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Michele ha sempre soffiato sui semi di tarassaco

Michele Argentino

Michele Argentino

di Mariella La Guidara Argentino [*] 

Incontro Michele appena arrivata a Palermo dalla provincia messinese perché vive con studenti di architettura che conosco. La prima impressione che mi fa è che è un tipo distratto, forse timido, sicuramente riservato, spesso socchiude gli occhi dietro le lenti tonde, ma trapelano comunque lampi di luce curiosa. È anche elegante, con camicie di lino o di cotone dalle maniche arrotolate, di una eleganza naturale. Niente barba, capelli corti ma arruffati, passo leggero, anche d’estate quando indossa zoccoli di legno o d’inverno con pesanti scarponi; unico vezzo diverse catenine d’argento portate attorcigliate più volte al collo.

I miei primi due anni a Palermo passano tra treni presi ogni venerdì per fare il fine settimana a casa, esami da sostenere, traslochi da una casa all’altra, anzi da una stanza all’altra e ogni tanto ci vediamo, spesso nei corridoi della facoltà perché anche Michele nel frattempo ha cambiato casa, trasferendosi con il gruppo dei mazaresi in via Lattarini. Vive, da privilegiato, in due stanze: una è occupata da una grande vasca da bagno in ghisa smaltata stracolma di disegni, una poltrona letto in simil pelle verde che non diventa più letto e due sedie nere pieghevoli, molto belle che ha comprato da Croff ad una svendita; nell’altra un letto impero comprato da Quartararo, rigattiere di fiducia di via dell’Università, una lampada stessa provenienza, una stoffa indiana e un poster formato naturale del sarcofago di Tutankhamon appesi alle pareti. Nessun tavolo da disegno, men che meno tecnigrafi, nessuna scrivania, nessuna libreria ma tanti libri, scompagnati, impilati a terra.

Al terzo anno, a.a. 80/81, mi iscrivo al corso di Progettazione artistica per l’industria tenuto dalla prof. Anna Maria Fundarò. Michele è assistente ordinario e partecipa attivamente a quel «laboratorio scientifico attorno a quell’ampio versante della cultura materiale contemporanea che è il design», come scrive la stessa Fundarò nella prefazione ad ADS Sicilia.

Una tarda mattina di novembre scendo le scale di via Maqueda e vedo Michele nell’androne, mi  viene incontro e mi dice: «Oggi vieni a pranzo con me!» «Perché?» «Sei stata la prima ragazza a scendere le scale e a me non va di pranzare da solo». La mia una domanda stupida, la sua un’amabile bugia. È così Michele, a volte dice le bugie ma immediatamente dopo sorride e socchiude gli occhi, e finisce che nessuno ci crede!

Michele Argentino

Michele Argentino

Nel corso si parla di storia del design, del boom produttivo dell’Italia nel dopoguerra, delle avanguardie ma anche tanto di artigianato e territorio. Siamo in Sicilia! Si sta curando la stampa di Il lavoro artigiano nel Centro Storico di Palermo, frutto di tre anni di lavoro capillare. Si indaga la produzione artigiana ma anche i mutamenti del tessuto sociale, il degrado dei beni storici i cui piani terra sono sede delle botteghe, la sapienza manuale e le scarse tecnologie a disposizione; siamo nella periferia produttiva del mondo e si cercano strade per uscire da questa condizione asfittica. Il volume è segnalato al XII Compasso d’Oro, la periferia prova a farsi conoscere e punta direttamente all’ombelico del mondo.

