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Mettere in scena il sacro

coverdi Igor Baglioni

Ci sono libri che sono l’epilogo di lavori solitari e individuali. E sono la maggior parte. Ma ci sono opere – forse ancor più efficaci – che maturano da ricerche collettive, all’interno di progetti che coinvolgono più istituzioni culturali e che vedono protagonisti anche i giovani studenti dell’università o dei corsi di specializzazione. È il caso di Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, a cura di Francesca Fabbri, Elisabetta Silvestrini, Alessandro Simonicca (Cisu 2021). Un volume che offre una mappatura critica delle statue “da vestire” presenti nei luoghi di culto dell’area metropolitana di Roma, quindi del territorio esterno e circostante la capitale. Si tratta dell’esito di un progetto di ricerca messo in campo dal Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma e dalla Soprintendenza ABAP per l’Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, quale proseguimento ideale di un ciclo di eventi espositivi, denominato Tessere la Speranza, promossi tra il 2016 e il 2019 dalla medesima Soprintendenza e dedicati alle “Madonne vestite” nel Lazio.

La ricerca è stata svolta dagli studenti del corso di laurea magistrale in Discipline Etnoantropologiche e della Scuola di Specializzazione post-lauream in beni DEA della Sapienza e va a colmare un vuoto documentario e di studi su questi oggetti sacri rispetto all’area in questione, la quale finora non aveva conosciuto indagini sistematiche che fornissero un quadro esauriente e adeguatamente commentato di questo fenomeno religioso [1].

I risultati della ricerca trovano un’esposizione nel volume all’interno di tre tipologie di contributi:

1) Gli articoli introduttivi, a firma di Francesca Fabbri, Elisabetta Silvestrini e Alessandro Simonicca, che offrono una panoramica generale della indagine svolta e che, rispetto alle specificità di ciascun caso studiato, mettono in evidenza i tratti culturali e sociali rilevati come ricorrenti, inserendoli in una griglia interpretativa più ampia [2].

2) Le schede che riportano i dati acquisiti per ciascuna statua individuata durante la mappatura e di seguito studiata sia come oggetto d’arte che come oggetto sacro, fulcro di determinate dinamiche religiose e sociali.

3) Articoli di approfondimento su alcune delle statue censite e sui fenomeni religiosi e sociali a cui sono connesse.

Nello specifico, per quanto riguarda le schede, questi sono i dati riportati in relazione alle statue: localizzazione, caratteristiche iconografiche, dimensioni, composizione materiale, le tecniche di lavorazione di cui sono state oggetto, la datazione, l’autore o l’ambito di produzione, le celebrazioni festive a cui sono connesse, le attività rituali di cui sono oggetto o di cui fanno parte, le modalità di gestione del loro culto, le associazioni o le confraternite che se occupano a diversi livelli, le narrazioni che le riguardano, dai miti di fondazione alle storie relative a presunti miracoli, i doni votivi ricevuti, la bibliografia relativa, l’indicazione di quale documentazione è stata prodotta durante la ricognizione [3].

Da "Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali"

Da “Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali”

Quali sono i dati e i tratti distintivi del fenomeno studiato che emergono alla lettura di questi contributi? In merito, iniziando una rassegna delle conoscenze acquisite durante la mappatura su queste statue quali oggetti materiali, quel che appare evidente, innanzi tutto, è la loro frequente polimatericità, ovvero come di sovente la loro composizione fisica sia caratterizzata dalla presenza di elementi base differenti che solo uniti insieme vanno a formare la figura rappresentata [4].

Nelle ragioni soggiacenti alla selezione di determinati elementi piuttosto che di altri, si intravedono sia motivazioni di ordine pratico che motivazioni di matrice religiosa, anche se non sempre, però, in relazione a singole scelte, è possibile individuare una delle due possibili vie quale ragione primaria di una specifica resa dell’oggetto sacro, presentandosi, sia nell’ottica del fedele che dello studioso che osserva il fenomeno secondo il proprio orizzonte analitico esterno, come strettamente intrecciate tra loro.

