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L’incerta fede. Un fenomeno globale?

 

da La Repubblica

da La Repubblica, 30 novembre 2022

di Roberto Cipriani 

Premessa 

Il quotidiano la Repubblica del 30 novembre 2022, a firma del corrispondente Antonello Guerrera, titolava un suo articolo con il seguente testo: «Regno Unito, crollo di fedeli: i cristiani ora sono meno del 50%. Boom dei non religiosi». Nel “catenaccio” che segue per illustrare il titolo si davano altri dettagli: «Per la prima volta dal Medioevo, i cristiani non sono più maggioranza assoluta. Cresce il numero di persone che si definiscono ‘non religiose’: dal 25,2% del 2011 ora sono al 37,2%, ossia oltre 22 milioni. I bianchi scendono sotto il 50% a Londra e Birmingham». I non religiosi erano 14,1 milioni nel 2011, ma sono 22,2 milioni nel 2021, dunque con un aumento del 12% in dieci anni. 

Il cristianesimo britannico in calo 

In realtà, la notizia era già stata pubblicata il giorno prima dal Washington Post, in data 29 novembre 2022, a firma del corrispondente londinese William Booth: 

«Per la prima volta, meno della metà della popolazione di Inghilterra e Galles si considera cristiana, come rivelano nuovi dati governativi, in un profondo cambiamento demografico che sta dando luogo ad una Gran Bretagna molto più laica e diversificata. La diminuzione del numero di cristiani prosegue una lunga tendenza al ribasso in tutta Europa, ma l’ultimo censimento in Gran Bretagna mostra il calo più forte mai registrato, insieme con una parallela impennata del numero di persone che dichiarano agli addetti al censimento di non avere ‘alcuna religione’. Il nuovo ritratto di una popolazione molto meno cristiana potrebbe avere profonde conseguenze in Gran Bretagna, dal momento che la Chiesa d’Inghilterra è fortemente radicata nelle tradizioni e nel governo britannici. Il monarca britannico, ora re Carlo III, è il ‘Difensore della Fede’ e ‘Governatore Supremo della Chiesa d’Inghilterra’, e 26 vescovi della Chiesa siedono nella Camera dei Lord in Parlamento, dove approvano le leggi. Decine di migliaia di chiese anglicane costellano ancora il paesaggio della Gran Bretagna, dove ‘pub e parrocchia’ (pub and parish) sono tradizionalmente il cuore della vita del villaggio. Ma molte di queste chiese sono in difficoltà.
L’Office for National Statistics (ONS) del governo ha reso noto martedì che il 46% della popolazione di Inghilterra e Galles (27,5 milioni di persone) si è definita ‘cristiana’ nel 2021, in calo rispetto al 59% (33,3 milioni di persone) del 2011. ‘Nessuna religione’ è stata la seconda risposta più comune, crescendo al 37% (22,2 milioni di persone) dal 25% (14,1 milioni) del 2011. I numeri relativi alla Scozia arriveranno in seguito. «Ci siamo lasciati alle spalle l’epoca in cui molte persone si identificavano quasi automaticamente come cristiane», ha dichiarato l’arcivescovo di York, Stephen Cottrell, reagendo al censimento con un comunicato. Cottrell ha visto i numeri non come una sconfitta, ma sicuramente come una sfida, aggiungendo che ‘altri sondaggi mostrano costantemente come le stesse persone cerchino ancora la verità spirituale e la saggezza e un insieme di valori per vivere’. Ha poi aggiunto che ‘non è una grande sorpresa che il censimento mostri un numero inferiore di persone in questo Paese che si identificano come cristiane rispetto al passato, ma ci lancia comunque una sfida non solo a confidare che Dio costruisca il suo regno sulla Terra, ma anche a fare la nostra parte nel far conoscere Cristo’. Nel loro rapporto sul censimento, i ricercatori dell’ONS hanno scritto che sono molti i fattori che possono contribuire al cambiamento della composizione religiosa della Gran Bretagna, ‘come i diversi modelli di invecchiamento, fertilità, mortalità e migrazione’. La risposta al censimento era volontaria e anche la domanda era ampia: ‘Qual è la sua religione?’