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Sul significato di “Paesaggio Culturale” in Italia

Paesaggio Culturale Toscano, Valle d'Orcia  (Olimpia Niglio, 2022)

Paesaggio Culturale Toscano, Valle d’Orcia (ph. Olimpia Niglio, 2022)

di Olimpia Niglio

L’interesse dell’uomo per il paesaggio trova radici antiche. In tutte le culture e nelle differenti epoche storiche l’uomo ha cercato sempre di stabilire un dialogo con il paesaggio, ossia quell’insieme di risorse naturali alle quali sono riconosciute anche valori estetici importanti.

Sin dall’antichità, da Oriente a Occidente, le elaborazioni artistiche e concettuali sul paesaggio sono state fondamentali per conoscere ed apprezzare il dialogo tra l’uomo e la natura che si è concretizzato attraverso documenti descrittivi e le rappresentazioni ovvero le interpretazioni dei suoi contenuti materiali e immateriali.

Con riferimento all’Occidente sin dall’epoca greca la pratica della sophia, ossia della conoscenza, del paesaggio era fondamentale per raccogliere informazioni e identificare le diversità culturali dei territori. Questo patrimonio di conoscenze si era poi sviluppato durante l’Impero Romano ma principalmente nel Medioevo con la tradizione dei viaggi religiosi (pellegrinaggi) e delle attività mercantili. Un ruolo fondamentale ha avuto anche l’antica Via della Seta che univa il Mediterraneo all’Estremo Oriente e lungo la quale i paesaggi, descritti dai viaggiatori e dai mercanti, erano molto diversificati. La nascita della cartografia, già in epoca greca, costituisce un prezioso strumento per illustrare i paesaggi anche attraverso rappresentazioni pittoriche.

Proprio gli interessi esplorativi dell’uomo hanno consentito di sviluppare lo studio delle scienze ambientali, di costruire le basi della geografia moderna e di dar ampio supporto anche alla evoluzione delle arti e della letteratura nel settore del paesaggio (Turri, 2003: 1-16).

Queste tematiche hanno trovato importanti riscontri tra il XVIII e XIX secolo quando scrittori e geografi come Friedrich Alexander von Humboldt (1769-1859) e Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) percorrevano la lunga penisola italiana e, attraverso una indagine diretta basata su dati soggettivi ed emozionali, valorizzavano le caratteristiche paesaggistiche di questo territorio (Goethe, 2006). Soprattutto il XIX secolo è stato un periodo ricco di fermenti filosofici, scientifici e culturali sul tema del paesaggio, con la nascita di Ernst Haeckel (1834-1919), padre fondatore delle teorie sull’ecologia e Frederich Ratzel (1844-1904) sostenitore dei primi studi sull’ambiente e la geografia, seguito poi dal geografo francese Paul Vidal de La Blache (1845-1918) e dallo storico Lucien Febvre (1878-1956) che avevano attribuito al paesaggio un valore più antropico, affermando criticamente il contributo dell’uomo nella sua caratterizzazione (Venturi Ferriolo, 2002).

Intanto in Italia solo a partire dalla prima metà del XX secolo si affermano una serie di posizioni culturali finalizzate ad indagare l’innovativo campo disciplinare dell’ecologia, delle scienze naturali e della storia sociale. Sicuramente le ricerche attivate in Italia applicate allo studio delle tradizioni culturali locali sono un riferimento fondamentale per conoscere correttamente l’evoluzione del concetto di paesaggio all’interno di un territorio molto diversificato culturalmente. In questo ambito sono stati molto importanti gli studi del geografo friulano Renato Biasutti (1878-1965) e del geografo fiorentino Aldo Sestini (1904-1988) sul concetto di paesaggio antropizzato, ossia risultato di una complessa combinazione di fenomeni legati alle azioni dell’uomo (Curioni, 2017: 23-24).

Montepulciano (ph. Olimpia Niglio, 2018)

Montepulciano (ph. Olimpia Niglio, 2018)

A queste posizioni, connesse a una concezione del paesaggio incentrata sulle forme prodotte dall’uomo, si affianca negli anni Sessanta del XX secolo un indirizzo di studio più improntato sulla dimensione storica, i cui maggiori esponenti sono stati Emilio Sereni e Lucio Gambi che hanno investigato in modo particolare i paesaggi rurali. Certamente la visione di Emilio Sereni e di Lucio Gambi è stata molto innovativa perché, oltre al valore estetico e sensoriale, hanno valorizzato i contenuti culturali propri del paesaggio. Infatti, per questi studiosi il paesaggio è la testimonianza delle trasformazioni operate dall’uomo sul territorio e quindi dei processi storici, economici, sociali e politici che si sono susseguiti nel tempo e che hanno contribuito alla creazione della storia del paesaggio (Bonini, 2012: 140-149).

