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Tornare a Pieve Santo Stefano. Riflessioni su una istituzione della cultura

Foto di Pietro Clemente

Foto di Pietro Clemente

di Pietro Clemente 

Pieve Santo Stefano – città del diario 

Così si legge in un cartello giallo all’inizio del paese. Gemellata con La Roca del Vallès, paese catalano dei diari. Siamo nell’alta Val Tiberina toscana, in provincia di Arezzo, a un passo dalla Romagna, da Cesena e Forlì. Il paese è stato distrutto nel 1944 da cannoneggiamenti tedeschi, nel dopoguerra è stato ricostruito ed ora conta circa 3000 abitanti [1]. È legato ai transiti del turismo francescano (Chiusi della Verna) e montano, ma soprattutto a una fabbrica di cavi elettrici che tiene viva l’occupazione nella zona. In autunno ha spesso temperature da montagna. Lo frequento da 27 anni come un luogo culturale speciale. Anche dopo la digitalizzazione e la messa in rete dell’Archivio, teorizzavo e teorizzo che quassù si deve venire fisicamente: l’Archivio e il suo universo non si possono guardare a distanza: salire sul monte [2] delle scritture popolari è un pellegrinaggio che ci cambia. L’Archivio ha una storia lunga ( che va verso i 40 anni, storia che per tanti anni ho condiviso [3].

Partiamo ora dall’ultima edizione. 

Tornare a Pieve per il Premio Tutino 

Il Premio, che si tiene nel secondo fine settimana di settembre, è un festival particolare, speciale, incomparabile con altri. Ed è il rito fondamentale della vita dell’Archivio Diaristico Nazionale (ADN) di Pieve Santo Stefano. I quattro giorni del Premio sono fatti di festa, di incontri, di teatro, di libri, di voci raccolte e rese disponibili, di scambio tra pubblici diversi. All’inizio si chiamava Premio Banca Toscana, ora dopo la sua morte nel 2011, ha preso il nome di Saverio Tutino, che l’ha fondato nel 1984. Il 2023 sarà anche l’anno centenario della sua nascita. Anno importante perché la memoria di Saverio, nonostante il rilievo della sua figura, le partecipazioni straordinarie alla vita culturale del Novecento dalla Resistenza al giornalismo militante fino alle iniziative di fondazione di luoghi di cultura, rischia di essere cancellata dai social e dalla smemoratezza del tempo.

Premio Piave 2022 (ph. Giulia Zanelli)

Premio Piave 2022 (ph. Giulia Zanelli)

Saverio vive sempre qui nell’Archivio: l’idea che ha perseguito tenacemente è stata quella di creare un luogo di accoglienza per le scritture della vita, luogo aperto a tutte le storie (proprio tutte), che non fosse solo un archivio ma anche un vivaio e una banca. Questo suo progetto è attivo durante tutto l’anno ma è in mostra nella settimana del Premio. In quei giorni viene presentata la stampa del libro vincitore dell’anno precedente, di altri libri di interesse che si incrociano con il DIMMI (Diari Multimediali Migranti), pieno di tanti racconti migratori. La domenica pomeriggio il palco ospita gli otto finalisti per l’evento finale che consiste nella proclamazione del vincitore del Premio Saverio Tutino. Vi sono poi altri premi: al miglior giornalista sul campo, al miglior manoscritto, ecc.

Nell’Archivio le storie, i diari, gli epistolari, le autobiografie crescono. Da qualche tempo minacciano di quadruplicare il numero degli abitanti della Pieve. Il Tevere – vicino alla sorgente – è sempre bambino quassù, ma quest’anno era anche poverissimo d’acque, stentava. Abbiamo assistito agli eventi, noncuranti di una pioggia tempestosa e di un rigagnolo che percorreva il pavimento sotto il tendone, allestito per contrastare l’eventuale brutto tempo, e riconoscenti della giornata di sole freddo ma emotivamente intenso in cui veniva assegnato il Premio.

Premio a

Premio a Ado Ciocchetti, Addio patria matrigna

L’Archivio di Pieve è ormai una istituzione culturale ‘longeva’, resistente, con potenzialità di uso conoscitivo importanti e attestate dalle tante tesi di laurea e di dottorato che hanno l’Archivio come base. Vanno anche ricordati il sito, il dinamismo della pagina Facebook, le attività lungo tutto l’anno, oltre che la presenza del Piccolo Museo del Diario che è anche una guida al patrimonio dei testi scritti e lì conservati. Come diceva Tutino: il Premio non vuole creare competizione e mercato, ma è piuttosto un incontro in cui tanti hanno un riconoscimento. Qui tutte le scritture (e le vite vissute) della gente comune hanno casa e valore. Quest’anno il Premio è andato al memoriale Addio patria matrigna di Ado Ciocchiatti, friulano di fine ‘800, migrante e muratore richiamato nella grande guerra e morto in seguito di spagnola. Una storia che incorpora i dolori e i drammi dell’Italia del Novecento. Uno sguardo sul tempo nostro e dei nostri antenati, tempo ricordato nel palcoscenico della comunicazione per lo più in termini di storia ufficiale e non di storia vissuta.

Andrea Ricciardi premiato a Pieve nel 2022

Ad Andrea Ricciardi il Premio città del diario 2022, con Guido Barbieri

Ogni anno viene anche dato il Premio Città del Diario ad un cittadino e amico simbolico di Pieve e dell’Archivio per la sua attività culturale e sociale. Quest’anno, sotto il tendone di Pieve, il Premio è stato assegnato ad Andrea Ricciardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, attivissimo sui temi dell’emigrazione e del mondo povero, schivo e modesto ex ministro della Repubblica. 

Tutino e l’ADN 

Nel 1995, all’uscita del suo libro L’occhio del barracuda. Autobiografia di un comunista (Feltrinelli 1995), Tutino mi chiese se potevo presentarlo a Roma. Quel libro mi è rimasto impresso per la sua sincerità e per la forza con cui ha voluto raccontare un cambiamento di vita. Un libro che legge il Novecento in una chiave autobiografica e che aiuta a capire il secolo breve più di tanti testi di storia. Tra adolescenza, giovinezza partigiana, militanza comunista e giornalismo di frontiera in Cina, in Francia, nel Nord Africa e poi infine come inviato a Cuba e in America latina. Un libro che ricapitola e spiega la nascita dell’ADN come spazio per dare una risposta ai bisogni e all’ascolto degli individui, dopo gli anni in cui essi erano stati sacrificati alle ideologie e alle organizzazioni politiche.

Negli anni ‘70 i suoi scritti sulla rivista Linus furono guide etiche di una generazione. La sua estromissione da l’Unità, ‘giornale comunista’, gli causò una grossa crisi personale che riuscì ad elaborare con grande lucidità grazie anche alla psicanalisi – tabù per i maschi adulti di tutte le sinistre – e grazie all’incontro decisivo dei suoi anni maturi con Gloria Argelés, artista argentina ormai italiana, con cui riprese il viaggio nel presente. Nel 1976 fu l’appena nato quotidiano La Repubblica ad accogliere nella pagina degli esteri le sue grandi competenze di giornalista.

occhioDopo avere trovato una casa di vacanza ad Anghiari (AR) cominciò ad immaginare la nascita del monumento più caleidoscopico e polifonico che si possa immaginare di lasciare nella vita: un archivio dei diari, delle lettere, delle autobiografie della gente comune senza storia, un luogo che accogliesse tutte le voci e tutte le storie. Da questa sua visione nasce l’incontro con Pieve Santo Stefano e con il suo sindaco che condivise l’idea dell’Archivio Diaristico. L’Archivio Diaristico Nazionale (ADN) fu tenuto a battesimo nel 1984 e mise radici nella cittadina. Un gruppo di giovani del paese che aveva passione per il teatro intuì la forza narrativa delle storie che arrivavano a Pieve e l’importanza della nascita di una struttura locale che costruiva accoglienza, tutela, interpretazione, valorizzazione dei testi. Molti di quei giovani sono cresciuti con l’Archivio, hanno una memoria piena di racconti e da oltre 40 anni fanno vivere il Premio e l’Archivio nell’attenzione e nella cultura profonda della gente.