. Gli esperti hanno avvertito che molti intervistati potrebbero avere opinioni religiose o credenze spirituali che non sono state colte dal sondaggio. I risultati del censimento, tuttavia, sono visibili a chiunque frequenti una funzione domenicale in Inghilterra. Il numero di fedeli in molti ambienti è in calo e i partecipanti sono in maggioranza anziani. Nelle grandi città, inoltre, molti edifici ecclesiastici sono stati convertiti in centri comunitari e artistici, sale da concerto e persino condomini.
L’analisi dei dati della Chiesa d’Inghilterra condotta dal quotidiano The Telegraph ha rilevato che 423 chiese hanno chiuso tra il 2010 e il 2019. Gli stessi dati rivelano che 940 chiese hanno chiuso tra il 1987 e il 2019. Il numero totale di chiese rimaste in piedi è di circa 15.500, secondo il giornale. Il censimento ha rivelato altri cambiamenti. È aumentata la percentuale di persone che si definiscono musulmane (dal 4,9% al 6,5%) e indù (dall’1,5% all’1,7%). Il nuovo primo ministro britannico, Rishi Sunak, è un indù. Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, è musulmano. Andrew Copson, amministratore delegato di Humanists UK, ha dichiarato: ‘Questi risultati confermano che il più grande cambiamento demografico degli ultimi dieci anni in Inghilterra e Galles è stata la drammatica crescita dei non religiosi. Significano che il Regno Unito è quasi certamente uno dei Paesi meno religiosi della Terra’.
Il gruppo di Copson sostiene la separazione (the decoupling) della religione in Gran Bretagna, dalla Camera dei Lord alle aule scolastiche, dove un terzo delle scuole pubbliche in Inghilterra sono cristiane. ‘Nessuno Stato in Europa ha un assetto così religioso come il nostro in termini di leggi e politiche pubbliche, pur avendo una popolazione così poco religiosa’, ha detto Copson, aggiungendo che i numeri dovrebbero essere ‘un campanello d’allarme che spinga a riconsiderare il ruolo della religione nella società’. Come riflesso di questi cambiamenti, al momento della sua ascesa al trono, Carlo ha riaffermato il suo ruolo di Governatore Supremo della Chiesa d’Inghilterra, ma ha anche detto: ‘Mi ritengo tenuto a rispettare coloro che seguono altri percorsi spirituali, così come coloro che cercano di vivere le loro vite in accordo con gli ideali secolari’. Il calo del numero di persone che si dichiarano cristiane in Inghilterra e Galles segue ampie indagini sulla pratica religiosa in Europa occidentale, dove il Vaticano a Roma è stato il cuore della fede cattolica e la Germania è stata la fonte originaria del cristianesimo protestante. In un’analisi che costituisce un punto di riferimento, il Pew Research Center ha rilevato nel 2018 che, sebbene la stragrande maggioranza degli adulti in Europa occidentale dichiari di essere stata battezzata, oggi il 71% si descrive come cristiano e il 22% partecipa a funzioni religiose mensili». 

