Stampa Articolo

Michele e l’utopia della “Scuola” di Disegno Industriale di Palermo

Michele Argentino con i suoi collaboratori storici Enzo Fiammetta, Angelo Pantina, Sandro Giacomarra e gli studenti vincitori.

Michele Argentino con i suoi collaboratori storici Enzo Fiammetta, Angelo Pantina, Sandro Giacomarra e gli studenti vincitori di un concorso

di Angelo Pantina 

Ho conosciuto Michele Argentino da studente. Ero andato presso l’Istituto di Disegno industriale per chiedere alcune informazioni. Trovai un gruppetto di giovani docenti che faceva capo ad Anna Maria Fundarò. Rimasi colpito dall’atmosfera di serena armonia. L’accoglienza, i visi sorridenti, la loro disponibilità mi diedero una carica di ottimismo e di fiducia. Nessuno di loro “se la tirava”, a riprova che le persone di livello sono solitamente umili.

È vero che l’Università aveva intrapreso un percorso di svecchiamento, ma non tutti i docenti erano proclivi a percorrerlo. La contestazione del ’68 aveva sancito la fine dell’Università disciplinare e autoritaria, cioè di quella scuola fatta da insegnamenti staccati, autonomi non finalizzati e in un certo senso fine a sé stessi; di quella scuola dove un rigido regolamento accademico permetteva solo rapporti gerarchici fra personale insegnante, di quella scuola basata sull’assoluta incomunicabilità tra le diverse discipline gestite autoritariamente.

Allora non mi ero reso conto che cosa fosse un Istituto universitario; col senno di poi ho capito che costituiva la struttura base per il cambiamento della formazione didattica. Gli Istituti divenivano, infatti, gruppi di discipline affini a una stessa problematica al fine di iniziare un rapporto di collaborazione con altre materie attraverso la pratica interdisciplinare. 

«Sulla base di tali convinzioni questo corso di Disegno industriale, propone la sua collocazione ottimale all’interno del Nuovo Ordinamento della Facoltà, nel triennio ed intende sperimentare la sua posizione rispetto ad altri corsi progettuali sulla base di un confronto per divergenze o convergenze, tra i problemi generali della progettazione architettonica e i problemi specifici del design. […] Per fare questo in modo credibile e non velleitario, si è ritenuto indispensabile una convergenza di più corsi, competenze e tendenze disciplinari differenti, la cui piattaforma comune di lavoro consiste appunto nella volontà di studiare “il problema” del rapporto istituito tra operazione di progetto e idea di bisogno in diverse situazioni offerte dalla cultura di progettazione moderna e di rendere tale materiale critico, operativo e trainante sul piano di una lucida impostazione dell’operazione progettuale» [1]. 

Analizzando l’iter didattico del Corso ci si rende conto di come questo insegnamento sia volto alla ricerca di una sua definizione, di una sua propria identità e di come attraverso il confronto con le altre discipline trova la sua specificità. Sulla base di queste convinzioni, il Corso rinunciava alle posizioni precostituite e dogmatiche, e con una flessibilità intelligente e giovane cercava collaborazioni e contributi per promuovere un discorso culturale sul tema del design. Era questo impegno programmatico che rendeva diversa l’atmosfera dell’Istituto di Disegno industriale.

Il gruppo di lavoro della Cattedra di Progettazione artistica per l’industria di Palermo negli anni ’80 -’81 in una foto scattata da E. Sottsass. Da sinistra: A. Cottone, A. M. Fundarò, M. Balsamo, A. Martorana, M. Argentino (Archivio Argentino, Palermo)

Il gruppo di lavoro della Cattedra di Progettazione artistica
per l’industria di Palermo negli anni ’80 -’81.  Da sinistra: A. Cottone, A. M. Fundarò, M. Balsamo, A. Martorana, M. Argentino (ph. E. Sottsass, Archivio Argentino, Palermo)

La contestazione del ’68 aveva, dunque, messo in evidenza la necessità di una diversa formazione culturale e professionale per l’architetto conformata ancora secondo un modello prefascista, ma proiettata in realtà territoriali e sociali in rapida evoluzione. Dopo anni di attesa negli anni’70 del Novecento, viene compiuta una prima timida riforma. Successivamente sulla base del D.P.R. 806/82 si tenta di risanare la crisi delle Facoltà di Architettura attraverso una ridefinizione dei ruoli professionali degli architetti. Lo Statuto della Facoltà di Architettura di Palermo nel 1974, nel rinnovarsi a conclusione delle forti spinte interne ed esterne degli anni precedenti, aveva assunto quale propria finalità di promuovere e sviluppare gli studi sull’architettura nel campo dell’ambiente. 