Michele sta anche curando con Antonio Martorana, architetto, che fa parte del gruppo di lavoro universitario, il restauro del teatro Garibaldi a Mazara del Vallo. È molto orgoglioso di questo lavoro, scaturito dalla collaborazione di forze in netto contrasto politico ma che lavorano insieme per una idea di città migliore, per restituire a Mazara il figlio del popolo. Anche molto preoccupato. È un organismo fragile il teatro, chiuso per molto, troppo tempo, e con problemi strutturali. Anche piccolo, e sarà questo un altro elemento di preoccupazione per la fruizione in sicurezza del teatro. Ma Michele è preoccupato anche per la conservazione della cartapesta, per il recupero della macchina scenica fatta di sottili travicelli di legno, per i sedili tarlati del loggione. Di-segna a due mani con Antonio, la nuova facciata fronte mare, perché un crollo durante un temporale notturno aveva cancellato a cantiere aperto quella originaria. E il segno è netto, geometrico, puro: un quadrato!, un triangolo.

Va spesso a Mazara, per via del cantiere e anche per il piacere di sedersi la sera a piazza della Repubblica con gli amici per discutere, dei minimi e dei massimi sistemi. Nanni, Nino, Matteo, Ciccio, Mariuzzo, Gianni e l’altro Nino che va e viene da Milano dove è costretto ad insegnare, Andrea, l’Ingegnere, l’Avvocato, che di alcuni sono più importanti le professioni che i nomi, e don Giovannino, camionista, nome e mestiere. Quasi sempre passa Salvino Catania, pittore troppo dimenticato, ma non si siede. Rimane in piedi, in transito, appoggiato alle sue tele. Lunghe discussioni notturne che si concludono rimandando la risoluzione del problema alla prossima discussione, perché comunque Michele non dispera mai di trovarla quella soluzione. Non fa mai l’autostrada. Va per campagne, per strade sterrate, ad osservare la forma delle sciare e raccogliere verdure selvatiche, asparagi, funghi di cui come dice il suo amico Nino è “pericoloso conoscitore”, a perdersi tra i vigneti con grappoli rubino e oro deturpati però da orribili paletti di cemento per tenere legata la vite. E allora pensa alla progettazione dei paletti, lo fa diventare tema di un laboratorio universitario. Si parte dal piccolo, mai dal banale che è quello che Michele non sopporta, anzi lo terrorizza.

Michele Argentino

Michele Argentino

Studia Michele. Studia i filosofi greci, i graffiti latini, perché dietro i graffiti si intravede un mondo brulicante e colorato, studia Sant’Agostino, Tommaso Moro e Campanella, il Medioevo con tutto il suo bagaglio immaginario, e Simone Martini e Giotto, oro e blu, e ancora Piero e Antonello, i fiamminghi di cui ridisegna con pastelli colorati su taccuini mai finiti, particolari quasi impercettibili, Laurana, Il trionfo della Morte e Serpotta.

Passeggia molto Michele e trasforma le sue passeggiate in viaggi, come quelli di De Maistre intorno alla sua camera, perché i viaggi per lui estremamente pigro sono faticosi. Qualcuno l’ha fatto, in macchina con l’amico Massimo, nell’Europa dell’est, lungo l’Italia medievale e rinascimentale o quello che lui pomposamente titola Proconsolati romani in nord Africa, Marocco Tunisia, Algeria, da cui torna carico di tappeti berberi e argenti. Adesso preferisce andare per via Calderai dove compra lamierino che trasforma in oggetti improbabili con la sua scarsa abilità manuale, e per via Calascibetta dove lo incantano le basole di billiemi che in alcuni punti diventano rosso fiammante a comprare pellame e punteruoli, per via Discesa dei giudici per l’immancabile caffè di Stagnitta e le sanguigne della Cartoleria Meli, e via Garibaldi a comprare cordami, tele colorate, muscalori di palma intrecciata e lacci e vernici per scarpe dal Signor Grillo e ancora tra i viali dell’Orto botanico a osservare piante e soprattutto semi e tra le stanze di Palazzo Abatellis magnificamente restaurate da Carlo Scarpa per godere dell’azzurro del manto dell’Annunziata.