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Infine, va rilevato che lo 0,7% della popolazione di Inghilterra e Galles ha indicato le seguenti religioni: pagana (74.000), aleviana (26.000), jainista (25.000), wiccana (13.000), ravidassiana (10.000), sciamanista (8.000), rastafariana (6.000), zoroastriana (4.000). L’aumento maggiore è stato registrato dagli sciamanisti che si sono più che decuplicati, passando da 650 a 8.000. Per i gruppi non religiosi i dati sono: agnostici (32.000), atei (14.000), umanisti (10.000). 

Gli effetti delle migrazioni 

Come si vede, la notizia sui dati del censimento del 2021 è stata data martedì 29 novembre 2022 e ripresa lo stesso giorno sia dal Washington Post che da Today mondo che, sotto il titolo “In Inghilterra i cristiani non sono più maggioranza nella popolazione”, ha scritto: 

«che il Regno Unito fosse multiculturale era noto da tempo e il fatto che il suo nuovo premier, Rishi Sunak, sia un uomo di colore, di origini indiane e di religione indù è solo una delle manifestazioni di questa realtà. Ma adesso l’Inghilterra, insieme al Galles, è diventata talmente multiculturale che i cristiani non rappresentano più la maggioranza della popolazione, grazie anche al fatto che l’ateismo è in crescita. Addirittura in due città, Leicester e Birmingham, la comunità non cristiana che un tempo era minoranza adesso è diventata maggioranza della popolazione. Il censimento del 2021 rivela nelle due nazioni un calo di 5,5 milioni di anglicani e cristiani in generale e un aumento del 44% del numero di persone che seguono l’Islam. Come riporta The Guardian è la prima volta in un censimento di Inghilterra e Galles che meno della metà della popolazione si definisce ‘cristiana’. Nel frattempo, il 37,2% delle persone (22,2 milioni) ha sostenuto di non avere alcuna religione, la seconda risposta più comune dopo quella cristiana. Ciò significa che negli ultimi 20 anni la percentuale di persone che dichiarano di non credere in nessun dio è aumentata. L’emergere di popolazioni non bianche come maggioranza combinata in interi agglomerati urbani nelle due nazioni è rivelato dai dati sull’etnia, la religione e la lingua di oltre 60 milioni di persone raccolti in un censimento istantaneo il 21 marzo 2021. In Inghilterra e Galles l’81,7% della popolazione è ora bianca, anche non britannica, in calo rispetto all’86% del 2011, il 9,3% è britannico asiatico, in aumento rispetto al 7,5%, il 2,5% è nero, britannico nero, gallese nero, caraibico-africano e africano, in aumento rispetto all’1,8%, e l’1,6% è di altre etnie. Guardando alle città in cui questo fenomeno è più evidente i dati mostrano che il 59,1% degli abitanti di Leicester, la città la cui squadra fu portata a un primo, storico scudetto dall’allenatore italiano Claudio Ranieri, appartiene a gruppi etnici minoritari. Si tratta di un cambiamento importante rispetto al 1991, quando i neri e le minoranze etniche costituivano poco più di un quarto dei residenti. Nella città, famosa ora anche per la grande quantità e l’ottima qualità dei ristoranti indiani, la popolazione asiatica si è stabilita per la prima volta dopo che 20 mila persone vi si erano insediate dopo l’espulsione dall’Uganda nel 1972. Le minoranze etniche costituiscono più della metà della popolazione anche a Luton (54,8%) e Birmingham (51,4%), la seconda città del Regno Unito, dove 20 anni fa sette persone su 10 erano bianche. Dal secondo dopoguerra, la popolazione di Birmingham, la città recentemente resa celebre dalla serie Peaky Blinders, è cresciuta grazie all’immigrazione dai Caraibi e dall’Asia meridionale, oltre ai gujarati che si trovavano nell’Africa orientale». 

22Un fenomeno non del tutto nuovo 

Non è difficile ipotizzare che il quotidiano la Repubblica abbia pubblicato il suo articolo sul medesimo fenomeno solo il giorno successivo evidentemente “a rimorchio” degli altri giornali, più tempestivi. Ma non è questo il punto più importante da sottolineare. Sta di fatto che è stato dato un clamore sproporzionato ad una realtà ben presente da tempo nella letteratura sociologica, segnatamente europea e nella fattispecie proprio britannica, se si considera che la sociologa Grace Davie sin dal 2006 aveva parlato di una “religione vicaria” (cfr. Grace Davie, “Vicarious Religion: A Methodological Challenge”, in Nancy Tatom Ammerman, ed., Everyday Religion: Observing Modern Religious Lives, Oxford University Press, New York, 2006: 21-35). Per non dire di un precedente, non certamente secondario, ricordato dalla stessa Davie: «come è nata l’idea della religione vicaria? Per la maggior parte della mia vita lavorativa, ho attirato l’attenzione sulla zona intermedia della vita religiosa sia in Gran Bretagna che in Europa, cioè sul numero molto elevato di persone (circa il 50% della popolazione) che non sono né coinvolte con la religione organizzata, né si oppongono consapevolmente ad essa» (Grace Davie, “Vicarious Religion. A Response”, Journal of Contemporary Religion, 25, 2, 2010: 261-266, specificamente 261).

Invero, ancor prima la stessa Davie aveva coniato la formula “believing without belonging”, ovvero credenza senza appartenenza, che spiega perfettamente i dati resi noti di recente, dopo il censimento del 2021 in Inghilterra e Scozia. Tale formulazione rimonta addirittura a circa trenta anni fa (Grace Davie, “Believing without Belonging. Is this the Future of Great Britain?”, Social Compass, 37, 4, 1990: 455-469; Religion in Britain since 1945. Believing without Belonging, Blackwell, Oxford, 1994). Anch’io mi ero espresso, in quel periodo, in merito ad una sorta di religione sostitutiva, vicaria, allargata, scrivendo di «soggetti che mostrano questo tipo di comportamento per cui difficilmente saranno disposti a impegnarsi nella Chiesa e nella religione. Al massimo, lasciano che altri lo facciano e approvano le loro attività» (“De la religion diffuse à la religion des valeurs”, Social Compass, 1993, 40, 1: 91-100, specificamente 97). Si constatava, così, una transizione da una religiosità vissuta alla larga dalle istituzioni religiose ad un riferimento comune ad alcuni valori condivisi, quasi sempre di matrice religiosa o cristiana nella fattispecie e comunque non dissimili dai principi di vita che costituiscono la base delle religioni cristiane o di quelle buddiste o islamiche o induiste e così via nelle loro varie declinazioni ideologiche e territoriali (cfr. Roberto Cipriani, Diffused religion. Beyond Secularization, Palgrave Macmillan, Cham, 2017). 

