel 1887 e dal quale nacquero sei figli. Sulla proprietà sono sorte l’Università di Scienze Naturali e il Consorzio Agrario Provinciale. Al Museo di Geologia ha lasciato in eredità tutta la sua collezione privata di fossili e reperti ricercati negli anni, che costituisce ad oggi parte della collezione del Museo Gemmellaro di Palermo. I suoi studi paleontologici e archeologici sono stati pubblicati sulla rivista Il Naturalista siciliano, come le ricerche sugli strati terziari di Malta e di gran parte della Sicilia. Era membro della Società malacologica Italiana e del Belgio, della Società geologica italiana e di Francia, della Società toscana di scienze. Dal 1879 al 1881 ha insegnato gratuitamente Scienze naturali, fisiche e chimiche all’istituto femminile fondato dalla famiglia Whitaker. Nel 1884, in qualità di membro della Commissione Geologica Internazionale, ha fondato la rivista Annales de géologie et de paléontologie, da lui pubblicata e finanziata che è rimasta attiva sino al 1930.  Vi erano pubblicati studi sui fossili del nord Italia, accompagnati da tabelle comparative di tutte le specie della fauna presa in esame dallo studioso. Era amico e collaboratore dell’archeologo e numismatico Antonino Salinas e successivamente del collega Ettore Gabrici che gli succedette nel ruolo di Direttore del Museo di Palermo, custode di tutte le collezioni archeologiche, della Pinacoteca e del Museo di arti e tradizioni popolari. Gabrici ha sposato in seconde nozze Vittoria, sorella della nuora del De Gregorio, Giovanna San Martino De Spuches. Ha ottenuto diversi premi per le pubblicazioni presentate in occasione dell’Esposizione nazionale di Palermo del 1890. I suoi molteplici interessi sconfinavano anche nell’agricoltura, questi hanno dato seguito a vari lavori sulla introduzione e la coltivazione del pompelmo in Sicilia. Nel 1915, si è interessato alle ricerche sull’azione della luce ultravioletta nella cura della tisi del microbiologo tedesco Paul Ehrlich. In collaborazione col naturalista Paolo Lioy, ha fondato una sezione del Club Alpino Italiano a Palermo, per il quale ha ottenuto una medaglia d’oro grazie ai suoi lavori di alpinismo. Ha pubblicato opere in latino, in dialetto siciliano, in francese e in inglese. Ha anche composto musica per pianoforte, canto e orchestra, grazie alla quale ha conseguito un diploma. Era inoltre socio della Real Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo e della Accademia di Scienze di Catania, Verona e Padova, ma anche di quella di Philadelphia, New York; St. Louis, in Missouri; Baltimora, nel Maryland e San Francisco, in California. Il nipote omonimo, vive nell’originaria residenza De Gregorio al Molo di Palermo. Cfr. S. Salomone, La Sicilia intellettuale contemporanea: dizionario biobibliografico, Tip. Galati, Catania 1913: 154-57; Dizionario dei siciliani illustri, Ciuni, Palermo 1939: 167; http://www.martinez-tagliavia.com/introduzione/storia/virginia-fatta-fratta/de-gregorio/antonio-de-gregorio/
[10] Intervista ai fratelli Gaetano e Pasqualino Marchese, luglio 2021.

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Laura Leto, antropologo e storico, è attualmente impegnata nel Dottorato di Ricerca con l’Universidad del Paìs Vasco UPV/EHU che ha come oggetto di studio il Cimitero acattolico dell’Acquasanta di Palermo. Ricopre il ruolo di responsabile della biblioteca dell’Officina di Studi Medievali di Palermo e partecipa al Catalogo collettivo delle biblioteche ecclesiastiche italiane in qualità di bibliotecaria e catalogatrice. Ha cooperato, in qualità di operatore didattico, con diverse Associazioni culturali palermitane, in seguito all’acquisizione del titolo di Esperto in Didattica museale.

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