Nel 1961 sia Sereni che Gambi pubblicano due importanti volumi nei quali elaborano le nuove teorie (Sereni, 1961; Gambi, 1961). Per i due geografi italiani il paesaggio diventa così il risultato di una sovrapposizione di segni determinati dall’uomo sul territorio, in un processo di continua trasformazione e in relazione anche ai cambiamenti climatici e storici che la storia ci ha tramandato. Il paesaggio è simbolo della stratificazione di una eredità culturale che Sereni e Gambi definiscono come “patrimonio del paesaggio”. Il tema trova poi riscontro anche nelle teorie del geografo Eugenio Turri che studia ed esplora il tema del paesaggio attraverso una forte vocazione sociale e politica. Nel suo approccio scientifico è centrale il tema dell’antropologia e quindi il ruolo delle discipline umanistiche in grado di supportare letture culturali dei paesaggi umani (Turri, 1974: 103-104). Infatti, secondo Turri i comportamenti individuali orientano le azioni sociali e determinano le diversità dei paesaggi. Ecco che il paesaggio diviene “teatro” ossia scenario in cui l’uomo è attore e attraverso le sue azioni trasforma l’ambiente e il territorio (Turri, 1998:26-27).

Tutti questi studi sono stati fondamentali per promuovere un sistematico dibattito sul tema del paesaggio italiano che, a partire dagli anni ’90 del XX secolo, si è arricchito di nuovi valori connessi alla storia e alle culture locali. Sicuramente il tentativo di mettere in relazione valori identitari con l’evoluzione del paesaggio agrario e urbano ha consentito di aprire nuovi ed interessanti orizzonti disciplinari, già anticipati anche dalla Carta di Nara del 1994 che introduce il concetto dell’autenticità del patrimonio culturale e pertanto dei luoghi. Da qui il carattere antropologico della conoscenza del territorio e la necessità dell’approccio multidisciplinare nella tutela del paesaggio (Nonaka, 1994: 24).

Solo a partire dal nuovo Millennio, prima con la Convenzione Europea sul Paesaggio (2000) e poi con le Convezioni UNESCO del 2003 e del 2005, si è maggiormente affermato il concetto di “Paesaggio Culturale” che individua una specifica e irripetibile identità dei luoghi, frutto dell’interazione tra bene singolo e contesto, l’architettura e l’ambiente, l’arte e la società. Si defi­nisce Paesaggio culturale in quanto l’uomo ha organizzato e modellato lo spazio creando simbiosi e fusione tra natura e cultura. In questo modo il Paesaggio Culturale individua i valori spirituali come caratteri distintivi di un territorio, connotato da una ricchezza stratigrafica di insediamenti e culture. È possibile dunque parlare di “patrimonio del paesaggio” quale risultato di una costante evoluzione di processi sociali e culturali destinati a plasmare l’identità di un territorio, quale spazio di vita collettiva in continuità con le tradizioni storiche.

Il Paesaggio Culturale è fattualmente un elemento “vivente” e “attivo”, espressione delle azioni sociali e culturali di un territorio in continua evoluzione. Ci aiuta a leggere la relatività e la pluralità dei valori che è possibile attribuire al patrimonio culturale, la loro variabilità in relazione ai diversi momenti storici e ai contesti economici e sociali. Infine, l’identificazione del paesaggio come patrimonio è l’esito di un processo di assegnazione di valori che non possono essere definiti in forma assoluta, ma solo relativamente alla specificità di ogni luogo ed ogni tempo.

Da tutto questo non è difficile intuire come le teorie di Sereni, Gambi e Turri hanno contributo concretamente ad individuare quella dimensione immateriale del patrimonio culturale del paesaggio e da qui l’affermazione delle identità, della creatività e delle diversità che hanno consentito di delineare un approccio innovativo in grado di far dialogare elementi del contesto ambientale con fattori del contesto storico e culturale. 