Per ritornare al censimento britannico, c’è da dire che porre la domanda su quale sia la propria religione non è la modalità più appropriata per conoscere il livello di religiosità percepito e sperimentato dagli interrogati, in quanto la risposta fornita al quesito lascia fuori, di fatto, molta parte dell’esperienza religiosa, che non può limitarsi ad un’appartenenza di Chiesa, quale che sia. Al di fuori dell’ortodossia e dell’ortoprassi abbondano tante altre forme di vivere la relazione con la divinità, con il supposto creatore e persino con la natura stessa, eventualmente fatta assurgere ad entità affine a ciò che si considera metafisico. In verità, la propensione attualmente in corso che induce i sociologi specialisti del settore a studiare più la spiritualità che non la tradizionale religione-di-Chiesa deriva da una constatazione irrefutabile, che acclara l’esistenza di numerose forme che sfuggono ad una sistemazione canonica, ad un giudizio sbrigativo di non pertinenza religiosa istituzionale e all’osteggiamento da parte dei vertici gerarchici delle Chiese storiche. 

417nqh4kudl-_sx307_bo1204203200_Il caso italiano     

La ricerca sulla religiosità in Italia, svolta nel 2017 con un duplice approccio, quantitativo mediante questionario da parte di Franco Garelli (cfr. Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna, 2020) e qualitativo mediante interviste qualitative da parte mia (cfr. L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2020), ha messo in evidenza due fatti sostanziali: la decrescita della pratica religiosa regolare settimanale di matrice cattolica e l’ampliamento di un’area religiosa che va al di là dell’appartenenza di Chiesa.

In linea preliminare va ribadito che in Italia uno studio scientifico sul fenomeno religioso ha sempre avuto enormi difficoltà, fin dalla prima metà del secolo scorso. Ad esempio, Ernesto Bonaiuti (1881-1946), storico accademico delle religioni, sacerdote cattolico e seguace del modernismo era stato osteggiato e poi scomunicato ufficialmente nel 1926 perché sosteneva appunto il movimento modernista, anche se non ne condivideva qualche atteggiamento antireligioso. 

Più tardi, il fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il frate francescano Agostino Gemelli, ostacolò quella che allora si chiamava ancora “sociologia religiosa” ed in particolare favorì ben poco lo svolgimento dell’ottava Conferenza Internazionale di Sociologia Religiosa che si tenne in Italia, a Bologna, nel 1959. E anche quando nei seminari per la formazione del clero si inserì l’insegnamento della sociologia dedicata al fenomeno religioso spesso la si sostituì nei contenuti, professando piuttosto la dottrina sociale della Chiesa invece di una scienza sociale a tutto tondo dedicata all’analisi della religione. Il che, insieme con tanti altri aspetti ostativi, ha creato problemi anche sul piano della testimonianza cristiana data nella Chiesa e dalla Chiesa.

5000089542161_0_0_536_0_75Tanti studi sociologici sono stati avversati, pur avendo qualcosa di importante e di originale da dire. Basti pensare all’indagine di don Lorenzo Milani dal titolo Esperienze pastorali (Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1972), quasi una protosociologia italiana della religione, che, nonostante la presenza dell’imprimatur da parte del cardinale Elia Dalla Costa, tante polemiche suscitò nel mondo cattolico e fece del suo autore un quasi eretico, dato che l’opera venne ritirata dal commercio su decreto del Sant’Uffizio. Solo molto tempo dopo, don Milani è stato in qualche misura riabilitato. Il che non è avvenuto per Ernesto Bonaiuti, sebbene nel 2014 sia stato redatto e presentato un documento firmato da qualche centinaio di persone, fra cui l’intellettuale cattolico Raniero La Valle e il vescovo Luigi Bettazzi. Il caso Galilei, dunque, non ha fatto molto scuola. 

Ad ogni buon conto è opportuno ribadire che la sociologia non può essere definita religiosa: sarebbe una contraddizione evidente di termini; in effetti la scienza non può avere un carattere confessionale tout court e necessita di tutta la sua autonomia per potersi esprimere liberamente. Resta emblematico il fatto che a lungo presso l’Università Cattolica di Milano sia rimasto attivo un insegnamento denominato Sociologia Religiosa e solo di recente si sia cambiata la denominazione in Sociologia della Religione. 

Oggi, comunque, il discorso è mutato ma è anche diventato ancora più complesso. L’area laica delle scienze sociali non è più avversa e anche in campo giornalistico un esempio di rilievo in tal senso è stato dato da Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano la Repubblica, apertosi molto alle problematiche religiose, sino ad interloquire direttamente con papa Francesco. Ma gli schieramenti non sono del tutto compatti sull’una e sull’altra delle posizioni contrapposte a livello scientifico-intellettuale. 