Lavorazione di vimini e giunco, rilievo dell’ A.A. 1976-77 (Fundarò 1981: 287).

Lavorazione di vimini e giunco, rilievo dell’ A.A. 1976-77 (Fundarò 1981: 287)

A partire da questa centralità della nozione di ambiente, il gruppo è andato costituendo e verificando un programma fondato sull’assunzione dell’importanza, all’interno dell’ambiente circostante, di quell’universo di oggetti e manufatti la cui esistenza, conformazione, produzione, reciproca disposizione ed uso contribuisce a definire, in modo particolarmente significativo, proprio “quell’ambiente circostante”.

L’interesse teorico che si era sviluppato in quegli anni attorno al tema del design e una sempre maggiore sensibilizzazione di una più vasta fascia di operatori, ha fatto sì che il design nella formazione universitaria, abbia conquistato uno spazio sempre maggiore. I corsi riguardanti il design afferenti all’Istituto diventano quattro: Disegno industriale I e II, Progettazione ambientale, Morfologia dei componenti. 

«Il nucleo fondamentale era costituito dal corso di Progettazione per l’industria e ha percorso diverse fasi, da quella ricognitiva sulla cultura materiale in Sicilia e una prima timida sperimentazione progettuale sugli oggetti, al laboratorio di prototipi e modelli per riaffermare la necessità e il piacere del fare concreto nelle piccole cose, quasi un atto terapeutico per riacquistare familiarità con la consistenza materica dell’ambiente costruito; a costo di un atteggiamento troppo inclusivo sul piano degli esiti figurativi, si è teso a un design austero, ad una semplificazione tecnologica, a una lunga durata anche delle immagini, a una compatibilità ecologica e a una economica gestione delle risorse umane e materiali» [2]. 

I punti fermi su cui si basava questo corso possono riassumersi essenzialmente nel riconoscimento della centralità del design nella vita quotidiana; nella capacità d’incidere e quindi di trasformazione dell’ambiente circostante; nella convinzione di ricostruire una cultura materiale contemporanea siciliana; nel recupero del vasto patrimonio sconosciuto costituito dalla cultura materiale; nella mediazione originale della cultura locale con quella del design ufficiale.

Questi convincimenti basilari sono stati la struttura su cui si sono costituiti i programmi nel corso degli anni. Questo suo nuovo ruolo tendente a fare riconoscere il disegno industriale quale tema centrale della progettualità contemporanea, comportava una riorganizzazione della sua didattica in funzione delle diverse attese degli studenti provenienti dai diversi fronti degli indirizzi e dei piani di studio.

«Il corso – scriveva A. M. Fundarò – sarà articolato in due parti: una parte comune a tutti di fondazione critica, teorica e storica, che matura e orienta dal punto di vista del design, le indispensabili e già acquisite esperienze di natura storica e progettuale. Questa parte del corso sarà svolta attraverso lezioni ex cathedra, seminari intercorsi, conferenze ed incontri con esponenti del mondo universitario e del mondo della produzione e della cultura del design. Una seconda parte del corso, quella relativa alle esercitazioni e alle esperienze progettuali o di ricerca, sarà differenziata in funzione delle sfaccettature rintracciabili all’interno del disegno industriale e pertinenti a sei diversi piani di studio e di indirizzi didattici» [3]. 

Sulla stessa matrice si erano conformati i programmi degli altri corsi afferenti al disegno industriale. Nel corso di Progettazione ambientale, Michele Argentino facendo compiere interventi alle diverse scale andava lavorando all’individuazione dei rapporti tra oggetti e ambiente più interrelati e complessi dei livelli sistemici, tentando di ritrovare quella capacità perduta di costruire «un riassetto della natura senza rinunciare alla cultura». 