Il paesaggio culturale in Toscana: il Chianti e la Val d’Orcia

Il paesaggio culturale in Toscana: il Chianti e la Val d’Orcia (ph. Olimpia Niglio, 2018)

Con il decreto del Presidente Repubblica del 24 luglio 1977, n.616, tutte le regioni in Italia sono delegate al governo dei rispettivi territori e quindi a redigere leggi anche in materia urbanistica e gestione del territorio. In Toscana sono tre le leggi di riferimento per il governo del territorio: la legge regionale del 16 gennaio 1995, n. 5; la legge regionale del 3 gennaio 2005, n. 1 e la legge regionale del 10 novembre 2014, n. 65. In particolare, la legge del 1995 ha introdotto il concetto di “risorsa del territorio” distinguendo due categorie: la risorsa naturale e la risorsa essenziale.

La “risorsa naturale” indica la tutela dell’aria, dell’acqua, del suolo e dell’ecosistema; la “risorsa essenziale” si riferisce invece alle trasformazioni antropiche e quindi alle città, agli insediamenti produttivi e al paesaggio. La legge del 2005 ha poi stabilito le autonomie locali nella gestione di queste risorse e come le tematiche connesse alla tutela del paesaggio e dell’ambiente devono essere strettamente valutate nella programmazione urbanistica dei rispettivi territori. In dettaglio la legge del 2005 ha introdotto il concetto di “valutazione integrata ambientale”, ossia una procedura che ha avuto lo scopo di individuare, descrivere e valutare, in via preventiva alla realizzazione delle opere, gli effetti di queste opere sull’ambiente, sulla salute e il benessere collettivo.

Tutte queste questioni sono state poi riprese e valorizzate nella legge del 2014 che ha inteso contrastare l’abuso del suolo, allo scopo di ridurre le costruzioni a favore dell’agricoltura e soprattutto di promuovere la partecipazione cittadina nelle decisioni sull’uso del territorio. Certamente questa legge ha incentivato molto la tutela del paesaggio agrario e favorito la protezione delle aree rurali.

La legge del 2014 ha inoltre coniato il concetto di “Patrimonio Territoriale” (art.3) individuando quattro tipologie di strutture: 

1. Struttura idro-geomorfologica, quindi studio delle acque e del suolo

2. Struttura ecosistemica, finalizzata allo studio della flora e della fauna

3. Struttura insediativa, per le attività produttive, artigianali e valorizzazione dei borghi

4. Struttura agro-forestale, per la tutela dei boschi, dei pascoli e per la gestione delle costruzioni rurali. 

Val D’Orcia (Olimpia Niglio, 2018)

Val D’Orcia (ph. Olimpia Niglio, 2018)

Questa ultima legge ha incoraggiato le attività rurali e la valorizzazione del paesaggio culturale toscano. Tra i sette luoghi Patrimonio Mondiale (Centro storico di Firenze, Piazza dei Miracoli a Pisa, Pienza, San Gimignano, Le ville Medicee e Siena) c’è anche il paesaggio della Val d’Orcia riconosciuto nel 2004.

Negli ultimi anni molti studi sono stati finalizzati ad individuare i caratteri peculiari del paesaggio toscano. L’idea è stata quella di delineare una suddivisione della regione in aree minori capaci di rappresentare la ricchezza e la diversità dei paesaggi che costituiscono anche fattore di eccellenza per i beni materiali e immateriali in questi custoditi. Questi territori devono avere allo stesso tempo una valenza ambientale, sociale, produttiva, nonché un rapporto di identificazione con i loro abitanti (Brilli, Cantelli, Bonelli Conenna, 2004).

Il concetto di paesaggio che viene analizzato e sviluppato è principalmente quello antropico, ossia di un paesaggio costruito dall’uomo. In questo contesto è prioritario analizzare le sue trasformazioni da una coltivazione fondata esclusivamente sulle necessità familiari e “mezzadrili” ad una coltivazione intensiva e di monocultura, ossia dedicata in modo specifico alla coltivazione della pianta di vite per la produzione del vino e dell’olivo per la produzione dell’olio. La scomparsa del paesaggio mezzadrile, essenzialmente fondato sul rapporto tra proprietario e affittuario, ha comportato la perdita definitiva di un paesaggio costruito dall’uomo in tutta la sua varietà: dalle costruzioni alle coltivazioni. Al sistema mezzadrile si è sostituito il sistema intensivo che ha modificato completamente il disegno del paesaggio a favore di produzioni industrializzate in corrispondenza della scomparsa delle tradizioni familiari rurali.