Chiariamo quest’ultimo punto prendendo le mosse da alcuni casi concreti. Si pensi ad esempio ai capelli che adornano il volto di queste statue che spesso in origine non erano altro che i capelli appartenenti a uno o più fedeli, i quali li hanno tagliati e poi donati al santo o alla santa affinché con essi venisse confezionata con facilità la parrucca per l’immagine sacra [5]. Un atto di praticità, che risolve agilmente una necessità relativa alla realizzazione di un oggetto raffigurativo, ma che assume su di sé, in particolari contesti, anche aspetti religiosi, divenendo un omaggio di devozione al santo oppure un dono votivo.

Da "Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali"

Da “Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali”

Inoltre, se gli elementi che caratterizzano la polimatericità del corpo della statua, quali ad esempio il gesso [6], il legno di fico [7], la porcellana [8] e la vetroresina [9], vengono scelti di volta in volta, tra gli altri motivi, sì in base alla loro occasionale disponibilità che alla loro intrinseca leggerezza, dovendo spesso le statue essere portate in processione o essendo comunque queste parte di altre forme di ritualità che prevedono il loro spostamento o presa da parte dei fedeli [10] – ragioni per le quali tra l’altro il loro interno può essere cavo e contenente solo della paglia per dare volume [11] – ciò non toglie che a queste necessità di natura pratica si affianchino a pari diritto necessità di natura religiosa.

Non infrequentemente, infatti, si tiene conto nel processo di selezione del materiale anche di un altro dato ovvero delle vicende miracolose tramandate e narrate riguardo al santo o alla santa o comunque, più in generale, di quanto attinente alla sua figura sacra [12]. Si pensi ad esempio a come una statua possa essere realizzata dal legno ricavato dall’albero presso il quale il santo apparve per la prima volta ai fedeli di una precisa comunità. Tra i casi censiti, è quanto ad esempio sarebbe avvenuto, secondo la tradizione, per la statua di Sant’Agata a Cineto Romano [13].

Parimenti, la conformazione antropomorfa di queste statue, la loro postura e gli attributi che le contraddistinguono, non sono solo il frutto di decisioni tecniche che l’artigiano, la bottega e oggi magari anche il laboratorio di una moderna fabbrica hanno dovuto prendere di volta in volta, di caso in caso, ma devono rispondere ai parametri di rappresentazione della santità stabiliti ufficialmente dalla Chiesa, come di quelli presenti nell’immaginario popolare, alcuni forse più cari di altri ai fedeli di una specifica comunità.

Madonna Addolorata di Ladispoli

Madonna Addolorata di Ladispoli

Non solo. Nella realizzazione della statua non si possono non tenere in conto anche delle storie che si tramandano a diversi livelli sul santo rappresentato, come delle mode, degli stili e dei canoni culturali dominanti nel momento in cui si opera. In proposito, su quest’ultimo punto, è particolarmente esemplificativo tra i casi trattati nel volume quello relativo alla statua della Madonna Addolorata di Ladispoli. Culto di nuova istituzione, nato in un quartiere formatosi solo recentemente e che cerca di rafforzare la coesione sociale tra quanti vi abitano anche attraverso le attività rituali che ruotano intorno al culto della madre di Gesù, ha al suo centro una statua che risale proprio a questi ultimi anni e che risponde visibilmente ai canoni estetici femminili contemporanei. L’immagine presenta infatti una figura snella, magra, e il cui volto è stato abbellito dalle fedeli stesse che l’accudiscono con un filo di trucco e disegnando una lacrima che le scende lungo una guancia [14]. Si pensi anche a quanto dichiarato in una delle interviste riportate nel volume da una delle donne che si occupano della statua della Madonna Addolorata di Fiano Romano: «È vestita come noi, l’abbiamo vestita come noi, anche sotto. Ora chi si sposa ha le sottovesti belle no? Allora le abbiamo messo una di quelle belle» [15].