«Il corso data la sua collocazione ed apertura dei piani di studio in Disegno industriale, introduce alla comprensione del rapporto tra oggetto e ambiente, e in particolare coglie le trasformazioni prodotte dalla tecnologia a partire dalla rivoluzione industriale e tende a evidenziare la complessità del meccanismo di produzione e i fattori coinvolti che non si limitano alla semplice progettazione e gestione del prodotto, ma determinano modificazioni permanenti che riguardano l’ambiente umano nel suo complesso. Inoltre il corso affronta un tema più specifico dal titolo “Utopia e tecnologia”, una riflessione sulla ricerca cosciente di un mondo nuovo. Questa parte del corso si occupa del rapporto uomo-macchina, degli automi, delle utopie classiche e di quelle moderne fino a riflettere sulle implicazioni che comporta l’attuale rivoluzione telematica» [4]. 

Dal mio primo timido approccio con il mondo del design e con la giovane docenza, che di queste discipline si occupava, si è andato maturando un percorso formativo che mi ha appassionato e incuriosito. Ho seguito l’insegnamento di Michele. Suscitare curiosità, riuscire a entusiasmarci erano per lui obiettivi fondamentali. Ci spronava ad andare sempre avanti a cercare di migliorare, a portare alle estreme conseguenze la nostra idea progettuale. Senza entusiasmo, ci diceva, non giochiamo la partita fino in fondo e subiamo la vita. Ci spiegava che essere entusiasti significa aver voglia di imparare, facendo domande per conoscere, aumentando così il nostro sapere e ponendolo in pratica con il “saper fare”. Ci insegnava a osservare, ascoltare e percepire, privilegiando la parte migliore degli esseri viventi e delle cose. A cogliere le opportunità, fidandosi della vita (chiedendo e informandosi) e delle proprie capacità (formandosi). A non avere pregiudizi e chiusure mentali.

La frequentazione dell’Istituto di Disegno Industriale e l’apprendimento degli insegnamenti dei corsi hanno maturato in me il desiderio di seguire questa strada. E così nel momento in cui Michele mi ha invitato a collaborare al corso di Disegno industriale I, mi è parso quasi un sogno. Enzo Fiammetta già lo coadiuvava, io e Sandro Giacomarra abbiamo iniziato l’anno successivo e fino all’inizio del Duemila siamo rimasti i “collaboratori storici” dei suoi corsi. Da qui parte un lungo periodo di scoperte, conoscenze, attività, laboratori, sperimentazioni, mostre, progetti. Un periodo entusiasmante che per descriverlo minutamente occorrerebbe un libro. Ma vale la pena accennare ad alcuni eventi per dare la misura delle tante cose fatte sotto la direzione di Anna Maria Fundarò e della docenza tutta dell’Istituto di Disegno Industriale.

Oggi l’oggetto rappresenta lo strumento attraverso il quale l’uomo comune ha la possibilità di disegnare il proprio ambiente, esprimendo così il proprio potenziale creativo. Nel mondo della cultura materiale l’uomo esprimeva la sua creatività costruendo oggetti, progettandoli e realizzandoli direttamente. L’uomo di oggi esprime la sua creatività attraverso la scelta, l’acquisto e la collocazione dell’oggetto. I motivi che hanno provocato questa trasformazione sono da rintracciarsi nella perdita della manualità e nel modello economico che la nostra società si è dato, basato sulla produzione e sul consumo.

n_12_13_la_cultura_materiale_in_siciliaProgettare in Sicilia, si sa bene, non è la stessa cosa che progettare a Milano o a Torino; quindi, proprio questa diversità viene assunta dal corso di Disegno Industriale come punto di partenza per il programma di lavoro. In tale programma le difficoltà, le carenze vengono assunte come parametri fondamentali su cui costruire elaborazioni culturali originali. In un contesto dove le forze produttive sono incapaci di istituire un rapporto dialettico con la cultura, l’Università, pur con le sue carenze, diventa la protagonista del “risveglio” delle potenzialità congenite. 