Questa non è periferia, pensa Michele. Ci crede Michele. In quegli anni poi! È il 1982, lui vince il concorso come professore associato e inizia il suo “storico” corso di Progettazione Ambientale, l’Istituto chiama Andrea Branzi e Ettore Sottsass come professori a contratto, esce nelle sale cinematografiche Blade runner e l’Italia vince i mondiali di calcio in una storica partita contro i crucchi tedeschi, partita che Michele vede nel salotto dell’Hotel delle Palme con Sottsass che tifa Italia come un ultras della curva sud.

La periferia si catapulta nel dibattito nazionale. Le lezioni di Andrea Branzi, argute e graffianti, invitano a «ritrovare non una impossibile unità del progetto, ma più semplicemente quella grazia perduta di fare le cose semplici senza le quali diventa inutile e pericoloso fare quelle grandi: case e città» (Merce e metropoli, edizioni EPOS, 1983: 11, su licenza di Idea Books che avrebbe pubblicato nel 1984 La casa calda)

Michele Argentino

In occasione di un convegno, Michele Argentino, a dx

E il laboratorio di Ettore Sottsass che invita a strutturare un Istituto di Disegno Industriale con laboratori per fotografare, tagliare il legno, proiettare, lavorare la fibra di vetro, anche se come dice lui stesso ci vuole molta fantasia, insomma una vera Scuola di design, ma dove nonostante queste assenze vedono la luce progetti che “puzzano di design”. Tutto il lavoro è magistralmente condensato in un volume Storie e progetti di un designer italiano, curato da Antonio Martorana ancora oggi attuale, persino nella sua veste grafica.

E poi Design per lo sviluppo, 1983, perché se da un lato Palermo non è, o almeno non si sente, periferia, dall’altro la strada è ancora in salita. Tante le figure chiamate a partecipare al dibattito, progettisti, economisti, sociologi, antropologi, manager, impossibile fare una sintesi. Il sottotitolo è emblematico: Corso di conferenze per studenti di architettura e di ingegneria, architetti, ingegneri e operatori nel settore della progettazione industriale. L’intento è evidente, l’università può essere la sede del “laboratorio scientifico”, ma deve essere aperta sul mondo, permeabile, contaminata e contaminabile.

Sono anni intensi quelli che si susseguono: La Pietra, Santachiara, e ancora Branzi e Sottsass i primi professori a contratto, a cui ne seguiranno tanti altri, e convegni, seminari, collaborazioni con università straniere, e concorsi nazionali e internazionali, alcuni anche vinti, la nascita del dottorato di Ricerca, della scuola triennale di specializzazione e la costituzione dell’indirizzo in Disegno industriale all’interno della Facoltà di Architettura, e molto poi del corso di laurea in disegno industriale. È primavera a Palermo! Anche per il design.

Michele continua ad alzarsi tardi la mattina, fatica a svegliarsi ma ad un certo punto caffè e facoltà, con i colleghi del gruppo, con Anna Maria che finalmente dopo anni riesce a chiamare affettuosamente così anche se nel suo cuore resta sempre la professoressa Fundarò; e soprattutto con i suoi “picciotti” a lavorare sodo senza mai smettere di divertirsi, tra caffè, ancora caffè, granite di limone e sigarette. E decine e decine di tesi di laurea, anche quando a chiederla è una “pecora zoppa” perché l’abilità del maestro è tirare fuori la forma dal blocco di marmo puro, esagero un po’ e mi perdonerete ma per le persone care spesso succede.

È professore Michele, di Progettazione ambientale: «L’intorno umano è il quadro, lo scenario prodotto dalla nostra azione sulla natura. La nostra capacità di modificazione ha, specie in questi ultimi secoli, cambiato il volto del mondo. …. Dell’ambiente siamo al tempo stesso fruitori e consumatori, fabbricanti e utenti: e in questa doppia veste ne siamo di conseguenza creatori e vittime» (Utopia e tecnologia) Per affrontare questa grande battaglia Michele mette dentro tutta la sua fantasia e il suo sapere sempre in divenire, vecchie storie e nuove teorie emergenti che elabora con arguzia. La pila dei libri sempre più alta chè le librerie tardano ad arrivare! A volte parte da lontano Michele, dalle forme perfette del bicchiere campaniforme, dai sistemi di irrigazione arabi, o da molto vicino, dalle strummule dei tornitori di via dell’orologio, dai tappeti tessuti di Erice, dai viaggi di Goethe e Ceronetti, viaggi veri e viaggi letterari, ma sa che non basta. Progettare per il mondo reale è ancora di grande attualità, La speranza progettuale deve guidare la nostra mano e soprattutto la nostra coscienza e Il futuro della modernità ancora da definire.