Sant'Agata del Cineto

Sant’Agata del Cineto Romano

Un altro esempio significativo di interazione tra ragioni pratiche e ragioni religiose per la resa visiva di un santo, possiamo trarlo ancora una volta da quanto inerente alla già citata statua di Sant’Agata di Cineto Romano. Le mani dell’immagine, realizzate in gesso, sono state modellate prendendo il calco delle mani di una devota minuta e particolarmente pia di nome Adalgisa [16]. Vediamo quindi nuovamente come una ragione pratica – cercare un modello adatto per realizzare le piccole mani della statua – si sposi con la destinazione religiosa dell’opera, prima nell’individuare una persona che non solo presentasse le caratteristiche fisiche adatte per fungere da modella, ma che fosse allo stesso tempo una donna riconosciuta come pia dalla comunità, e pertanto idonea in un certo senso a prestare una parte di sé per la resa formale della santa, e, in seconda, nella ricezione condivisa del gesto di questa persona quale atto di devozione.

Ora, la definizione di queste raffigurazioni va a completare il suo quadro di insieme con quel che appare essere il loro tratto più caratterizzante nonché centrale focus delle ricerche raccolte nel volume: il vestito o i vestiti che indossano. Il vestire queste statue assume la forma di un rituale di messa in scena del sacro, contribuisce a determinare gli aspetti, le azioni e i significati ad esso connessi tramite la tipologia di abito impiegata, essendo le vesti parte integrante di un orizzonte di senso simbolico condiviso dalla comunità che fa dell’immagine il centro o uno dei centri del suo rapporto con la sfera divina.

Da "Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali"

Da “Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali”

Vesti che possono essere cambiate durante l’anno in occasione delle ricorrenze previste dal calendario liturgico, rievocando o riattualizzando, tramite il mutare dell’aspetto dell’immagine e un preciso contesto festivo e rituale, momenti cardine della storia religiosa o della storia della comunità. In merito, si pensi ad esempio alla ritualizzazione della vestizione di cui sono oggetto le rappresentazioni della Madonna nel periodo pasquale in cui il cambio d’abito sottolinea nel variare dei colori, dal chiaro al nero e viceversa, il passaggio da una fase feriale ad una festiva, da una fase di lutto per la crocefissione ad una di gioia per la resurrezione [17].

Una messa in scena del sacro a cui non manca di dare un apporto anche l’insieme di ex-voto, di preziosi e di tutte le possibili forme di dono che adornano e circondano la statua del santo e che costituiscono un’attestazione del suo potere, della sua sfera d’azione in favore dei singoli fedeli o delle comunità, come di una rete di narrazioni e storie particolari di cui ogni oggetto è specificamente portatore, ma che allo stesso tempo acquisiscono un senso nuovo, corale e omogeneo, nell’essere poste una accanto all’altra, evocando simultaneamente il loro potenziale narrativo.

Una coralità, quella dei doni, che si contraddistingue anche per le molteplici funzionalità che si intravedono dietro le diverse motivazioni che hanno condotto alla dedica al santo dell’oggetto. Questo, a seconda delle occasioni, può rappresentare una sorta di preghiera materializzata, perennemente recitata in presenza e in costante contatto con il santo, una parte di sé che si è posta in vicinanza con il sacro e sempre presente presso di esso, una richiesta generica di protezione oppure un oggetto di scambio, offerto secondo la logica del dare per avere, espressa dalla nota formula del do ut des [18]. Da ultimo, i preziosi contribuiscono alla messa in scena del sacro offrendo anche un effetto scenico di luminosità e bellezza che aiuta, da una parte, a separare la statua dalla sfera profana, a renderla una presentificazione del divino, dall’altra, a trasformarla quasi in un “corpo vivente”, a darle individualità e, appunto, a indurre l’idea in chi l’osserva che vi sia qualcosa di altro e di vivo in lei [19].