«L’Università in quanto sede di elaborazione teorica, tecnica e umanistica e terreno distante da interessi direttamente e urgentemente produttivi, dovrebbe essere luogo, nell’area del design, per una ricerca tecnologica di base, sede di una sperimentazione avanzata e complessa attraverso laboratori attrezzati, punto di riferimento e promozione per il tessuto produttivo del territorio, nodo di controllo critico» [5]. 

Se questo ragionamento è valido in senso generale a maggior ragione lo diventa per la Sicilia «dove attualmente, l’unico lavoro possibile sul design si può fare a partire da un livello pedagogico fondativo, in assenza di consolidate e pregiudiziali situazioni» [6]. Nasce da qui la necessità di sviluppare un insegnamento teorico-concettuale, per una definizione del design quale espressione originale della specificità del contesto.

Questa direzione intrapresa ha portato i docenti di disegno industriale a promuovere un coinvolgimento di quelle forze intellettuali che testimoniavano, al più alto livello, alcune linee di elaborazione teorica e sperimentale più vicini alle linee programmatiche per lo sviluppo del design in Sicilia e che possono innescare processi di interazione. «Con il coinvolgimento di alcune figure particolari, invitati come professori a contratto e visiting professor, stiamo cercando di esprimere un nostro progetto sviluppandolo parallelamente con la nostra esperienza» [7]. Il mezzo per ottenere la collaborazione di grandi designers fu offerto dal D. P. R. 382/80. L’Articolo 25 consentiva infatti «la nomina di professori a contratto per l’attivazione di corsi integrativi di quelli ufficiali impartiti nelle Facoltà, finalizzati all’acquisizione di significative esperienza teorico-pratiche di tipo specialistico provenienti dal mondo extra universitario ovvero di risultati di particolari ricerche, o studi di alta qualificazione scientifica o professionale» [8].

«La tempestività della nostra richiesta è stata premiata con due contratti a due designer di grande rilevanza, come Ettore Sottsass e Andrea Branzi e devo personalmente riconoscere agli organi istituzionali la volontà politica di andare costruendo all’interno dell’Università italiana, uno spazio più ricco per quell’area del Design e del Disegno industriale fino a oggi di quasi totale pertinenza del mondo non accademico, sia nel piano produttivo, sia nel piano teorico-critico» [9]. 

Questo progetto si basava su due nodi fondamentali: il primo più generale si fondava sulla necessità del design come punto di vista arricchente nella progettazione d’architettura; il secondo, più specificamente vedeva nel design uno strumento per la riappropriazione della cultura materiale siciliana della contemporaneità. Questo secondo punto è il centro del progetto, la vera molla per cui, in una situazione di periferia particolare e paradossale come quella della Sicilia, un corso di design si è posto l’obiettivo di chiamare a collaborare, per l’arricchimento del suo progetto, due personaggi come Sottsass e Branzi. 

«Questo progetto – scriveva Anna Maria Fundarò – intende andare costruendo le condizioni affinché una situazione di periferia come la Sicilia, scarsamente e disordinatamente industrializzata e debole, per lo meno da mezzo secolo, anche sul piano della cultura del progetto, tenda a riappropriarsi della capacità di produrre, della capacità di organizzare e sperimentare forme e prodotti della cultura materiale. Proprio perché, appunto, il design oltre ad essere un fatto progettuale è anche un fatto produttivo; e allora proprio a partire da tale dimensione produttiva e tecnologica, è necessario e stimolante mettere in rapporto il problema del design come fatto generale di progettazione con quello specifico del sottosviluppo, e vedere se esistono delle possibilità di reciproca integrazione e, ribaltando le idee consolidate su rapporto tra design e industria, ricercare un ruolo originale, a partire dalla specifica situazione materiale e produttiva» [10]. 