A questo gruppo di giovani fondatori, sotto la paterna direzione di Saverio, si accostava la Commissione di Lettura formata da un ampio gruppo locale di lettori dei testi. Quest’ultima sceglieva dieci testi (oggi otto) tra quelli pervenuti, da dare in lettura alla Giuria nazionale, che costituiva per Tutino, la connessione dell’Archivio col mondo della cultura e degli studi. Natalia Ginzburg è stata la più significativa lettrice di diari in compagnia di Saverio ed è stata a lungo presidentessa della giuria. Nella Giuria nazionale sono stati anche il figlio di Natalia, Carlo Ginzburg, storico di rilievo mondiale e Lisa Ginzburg, figlia di Carlo e nipote di Natalia, scrittrice e giornalista per la radio. Mai tutti e tre insieme. Tre generazioni della famiglia Ginzburg passate per Pieve. Ci sono state/i in giuria e ci sono ancora rappresentanti di case editrici e lettrici esperte legate ad esse, storici e giornalisti, scrittori e scrittrici (oggi in giuria vi è Melania Mazzucco) [4].

Nel tempo nascevano altri organismi collegati al Premio: un consiglio di amministrazione, un comitato scientifico (poi diventato una responsabilità individuale affidata a Camillo Brezzi, storico dell’Università di Arezzo-Siena), una struttura di comunicazione e di fidelizzazione (intorno al sito http://archiviodiari.org/), un gruppo di artisti del mondo teatrale (è stato direttore artistico Mario Perrotta). Inizialmente l’Archivio era ubicato nella sede del Comune, ora ha trovato uno spazio tutto suo, ha elaborato una catalogazione che lo rende consultabile anche on line ed è in corso la digitalizzazione di tutti i testi.

Il ‘Piccolo Museo del Diario’ è fatto soprattutto di immagini e di voci che emergono all’apertura di cassetti che contengono tante storie individuali. È presente, tra l’altro, conservato sotto vetro, un testo particolarmente emblematico: il memoriale della contadina lombarda Clelia Marchi che – dopo la morte del marito – scrisse sul lenzuolo matrimoniale la storia della sua vita con lui.

Diverse case editrici si sono succedute nella pubblicazione dei testi di Pieve: Giunti, Mursia, Baldini & Castoldi, occasionalmente Einaudi. Ultimamente l’editore dei diari vincitori e di altri testi è Terre di mezzo. Sono stati fatti convegni sulle scritture dell’emigrazione, sulle donne, sulla Prima Guerra mondiale (con un’ampia collaborazione con la rivista Espresso e la creazione di un sito ad hoc). Una produzione culturale assai ampia, la cui offerta si concentra nei giorni del Premio in uno stand dedicato alla vendita dei libri e dei gadget (borse di tela e t-shirt sui temi della memoria, a penne e quaderni con il logo dell’Archivio). Per riuscire a fare una manifestazione all’aperto, il Premio ha affrontato per anni l’incertezza del clima di settembre con piogge a volte torrenziali e con possibili temperature fredde. Ma nei tempi lunghi si sono attuate strutture di protezione ricorrendo a due grandi tendoni, uno allestito ad hoc in piazza e l’altro di proprietà del Comune adibito ad eventi e rappresentazioni teatrali.

Oggi l’ADN è un centro di raccolta-digitalizzazione-catalogazione-consultazione che contiene circa 10 mila testi. Il personale che partecipa all’attività dell’Archivio raggiunge tra dipendenti, borsisti, volontari un numero significativo di ‘militanti’ attivi e operatori che adempiono a funzioni di accoglienza, di gestione degli spazi, di servizi al pubblico. Oggi l’ADN è diventato un organismo del terzo settore e come Onlus è ormai un nodo della società civile attiva, che produce cultura e conoscenza. Una istituzione culturale della sfera privata-sociale, nella forma di Fondazione, che è riuscita a ben radicarsi nel dialogo con il Ministero della Cultura, la Regione Toscana, la stampa e ad avere un suo importante staff culturale e organizzativo. 

luoghi-della-scrittura-autobiografica-popolare-5ce2920b-4e7b-4cae-a319-920ec10b3eceUna storia anche mia 

È dall’inizio degli anni ’80 che mi occupo di scritture popolari [5]. L ’Archivio di Pieve è entrato però nella mia esperienza a partire da un incontro avvenuto a Rovereto nel 1989 con Saverio Tutino e con Ettore Guatelli in occasione di un convegno su  I luoghi della scrittura autobiografica popolare [6]. Quello fu per me un momento di fondazione intellettuale perché è proprio dagli anni ’90 che scelsi di considerare Guatelli e Tutino miei Maestri non accademici: Guatelli di museografia, Tutino di scrittura memorialistica. Il terzo Maestro adottivo è Nuto Revelli, maestro di fonti orali.

In seguito Tutino mi chiese di collaborare alla sua rivista Diario italiano, edita dall’editore Giunti di Firenze, rivista che da una parte dava spazio alla pubblicazione di diari di Pieve e dall’altra ad interventi di riflessione sulla memorialistica [7]. Qui scrissi Oltre la frattura del tempo. Diari e storie di vita di anziani [8]. In quel numero di Diario italiano stavo in compagnia del testo vincitore del premio assegnato nel 1991, Il salumificio, una memoria autobiografica scritta in forma di diario da Egidio Mileo. Il diario rifletteva sulla storia dolorosa e drammatica di un fallimento industriale in Lucania, di una emigrazione al Nord, di un breve passaggio da Prato e del ritorno al paese. Il libro era accompagnato da due brevi premesse di straordinaria intensità e di alto profilo: una di Natalia Ginzburg e una di Saverio Tutino.

Il testo Il salumificio che, per caso, si trovava insieme a un mio scritto, ebbe un grande ruolo nei miei studi successivi. Una specie di segno del destino. Infatti lo usai nella didattica universitaria, e con questo si aprì un’altra storia che racconterò in una parentesi. Nel 1994 invitai Saverio al Dottorato in Scienze Etnoantropologiche dell’Università di Roma, ed egli contribuii alla discussione e al volume a cura di F. Mangiameli, La scrittura popolare, “Quaderni del dottorato di Scienze Etno-Antropologiche”, Roma, Università di Roma “La Sapienza”, 1 [9]. Poi Saverio mi invitò a far parte della Giuria nazionale: era il 1995, l’anno in cui si dimisero, per difformità di idee sulla gestione del Premio, Carlo Ginzburg, Corrado Stajano e Mario Isnenghi. Loro uscivano e io entravo. Da lì l’ADN entrò non solo nella mia scrittura, nei miei pensieri, nelle mie liti culturali, ma anche nella mia memoria. Scrivevo di esperienze personali, assegnavo tesi, partecipavo a convegni (emigrazione, donne, scrittura popolare) e mandavo contributi alla rivista dell’ADN Primapersona creata da Tutino nel 1998, giunta al numero 37 nel 2017 e attualmente inattiva.

Ho scritto spesso che sono ‘fatto di racconti’, racconti che stanno dentro di me non come parole scritte ma come storie di vita piene di azioni, di scelte morali, di dolore e di amore. E che mi hanno dato una ricchezza impagabile di varietà della vita. Ho letto la gran parte dei testi di scrittura popolare a Pieve come membro della Giuria, seguendo tracce di ricerca e assegnando tesi di laurea e di dottorato. Sulla rivista Primapersona che era costruita per temi, fui spinto a diventare narratore della mia vita: negli articoli che scrissi parlai di mio padre, della mia genealogia basata su ‘moglie e buoi dei paesi altrui’, ma avviai anche riflessioni sul metodo antropologico per lo studio delle storie di vita, sulla metodologia storica basata sulla scoperta che “il passato è imprevedibile’. Un tema ancora aperto, centrale a mio avviso, riguarda la letterarietà delle scritture popolari, tema su cui ho scritto su Dialoghi Mediterranei [10].

Sono stato e sono un ammiratore appassionato del lavoro dell’Archivio e del suo staff multiforme. Mi sono sentito una parte del mondo dell’ADN, uno dei membri del mondo delle memorie, quello dove la notte i diari escono dalle filze e dialogano tra loro. Mi piace dare qui di seguito un breve estratto di come Perrotta li ha rappresentati in un suo romanzo plurale [11]. 