Questo orizzonte narrativo e simbolico comunicato indirettamente dalla messa in scena del sacro, è un vero e proprio linguaggio in grado di far presa sulla comunità anche sul piano delle emozioni, di suscitare sensazioni e sentimenti tra i fedeli, di porre la statua e il culto del santo al centro delle dinamiche sociali e di genere che attraversano la collettività in uno specifico momento della sua storia, divenendo così questo insieme uno specchio nel quale i singoli potrebbero potenzialmente veder riflesse le proprie vite. Questa rete emozionale in cui la comunità si trova avvinta, traspare a diversi livelli, ad esempio, dall’osservazione di quanto avviene durante i riti di cui le statue sono oggetto, in particolar modo nel corso della vestizione effettuata per le festività. Questo momento diventa non solo uno strumento per avvicinarsi al divino, toccarlo, entrare con esso in contatto fisico tramite la materialità della statua, ma anche per stabilire con il santo un rapporto personale, affettivo, non mediato, di amicizia, in cui ci si prende cura di lui come lo si farebbe con un proprio caro [20].

Da "Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali"

Da “Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali”

Paradigmatico di quest’ultimo atteggiamento, per come si presenta tra i casi censiti, è il continuo sommesso brusio prodotto dalle parole rivolte alle statue che raffigurano la madre di Gesù, Maria [21], durante il rituale della vestizione. In quegli attimi, la statua viene accudita come se fosse una persona viva, la statua è Maria e ci si rivolge ad essa come se fosse una figlia, una figlia che sta per sposarsi. La Madre per eccellenza diventa la figlia delle donne a lei devote [22]. Negli articoli raccolti nel volume possiamo trovare alcuni passaggi delle interviste effettuate nel corso della ricerca che bene rendono l’atmosfera che si crea. Ad esempio, tra i fedeli della Madonna delle Grazie di Artena, vengono espresse i seguenti commenti riguardo la loro attività di cura della statua: “come fosse un creaturo”, “quasi una persona”, “come quando una madre accarezza un figlio” [23]. Possiamo leggere commenti simili anche tra le interviste svolte tra le fedeli della Madonna delle Grazie di Civitavecchia: «La Madonna per noi è molto importante. Quando aiuto a vestirla con le consorelle, la senti, la vorresti abbracciare. Durante la vestizione noi parliamo con la statua, e preghiamo allo stesso tempo, come se fosse una persona vera» [24].

Un rapporto di affettività che assume anche forme di “gelosia”, di protezione, del cercare di mantenere uno status quo rituale che non è solo meccanica fedeltà alla tradizione, a quel che si è sempre fatto e deve continuare a farsi così, ma si unisce in maniera inestricabile ai sentimenti che si nutrono per il santo. Leggiamo ad esempio dalle interviste relative al culto della Madonna delle Grazie di Artena passi come i seguenti, tratti da un contesto in cui si stava registrando la reazione dei fedeli ad alcuni cambiamenti recenti avviati dal parroco riguardo proprio le attività di devozione e culto e che prevedevano tra l’altro l’esposizione al pubblico della statua nuda: 

«Io non sono chissà quanto devoto, ma la Madonna delle Grazie è un’altra cosa; io oggi so che si è fatta bella ed elegante per me, per venire a casa mia […] per noi la fede è forte proprio per questo, perché non la vediamo tutti gli altri giorni; nella nicchia sta svestita ma per me la Madonna delle Grazie è questa, regale, non quella nuda. Vestita non la vedo più come perfettissima e basta ma anche a mio pari e questo mi dà la comunione con lei» [25]. 

A Cineto Romano, le fedeli che si occupano della statua di Sant’Agata e che con essa parlano al momento della vestizione, sono gelose della loro santa e alcune vogliono mantenerne nascosti e segreti i riti: «È una cosa nostra, siamo gelosi» [26]. Inoltre, si proietta su di essa il senso di pudore corrente e il rispetto che si deve ad una persona. Per questo nemmeno loro possono vederla completamente priva di indumenti, nemmeno nell’atto della vestizione: «Neanche noi possiamo vederla nuda, non starebbe bene» [27]. Un rapporto così possessivo che in alcuni contesti può portare a frizioni con l’autorità ecclesiastica, a resistere a cambiamenti che si vorrebbero addurre nelle consuetudini rituali, a preservare le proprie forme di religiosità rispetto a quelle che la Chiesa vorrebbe promuovere, addirittura ad allontanare i parroci, anche in malo modo se necessario, dall’assistere alla vestizione [28].