222L’impatto dell’indagine sulla religiosità 

La ricerca con interviste e questionari sull’“incerta fede” fa seguito ad un’altra precedente inchiesta del 1994, finanziata dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e solo in parte dall’allora Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. L’indagine fu svolta su un campione molto vasto, 7500 persone (ne sarebbero bastate anche 1000, perché fosse statisticamente rappresentativa). Si era alla fine del 1994, allorquando vennero pubblicati, in forte ritardo, i risultati del censimento del 1991. In base alla nuova realtà delineata dall’ISTAT (Istituto Centrale di Statistica) si dovette rinunciare a 3000 interviste, per far sì che il campione studiato rispecchiasse il profilo demografico del Paese. 

Questa volta, invece, la ricerca realizzata nel 2017 non è stata finanziata da alcun Ministero, ma solo dalla Conferenza Episcopale Italiana, grazie alla sensibilità mostrata da monsignor Nunzio Galantino nella sua qualità di Segretario Generale della stessa CEI. Va però precisato che non si è affatto aderito alle richieste di “ecclesiasticizzare” la ricerca, ad esempio con domande sulla pastorale e sui sacramenti. I due volumi principali (di Garelli e di Cipriani) che presentano i risultati sono stati inviati ai vescovi italiani nella loro versione cartacea. Inoltre, sono stati organizzati diversi webinars, con la partecipazione di alcune centinaia di studiosi, per discutere gli esiti delle indagini e le rispettive interpretazioni. A livello di mass media il rilievo dato dai giornali al volume di Garelli è stato più che adeguato. Invece per l’altro testo, a carattere quanti-qualitativo, il riscontro è stato più ridotto. Esclusivamente Avvenire, Corriere del Ticino, Frontiera Rieti, Gazzetta di Mantova, korazym.org, la Repubblica (edizione di Napoli), L’Osservatore Romano, Roma e, on line, il Sussidiario.net, La Croce Quotidiano, La nuova Bussola Quotidiana e Vivere Roma fra i giornali quotidiani hanno pubblicato almeno un articolo sulla ricerca. A livello televisivo, in particolare, quasi solo il TG2 e poche altre testate hanno prestato attenzione ai dati quanti-qualitativi forniti. Insomma specialmente la stampa quotidiana di maggior diffusione è stata del tutto assente in proposito. Eppure i risultati dei diversi studi condotti avrebbero potuto essere di notevole interesse per comprendere i mutamenti in atto nel Paese. Per non dire dell’utilizzabilità dei dati da parte della Chiesa Cattolica, in primis, impegnata attualmente a mettere a fuoco il tema della sinodalità e della partecipazione. 

499-la-chiesa-brucia-copertinaIl contesto storico-sociale 

Nel periodo in cui sono stati diffusi i dati sulla religiosità italiana altre pubblicazioni hanno visto la luce ed aperto un dibattito sulla realtà sociale della penisola e delle isole. Uno specifico rinvio è dovuto all’opera di Andrea Riccardi, La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo (Laterza, Bari, 2021), che considera la difficile situazione della Chiesa cattolica, la quale rischia di doversi limitare a sopravvivere, facendo leva sul suo passato e lottando contro la crisi dovuta al disinteresse e alle molte critiche che riceve. Poi, nel libro di Giuseppe De Rita, Il gregge smarrito. Chiesa e società nell’anno della pandemia (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2021), si osserva che la pandemia ha messo in evidenza alcune carenze di vecchia data, in particolare il distanziamento dalla società e dai fedeli, l’inconsistenza della posizione socio-politica, l’indecisione operativa dinanzi ai segni dei tempi, la difficoltà del discernimento, la debolezza operativa e l’inefficacia delle azioni esterne, la ghettizzazione della presenza nel sociale, il mancato riconoscimento dei suoi valori, l’assenza di un coordinamento fra le sue iniziative pubbliche, insomma «una Chiesa che parla senza contare e agisce senza parlare». Infine, nel testo di Marco Ventura, Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà (il Mulino, Bologna, 2021), si fa presente che sono numerose ed ostiche le sfide che la Chiesa ha da affrontare, mentre le religioni hanno subìto rilevanti cambiamenti ma la maggioranza della popolazione mondiale fa riferimento ad esse nella misura dell’85%, per cui si può ipotizzare una sorta di super-religione che caratterizzerà il futuro. 

9788815291806_0_424_0_75L’incertezza della fede 

Si parla di incerta fede per dire che in effetti una fede matura, travagliata, riflessiva è necessariamente incerta: è un dato di fatto emerso più volte nelle 164 interviste qualitative, suddivise secondo diverse stratificazioni. L’asse portante è stato il titolo di studio, a sua volta segmentato per età, sesso, residenza (grandi, medie, piccole città) ed area geografica (nord, centro, sud-isole). Si è cercato di ottenere dati “naturali” (secondo le istanze formulate da Jonathan Potter, “Two Kinds of Natural”, Discourse Studies, 4, 4, 2002: 539-542), con la minima influenza dell’intervistatore (cosa piuttosto difficile). Infatti, alcune interviste avevano un’impostazione assolutamente libera, senza domande, specialmente religiose.