fig-1Con Sottsass si era organizzato un laboratorio all’interno del quale si erano progettati alcuni elementi di arredo urbano: chioschi, panchine, vespasiani, cassonetti per rifiuti solidi, mattoni in graniglia. Sottsass ci aveva fatto affrontare il tema progettuale in maniera sistematica: scelta dei materiali e il loro rapporto con quelli già esistenti della città; l’ambiente sociale in cui si inserisce l’elemento, ecc. L’interesse di Sottsass era stato soprattutto quello di portare noi studenti a stabilire un rapporto e contatti più moderni con le grandi industrie, se ce ne fossero state, per abituarci al fatto che un progetto di design non è solo nel disegno del progetto ma comprende anche una grossa parte che è quella di comunicare con gli istituti della produzione. Questo lavoro, che è durato circa quattro mesi, è stato un primo passo concreto verso la realizzazione di un progetto “utopico”, come lo definì Sottsass, cioè quello di creare una serie di laboratori per il nostro Istituto «un luogo fisico dove oltre alle esperienza letteraria e di disegno possiate fare delle vere esperienze su cose, sui sistemi di produzione» [11]. L’esito editoriale di questa esperienza è stato il libro Storie e progetti di un designer italiano. Quattro lezioni di Ettore Sottsass jr. 1984.

Un altro personaggio di spicco nel campo del design internazionale, che ha portato la sua esperienza e la sua ricerca nel corso integrativo è stato Andrea Branzi. 

«Di Branzi ci ha interessato […] la rigorosa iconoclastia, la capacità logica di risalire ai nodi dei problemi, la curiosità di scavare in quell’area un po’ sconosciuta e pericolosa che va dall’architettura al design, che passa per le arti minori, l’artigianato, l’arredo e le arti applicate, la tendenza a lavorare sul costume radicale, attorno alle soglie più sperimentali del design, alle ricerche più esposte, ma con un’acuta consapevolezza critica e una grande disponibilità ad azzerare tutto. Tale connotazione “rifondativa” di Branzi ci è sembrata potesse portare un contributo rilevante nel lavoro che stiamo facendo. Cioè in questo tentativo che, con vari strumenti andiamo compiendo per trovare, parafrasando una definizione data da “MODO” al nostro lavoro di qualche anno fa, “Una via siciliana al buon design”» [12]. 

fig-2Documento di questa illustre figura di designer è il libro  Merce e Metropoli, in cui Branzi traccia attraverso il design, visto come luogo di rifondazione dell’architettura, una storia del design stesso, partendo dalle grandi esposizioni universali dell’Ottocento, passando dal rinnovamento delle arti applicate, rinnovamento che dall’inizio del ‘900 comincia a confluire nell’architettura intesa come campo di ricomposizione di un possibile panorama culturale, come luogo di un probabile progetto di una nuova civiltà.

Continua il suo excursus sulla metropoli futurista e, analizzando il periodo fra le due guerre, dà un quadro della modificazione dell’umanità arrivando al design degli anni ’50 del Novecento. Da qui passa al realismo pop, all’architettura radicale al dressing design, a quello primario a quello del colore, al design banale, al nuovo artigianato, per concludere con le nuove arti applicate «utili alla ricomposizione di una possibile cultura domestica». La presenza di questi personaggi famosi portava verso un risveglio culturale della Sicilia, ma soprattutto al lento ma progressivo realizzarsi di un progetto culturale, di una cultura materiale diffusa nella quotidianità attenta ai problemi della materialità ma anche dell’abitabilità delle strutture abitative e ambientali in senso ampiamente antropologico.

Dopo Sottsass e Branzi è stata la volta di Ugo La Pietra, un altro personaggio inquietante nel panorama culturale internazionale. Esordisce nell’Avanguardia italiana degli anni ’60 del Novecento, operando nell’area milanese. I suoi riferimenti nel campo figurativo sono le esperienze delle ricerche visuali posteriori all’Informale. Di fatto dopo una serie di disegni, dal 1960 al ’63, nei quali sembra ripercorrere parallelamente e contemporaneamente all’Architettura assoluta di Hollein e Pichler, i discorsi sull’Architettura magica dello spesso Kiesler. La Pietra produce una serie di ricerche sulla morfologia urbana, sulla modularità, sui nodi e gli scambi urbani che lo inseriscono nel quadro della cultura avanzata degli anni sessanta del Novecento. Nei primi anni ’70, La Pietra passa da azioni dimostrative ad azioni appropriative. Il tape “La grande occasione” per la triennale del 1973 è in pratica la documentazione di un tentativo di definizione di spazi o quanto meno di relazioni spaziali a mezzo del proprio corpo e degli spostamenti dello stesso in ambiente amorfo, neutro, che proprio alla presenza dell’operatore viene qualificato e caratterizzato.