Da "Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali"

Da “Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali”

Non stupisce quindi che in un quadro come quello delineato questi culti diventino una delle ancore sulle quali la comunità si affida per affrontare le avversità, per mantenersi unita di fronte a quanto minacci di sgretolarla. Si pensi ad esempio come allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, le donne di Fiano Romano abbiano cercato la salvezza per i propri cari, partiti per il fronte, affiggendo alla statua della Madonna Addolorata foto che li ritraevano, affinché potessero contare sulla sua protezione. Quando questi rientrarono dalla guerra, ognuno di loro si recò presso la statua e riprese la propria foto [29]. Si pensi anche a come le festività dedicate a questi santi diventino l’occasione per la quale nel paese rientrino quanti per lavoro sono dovuti andare a vivere fuori di esso, ricompattando così, almeno per alcuni giorni, gli abitanti di quei borghi dove è purtroppo in corso un progressivo spopolamento [30]. Un processo di nuove ritualità aggregative, potremmo dire “nate dal basso”, spontaneamente e senza una particolare riflessione antecedente, che risulta ben delineato da quanto scrive Jacopo Trevisonno riguardo la confraternita degli Incollatori di Cervara, dedita al culto della Madonna della Visitazione: 

«Nel corso di una conversazione con Roberto Zorli (7 luglio 2020), è emerso che il ruolo oggi ricoperto dagli Incollatori non è più collegabile unicamente alla dimensione religiosa – dato che molti di loro non sono iscritti alla confraternita –: dunque si dividono tra il compito di “incollare” (trasportare) la statua in processione, ed il compito di “incollare”, mettere insieme i segmenti del tessuto sociale del paese. Le motivazioni che spingono queste persone ad essere incollatori sono state recentemente riportate in forma scritta, in risposta alla domanda, rivolta attraverso WhatsApp, “Che cosa significa per te essere incollatore?”. Rappresentare lo status di incollatori ha generato risposte apparentemente indirette. Tutti, anche se partiti da premesse differenti, comunicano le loro riflessioni ponendo il fattore della tradizione come oggetto da preservare, o, visto in maniera negativa, come qualcosa che pian piano si perderà: abbandonare la fatica di incollare appare come qualcosa da esorcizzare e procrastinare sempre più avanti nel tempo.
L’originario significato del termine (da collo, colli, trasportare oggetti pesanti) – in uso in varie altre celebrazioni, come l’Inchinata di Tivoli e la festa di Sant’Ambrogio a Ferentino (FR) – viene reinterpretato dagli Incollatori, che rispondono in rete, nel senso di incollare, cioè incollarsi alla Madonna e alla tradizione: essi stessi risultano consapevoli del fatto che il tessuto sociale del paese è attaccato, quasi aggrappato, alla processione, come fosse una delle ultime ancore di salvataggio per la vitalità di Cervara» [31].

Una medesima funzionalità di coesione comunitaria è rintracciabile anche nei culti presenti tra quelle comunità migranti della provincia di Roma che abbiano al loro centro, quale immagine del santo, una statua “da vestire”. È quanto ad esempio verificabile nella venerazione della Virgen de Cocharcas a cui è dedita la comunità peruviana residente tra Casali di Mentana e Fonte Nuova. Sia le caratteristiche delle statua – fattezze del volto che rimandano ai tratti tipici della donna peruviana – che gli abiti da lei indossati – vestiti tradizionali del Perù – come i tratti principali dei riti di cui è oggetto – che prevedono l’esibizione di danze originarie di quelle terre – non solo sono un rimando ai luoghi natii, ma un’ancora ad essi, alla propria gente e al senso di conforto e sicurezza che se ne può trarre in un contesto difficile come quello di una vita trascorsa lontano dalla propria casa, in una terra straniera [32].