Con l’allontanamento dalle campagne si è anche assistito alla perdita dei “valori identitari” dei cittadini rispetto al proprio territorio, un fenomeno sempre più accentuato in una realtà sociale che ha imposto la vita nelle grandi città e l’abbandono della vita rurale. Questo cambio ha riguardato moltissime aree agricole della Toscana, come la Garfagnana, la valle del Pescia, la Val di Bisenzio, il Casentino e l’alta Val d’Elsa e certamente non ha risparmiato neppure il Chianti e la Valle d’Orcia nel centro-sud della Toscana (Degli Antoni, Angiolini, 2015).

I cambiamenti sia delle “risorse naturali” quanto delle “risorse essenziali” e quindi degli insediamenti produttivi rurali via via sostituiti da nuovi sistemi produttivi a carattere prevalentemente industriale hanno modificato profondamente il profilo antropologico della società e delle comunità locali, i modelli di vita e di costume.

Con particolare riferimento al paesaggio toscano della provincia di Siena il risultato di questi mutamenti sociali ha inciso fortemente sulla trasformazione del territorio, processi che vanno studiati facendo ricorso alla cartografia antica, alle rappresentazioni pittoriche e agli archivi fotografici privati e pubblici. 

Chianti. Il paesaggio sacro di Sant’Antimo (Olimpia Niglio, 2012)

Chianti. Il paesaggio sacro di Sant’Antimo (ph. Olimpia Niglio, 2012)

Rispetto alle aree più note anche a livello internazionale come il Chianti e la Val D’Orcia (quest’ultima patrimonio mondiale dal 2004), il sistema degli insediamenti è caratterizzato da una pluralità di piccoli borghi che si integrano con la struttura territoriale e dove la qualità del paesaggio è stata determinata dalla lunga permanenza storica delle sue forme tradizionali. In molti casi in queste aree della Toscana è possibile riscoprire la tutela della “tessitura agraria”, i valori estetici formali delle case contadine, la conservazione della biodiversità, il patrimonio culturale religioso e i percorsi di pellegrinaggio e quindi la presenza significativa di valori etici che contribuiscono ad annettere il paesaggio tra i beni costitutivi del patrimonio della collettività (Biagianti, 2005).

Sin dalla fine del secolo scorso si sono sviluppati molti progetti finalizzati a valorizzare “cammini tematici”, così con l’antica via Francigena, percorso di pellegrinaggio religioso che per secoli ha unito la cattedrale di Canterbury con Roma (Dallari, Mariotti, 2017) o come la “Strada del Vino”, progetto strutturato per la valorizzazione del Chianti che ha consentito anche di condurre un preziosa ricognizione del sistema insediativo attuale, interessato da molte attività ricettive come alberghi e agriturismi (Lucchesi, 2010).

Tutto questo sistema oggi contribuisce a disegnare la nuova identità del paesaggio toscano dove si incrociano anche differenti matrici morfologiche e culturali e da cui derivano le nuove letture e interpretazioni di questo territorio (Cuniberto, 2020). 

Da Paesaggio Culturale a “Memoria del Paesaggio” della Val d’Orcia in Toscana 

Chiarito il concetto di paesaggio che unisce varie componenti: suolo, acqua, forme vegetali, animali, costruito, il tutto plasmato e disegnato dalle vicende mutevoli della storia umana, non esiste dunque un paesaggio statico e refrattario alle vicende del tempo; diversamente possiamo confermare che il paesaggio è qualcosa che viene continuamente disegnato ad uso dell’uomo, pertanto ha un valore eminentemente antropico. Per questo motivo parlando della Toscana e in particolare della Val d’Orcia, escluso che si possa definire paesaggio naturale, ossia non contaminato, si deve spiegare la morfologia del “paesaggio culturale”, ovvero conoscere i processi di trasformazioni che già in epoca etrusca e poi in epoca romana sono avvenute e le cui tracce sono ben visibili sul territorio.

Va precisato che la definizione di “paesaggio culturale” è molto recente e si afferma solo dopo la nascita dell’UNESCO, la prima agenzia delle Nazioni Unite, che si è occupata di paesaggi a livello globale, attraverso strumenti normativi quali come la Recommendation concerning the Safeguarding of Beauty and Character of Landscapes and Sites (1962), la Recommendation concerning the Protection, at National Level, of the Cultural and Natural Heritage (1972), meglio nota come Convenzione del Patrimonio Mondiale ed ancora la Recommendation concerning the Safeguarding and Contemporary Role of Historic Areas (1976) (Barosio,Trisciuoglio, 2013).