«Io mi guardo intorno e vedo stanze e corridoi riempiti da chili e chili di ricordi, raccolti in milioni di pagine, assemblate in migliaia di diari, lettere e memorie, un festival del ricordo insomma, un inno perenne alla memoria. Sono il tentativo tenace di opporre resistenza alla dimenticanza, in una battaglia impari tra poche migliaia di sopravvissuti contro milioni di esistenze di cui non sapremo mai nulla». 
Salverio Tutino  e Pietro Clemente

Salverio Tutino e Pietro Clemente

Non sempre sono stato d’accordo con Saverio, non sempre con l’attuale gruppo di gestione dell’Archivio. Mi sono dimesso due volte dalla Giuria. La prima volta disapprovai l’impostazione del Comitato Scientifico e la seconda per disaccordo sulla composizione della Giuria nazionale, fatta soprattutto da rappresentanti delle case editrici e da storici accademici, mentre manca la componente dei linguisti, dei sociologi, degli antropologi. Del resto per anni sono stato l’unico rappresentante del settore antropologico e con le mie dimissioni il settore è completamente assente. Voglio ricordare inoltre che linguisti, antropologi, psicologi e sociologi sono in Italia i principali studiosi delle scritture popolari. Ma l’importanza e la grandezza dell’Archivio è fuori discussione e quindi sono un amico di percorso che prende qualche distanza ma continua nel cammino comune. Resto convinto del valore dell’opera di Saverio e della sua continuazione dopo la sua morte nel 2011.

L’Archivio è un monumento materiale e immateriale che pullula di vita e che parla sempre di Saverio e canta l’inno al suo valore e alla sua ‘Gloria’. Saverio mi aveva un po’ adottato come fratello minore: lui del 23 io del 42, entrambi del segno del Cancro (come Antonio Gibelli e Camillo Brezzi). Tra noi sembrava non ci fosse gran differenza di età, entrambi coi capelli bianchi ma lui sempre più energico e a testa alta. Una foto lo ritrae mentre poggiato sulla mia spalla mi scrive la dedica di un suo libro. È il ricordo di Saverio che prediligo. 

Egidio Mileo 

Come ho già ricordato nel 1992 uscì il libro-rivista Diario Italiano [12] con il memoriale di Egidio Mileo: Il salumificio. Egidio è figlio di contadini, diventa edile, si impegna nella creazione di un salumificio a Loricato. Il vero nome del paese è Latronico, il suo paese, in provincia di Potenza. Le persone a cui si rivolge per ottenere il credito bancario gli voltano le spalle. L’acquisto dei macchinari, già avvenuto sulla base delle promesse di finanziamento, diventa debito e il salumificio muore prima ancora di nascere. Mileo è stato ‘fregato’ da persone di cui si fidava e la sua rabbia e il suo dolore sono infiniti. È costretto a migrare con la famiglia prima in Lombardia, poi in Toscana a Prato, e via via scrive in forma di diario una memoria dolorosa del dramma che ha vissuto e che ha dovuto far vivere ai suoi familiari. Scrive per dolore, e così conquista la giuria in cui è soprattutto Natalia Ginzburg a sostenere la scrittura di Mileo. Alla Ginzburg sembrò uno dei testi più belli mai letti a Pieve e a Saverio un documento prezioso sul clientelismo meridionale legato alla Cassa del Mezzogiorno.

copertina_mileoFui molto colpito dal memoriale di Mileo e scelsi di usarlo nel corso di Antropologia culturale dell’Università di Roma, e nel Dottorato, come esempio di Antropologia della modernità (le memorie di Mileo sono ambientate tra gli anni ‘70 e ‘80 del Novecento) come testo insieme di scrittura popolare e di denuncia dei sistemi politici basati sul clientelismo. Mileo venne a sapere da alcuni studenti del suo paese che il suo libro era usato all’Università e si fece vivo con me dicendo che avrebbe gradito conoscermi. Venne a Roma all’Università e partecipò a una lezione a lui dedicata: era visibilmente commosso, e così lo erano i miei studenti che incontravano una persona densa di storia e di vita nelle aule dell’Università.

Con un gruppo di giovani venne avviata una ricerca al suo paese: si scoprì subito che la comunità lo aveva ancora una volta messo ai margini per l’uscita di questo suo libro denuncia. E nonostante avesse avuto un premio letterario e un riconoscimento universitario non riusciva a superare l’isolamento e la condanna della comunità. Fu una esperienza davvero dolorosa il trovarsi di fronte alla durezza del senso comune locale, davanti alla omertà e alla complicità contro chi denuncia i mali del proprio mondo.

Mileo però non dimenticò mai la premiazione e il riconoscimento che aveva avuto a Pieve. Per lui restò una ragione di vita e anche di disdegno per coloro che lo criticavano. A Pieve tornò più volte come in un viaggio ‘votivo’. Tenne tenacemente i rapporti con alcuni membri della giuria, in specie con la poetessa Vivianne Lamarque che era stata molto amichevole con lui ma anche con me. Per me fu insieme una occasione di amicizia particolare e di messa alla prova dei confini e della natura della scrittura e degli scrittori popolari.

Spesso le scritture di Pieve sono degli unicum. Per lo più gli scrittori popolari sono come la fioritura dell’agave: scrivono solo una volta nella loro vita, la loro scrittura è un fiore unico, solitario, rispetto al proprio mondo. Mileo invece – come pochi altri [13] – intendeva scrivere ancora, aveva già vari racconti di momenti della sua vita. Per lui la scrittura fu ragione di vita, il futuro era la rivisitazione scritta del passato. Lo invitai a scrivere, al di là del memoriale sul salumificio BRECOBA, la storia della sua vita. Ed egli ne scrisse: una vita piena di ostilità del destino, una infanzia e una giovinezza segnate e dolorose. Mi diedi da fare per pubblicare il nuovo scritto con due ampie presentazioni che lo iscrivevano nel mondo della ricerca antropologica. Fu La luna nel risciaquo [14]. Mileo fu inoltre coinvolto nel progetto dei Diari della Sacher di Nanni Moretti [15], amico di Tutino e dell’Archivio e Premio Città del diario nel 1999. Lo sollecitai a chiudere il ciclo delle sue scritture autobiografiche: amava scrivere anche se spesso trovava qualche difficoltà in famiglia. Scriveva a macchina la sera, da solo, in uno spazio che avrebbe dovuto far parte del salumificio. Ci sentivamo per telefono una volta al mese. A Latronico tornai diverse volte per la presentazione di libri, sempre sperando che i mutamenti delle generazioni vedessero cambiato l’atteggiamento verso Egidio e la sua opera. Intorno a lui si era costituito un gruppo di amici che lo rispettava e ne prendeva l’eredità e che scriveva del paese e della sua storia locale.

vivere-e-scrivere-dalla-basilicata-storie-di-andata-e-ritorno-1Poi si ammalò: cercai di accelerare la pubblicazione della sua ultima scrittura, in collaborazione con Ferdinando Mirizzi, antropologo dell’Università della Basilicata. All’ospedale riuscì a vedere soltanto la copertina del suo ultimo lavoro di scrittura. La moglie e la figlia mi dissero che ne era soddisfatto. La copertina del libro Vivere e scrivere dalla Basilicata storie di andata e ritorno recava le tracce del suo viso severo e doloroso. Il libro fu presentato a Matera, nel 2017, quasi un cerimoniale funebre [16], quando già si muovevano le fila di Matera capitale europea della cultura tenutasi nel 2019 [17]. In quell’occasione ricordai quando mi venne a trovare con tutti i familiari a Prato, città dove aveva sofferto fatica e marginalità. Fu accolto con calore nel corso di Antropologia delle istituzioni culturali e lì, in qualche modo, la sua ferita della memoria fu pubblicamente rimarginata, ‘risarcita’ come si dice in Toscana.

Da Egidio ho imparato tanto: la pazienza, la tenacia, il rispetto ma soprattutto la gioia della scrittura che era stata per lui un rifugio. Non era né uno scrittore ‘oraleggiante’ né uno scrittore con scarsa dimestichezza della sintassi, come viene spesso detto delle scritture popolari. Era uno scrittore. Le sue principali fonti di ispirazione testuale erano I promessi sposi e Il vangelo. La sua scrittura non è mai stata bassa secondo lo stereotipo bachtianiano per la cultura popolare. Nelle sue opere ha creato una sintassi sui generis, tendente al classico e all’epico. Ha raccontato l’Italia della grande trasformazione e di chi la ha subita. Come Rabito, sulla cui tomba i figli hanno fatto scrivere Vincenzo Rabito scrittore, si dovrebbe fare altrettanto per lui: Egidio Mileo, scrittore. Lo chiamavano ‘O giudice’ al paese, soprannome critico e insieme attributo morale. Meriterebbe ex post di essere chiamato ‘O scrittore’ [18]. 

grafica_dimmi2022_1Una istituzione culturale della società civile 

Mi sono soffermato a lungo sulla storia di Mileo per fare comprendere l’importanza dell’Archivio e la risonanza e la ripercussione che i suoi eventi ‘centrali’ esercitano nelle periferie cui i diaristi fanno riferimento, ma anche per far immaginare lo stile di relazioni che lo staff di Pieve ha costruito con il mondo delicato e difficile degli scrittori popolari. Va riconosciuto che vi è una grande responsabilità umana e morale nel seguire queste difficili storie che chiedono riconoscimento. Vincere a Pieve, per Mileo, era stato come ‘mettere al centro la periferia’, vedere applaudire sul palco la sua radicale marginalità, riconosciuta come esperienza condivisibile e come racconto pieno di umanità. L’Archivio è un centro che accoglie storie in fuga dai margini, storie che qui diventano importanti. Ha un pubblico di elezione, non molto giovane, che tende a farsi comunità e che vede nel Premio una occasione di incontro intorno a storie umili, spesso di riscatto, che solo qui vengono poste al centro. Questa comunità si allarga ora anche al DIMMI con le nuove storie migranti che hanno un pubblico nuovo e in linea generale più giovane.