Ora, abbiamo più volte accennato alle attività di natura rituale di cui queste statue sono protagoniste, in primis il rito della vestizione, ma anche le processioni o più in generale tutte quelle festività legate a quel santo del quale sono immagine materiale e tangibile. Vorrei qui ricordare brevemente, chiudendo questa nota, almeno un’altra tipologia di riti tra quelli che emergono in maniera ricorrente nell’area studiata nel corso della ricerca: la pratica del Santo in Casa.

Da "Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali"

Da “Abiti Preziosi e Statue Vestite arte devozione e rituali”

L’uso del Santo in Casa prevede la possibilità, in modalità variabile a seconda delle tradizioni locali, di avere come ospite nella propria dimora l’immagine cultuale del santo, una sua specifica riproduzione o un oggetto che rimandi a lui sul piano simbolico e che lo renda presente nell’abitazione. L’immagine viene conservata nella casa familiare per un periodo di tempo fissato dalla tradizione, spesso messo in connessione con la principale festività del santo per definirne la durata (inizio e fine). È un’arena di competizione sociale, attraverso la quale si ottiene prestigio all’interno della comunità e si affermava pubblicamente il ruolo di rilievo che si ricopre in essa, spesso anche la propria ricchezza. Questo perché sovente si ottiene la possibilità di ospitare l’immagine, o ciò che rappresenta simbolicamente il santo, dietro un’offerta monetaria cospicua, in rivalità con altre famiglie che tenteranno di presentare un’offerta maggiore.

D’altronde, anche gli obblighi previsti dalle usanze per chi ospita l’immagine e le particolari condizioni stabilite per la sua conservazione, rendono di fatto necessario disporre di una certa agibilità economica. La casa, in date fisse, va infatti aperta all’intero paese, che deve poter accedere all’immagine, vi debbono essere allestite particolari decorazioni oppure, per le festività del santo, offerti dispendiosi banchetti. In proposito, è interessante notare come durante la mappatura si sia rilevato che la pratica, almeno per quest’area, da momento periodico di controllo e sfogo delle rivalità e tensioni sociali, abbia assunto, nel già menzionato contesto di crisi attuale che vede lo spopolamento di questi borghi, nuove funzionalità, volte al mantenimento della coesione del gruppo. L’apertura della propria casa, i banchetti da offrire e le altre incombenze previste per chi ospita il santo, da originarie occasioni di manifestazione del proprio status sociale, sono diventate occasioni in cui la comunità si riunisce e cerca la propria unità, in alcuni casi con l’aiuto, il concorso e il contributo di tutti affinché queste occasioni possano esserci [33]. 