Nel 1992, il Comitato del Patrimonio Mondiale, al suo 16° anniversario, ha incluso il concetto di “Paesaggi culturali”, definiti come le “opere combinate della natura e dell’uomo” e che testimoniano una lunga e intima relazione tra le comunità e il loro contesto naturale. Sia che si trovino in ambiente urbano o rurale, questi paesaggi culturali sono esiti delle diverse interazioni uomo-natura e pertanto testimonianze viventi dell’evoluzione delle società umane.

Dal 1992 in poi il concetto di “paesaggio culturale” è entrato come categoria fondamentale per l’inserimento nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Riferendoci all’articolo 1 della Convenzione sul Patrimonio Mondiale del 1972, è stato riconosciuto che alcuni paesaggi sono stati progettati e creati intenzionalmente dagli uomini, mentre altri si sono evoluti organicamente nel tempo. In alcuni casi, il processo evolutivo è stato segnato da forme materiali come, ad esempio, i siti archeologici la cui permanenza accompagna un’azione di trasformazione dell’ambiente naturale; in altri contesti il processo evolutivo invece ha un ruolo attivo ed è condizionato dalle necessità contemporanee delle comunità: ad esempio l’agricoltura che muta con le stagioni e con le esigenze della vita dell’uomo. Infine, non dobbiamo dimenticare anche il ruolo sacro del “paesaggio culturale” soprattutto nei luoghi dove le persone possiedono una forte identità culturale, religiosa e spesso associazioni ancestrali con il loro ambiente naturale. Può essere questo il caso del Monte Amiata a sud-ovest della Val d’Orcia, intorno al quale si trovano anche importanti insediamenti religiosi, come monasteri e conventi di origine benedettina.

Sono proprio gli archivi storici di questi importanti luoghi religiosi che custodiscono informazioni preziose per conoscere il significato che oggi ha il “paesaggio culturale” della Val D’Orcia. Infatti, gli antichi censimenti agrari, che venivano effettuati proprio dalle comunità monastiche, raccontano che l’uomo ha trasformato molti boschi in aree agricole e destinate al pascolo degli animali (Apaydin, 2020). Si parla di taglio degli alberi, di sostituzione di boschi di querce per piantare alberi di castagno (il cui frutto è un ottimo alimento), della vite (per la produzione del vino e della frutta) e dell’olivo (per la produzione dell’olio di oliva), nonché della trasformazione della macchia mediterranea con pini e faggi per guadagnare spazio alle pianure da destinare al pascolo di animali come mucche e pecore. Questo processo di trasformazione è stato portato avanti per molti secoli ed è ancora attivo oggi: la vegetazione naturale è stata sostituita in parte con colture agrarie e pascoli.

Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in campagna, 1338-1339, affresco. Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace (Archivio Olimpia Niglio, 2019

Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in campagna, 1338-1339, affresco, Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace (Archivio Olimpia Niglio, 2019

Tuttavia, il tema del “paesaggio culturale” nel caso della Toscana è entrato solo di recente anche nella legislazione locale e precisamente solo dopo la nomina nel 2004 a Patrimonio dell’Umanità. Oggi questo termine “paesaggio culturale” trova un forte interesse se collegato alla conservazione delle aree agrarie storicizzate. Infatti, dai racconti delle comunità locali, soprattutto in Val d’Orcia, emerge un dato sicuramente interessante che ci consente di coniare una nuova definizione, ossia quella di “memoria del paesaggio”, come racconto delle trasformazioni che è possibile leggere osservando la struttura organica del territorio.

Il paesaggio diventa così un “libro naturale” attraverso il quale conoscere la storia, le tradizioni, le metamorfosi dei luoghi. Tutto questo genera una forte interconnessione tra patrimonio culturale tangibile (monumenti, musei, arte, etc..) e “patrimonio umano”, ossia memoria storica delle persone, delle comunità e delle esperienze sociali. Proprio questa “memoria del paesaggio” mantiene vive le identità culturali locali e allo stesso tempo genera nuovi valori e significati del patrimonio paesaggistico, segni e simboli significativi di una collettività interessata a mantenere e trasmettere l’eredità dei luoghi. Questa “memoria del paesaggio” è quanto percepiamo attraverso la visita ai borghi della Val D’Orcia ma soprattutto interpretando il disegno delle zone agricole attraverso gli alti cipressi che delimitano le singole proprietà terriere e dove si trovano ancora grandi “casali” per gli allevamenti e la produzione di prodotti agricoli, nonché le antiche tradizioni gastronomiche strettamente collegate al territorio. Tutto questo è il risultato di una complessa e stratificata eredità culturale che proprio la “memoria” della comunità contribuisce a conservare, valorizzare e trasmettere alle generazioni future. Una “memoria del paesaggio” che altro non è che una “condivisione di significati” che cambiando da persona a persona restituisce come in un mosaico il quadro complessivo del valore storico, umano e culturale dei luoghi. Questo lo aveva compreso molto bene Ambrogio Lorenzetti quando già nel XIV secolo disegnava il paesaggio toscano nel palazzo comunale di Siena.