Il caso di Egidio Mileo mostra l’urgenza di affrontare una lettura ‘letteraria‘ delle scritture popolari da non considerare solo come fonti o come riserve di caccia degli scrittori ‘veri’, né tanto meno come serie B della scrittura commerciale che vende e che fa classifica. Si tratta invece di un mondo nuovo di scrittori che si esprimono in una lingua italiana non impoverita ma anzi arricchita dall’esperienza di mescolanza con il parlato, dalla pluralità dei riferimenti testuali, dal piegare all’urgenza del discorso una lingua ostile che spesso si trasforma e viene plasmata in modo originale e con straordinaria potenza narrativa. Da tutto questo risulta chiaro  che non si tratta di un semplice premio di scrittura, ma dell’emergere di un mondo di storie individuali, mondo che è insieme un festival, una associazione di volontariato, un incontro tra storie diverse, che coinvolge tantissimi interlocutori, sia presenti alle giornate del Premio, sia operativi durante tutto l’anno, impegnati a studiare l’Archivio da lontano e da vicino come luogo di conservazione di fonti speciali, fonti sottoposte alle regole della privacy e dei diritti d’autore.

Come ci ha raccontato Daniel Fabre, amico e per alcuni anni collaboratore dell’Archivio, si tratta di una istituzione della società civile [19]. In francese la parola istitution mantiene la forza del verbo ‘istituire’, che implica creazione e costruzione sociale. Secondo me l’Archivio è una istituzione culturale: è stata istituita in un processo di osmosi tra l’ideatore Tutino e i giovani di Pieve che ci hanno creduto, ci hanno lavorato dentro in modo creativo, hanno saputo sviluppare contatti e sistemi di finanziamento insieme con l’amministrazione comunale e provinciale, hanno collaborato con gli studiosi che hanno garantito, accreditato, cercato e trovato contatti, sviluppato ricerche e nessi. 

Fin dall’inizio l’Archivio ha dato importanza alle alleanze, ai gemellaggi, applicando il motto di Don Milani, sintetizzato dai ragazzi di Lettera a una professoressa: «Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia». Per Tutino l’impresa Archivio era come un grande progetto politico che nasceva da un piccolo nucleo ed aveva come missione universale quella di dare valore agli individui, alle loro singole storie che si trasformavano qui in polifonie.

Nel corso di laurea PROGEAS del 2004 insegnavo una disciplina che poi è scomparsa dall’ordinamento: “Antropologia delle istituzioni culturali” [20]. Per quel corso usai quell’anno un libro di Paolo Apolito, proposto come un romanzo, ma denso di riflessioni su come nascono, crescono, resistono o muoiono le istituzioni culturali. Così Apolito racconta del Giffoni Film Festival [21] nato nel 1971: 

«un paese dell’entroterra salernitano con non più di 10.000 abitanti, non benedetto dall’aria turistica che spira dal mare, né arricchito dai tesori culturali di eredità storica. Un paese dignitoso incastonato nell’area dei Picentini: Giffoni Valle Piana». 
Giffoni Film Festival

Giffoni Film Festival

Anche il Giffoni Film Festival ha un fondatore e leader: si chiama Claudio Gubitosi, sempre e ancora alla testa di questa iniziativa che non declina ma che ha vissuto tanti difficili momenti. Nel libro di Apolito scopro che una istituzione culturale ha una vita simile a quella degli organismi viventi: nasce, cresce, ha una maturità e poi deve affrontare i problemi dell’invecchiamento, può essere che risorga oppure che declini e muoia. L’Italia è ricca di istituzioni culturali che non sono sopravvissute. Cosa che può anche non succedere. Tanto che sia l’Archivio di Pieve che il Giffoni Film Festival sono pieni di vita e di futuro. Le istituzioni culturali in generale, ma ancor più quelle create dal basso, hanno leggende di fondazione, mitologie e racconti che le riguardano, ma hanno anche crisi che producono difficoltà fatiche, conflitti. La missione di Pieve e quella di Giffoni sono diverse. A Valle Piana al centro c’è il cinema fatto da: 

«opere per bambini e ragazzi, un genere che ad oggi conquista sempre più consensi e fette di mercato. Ma questa è storia contemporanea, torniamo al 1971 e consideriamo che nel bel mezzo degli “anni di piombo” la considerazione riservata a opere per bambini era pressoché pari a zero. Quindi l’idea di Gubitosi – che poteva già così apparire bizzarra – è addirittura “rivoluzionaria” se si pensa che non solo a guardare, ma a giudicare e premiare le opere sono proprio bambini e ragazzi» (sito https://www.giffonifilmfestival.it/.) 

Il caso Giffoni mi aiuta a pensare all’Archivio diaristico di Pieve come a una istituzione non burocratica ma amichevole e socievole, seppure basata su regole, e rispetto delle leggi, simile a un organismo vivente fatto di persone la cui sinergia è la vita dell’istituzione. Non vi sono molti studi su questa dimensione dell’Archivio. In questa prospettiva, il primo e ancora interessante scritto è quello di Anna Iuso [22] , che si intitola Il palazzo delle memorie nella città del diario. Nella premessa [23] Anna Iuso parla di modalità in cui la scrittura autobiografica si trasforma in patrimonio culturale. Una modalità riguarda la natura stessa delle scritture e la loro valorizzazione, mentre un’altra modalità 

«è data dalla forma presa dalla gestione delle istituzioni conservatrici e valorizzatrici (qui l’Archivio Diaristico Nazionale) che fanno del valore assunto da queste scritture una posta in gioco per la valorizzazione del luogo stesso che le ospita. Così Pieve Santo Stefano, anonimo borgo dell’alta Valtiberina, posto al confine fra Toscana, Emilia Romagna e Umbria, schiacciato fra colossi patrimoniali come Sansepolcro, Anghiari e Monterchi, accoglie l’idea di costituire un archivio autobiografico e ne fa, nell’arco di un ventennio, l’agente patrimoniale che convoglia nel borgo aiuti e riconoscimenti provinciali, regionali e nazionale» [24]. 

9788829013876Come segnala Anna Iuso, lo specifico di queste istituzioni culturali è connettere un bene culturale con un luogo per farli diventare una storia comune. Questo vale anche per i festival che traversano l’Italia e costituiscono una nuova geografia culturale del territorio. Ma centri come Pieve e Giffoni sono esperienze più specifiche, originali, difficilmente riducibili alle altre se non per il meccanismo che anima queste istituzioni fatte di persone, di risorse, di relazioni, di eventi che nel tempo si intersecano si consolidano, si fanno organismi o a volte scompaiono.

Un mio recente impegno conoscitivo e di volontariato attivo riguarda le cosiddette aree interne, le periferie, i piccoli paesi a rischio crollo demografico caratterizzati da abbandono nei decenni dello sviluppo di una Italia centrata sulle città e sulle fabbriche. Una rubrica che curo e che fa parte di questa rivista e si chiama Il centro in periferia. Questa immagine che mi è molto cara, legata a una frase del filosofo Theodor W. Adorno [25], l’ho usata spesso proprio per parlare di Pieve e dell’ADN come un buon esempio del ‘porre il centro in periferia’.