fig-3Sempre negli anni ’70 la sua attenzione è volta allo studio della trasformazione dello spazio abitativo domestico. La tipologia ambientale concepita per consumare «i rituali dello stare insieme e del conversare» proprio in quegli anni era destinata, con l’uso sempre più complesso e sofisticato dello strumento (monitor-terminali, video-registratori, archivio-cassette, etc.), a modificarsi rapidamente. Nel 1971 per la Mostra al MOMA di New York “Italy New Domestic Lendscape” progetta una cellula abitativa, una microstruttura all’interno dei sistemi di informazione e comunicazione. Queste ipotesi, urgenti e reali, trovano una verifica negli anni ’80 con il progetto “La casa telematica”. Essa presuppone uno sradicamento totale da ogni canone. da ogni risonanza, da ogni tradizione: essa deve soltanto essere moderna.

L’esito del laboratorio integrativo di Ugo La Pietra è stato il libro La cultura balneare. L’obiettivo era quello di studiare e approfondire questa particolare cultura marginale e proporre per la prima volta l’idea di un “design territoriale”. In pratica si trattava di approfondire il problema dell’esistenza di una cultura e di una visione artistica differente rispetto a quelle della realtà urbana, determinata anche da diversi ritmi di vita che hanno dato un diverso valore al tempo libero. Il risultato di questa ricerca stava nella diversa concezione dell’abitare che ha determinato la creazione di tipologie edilizie adatte a uno stile di vita “estivo”.

copertinaNel 1982 viene organizzato un ciclo di conferenze dal titolo “Design per lo sviluppo”, una riflessione trasversale sul design italiano, che vede la partecipazione di docenti di vari ambiti disciplinari, ricercatori, progettisti, storici, industriali. Tra questi Filippo Alison, Antonino Buttitta, Giuseppe Ciribini, Michele De Lucchi, Gillo Dorfless, Vittorio Fagone, Roberto Mango, Enzo Mari, Alessandro Mendini, e molti altri. Gli esiti di questo evento vengono pubblicati in un libro [13]. Nel 1983 l’Istituto di Disegno industriale pubblicava un periodico l’Annuario di Design in Sicilia (ADS): che documenta e diffonde le diverse attività, progetti, realizzazioni dei docenti e degli studenti.

Nel corso degli anni’80, Denis Santachiara, Michele De Lucchi, Alessandro Guerriero, Cinzia Ruggeri, hanno tenuto laboratori progettuali nei corsi di Disegno industriale. Achille Castiglioni, Vico Magistretti, Marco Zanuso, Jasper Morrison e altri hanno tenuto lezioni ex cathedra e hanno inaugurato mostre progettate e allestite dal team di Disegno industriale. Viene istituita la Scuola di Specializzazione in Disegno Industriale (1989-1998). Il Dottorato di ricerca in Disegno industriale Arti figurative e applicate (1985 2008). Su iniziativa di Michele Argentino, nasce il Corso di laurea triennale in Disegno industriale (2002), e dal 2005 al 2008 anche del Corso di laurea Magistrale in Disegno industriale per le aree mediterranee [14].

fig-4La partecipazione a due concorsi internazionali dei corsi di Michele Argentino, per i risultati ottenuti, rappresenta anche un riconoscimento del lavoro svolto nello sviluppo di un insegnamento teorico-concettuale volto alla definizione di un design quale espressione originale della specificità siciliana. Nel 1987 gli studenti del corso di Progettazione ambientale partecipano al Grand Prix International du Lin. Interior Design, indetto dalla Confederation International du Lin et du Chanvre. Commissioni delle Comunità Europee. Internation Council of Industrial Design (ICSID). I risultati di questo Concorso sono stati pubblicati nel catalogo, Grand Prix International du Lin. Interior Design, a cura di M. Mastropietro. Il gruppo Benfante, Di Marco, Lo Bianco, Grifo ha vinto il terzo premio.