L’intervista cominciava in modo generico con frasi del tipo “Mi parli della sua vita”. Inoltre, si è cercato di non far trapelare che si indagava sul fenomeno religioso. Ciò si è fatto in 78 interviste. Nondimeno, sono emersi, in quasi la totalità di esse, alcuni riferimenti alla dimensione religiosa. Nei rimanenti 86 casi, si è cominciato allo stesso modo, cioè senza porre domande dirette sulla religiosità, ma in una seconda parte si sono affrontati temi molto specifici, ad esempio giorni feriali e festivi, gioia e dolore, vita e morte, preghiera (pratica non soggetta, in generale, al controllo sociale). Si sono abbordati anche gli argomenti Dio, Chiesa (istituzione religiosa) e papa Francesco. L’impegno investigativo è stato notevole con 29 intervistatori e 80 ricercatori coinvolti con metodologie innovative. Per l’analisi e l’interpretazione sono stati utilizzati 16 diversi metodi quanti-qualitativi. Alcuni aspetti rilevati in campo qualitativo hanno trovato riscontri anche nei dati quantitativi. È forse la prima volta che tutti i dati qualitativi di una ricerca nazionale sulla religiosità sono resi disponibili e possono essere rielaborati da chiunque sia interessato, dietro semplice richiesta: https://www.ciprianiroberto.it/2021/06/16/intervistequalitative/ 

il-sentimeto-del-nataleI risultati 

Parlando della vita quotidiana e festiva gli intervistati nella misura del 14,2% rendono noto che fanno la comunione eucaristica almeno ogni domenica ma sono ancora più numerosi quelli che vanno settimanalmente a messa, cioè il 22% (dato, quest’ultimo, che corrisponde perfettamente a quanto rilevato anche attraverso la somministrazione di 3238 questionari ad un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana). Si accerta che il Natale è una festa molto sentita e partecipata, più della Pasqua e di qualunque celebrazione laica. 

In materia di felicità e dolore, 150 persone su 164 persone si sono dette soddisfatte della vita che conducono. Dati simili si riscontrano anche nelle indagini annuali promosse da Ilvo Diamanti con la sua agenzia Demos. Ad esempio, proprio a proposito del Natale, un sondaggio condotto nel 2018, appena a ridosso della nostra indagine del 2017, ha acclarato che il 61% degli intervistati ha provato felicità nelle feste natalizie e l’allegria ha coinvolto soprattutto i giovani under-ventiquattrenni per il 75%, i giovani adulti tra i 25 e i 34 anni per il 68% e gli adulti tra 45 e 54 anni per il 72%: https://www.termometropolitico.it/1372689_sondaggi-demos-pi-natale.html. 

Per di più, l’entusiasmo per la festività del 25 dicembre aumenta tra chi frequenta assiduamente la Messa (71%). Ma non va trascurato il fatto che il 90% dei 164 intervistati nella nostra ricerca qualitativa dica di aver più volte provato un dolore intenso, in relazione a specifici eventi tragici, drammatici, assai spiacevoli. Per quanto concerne vita e morte non è certo un caso che sia la religione la migliore soluzione (nel 58,3% dei casi) per trovare qualche conforto rispetto ad una perdita grave, immatura, imprevista, di una persona cara. Sono invece più complessi i dati in merito a ciò che avviene dopo la morte: il 35,4% dice che c’è qualcosa, ma il 41,4% non sa rispondere, non ha certezze. A proposito di Dio la credenza è al 75%, però la non credenza tocca il 25%.

Tuttavia se si analizza in dettaglio il dato dei credenti si scopre che solo il 13% è abbastanza saldo nel credere, il 13% appare in dubbio, il 10% mostra andamenti altalenanti, il 7% naviga nell’incertezza e il 21% si presenta ambiguo e non chiaramente comprensibile nel suo orientamento. Negli anni Novanta la non credenza era molto più bassa, giacché si attestava attorno all’8% (la dichiarazione esplicita di ateismo era al 5% e l’accertamento della non religione mostrava un tasso all’8,9%). In pratica la non religiosità è quasi triplicata nell’indagine del 2017.