Le politiche culturali dell’ADN verso le grandi istituzioni come la Regione Toscana e il Ministero della Cultura sono state ispirate alla crescita delle relazioni ma anche alla moltiplicazione dell’offerta culturale e all’alleanza con altre istituzioni ‘parenti’ [26]. L’offerta di ricerca universitaria, la digitalizzazione delle fonti, la nascita del ‘Piccolo museo del Diario’, moderno e in parte virtuale, la collaborazione stabile con il Terzo canale radiofonico della Rai, i gemellaggi con altre città del diario europee, il dialogo con la Libera Università dell’Autobiografia (LUA) ad Anghiari, la collaborazione con l’Espresso per l’anniversario della Prima Guerra mondiale, gli eventi legati alla Costituzione, lo stabilizzarsi di un rapporto con la casa editrice Terre di Mezzo per la stampa del vincitore del Premio e con il Mulino per studi e testi commentati in chiave scientifica, la presenza nei media e nei social media, la scelta di far crescere intorno alla settimana del Premio altri eventi che fanno incontrare pubblici diversi (DIMMi), l’avere non solo una offerta editoriale ma anche tanti gadget identitari, hanno fatto dell’Archivio un caso esemplare di società civile riconosciuta, da imitare. Tanto che ADN, per il suo carattere virtuoso, è sempre tra i primi Istituti culturali menzionati nelle liste della Regione e dei Ministeri, riceve contributi dalla Regione, dallo Stato, da privati, in gran parte provenienti dal territorio, che contribuiscono a singole iniziative, e dalla partecipazione a bandi europei [27]. Tutto questo è il prodotto di un gruppo di lavoro stabile e articolato, che sarebbe interessante studiare e conoscere meglio. 

Coscienza di luogo, un incontro 

Dopo la recente edizione del Premio ho fatto una chiacchierata con il “sindaco” storico di Pieve Santo Stefano: Albano Bragagni. Sindaco tra virgolette perché ora non lo è più, ma lo è stato per circa 30 anni e per tanti mandati (1985-2004, 2009-2019). È stato sindaco di liste civiche con orientamento di centro destra, sempre dialogante e attivo. Se ne ricorda un duetto ironico con Nanni Moretti, uomo di sinistra, a cui veniva conferita la cittadinanza onoraria di Pieve da un sindaco di destra. Bragagni è attualmente presidente del Consiglio di Amministrazione del Premio ed ha l’esperienza più ricca e ampia dello spazio che l’ADN ha nel paese. Bragagni è ingegnere, titolare e direttore della fabbrica Tratos che fa di Pieve un paese a forte tenuta occupazionale. La Tratos opera nel settore dei cavi e delle fibre ottiche; occupa circa 350 dipendenti, dei quali oltre la metà impiegati a Pieve, il resto negli altri due stabilimenti, uno in Sicilia e uno in Inghilterra.

Uno degli interrogativi che gli affezionati del Premio si pongono è quale rapporto ci sia tra l’Archivio e la comunità pievana in generale, e che contributo il Premio dia al paese nel senso di occupazione, incremento di redditi, indotto, immagine pubblica. L’impressione è che il paese non sia molto interessato al Premio: sembra ci sia una qualche attenzione alle iniziative teatrali che in esso si svolgono, ma non troppo di più. La comunità locale sembra essere più vicina ad altre feste tradizionali come la Madonna dei lumi. Il paese dispone inoltre di alcuni musei nati con oggetti del lavoro contadino locali e risorse del luogo, per cui il Premio rischia di essere legato a un pubblico solo esterno. In passato un nesso importante di scambio e dialogo con il paese era rappresentato dalla commissione di lettura fatta da persone del territorio: oggi essa si è un po’ ridotta anche nel suo ruolo di mediazione. Nei primi anni erano presenti sia tra i testi che arrivavano alla Giuria nazionale sia tra quelli che venivano segnalati dai singoli membri della Commissione di lettura per “la lista d’onore” [28] diari legati alla memoria del paese o di paesi vicini.

Il paese era rappresentato anche grazie alla presenza di Omero Gennaioli e alla sua memoria visiva della Pieve prima e dopo il bombardamento tedesco. Omero Gennaioli rappresentava visivamente, nei dettagli, la Pieve di prima del bombardamento e di dopo la distruzione. Su queste testimonianze un gruppo di teatro locale, a lungo legato alle memorie dell’Archivio, ha costruito uno spettacolo [29]. Il fenomeno per cui il festival ha un pubblico diverso dalla gente del luogo è del tutto normale: in fondo il festival si fa per far venire da fuori delle persone, ed è così per tantissimi eventi culturali. Il Premio Tutino di Pieve è un evento legato alla vita quotidiana della gente comune, il suo pubblico è portatore del senso profondo di umanità che è legato alle tante vicende raccolte: quindi questo evento potrebbe conquistare i cuori della gente del posto ma non sembra che ciò avvenga. Anche di questo ho parlato con l’ing. Bragagni [30] che vede una crescente presenza di volontariato del paese a fianco degli eventi dell’Archivio. Oltre al tema dello scarso coinvolgimento del paese, abbiamo parlato dell’indotto per Pieve.

9788833921501_0_536_0_75Anche se ha una occupazione stabilizzata dalla presenza dell’industria, infatti Pieve è comunque nei decenni recenti un paese a decrescita di popolazione: il Premio non ha avuto effetti sulle dinamiche demografiche, economiche, sociali della comunità. Secondo Albano Bragagni il calo demografico dai 3490 abitanti del 1985 (anni di fondazione dell’Archivio) ai 3000 del 2022, è legato soprattutto alle scelte delle famiglie e alla scarsa natalità. Ricorda che negli anni ’70 molti dipendenti della sua azienda avevano 4 figli mentre ora molti non hanno figli o al massimo uno e in rari casi due. Il rapporto tra 45/59 morti l’anno e 15/20 nuovi nati illustra una erosione interna al mondo delle generazioni. In ogni caso la presenza dell’Archivio ha potenziato l’attività alberghiera di varie tipologie (hotel, agriturismi, B&B) che è giunta ad occupare una cinquantina di dipendenti.

L’attività dell’Archivio fa riferimento anche alla confluenza sul territorio di altri passaggi turistici, in particolare quelli del Cammino di San Francesco, ma anche le escursioni motociclistiche e quelle legate alla raccolta dei funghi. La ristorazione è di buona qualità. Vi è inoltre un convitto legato all’Istituto Forestale e Tecnico Agrario. Pieve ha dunque diversi presidi che la fanno resistere alla decrescita e all’abbandono del territorio che comunque non riescono a compensare lo squilibrio tra nati e morti. La vita socio-economica di Pieve Santo Stefano ha le sue basi nell’industria, negli impieghi pubblici e nel settore terziario. Nel settore primario l’agricoltura è in calo radicale, salvo l’attività di alcune aziende di allevamento bovino e quelle legate al rimboschimento. La nascita del Lago di Massacciuccoli ha occupato la piana a favore di attività agricole di fondovalle. In passato vi era una agricoltura povera di montagna che produceva grani come il Verna che aveva però una scarsa resa ed era destinato soprattutto all’ uso locale.

Va segnalata una presenza significativa di immigrati stabilizzati, con una certa divisione del lavoro per cui i marocchini operano nel commercio ambulante, i rumeni nella edilizia, i macedoni nel lavoro dei boschi, i cinesi in laboratori legati alle attività imprenditoriali di Arezzo città, i polacchi e gli ucraini sono presenti in vari ambiti. Infine ci sono tedeschi che hanno comprato casa e restano sul territorio. Si tratta di nuclei potenzialmente attivi nell’incremento demografico e nell’offerta lavorativa nel territorio [31]. Il paese, visto con lo sguardo lungo dell’esperto e con una visione più larga di quella di chi come me segue solo le attività dell’ADN, si presenta con un certo equilibrio, dove la base più stabile è l’industria locale.

Il territorio è ricco di risorse culturali, è di transito tra Lazio ed Emilia attraverso l’Umbria e la Toscana: una complessa zona di frontiera culturalmente e naturalisticamente assai significativa. La vicinanza alla sorgente e al percorso del Tevere, il rapporto con il Casentino e con la pianura [32] definiscono la grande varietà degli ambienti. Il dialogo con l’ingegnere ex sindaco restituisce uno sguardo centrato sulla ‘coscienza di luogo’ [33] e sulla complessità del territorio. E suggerisce insieme che il ‘territorio’ dell’ADN non è ‘solo’ quello sul quale fisicamente insiste, che lo ha accolto e nel quale ha messo radici profonde, ma, come sempre accade per le attività culturali, esso ha un territorio di riferimento più ampio e una attività di ‘conquista’ di nuovi territori sempre attiva.