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023 
Note
[1] Cfr. Fabbri 2022.
[2] ibidem; Silvestrini 2022; Simonicca 2022.
[3] Cfr. Fabbri 2022: 11-12.
[4] ivi: 10.
[5] Chilese 2022: 180; Conti 2022: 186; Myftari 2022: 224.
[6] Lorenzoni 2022: 205.
[7] Chilese 2022: 180.
[8] Conti 2022: 186.
[9] ibidem.
[10] Chilese 2022: 180.
[11] ibidem; Lorenzoni 2022: 205.
[12] Sui motivi narrativi miracolosi che si tramandano in relazione a queste statue, si veda Silvestrini 2022.
[13] Lorenzoni 2022: 205.
[14] Cfr. Sileri 2022.
[15] Goletti 2022: 195.
[16] Lorenzoni 2022: 205.
[17] Cfr. Simonicca 2022.
[18] Chilese 2022: 180.
[19] Myftari 2022: 224.
[20] Cfr. Chilese 2022: 182-183.
[21] Cfr. ad esempio Myftari 2022: 224-225.
[22] Goletti 2022: 195; Iozzelli 2022: 199. Qualcosa si simile avviene anche per Sant’Agata a Cineto Romano (Lorenzoni 2022: 206).
[23] Iozzelli 2022: 199.
[24] Myftari 2022: 224-225.
[25] Iozzelli 2022: 199.
[26] Lorenzoni 2022: 204.
[27] ivi: 205.
[28] Cfr. Goletti 2022: 193-194; Iozzelli 2022: 198 sgg.; Lorenzoni 2022: 204-205.
[29] Goletti 2022: 195.
[30] Cfr. ad esempio Lorenzoni 2022: 207-210; Lorito 2022: 217-219; Santoro 2022: 230-231; Trevisonno 2022: 241-242.
[31] Trevisonno 2022: 242.
[32] Buonvino 2022. Cfr. Uccella 2022 per un quadro di questi culti in ambito migratorio.
[33] Cfr. Simonicca 2022: 25-26; Lorenzoni 2022: 207-210. 
Riferimenti bibliografici 
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Chilese 2022: G. Chilese, La Madonna Addolorata di Sacrofano, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 179-184.
Conti 2022: S. Conti, Una Porziuncola tra le terre delle acque: il Santuario della Madonna della Quercia a Marano Equo, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 185-192.
Fabbri 2022: F. Fabbri, Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma: le motivazioni e gli obiettivi del progetto di ricerca, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 9-12.
Goletti 2022: F. Goletti, La Madonna Addolorata di Fiano Romano, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 193-196.
Iozzelli 2022: J. Iozzelli, Non vedo, quindi credo. Il culto della statua vestita della Madonna delle Grazie ad Artena, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 197-202.
Lorenzoni 2022: F. Lorenzoni, Cineto Romano nel culto di Sant’Agata: l’uso civile della festa religiosa, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 203-212.
Lorito 2022: A. Lorito, Agosta: il culto della Madonna del Passo, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 213-220.
Myftari 2022: B. Myftari, La processione della Madonna delle Grazie a Civitavecchia. Storia e origini del culto, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 221-226.
Santoro 2022: A. Santoro, Interpretazioni della tradizione e metamorfosi del simulacro di San Biagio nel borgo di Anguillara, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 227-232.
Sileri 2022: L. Sileri, La Madonna Addolorata di Ladispoli. Religiosità ed estetica nel lab-oratorio tessile della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 233-238.
Silvestrini 2022: E. Silvestrini, Miti di fondazione, miracoli e prodigi, devozioni, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 13-18.
Simonicca 2022: A. Simonicca, Ierospazi e agiografie, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 19-27.
Trevisonno 2022: J. Trevisonno, La Madonna della Visitazione di Cervara di Roma e gli incollatori, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 239-242.
Uccella 2022: F.R. Uccella, Nostra Signora di Aparecida, Monterotondo, in F. Fabbri – E. Silvestrini – A. Simonicca (a cura di), Etnografie di materiali e pratiche rituali. Le statue “da vestire” dell’area metropolitana di Roma, CISU, Roma 2022: 243-246.

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Igor Baglioni, è direttore del Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni” di Velletri (Roma). Nel 2012 ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia Religiosa presso la Sapienza Università di Roma e nel 2013 ha vinto la borsa di studio dell’Accademia Nazionale dei Lincei per ricerche nel campo della storia delle religioni intitolata a “Raffaele Pettazzoni”. Tra le ultime opere da lui curate, ricordiamo: Ascoltare gli Dèi / Divos Audire. Costruzione e percezione della dimensione sonora nelle religioni del Mediterraneo antico, 2 volumi, Edizioni Quasar, Roma 2015; Saeculum Aureum. Tradizione e innovazione nella religione romana di epoca augustea, 2 volumi, Edizioni Quasar, Roma 2016; Il Cibo e il sacro. Tradizioni e simbologie, Edizioni Quasar, Roma 2020 (con Elena Santilli e Alessandra Turchetti); Fare etnografia. Teorie e pratiche della ricerca sul campo, Edizioni Quasar, Roma 2022 (con Elisa Vasconi); Religioni fantastiche e dove trovarle. Divinità, miti e riti nella fantascienza e nel fantasy, 2 volumi, Edizioni Quasar, Roma 2022 (con Ilaria Biano e Chiara Crosignani). Nel 2017 pubblica la monografia Echidna e suoi discendenti. Studio sulle entità mostruose della Teogonia esiodea, Edizioni Quasar, Roma 2017.

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