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023 
Riferimenti bibliografici 
Apaydin Veysel (2020), Critical Perspectives on Cultural Memory and Heritage. Construction, Transformation and Destruction, University College London, London. 
Barosio M., Trisciuoglio M. (2013), I paesaggi culturali. Costruzione, promozione, gestione, Egea, Milano. 
Biagianti Roberto, La valle magica: la Val d’Orcia, storia, architettura e paesaggio, Montepulciano: Le balze, 2005. 
Bonini, Gabriella, “Paesaggi agrari. L’irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni”, in Ri-Vista ricerche per la progettazione del paesaggio, Vol.10, n.2, Firenze, 2012: 140-149. 
Brilli Attilio, Cantelli Giuseppe, Bonelli Conenna Lucia (editori), Il paesaggio toscano. Storia e rappresentazione, Milano: Silvana, 2004. 
Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, UNESCO 2003
https://ich.unesco.org/doc/src/15164-EN.pdf 
Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions, UNESCO 2005
https://en.unesco.org/creativity/sites/creativity/files/passeport-convention2005-web2.pdf 
Cuniberto, Flavio, Viaggio in Italia, Vicenza: Neri Pozza, 2020 
Curioni, Susanna. Paesaggio e trasformazione. Metodi e strumenti per la valutazione di nuovi modelli organizzativi del territorio. Milano: Franco Angeli, 2017. 
Dallari, Fiorella; Mariotti, Alessia, Editorial, Via Francigena: The Long Way of Peace among the European Landscapes”, Almatourism, 8 (6) 1-4, 2017. 
Degli Antoni Paolo, Angiolini Sandro, Cambiamenti nel paesaggio rurale toscano dal 1954 al 2014, Firenze: Pagnini, 2015. 
European Landscape Convention, Florence 2000. https://rm.coe.int/1680080621 
Gambi, Lucio, Critica ai concetti geografici di paesaggio umano, Faenza: Fratelli Lega, 1961 
Goethe, Johann Wolfgang. Viaggio in Italia, Milano: Mondadori, 2006. 
Lucchesi Fabio (curatore), La carta del Chianti. Un progetto per la tutela del paesaggio e l’uso sostenibile del territorio agrario, Firenze: Passigli editore, 2010. 
Nonaka Ikujiro, “A Dynamic Theory of Organizational Knowledge Creation”, in: Organization Science, Vol. 5, n. 1, 1994: 14-37. 
Sereni, Emilio. Storia del paesaggio agrario italiano. Bari: Laterza, 1961 
The Nara Document on Authenticity (Nara, 1994)    https://www.icomos.org/charters/nara-e.pdf 
Turri, Eugenio, Antropologia del paesaggio, Milano: Edizioni di Comunità, 1974 
Turri, Eugenio. Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia: Marsilio, 1998. 
Turri, Eugenio. Il paesaggio degli uomini. La natura, la cultura, la storia, Bologna: Zanichelli, 2003. 
Venturi Ferriolo, Massimo. Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano, Roma: Editori Riuniti, 2002.

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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente di Restauro e Storia dell’Architettura comparata. È Professore presso la facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Pavia. Dal 2012 a tutto il 2021 è stata Professore presso la Hosei University (Tokyo), la Hokkaido University, Faculty of Humanities and Human Sciences e presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. È Visiting Professor in numerose università sia americane che asiatiche. Dal 2016 al 2019 è stata docente incaricato svolge i corsi di Architettura sacra e valorizzazione presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum ISSR, con sede in Vicenza, Italia. È membro ICOMOS – International Council on Monuments and Sites – e ACLA – Asian Cultural Landscape Association. È Vice Presidente dell’ISC PRERICO, Places of Religion and Ritual, ICOMOS – International Council on Monuments and Sites – e Vice Presidente ACLA – Asian Cultural Landscape Association.  È President RWYC.

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