In questo scenario l’Archivio è un elemento di richiamo ed una istituzione locale radicata. Occupa due dipendenti stabili e altri a contratto, legati a specifiche attività, oltre che molti volontari attivi nelle giornate del Premio. 

Un distretto e una rete

È evidente che il Premio Pieve-Tutino e l’Archivio non possono essere un fattore di crescita occupazionale come una fabbrica. La presenza di questa originale attività culturale deve essere vista in scenari più larghi che coinvolgono vari settori europei che si occupano di patrimonio culturale, di valorizzazione, di scritture popolari, di fonti per la conoscenza soggettiva della storia e della società. L’Archivio è nato a Pieve con il sostegno e l’amicizia dell’Archivio della Scrittura popolare di Rovereto (ora situato presso la Fondazione del Museo Storico trentino) e l’Archivio ligure della scrittura popolare (ALSP) nato all’interno dell’Università di Genova: il tutto insieme ad una comunità di storici, linguisti, sociologi e antropologi che hanno fatto da riferimento e prodotto ricerche su questi temi. L’ADN ha anche collaborato con l’APA, il centro francese diretto da Philippe Ljeune [34], ha cercato in Europa fratellanze e sorellanze con altri archivi simili ed è rimasto in formale gemellaggio con La Roca del Vallès , sede dell’ “Arxiu de la memòria popular”. In provincia di Arezzo ha dialogato con le iniziative sulla scrittura popolare della Biblioteca comunale e del Comune di Terranuova Bracciolini e di Dante Priore. Ha vissuto l’esperienza della Federazione degli Archivi della scrittura popolare, la collaborazione degli studiosi di vari campi in occasione di incontri e di convegni. L’Archivio è luogo di transiti e di pellegrinaggi da parte di tante persone, spesso turisti particolari e originali, di prossimità e di affezione, che si ritrovano e talora sono legati a diari depositati, a collaborazioni, all’evento e alle sue modalità, dialogate e corali, ma anche di scrittori, di fotografi, di registi e film makers, che hanno sempre visto in esso uno spazio importante di ispirazione, di interpretazione e di comunicazione pubblica.

Questo vuol dire che l’indotto di una iniziativa come questa, diventata progressivamente di rilievo europeo, non può essere misurato nei termini del riabitare gli spazi comunali e dell’incremento demografico. Occorre comprendere meglio questo ‘indotto’ ampio e diverso da quello che si definisce nelle iniziative del ‘Riabitare l’Italia’ [35]. Un polo culturale produce un largo indotto secondario, come una sorta di pioggia che viene dal cielo e i cui effetti seguono le persone e i libri come nel caso di Mileo o di Clelia Marchi. Quest’ultima, donando all’ADN il suo lenzuolo matrimoniale con la sua autobiografia, ha portato Poggio Rusco nel mantovano (paese contadino che ha dato i natali anche ad Arnoldo Mondadori) nel mondo e ha consentito di creare una specie di rito di iniziazione per chi ama le scritture popolari ed è disposto a accogliere la loro straordinaria diversità. Così come si attivano a Chiaramonte Gulfi (RG) in Sicilia iniziative promosse dai figli intorno al padre Vincenzo Rabito [36], o a Bolognetta (PA) dove Santo Lombino, collaboratore dell’Archivio e direttore della rivista locale Nuova Busambra, ha curato la riedizione del testo di Tommaso Bordonaro [37]. Così come un grande fall out culturale riguarda i testi presentati a Pieve, testi che poi vengono stampati, presentati, riconosciuti e valorizzati nei territori e nei paesi da cui provengono. E ancora va ricordata la casa cinematografica Sacher di Nanni Moretti che ha prodotto 11 docufilm basati su testi biografici pervenuti a Pieve e li ha portati nel mondo [38].

copertina_-bordonaroDunque il suo prodotto culturale ha genesi locale, accoglie voci da tutti i luoghi e da tutti i tempi, ed ha l’aspirazione di girare la terra e restituire al mondo le storie che raccoglie. Il rapporto con il Canale 3 della radio RAI che fa una cronaca in diretta del Premio e organizza iniziative specifiche lungo l’anno ne è un forte demarcatore. Ne è una prova il fatto che quest’anno durante il Premio, una mia ex allieva senese, assai legata all’ADN, ascoltava per radio da Londra la cronaca del Premio e mi telefonava per commentare e criticarne alcuni passaggi [39]. L’esperienza dell’Archivio ci dice che le istituzioni culturali non possono essere misurate con l’indotto locale, ma chiedono altri tipi di stima, molto più larga. Una stima di efficacia che va a misurarsi su percorsi più ampi della E45, la strada che connette Roma con l’Umbria, la Toscana e la Romagna, e su un’ampia area in cui a prevalere non sono solo luoghi storici come San Sepolcro, Monterchi, Caprese Michelangelo o Chiusi della Verna, la presenza di Pieve-Archivio viene a potenziare un polo di straordinaria attrattiva turistico culturale e la moltiplica.

Così come Anghiari non è soltanto un bellissimo centro medievale con la Battaglia leonardiana ma è anche l’Università libera dell’Autobiografia (LUA), e Pieve è il polo centrale dell’aspetto culturale della partecipazione, del ‘pellegrinaggio’ sulla strada delle scritture dei senza storia. un luogo di polifonia dei non famosi, dei non televisivi, dei ‘noi’ fuori della scena, degli umili, come avrebbe detto Manzoni, degli ultimi, come avrebbe detto Don Milani, dei subalterni come avrebbe detto Gramsci. Un luogo dove questi soggetti fuori dal confine dei premi letterari, dell’editoria di successo, delle grandi kermesse della cultura turistica, prendono la parola ed affermano la propria dignità sia di storia che di voce. Sono convinto che in quell’Archivio ci siano ricchissime voci di un’altra letteratura e di un’altra storia. Proprio per un articolo per il giornale Primapersona, ho inventata 24 anni fa la mia formuletta sull’autobiografia come capace di aprire a chi legge e ascolta «lo spettacolo meraviglioso di una vita vista all’interno di una cultura e di una cultura vista dall’interno di una vita» [40].

81lil24-dnlAnche la Libera Università (LUA) è nata per iniziativa di Tutino che aveva una casa di vacanza e forti legami con Anghiari. Ha immaginato corsi di formazione per insegnanti, studenti, pedagogisti ma anche di autoformazione libera a partire dal mondo delle autobiografie di Pieve. Una università libera che nel tempo ha avuto l’impronta del direttore Duccio Demetrio, pedagogista dell’Università Bicocca di Milano, che ne aveva condiviso con Tutino il progetto avviato nel 1998.

Nel lessico dei ‘distretti territoriali’ quello della alta Valtiberina con Pieve ed Anghiari sarebbe da chiamare un distretto di arte e cultura, che continua e innova l’offerta della città di Arezzo.  È probabile che in simili distretti culturali tutti i punti di attrazione si rinforzino tra loro. Nel distretto culturale, Pieve-Archivio si presenta come nodo di una rete nazionale ed europea che ha avuto genesi dalla Federazione delle scritture popolari, ha trovato gemellaggi, ma anche filiazioni come nel caso dell’associazione “Ammentos. Archivio Memorialistico della Sardegna”, con sede a Ittireddu (SS) che a Pieve si è ispirata pur mantenendo le sue particolarità. Vi è inoltre la collaborazione con la collana Recorder dell’editrice Effigi che ha lo scopo di pubblicare storie autobiografiche con particolare attenzione a quelle pervenute a Pieve ma rimaste inedite [41] e con chissà quante case editrici locali che ne raccolgono testi [42].

Il problema della pubblicazione dei testi inediti è uno dei nodi del futuro dell’ADN. In buona parte la digitalizzazione totale dei testi in corso lo risolverà favorendo la lettura anche a distanza (con le necessarie limitazioni dovute alla privacy) ma è vero che l’editoria italiana non è stata molto sensibile alla straordinaria multivocalità che Pieve-Archivio rappresenta. Solo una parte minima è stata edita [43], spesso con l’errata sottolineatura che si tratta di testi ‘eccezionali’, ma fin dalla prima idea di Tutino, siamo in presenza di un mondo di solidarietà testuale. L’eccezionalità sta più nel coro che non nelle voci singole che riescono a forare qua e là la parete opaca del baraccone letterario. Tanto che pensiamo che l’opera che ha successo lo fa anche a nome delle altre che non lo hanno avuto, che a loro volta stanno a rappresentare tutte quelle scritture che non sono arrivate o che non hanno potuto essere scritte.