Bisogna quindi imparare a conoscere questo mondo, sempre più veloce nei cambiamenti, sempre più schizofrenico nella distribuzione di ricchezze materiali e immateriali, sempre più, troppo attento al PIL, acronimo quasi osceno per Michele. «La riconquista della capacità di immaginare un mondo nuovo, da tutti invocato ma scarsamente perseguito, è il compito delle nuove generazioni di progettisti e ogni disciplina che incide sulla trasformazione diventa un avamposto per questa grande battaglia che ci aspetta la cui posta in gioco è altissima» (Design e produzione, in Interventi diversi, Bruno Leopardi Editore)

Michele Argentino

Michele Argentino

È architetto Michele. Continua a lavorare sul restauro del Teatro Garibaldi, molto a balzi, tra difficoltà di finanziamenti disponibili e pastoie burocratiche; il suo completamento vedrà la luce soltanto nel 2010! Tutto di un fiato, si fa per dire perché dura tre anni, è invece il Censimento del patrimonio tradizionale fisso del Parco delle Madonie. Lavoro immane con un gruppo di circa trenta persone tra architetti, geologi, topografi, 200 schede tra marcati, masserie, ville, abbazie abbandonate, bevai, pagliai, rifugi montani, lungo i sentieri dei pastori, le regie trazzere ormai ricoperte dal cardo spinoso e dal pungitopo, dentro le sugherete. I disegni originali sono scala 1:50 perché non si deve perdere nessun particolare, la ricerca storica spazia da testi come Sicilia sacra a volumi di storici locali ricercati nelle biblioteche comunali senza trascurare i racconti dei pastori, dei contadini, di chi quella terra la percorre tutti i giorni e a volte la subisce. Il parco non è amato dalla gente e Michele è il primo a riconoscerne i limiti. «La definizione di confini, sia pur per la salvaguardia e conservazione, è pur sempre un atto violento, artificiale; la nascita di un parco rappresenta la sconfitta di una collettività che si dichiara con questo incapace di badare alla incolumità del proprio ambiente, un brano di natura viene così per decisione neppure unanime museificato, consegnato all’amministrazione controllata, orto aperto soltanto ai tecnici…» (Madonie Madonie, in Interventi diversi, Bruno Leopardi Editore).

Conosce bene tutte le insidie del fare Michele ma non si sottrae, conosce le insidie e non le nasconde. Riesce con la collaborazione, si potrebbe dire con la complicità, di una amministrazione illuminata a sottrarre al degrado la Chiesa del Casale di Caltavuturo, inizia lo studio per il recupero del castello di Terravecchia che sovrasta la chiesa. Pensa che possa diventare un centro nevralgico per gli studi della Sicilia medievale, ma cambia il vento, e la primavera che a Palermo era finita da un pezzo, su alcuni pezzi di territorio forse non è mai sbocciata. E conosce anche il dolore della vita, la perdita delle persone care, i tradimenti degli amici, le chiusure forzate dettate più dalla cecità intellettuale che dalla mancanza di fondi, come troppo spesso si dice quando si vuole mascherare un torto. Ma non si arrende.

È uomo Michele, e si circonda di figli che ama mettere a cavalluccio sulle spalle, li porta per boschi madoniti, per piccole isole che galleggiano sul Mediterraneo a raccogliere schegge di ossidiana, a comprare merletti e fili colorati con cui ricamare insieme, a cercare la magnificenza di Federico nelle campagne pugliesi, li accompagna sui campi di basket, a cercare conchiglie e legni sulla spiaggia di Patti che frequenta solo per dovere familiare, affronta persino il bagno in mare per insegnare loro a nuotare. Si circonda di figli e picciotti, a volte senza differenziarne i ruoli.

