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La ragazza che parla col mare

Klee, Sidi Bou Said, 1914

Klee, Sidi Bou Said, 1914

di Imen Ayari Cozzo

La distanza che Frida vorrebbe percorrere tutti i giorni sembra dilatarsi sempre più, ma quotidianamente lei prova e non smette di credere che questa terra ostinata avrà una fine. La terra si estende sul mare: comincia sulla costa di La Marsa da dove si vede la scogliera di Sidi Bou Said e lì, all’apice, lei deve arrivare. Farà un giro segreto e in cima abbraccerà tutta Cartagine in un lungo rito giornaliero, per far sua quella terra e incorporarne i suoi colori.

L’area del grande blu vela il corpo snello di Frida. Lei porta il colore nella sua mente e ricorda ogni singolo dettaglio di questo panorama: le costruzioni bianche e blu mare delle case con cupola, le finestre e le porte a forma d’arco in legno duro e pesante, barmacli, anch’esse blu mare incorniciate da pareti bianche avvolte da fragranti fiori, a cascata. Una meravigliosa porta gialla si distingue in mezzo alla piazzetta, a destra, prima del cimitero poco conosciuto ai non residenti. Entrare attraverso queste porte é come tornare in un’altra epoca, per questo, da lì, non si esce mai gli stessi.

Sidi Bou Said, che trae il nome dal santo sufi “Bou Said” celeberrimo in tutto il mondo, é un pittoresco villaggio in cima ad una ripida scogliera che si affaccia sul Mediterraneo, a nord di Tunisi. Le strade di ciottoli sono fiancheggiate da negozi d’arte, bancarelle di souvenir e caffè. Per Frida non é solo un bel posto da esplorare, lei l’ha sempre vissuto e il suo amore è diventato ancora più profondo,da quando ha letto su Sidi Bou Said di come questo posto avesse ispirato artisti del calibro di Paul Klee, Schröder Heinrich e scrittori come Chateaubriand, Gustave Flaubert, Alphonse de Lamartine, André Gide, Colette e Simone de Beauvoir. Anche se quotidianamente Sidi Bou Said è affollato, per Frida questo posto diviene, ogni volta, ancor più affascinante.

La ricerca di Frida é cominciata umilmente. Oggi fare ricerca – pensa Frida – é diventato molto più semplice grazie al mondo virtuale dove si raccoglie l’informazione e ci si può collegare con la gente discutendo, come si faceva prima attorno a un tavolo di un caffè. La grande differenza é che questa gente, in genere, non si conosce e soprattutto potrebbe essere ovunque, ma il legame per Frida diventa questa città in cima ad una ripida scogliera. Lei inizia la sua visione universale di questa terra con Paul Klee che era un appassionato cultore dell’architettura della città e del paesaggio e si era innamorato particolarmente dei giardini lussureggianti, laddove la palma è diventata la regina dei suoi dipinti e dei suoi disegni. Frida è stata ancora più impressionata dalla citazione di June Taboroff, tratta dal diario di Klee, scritto durante il suo soggiorno a Sidi Bou Said nel 1914 e intitolato Viaggi in Tunisia. «Color possesses me – exulted Paul Klee – Color and I are one. I am painter». «This revelatory moment came as Klee and two artist friends discovered a new world in Tunisia, on a trip that changed their vision» [1]. June Taboroff scrisse su quei giorni bohemien precedenti la prima guerra. Quando questi pittori facevano schizzare i loro pennelli creavano una sinfonia di colori e luci che celebravano Sidi Bou Said, in profondo contrasto con il cielo grigio e cupo delle loro città di provenienza [2].

 Klee, Mercato a Tunisi, 1914

Klee, Mercato a Tunisi, 1914

Negli scritti Travels in Tunisia, June Taboroff parla dell’aprile 1914, quando i giovani pittori Paul Klee e August Macke presero il traghetto Marseille-Tunis, «attrezzati di acquarelli, pennelli, penne, matite, sketchpads, notebook e con la macchina fotografica di Macke, i tre viaggiatori cominciarono ciò che definirono un viaggio studio della Tunisia. È stata un’esperienza che ha sicuramente lasciato un segno indelebile sulla produzione artistica di ciascuno dei giovani pittori e sull’ Arte europea del ventesimo secolo» [3]. Loro hanno seguito Louis Moilliet che, dopo la sue visite in Tunisia fra il 1908 e il 1910, ispirò questi giovani ad esplorare artisticamente la città in cima alla collina. A loro volta Paul Klee, August Macke nonché Louis Moilliet hanno attratto i colleghi pittori Albert Marquet e Henri Matisse.