Nel 1994 gli studenti del corso di Disegno industriale I di Michele Argentino partecipano al Concorso Internazionale promosso da Alcatel Voice Oriented Terminals. Progetti e Prototipi di telefoni. Gli studenti Giancarlo Coffaro, Massimo Lucania, Antonio Scordato si aggiudicano il secondo premio che gli verrà consegnato a Strasburgo. Tutti i progetti partecipanti sano stati pubblicati nel catalogo 1994 European Competition of Industrial Design. Alcatel Artwork.

Michele ci ha insegnato che il desiderio di fare design e di non continuare a subirlo, comporta una serie di analisi e riflessioni. Analisi, nel senso di capire quali sono le strutture produttive trainanti, quali le conoscenze, quali gli ambiti. Compreso questo è necessario riflettere per trovare una via di mediazione originale tra la propria cultura e le elaborazioni teoriche e sperimentali cui sono pervenute le forze intellettuali di punta. Per realizzarlo bisogna servirsi di tutti i mezzi a disposizione e quelli che non ci sono bisogna inventarseli. Questi e tanti altri successi formativi e didattici non hanno mai fatto ombra alla sua grande umanità. 

Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023 
Note
[1] A.M. Fundarò, Programma presentato al Consiglio di Facoltà dell’11/11/1973
[2] A. M. Fundarò, Il nuovo Assetto della Facoltà. Quadro didattico secondo il nuovo Ordinamento, 1981
[3] Ibidem
[4] M. Argentino, Il nuovo Assetto della Facoltà. Quadro didattico secondo il nuovo Ordinamento, 1981
[5] A. M. Fundarò, Artigianato e didattica: La scuola di design rifiuta l’accademia, Ottagono, 57, 1980: 92-93.
[6] Ibidem
[7] A.M. Fundarò, Il Design oggi in Italia
[8] G. U. Serie Generale n. 209 del 31/07/19080 – Supplemento Ordinario
[9] A.M. Fundarò, Presentazione del libro Storie e progetti di un designer italiano. Quattro lezioni di Ettore Sottsass Jr, 1984.
[10] Ibidem
[11] Ibidem
[12] A.M. Fundarò, Introduzione al libro Merce e metropoli: teoria e critica del disegno industriale, di Andrea Branzi, 1983.
[13] A. M. Fundarò, (diretto da), Design per lo sviluppo, Quaderno di ADS – Annuario Design Sicilia, Palermo 1988.
[14] Alcune pubblicazioni sul tema delle attività produttive artigianali e della cultura materiale della Sicilia: A. M. Fundarò, La lenta morte del Centro storico, in “Il Mediterraneo”, 1977, n. 11/12: 25-31; A. M. Fundarò, Design e cultura materiale, la produzione industriale del palermitano tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, in La cultura materiale in Sicilia, Atti del 1° Congresso internazionale di studi antropologici siciliani (Palermo, 12-15 gennaio 1978), Palermo 1980: 599-610; A.M. Fundarò, Una fonderia nella città, le attività produttive nel centro storico di Palermo, in “Il Mediterraneo”, 1978, n. 1 / 2 / 3; A.M. Fundarò, Strumenti, tecniche, oggetti della produzione artigianale a Palermo, oggi, in I mestieri. Organizzazione Tecniche Linguaggi, Atti del 2° Congresso internazionale di studi antropologici siciliani (Palermo 26-29 marzo 1980), Palermo 1984: 279-288; A.M. Fundarò, La via siciliana al buon design, in “Modo”, n. 31, luglio-agosto 1980: 27-29. 

_____________________________________________________________ 

Angelo Pantina, è stato docente in Disegno industriale nel Dipartimento D’Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. Ha svolto attività di ricerca sui temi dell’eco design, della sostenibilità ambientale, del design strategico per lo sviluppo delle risorse territoriali, sul social design, sul design per la conservazione e la valorizzazione dei Beni culturali in Sicilia.

______________________________________________________________

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>