Saverio Tutino

Saverio Tutino

100 anni

La mia esperienza dell’ADN, anche se parziale e mai connessa ai problemi generali della gestione, mi fa pensare che alcune questioni debbano essere affrontate nel futuro. Una di queste riguarda il complesso equilibrio tra cultura specialistica e cultura locale, e tra le due e la dimensione amministrativa e politica. Un tema che ha caratterizzato tutte le mie esperienze di ricerca sul territorio con Comuni e centri o associazioni culturali. A Pieve, Tutino aveva creato la Giuria Nazionale come spazio di alta cultura di ricerca e produzione umanistica: la lista degli studiosi e autori che hanno partecipato alla Giuria è davvero rilevante. Lo scopo non era solo quello di dare pareri autorevoli sui testi, ma anche di accreditare, di far da altoparlante all’Archivio e alle voci degli ultimi e di favorire lo sviluppo di una cultura specialistica sul mondo autobiografico.

D’altra parte aveva accolto e fatto crescere una leva di giovani intellettuali locali, che nel tempo sarebbero diventati gli intellettuali ‘organici’ all’Archivio. Originali nella formazione perché costruita nelle relazioni con gli scrittori ‘popolari’, nella lettura dei testi, nella creazione dei titoli e dei riassunti, nella elaborazione delle schede: intellettuali organici dotati di una grande memoria e sensibilità, di capacità di comunicazione e interpretazione specificamente legate all’autobiografia. Intellettuali che nei primi decenni del Premio hanno costruito testi teatrali a partire dai diari: l’impronta del dialogo tra teatro e autobiografie è rimasta sia nelle serate del Premio cui partecipano le straordinarie voci del teatro di narrazione, sia nel dialogo col teatro di Anghiari, sia con le iniziative di Mario Perrotta. Tra queste componenti l’equilibrio è sempre stato difficile ma c’è sempre stato.

A me sembra ora di percepire un indebolimento della componente ‘scientifica’. Mi pare manchino nuovi convegni e incontri sulle scritture popolari sui vari e nuovi temi del dibattito su di essa. E che ci sia una minore presenza nella Giuria di specialisti di vari settori centrali per lo studio e la valorizzazione delle storie di vita [44], oltre che l’invecchiamento della giuria stessa. Un altro tema è quello della dissonanza, almeno in molti casi, tra la cultura espressiva dei diaristi e quella ufficiale, pubblica, legata alle arti ufficiali o alla cultura televisiva. Nei diari c’è una inquietudine dialettale, s-grammaticale, spesso una violenza e una fierezza verbali espresse in modo duro e aspro. Ho l’impressione che questo lato più ‘selvaggio’ di molti diari non sia rappresentato dai mediatori teatrali e dai lettori che operano nelle giornate del Premio, per loro cultura non riescono ad esprimerlo, e quindi rischiano di ‘addomesticare’ quella che è la cosa speciale dell’Archivio: la natura ‘indomita’ dell’italiano popolare, emotivo, dialettale, paesano, aspro, forte, o anche rassegnato, semiculto, che è il nucleo della grande varietà delle scritture che hanno preso casa alla Pieve. Questo mondo di scritture plurali in ebollizione è la vera forza dell’Archivio perché – si potrebbe dire – il “Grande Fratello” [45] non ne riuscirà mai (speriamo) a controllarne la produzione il contenuto e la forma.

Un secolo fa. Nello stesso anno 1923 nascevano Saverio Tutino e il suo amico di giovinezza Lorenzo Milani, diventato poi Don Milani. Entrambi arrivati quaggiù in Toscana dalla Milano [46] del dopoguerra postfascista, in tempi diversi e per ragioni diverse, ma con intersezioni significative legate al dare la voce a chi ufficialmente non ce l’aveva. Saverio nasceva il 7 luglio del 1923, la sua autobiografia L’occhio del barracuda, minuziosa e sincera fino a farsi male, è piena di memoria di infanzia e di giovinezza. Poiché la mia prima collaborazione con lui è stata a Roma proprio in occasione della presentazione di quel suo scritto ed è da lì che comincia il mio dialogo con lui ‘fratello maggiore’, è quello il ‘mio Tutino’ più che il Saverio ‘cubano’ dei giovani degli anni ’70. Fui preso dall’ammirazione per un uomo che ‘ripassa la parte della vita [47], che ha il coraggio di cambiare, di realizzare una svolta in cui ci ha coinvolto in tanti e che ha cambiato la storia di Pieve Santo Stefano.

9788815382313_0_536_0_75Per dare a questi cento anni dalla nascita di Saverio Tutino un punto di riferimento, una sorta di pietra miliare, è stato prodotto in occasione del Premio del 2022, il libro di Camillo Brezzi e Patrizia Gabrielli, La forza delle memorie. L’archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. Il volume, edito da Il Mulino nella collana Storie Italiane, consta di più di 300 pagine con un indice dei nomi di nove pagine ed è un importante strumento editoriale di studio e di valorizzazione dell’Archivio. La forma che è stata scelta è quella di alternare analisi storiche con schede di presentazione dei testi [48] dei diaristi seguendo poi le predilezioni storiografiche e tematiche dei due autori in sodalizio (l’Italia coloniale, le donne nella Grande Guerra e nella Seconda Guerra mondiale, le violenze di genere). Il libro è dunque un’opera che nasce da autori del mondo accademico ma comprende e ricorda il fondatore Tutino e il mondo dei diari con un approccio volto a mettere in scena e in primo piano i diaristi e le loro storie dentro il Premio nella sua evoluzione nel tempo. Un libro ponte da cui ripartire verso il futuro. Un ottimo strumento che traccia una linea di riferimenti.

Un’ulteriore componente di questo sguardo verso il futuro è il successo del Piccolo museo del diario, la formazione delle guide, l’approccio fidelizzante ai visitatori. Nella sua plurale vivacità un altro elemento è la nascita e il rafforzamento di una associazione di supporto: l’Associazione Promemoria che «è un’associazione di volontariato che si occupa di cultura, nata per la salvaguardia della memoria individuale e collettiva in tutte le sue forme. Promemoria riconosce in questo campo il ruolo fondamentale della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale e collabora con questa importante istituzione e in particolare, da qualche anno ha concentrato la sua attività a sostegno del Piccolo museo del diario, espressione dell’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano».

Promemoria è una OdV (organizzazione di volontariato), aderente al Cesvot, Centro Servizi Volontariato Toscana che si colloca nel Runts, Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. La compagnia del DIMMi è anch’essa un notevole strumento di costruzione di un futuro innovativo. Un augurio all’Archivio multiforme e plurale che ora, nel 2023, compie 39 anni, quasi 40 dunque, e al suo fondatore Saverio Tutino che ne compie virtualmente 100.

Buon centesimo compleanno, Saverio. Noi siamo ancora qui a discutere, come volevi, delle cose che tu hai costruito e nelle quali ci fai sempre da compagnia e da guida.