Michele Argentino con i suoi studenti

Michele Argentino con i suoi studenti

Non so quanto il lavoro di Michele sia riuscito a dare solide basi a quella scuola palermitana di design di cui discuteva con Ettore Sottsass, ma non importa perché la scuola è Idea come sosteneva Mies van de Rohe parlando della Bauhaus.

Non so se la crescita eccessiva e non proporzionata alle forze in campo, denunciata già da Anna Maria Fundarò nella prefazione a Utopia e tecnologia abbia contribuito alla dispersione di un patrimonio intellettuale e materiale a cui Michele si è sicuramente dedicato. Ma la dispersione a volte non è cosa negativa, le piante ce lo insegnano, le piante con le salde radici che affidano il loro futuro a semi leggeri, delicati ma estremamente vitali; le piante non hanno nazione, o meglio sono esse stesse nazione, «la più importante, diffusa e potente nazione della Terra» (Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Laterza); come le Idee.

Non so quanto il “qualcos’altro”, il traverso”, a cui Michele ha sempre lavorato sia oggi compreso e praticato dalle cosiddette istituzioni che a me appaiono sempre più arroccate o impantanate nei bilanci da approvare, ma che potrebbe invece essere utile per scardinare l’isolamento dell’uomo in città sempre più affollate e abusate, quel qualcos’altro che potrebbe almeno rallentare l’artificializzazione della natura che comprende inevitabilmente l’artificializzazione dell’uomo, corpo compreso. Non è una rinuncia al progetto, alla tecnologia, al progresso, anzi. «La disponibilità di tecnologie digitali sofisticate allarga la nostra possibilità di monitorare e prevedere e ci consente pure di simulare con buona approssimazione, prima di agire. L’informatica ci consente di sbagliare meno mettendoci a disposizione una quantità illimitata di informazioni, di provare modelli e verificarli, di abbattere l’abuso di materiali ed energie, di rendere minimo l’impatto della nostra azione sulla natura». Così scrive Michele in tempi non sospetti in un piccolo saggio dedicato a Homo sacer di Agamben che utilizza per la presentazione di un laboratorio di sintesi finale.

Tutto questo non lo so! So che Michele ha sempre soffiato sui semi di tarassaco, confidando nella forza benevola del vento. La risposta, amici miei, sta soffiando nel vento! 

Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023 
[*] Intervento letto il 24 giugno 2023, in occasione dell’intitolazione della Biblioteca dell’Ordine degli Architetti di Trapani a Michele Argentino, e nel contesto della tavola rotonda a ricordo dell’architetto e del docente universitario.

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Mariella La Guidara Argentino, Architetto e designer. Laureata presso l’Università degli studi di Palermo con una tesi dal titolo «Cobianchi di Palermo. Arti decorative e applicate nell’architettura palermitana del Novecento», si diploma alla Scuola di Specializzazione triennale dell’Università di Palermo in Disegno Industriale con una tesi dal titolo «Made in Sicily. Rassegna sul prodotto e sui materiali siciliani». Dal 1986 al 2008 collabora attivamente alle attività dell’Istituto di Disegno Industriale, poi Dipartimento di Design, impegnandosi sia nella didattica sia in attività di ricerca che indagano la realtà produttiva siciliana. Cura manifestazioni e mostre che analizzano la possibilità di strategie di sviluppo in base alle risorse del territorio, in particolare Sicilia-Europa. Dal 2003 al 2007 è Assegnista di ricerca all’Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Architettura, Dipartimento di Design, con una ricerca dal titolo “Produzione, innovazione e design nelle aziende siciliane”. Vive e lavora a Palermo dove svolge attività di libera professionista, operando soprattutto nei settori del recupero architettonico e della ristrutturazione di interni.

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