Particolarmente interessante è il dato sulla preghiera: se da una parte il 26,8% non prega mai – un dato non difforme dalla consistenza della non credenza in Dio – vi sono però il 26,1% che prega almeno ogni settimana, il 26,6% ogni mese e il 20,5% ogni anno. Invece è assai più problematico il rapporto con la Chiesa istituzione: vi fa affidamento il 35%, il 26,9% è perplesso, il 31,5% è contrario e di pochi altri è difficile comprendere il punto di vista. Insomma, in buona parte non si è d’accordo con la Chiesa e con i suoi rappresentanti ufficiali, in modo particolare. Ma sembra costituire un’eccezione il papa Francesco, che invero riscuote gradimento ma con risultati diversi a seconda delle procedure metodologiche utilizzate, per cui si va dal 33,2% di sì nei suoi riguardi (nell’analisi basata sul sentimento) a più del doppio, 69,7%, parlando in generale sulla sua credibilità. 

8bf3456cover23373La Chiesa istituzione come rovesciamento della religione 

La relazione degli intervistati con la Chiesa evidentemente fa problema. In passato quando ci si riferiva al comportamento abituale di persone di Chiesa si usava parlare di religione-di-Chiesa per dare l’idea di compattezza e vicinanza estrema. Ora sta emergendo sempre più una nuova categoria concettuale, quella di Chiesa religione, della Chiesa che diventa essa stessa religione e si sostituisce ai contenuti di fede. Perciò passerebbe l’idea che la Chiesa stessa sia la religione, quasi una sorta di messaggio subliminale del tipo “siamo noi la religione”, che passa attraverso la gerarchia, il clero ed in particolare i parroci, che sono i soggetti più vicini alla popolazione e più a contatto diretto con essa. Peraltro la Chiesa è marginale nella quotidianità, nei discorsi abituali. Ma se se ne parla è solo per biasimarla, perché appare sostituirsi al Vangelo e condizionarne l’accoglimento. 

Intanto la pratica religiosa regolare, come si è detto, è diminuita al 22% rispetto al 31,1% del 1994. Eppure rimane uno stretto rapporto tra certezza e incertezza della fede, in quanto fra le due linee di pensiero e di comportamento non c’è soluzione di continuità. Anzi persiste un’evidente contiguità, sebbene si registri un andamento in senso diacronico per cui si verifica uno scavalcamento della fascia di credenti certi da parte di quella degli incerti. Nel 1991 l’incertezza era al 30,6%; nel 2007 (cfr. Franco Garelli, Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo, il Mulino, Bologna, 2011) era salita al 36,9%; poi, nel 2017 è salita al 38,6%. In pratica, è cresciuta soprattutto l’incertezza. Infatti nel 1991 la certezza era al 51,4% ed ancora nel 2007 era maggiore dell’incertezza (45,8% a fronte del 36,9%), mentre nel 2017 è stata superata per due punti di percentuale dall’incertezza: 36,6% rispetto a 38,6%. 

Esemplare è il caso della percezione sociologica dell’eutanasia che è già stata approvata a livello parlamentare, ma anche tra la popolazione vi è stato un cambiamento significativo: dal 22% di favorevoli nel 1994 al 62,7% del 2017. Sul mutamento avvenuto nella valutazione dell’eutanasia ha avuto un peso rilevante l’impatto dei mass media. 

9788869922640_0_536_0_75Conclusione 

I resoconti presenti nelle interviste raccolte sono, in molti casi, dei veri e propri diari dei vari percorsi biografici. Sono state narrate numerose esperienze di vissuto religioso, soprattutto sulla preghiera. La centralità della fede nelle sue due varianti di credenza e non credenza è emersa chiaramente nel corso dell’indagine. Va anche detto che in precedenza la parola fede era tabù tra i sociologi della religione, come se si trattasse di pura teologia. Ora ne è stata fatta una vera e propria categoria sociologica, priva di valenze peculiarmente confessionali o pastorali. In tal modo è stato possibile rovesciare in qualche modo il suo significato tradizionale, che poteva dare adito a molte ambiguità. Come conseguenza immediata si è sdoganata la categoria dell’incertezza in quanto applicabile proprio alla fede. Anche in uno studioso e intellettuale cattolico a tutto tondo come Dario Antiseri, autore di Credere. Dopo la filosofia del secolo XX (Armando, Roma, 1999), di Credere. Perché la fede non può essere messa all’asta (Armando, Roma, 2005), e di Tra l’assurdo e la speranza. Siamo tutti fideisti? (Scholé, Brescia, 2021), il discorso sul dubbio che sostanzia la fede è ben presente, in larga misura.