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
Note
[1] 3015 nel 2021 con una tendenza netta ma non drammatica al calo. Nel 2001 erano 3313.
[2] L’altitudine media è di 431 metri, ma intorno vi è un sistema montuosoe il Parco delle Foreste Casentinesi con cime che superano i 1500 metri
[3] http://archiviodiari.org/index.php/larchivio-dei-diari/la-fondazione/376-un-po-di-storia.html
[4] http://archiviodiari.org/index.php/component/content/article/39-la-manifestazione/1081-crediti-2022.html.
[5] P. Clemente, Nota critica, in D. Priore (a cura di), in collab. con M. Isnenghi, Diario di guerra di un contadino toscano, Firenze, Cultura editrice, 1982. Molti temi teorici già venivano dal lavoro sulle fonti orali: P. Clemente, L’oliva del tempo. Frammenti d’idee sulle fonti orali, sul passato e sul ricordo nella ricerca storica e demologica, “Thelema”, III, 9: 33-38 (quindi in «Uomo e cultura» 33/6).
[6] Nella rivista Materiali di lavoro, n.1-2 del 1990: I luoghi della scrittura autobiografica popolare, Atti del 3° seminario nazionale, Rovereto 1/2/3 con scritti di Tutino, Guatelli, Clemente ed altri, Il saggio di Tutino aveva come titolo Il ‘vivaio’ di Pieve Santo Stefano.
[7] Una formula sperimentale che piaceva a Tutino, una specie di libro rivista.
[8] Diario Italiano, n.4, 1992
[9] Quaderni del Dottorato in Scienze etno-antroplogiche, numero su La scrittura popolare a cura di F. Mangiameli, Lo scritto di S. Tutino, L’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano è completato da due interventi di dialogo di P. Vereni, P. Clemente:19-22, Materiali per la didattica, Roma, senza editore.
[10] P. Clemente, Altre letterature, letterature altre, in “Dialoghi Mediterranei”, n.50, marzo 2020
[11] Mario Perrotta, Il paese di diari, Terre di mezzo, Milano, 2021 seconda edizione
[12] Diario Italiano, n.4, 1992
[13] Mi viene in mente Margerita Iannell, alfabetizzata a 50 anni che si innamorò della scrittura e che credette alla dimensione salvifica di questa.  Margherita scrisse sia delle varianti della sua opera intitolata prima Gli zappaterra, Milano Baldini e Castoldi 1996 e poi Quando la mia mente cominciò a ricordare, Bologna il Mulino 2015. Aveva veramente una vena di scrittrice e di formatrice. La invitai a un corso universitario a Siena e fu adottata subito dai miei studenti come una nonna molto saggia. Anche lei tornava ogni anno a Pieve in pellegrinaggio. Tra le sue cose sul web si trovano Con i partigiani in casa, in La guerra povera, Firenze, Giunti, 1994: 123-212; Solitarie passeggiate a Monte Sole, Bologna, Ponte Nuovo, 1995: 192
[14] A cura di F. Mangiamali, E. Mileo, La luna nel risciacquo, CISU, Roma, 2003 con una lunga nota critica del curatore e un mio testo sulla didattica antropologica basata sulle storie di vita.
[15] Nei primi mesi del 2001 nasce la collaborazione fra l’Archivio dei diari e la Sacher Film di Nanni Moretti e Angelo Barbagallo. Sette registi realizzano altrettanti film-documentari tratti da storie dell’Archivio di Pieve. Nanni Moretti presenta I diari della Sacher alla 58^ Mostra del cinema di Venezia. Al Festival, i “diari” ottengono un buon successo di pubblico e di critica, oltre a una segnalazione della Giuria del Premio Fedic. I film, coprodotti da Sacher, Tele+ e Rai3, vengono trasmessi in autunno su Tele+ grigio e nel periodo aprile-maggio 2002 su Raitre (SITO ADN).
[16] E. Mileo, Vivere e scrivere dalla Basilicata storie di andata e ritorno, Giannattelli Matera, 2017.
[17] La decisione era stata del 2014.
[18]  Io ho seguito alcune storie che nascevano da Pieve ed avevano al centro la scrittura. Quella di Mileo mi è rimasta più fortemente nel cuore, ma le diecimila storie approdate a Pieve hanno in potenza una enorme quantità di percorsi ulteriori e di storie singolari e collettive.
[19] D. Fabre, L’istituzione della cultura: per una antropologia comparata., in Lares, 1, 2003. 
[20] Programmazione e Gestione Eventi dell’Arte e dello Spettacolo, corsi di laurea dell’Università di Firenze con sede a Prato.
[21] P. Apolito, Il gioco del festival. Il romanzo del Giffoni Film Festival, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2004.
[22] Anna Iuso ha partecipato alla vita dell’Archivio per diversi anni, prima con Daniel Fabre e poi da sola, in dialogo con Saverio Tutino.  È stata direttrice della rivista dell’Archivio Primapersona.
[23] Anna Iuso, Costruire il patrimonio culturale. Prospettive antropologiche, Roma, Carocci, 2022; una prima edizione era uscita nel 2012 col titolo Declinare il patrimonio, ed. Aracne, Roma.   
[24] Ivi: 31.
[25] P. Clemente, Paesi-Aree interne, in Risk Elaboration, n.1, 2021 vedi anche la rubrica in questa rivista, Dialoghi Mediterranei, rubrica nata nel 2017 con il n.27 della rivista e contiene tanti contributi pertinenti a quel che qui stiamo analizzando, perché legati alla valorizzazione dei luoghi non centrali nello sviluppo e nella notorietà, che diventano invece centrali in una nuova prospettiva di sviluppo economico, sociale e culturale.
[26] Nel senso di un rapporto fraterno, paterno, o anche di cuginanza tra soggetti culturali.
[27] La pubblicazione dei dati dei contributi pubblici legata alla trasparenza mostra che la Fondazione ADN ha una posizione di altissimo profilo sia nella rete delle associazioni culturali nazionali che regionali, con la conseguente erogazione di finanziamenti rilevanti. Si è conquistata uno spazio quasi unico nell’ambito dell’associazionismo che non è legato all’arte ma a una cultura che genericamente potremmo definire ‘popolare’. Esiste inoltre una attività molto qualificata di ricerca fondi.
[28] Un riconoscimento legato a predilezioni individuali dei lettori della Commissione, che si impegnano anche ad ospitare i ‘loro’ segnalati, che viene comunicato e presentato in una specifica prestazione pubblica e che consente di ampliare le segnalazioni, e attutire l’effetto hit parade che sia Tutino che i giurati e i commissari di lettura hanno sempre cercato di porre ai margini. Come diceva Tutino, tutti sono premiati, ma per favorire la circolazione e la comunicazione l’Archivio ne pubblica uno che rappresenta anche gli altri.
[29] Pieve 1944. Il paese cancellato – attivalamemoria
[30] Si è trattato di una conversazione telefonica il 3 ottobre del 2022
[31] Gli stranieri residenti a Pieve Santo Stefano al 1° gennaio 2021 sono 304 e rappresentano il 10,1% della popolazione residente (Tuttitalia).
https://www.tuttitalia.it/toscana/79-pieve-santo-stefano/statistiche/cittadini-stranieri-2021/
[32] L’altitudine media è 433 m s.l.m., la minima: 351, la massima: 1.439.
[33] A. Magnaghi, Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino, 2010.
[34] APA – Association pour l’autobiographie et le Patrimoine Autobiographique (sitapa.org) Vedi anche nel Sito ADN  Hanno scritto (archiviodiari.org)
[35] ‘Riabitare l’Italia’ è una associazione finalizzata alla rinascita delle zone interne, legata alla pubblicazione di vari libri da parte di un gruppo di ricerca interdisciplinare che fa riferimento all’editore Donzelli: vedi A. De Rossi e al. a cura di, Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Roma. Donzelli, 2018
[36] Vincenzo Rapito, Terra matta, Einaudi, Torino, 2007
[37] Tommaso Bordonaro, La spartenza, prefazione di Natalia Ginzburg, Einaudi, Torino, 1991
[38] Presentati alla Mostra del cinema di Venezia nel 2001 e al Festival di Locarno nel 2002
[39] La sua critica riguardava il fatto che la ‘diversità’ dei testi che vengono valorizzati a Pieve è in contraddizione con lo stile con cui viene rappresentata da parte di lettori e interpreti che, in un certo senso, tendono ad ‘addomesticarla’
[40] P. Clemente, Facendo didattica in Primapersona, 1, 1, 1998, il primo numero della rivista fondata da Tutino
[41] Tra questi Giuseppe Anice, Ero di nessuno, Arcidosso, Effigi, 2019 tra i finalisti del 2014, Giuseppe Giannoni, Sugli ultimi gradini come testimonianza, la vita di uno psichiatra tra inciampi e speranze, Arcidosso, Effigi, 2022 lista d’onore, Franco Mori, Cronache della mia lunghissima vita, Arcidosso, Effigi 2019 inviato a Pieve.
[42] Ricordo ad esempio una casa editrice ‘storica’ di Cagliari, la CUEC che pubblicò un diario di guerra di Efisio Atzori, arrivato tra i finalisti del Premio, anche per mia iniziativa: Edelweiss per un alpino cagliaritano, 2002.
[43] Soprattutto dall’editore Einaudi.
[44] Penso a linguisti, semiotici, critici letterari, sociologi, sociologi della comunicazione, e antropologi.
[45] Quello del 1984 di Orwell
[46] Lorenzo Milani era nato a Firenze da una famiglia di proprietari e cultori dell’arte, si era trasferito a Milano nel 1930 legandosi ad avanguardie artistiche. Era bisnipote dell’antropologo Domenico Comparetti.
[47] Raboni
[48] Le schede in realtà sono racconti dell’incontro degli autori con i testi, legati alle circostanze del premio, e quindi raccontano, quasi come un diario personale, il premio lungo gli anni. Il pezzo dedicato a Vincenzo Rabito ad esempio, è di quasi 20 pagine e racconta l’incontro col diario, le valutazioni della Giura, i dibattiti di quell’anno.

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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021).

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