In altri termini, resta comunque importante la dimensione della riflessività insieme con quella dell’incertezza. Le narrazioni delle 164 interviste si muovono sovente fra l’uno e l’altro versante, rispettivamente, della razionalità e dello scetticismo, come pure della controversia e della sfiducia, della discussione e dell’opinione momentanea, fra il sì ed il no alla posizione di fede. A ciò si unisce tutta una serie di considerazioni su Chiesa e religione ed in particolare su quello che sostiene pure papa Francesco, cioè il peso preponderante del clericalismo, che travalica il messaggio evangelico adattandolo alle contingenze istituzionali e soggettive del personale ecclesiastico. Proprio per questo sembra necessaria una maggiore attenzione alla dimensione strutturale della fenomenologia religiosa, che in tutto il libro su L’incerta fede è un po’ sullo sfondo ma diventa centrale principalmente quando si parla della Chiesa istituzione. 

Inoltre, sono particolarmente i giovani che presentano le caratteristiche di incertezza in maniera più marcata. Nei riguardi di papa Francesco, comunque, il loro gradimento è ad un buon livello, circa il 69%. Intanto, le altre manifestazioni di fede sono abbastanza articolate, anche se prevale una sorta di “religione vicaria”, per dirla con la già citata Grace Davie: un’ampia quota della popolazione non pratica e di fatto delega altri ad agire religiosamente ed istituzionalmente in proprio nome, in propria vece appunto. Si può anche parlare di religione diffusa (come si è anticipato in precedenza), dunque di una sorta di deriva che non significa distacco totale, per cui si è credenti “diversamente”, come ha sostenuto Gian Enrico Rusconi (“I vescovi e il paese. Cattolico e credente non sono sinonimi”, La Stampa, 29 settembre 2005). 

9788835108993_0_536_0_75L’inchiesta effettuata nel 2017 offre un contributo ulteriore per entrare nel merito della religiosità in Italia: sta avanzando una nuova ondata di spiritualità. C’è una ricerca di modalità spirituali alternative, attraverso esperienze originali e ulteriori vissuti, dichiaratamente anti-istituzionali. Nondimeno, i valori continuano a vigere in maniera notevole. Si tratta non solo del rispetto verso le persone ma anche di ben altro: famiglia, giustizia, solidarietà, condivisione, lavoro, cultura, devozione, religiosità. Dunque si è dinanzi ad uno scenario articolato, diversificato. 

A questo punto è possibile fare una previsione, a ragion veduta: probabilmente aumenterà l’incertezza della fede. E rimarrà una costante: la religione sarà scambiata per la Chiesa. La pratica continuerà a diminuire ma non drasticamente. Aumenterà la non credenza. Si incrementerà una moralità soggettiva, che spiegherà molte devianze dal magistero ufficiale di Chiesa. La preghiera sarà ancora presente, ma non aumenterà, anzi tenderà a stabilizzarsi sui tassi precedenti. In linea di massima la tendenza a credere in Dio rimarrà stabile. 

Infine c’è da chiedersi come sarà il prossimo papa e come andrà con i prossimi pontefici. Molto dipenderà ovviamente dalla personalità del soggetto che diventerà papa. Le caratteristiche individuali hanno sempre avuto un gran peso. Non mancheranno delusioni rispetto alle aspettative. A dire degli intervistati, lo stesso papa Francesco ha un po’ deluso. Sta di fatto che difficilmente una sola persona per quanto autorevole e capace, sarà in grado di cambiare l’andamento che è durato per duemila anni. E non è solo una questione di rapporti fra il papa e la Curia Romana. Le variabili sociologiche in gioco sono tante e fortemente diversificate. Si tratta pur sempre di una fenomenologia a carattere globale. Molto tempo passerà ancora, prima che qualcosa di significativamente diverso possa aver luogo.

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023

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Roberto Cipriani, professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, è stato Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia. Ha condotto numerose indagini teoriche ed empiriche. La sua principale e più nota teoria sociologica è quella della “religione diffusa”, basata sui processi di educazione, socializzazione e comunicazione. Ha condotto ricerche empiriche comparative in Italia a Orune (Sardegna), in Grecia a Episkepsi (Corfù), in Messico a Nahuatzen (Michoacán) ed a Haifa (Israele) sui rapporti tra solidarietà e comunità. Ha realizzato film di ricerca sulle feste popolari. Fa parte del comitato editoriale delle riviste Current Sociology, Religions, Sociedad y Religión, Sociétés, La Critica Sociologica, Religioni e Società. È Advisory Editor della Blackwell Encyclopedia of Sociology. È stato Directeur d’Études – Maison des Sciences de l’Homme – Parigi e “Chancellor Dunning Trust Lecturer” alla Queen’s University di Kingston, Canada. È autore di oltre novanta volumi e mille pubblicazioni con traduzioni in inglese, francese, russo, spagnolo, tedesco, cinese, portoghese, basco, catalano e turco.

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