La valle di Cartagine che abbraccia il centro sud del mare Mediterraneo ospitò, in un concerto di colori, questi artisti occupati nel loro soggiorno-studio. L’espressione comune di pittori orientalisti, per Frida, non esiste quando si tratta di Sidi Bou Said, in quanto loro sono solo Maestri quando riproducono i colori di madre natura su tela. Sidi Bou Said e la Tunisia tutta non è Oriente!

La città in cima alla scogliera guarda attentamente Cartagine da secoli dove «la vittoria di Roma su Cartagine è stata devastante» [4] – osserva Klee. Cartagine fu un argomento di grande interesse romantico e naturalistico. Il paesaggista inglese J.M.W. Turner ha creato un dipinto chiamato Carthage Story, mentre Flaubert ha pubblicato nel 1862 Salamanbo, un romanzo storico ambientato a Cartagine, che fa parte dell’esame nazionale tunisino di maturità in lettere, di cui Frida si ricorderà sempre.

Turner, Carthage, 1815

Turner, Carthage, 1815

Quando Frida conobbe Karam, lui le chiese dove si potessero rivedere. Lei rispose dietro il cimitero della sua città in cima alla ripida scogliera, dove il mare e la terra si abbracciano eternamente. Questo é accaduto tre anni fa, quando la Tunisia era appena uscita dalla prima crisi post-rivoluzione. Karam oggi non esiste più nella vita di Frida che cerca di ricordare tutti i dettagli del loro incontro, lui non era l’uomo per lei, anche perché il mare é immenso, ma una persona non è sempre in armonia con l’altra. Siamo tutti unici. E la particolarità di Frida é che lei non ha bisogno di uomini. Karam ha distrutto il suo sogno di fondare una famiglia. Era un rapporto intenso. Un sesso sfrenato, una passione travolgente, un’attrazione magnetica fatale, un amore senza fine e senza soddisfazione finale… la sera dopo qualche birra e tre bicchieri di vino rosso Vieux Magon, gli occhi suoi si trasformavano in fuoco, il suo viso diventava rosso e non si fermava più di penetrarla fino alla mattina per tre anni ed ogni sera si chiedeva se sarebbe stata l’ultima. In fondo Frida pregava che l’ultima sera non arrivasse mai. Lei era la seduzione femminile e lui era diventato la sua droga. Correva col suo sangue. Il suo nome aggiungeva un suono di vita e di arte a tutto.

Frida faceva la pittrice-autrice, lui il giornalista. Era sei anni più grande di lei, ma sembravano almeno quindici. Lei correva tutti i giorni, lui fumava e beveva pesante. Eppure al tempio d’amore erano devoti. Non litigavano mai, bastava un certo sguardo per far passare tutta la rabbia, loro due erano fatti per i baci, le risate e per una vita contro il tempo.

Tunisi bruciava per il caldo, gli snipers ammazzavano la gente per settimane, dopo la fuga di Ben Ali e la sua mafia, il popolo continuava a combattere la depressione, la povertà, l’ignoranza e il rancore che si percepivano sui volti inebetiti delle persone per strada, ma nessuno vi faceva caso perché non ci si guarda mai allo specchio per vedersi, piuttosto per vedere l’altro in sé.

L’altro è, sempre, l’oggetto delle nostre attenzioni. Chi prega contro, chi beve vino, chi ama Dio in modo distorto, lo fa per chiamare la persona diversa da sé, infedele. Così colui che recita il Corano piano piano odia la musica e la donna velata fa del suo corpo l’ombelico del mondo: chi ti guarda, chi ti copre, chi ti scopre e chi ti vuole, deve essere tutto compiuto nel nome di Allah.

Frida vedeva Dio dappertutto, nella natura, dentro il suo corpo e nel bicchiere di vino. Si ricorda sempre del Sufi Hallaj decapitato tanto tempo fa perché ha dichiarato «Dio é in me». La sua figura è stata sempre circondata da un alone di santità, intesa come particolare vicinanza mistica a Dio. Le sue parole, si diceva avessero il cosiddetto “soffio della vita” e Frida amava Dio perché per lei LUI è gioia, vita, passione, amore e sesso. L’albero é il suo profeta. Lega la terra al cielo senza mai toccarlo, profondamente radicato nella madre Terra, si estende nello spazio e cresce orgoglioso e alto. Lei ha una debolezza riguardo gli alberi antichi ed enormi. Non ha mai smesso di toccare gli alberi sentendo così la loro gioia. E non ha mai smesso di parlare col mare.

 Marquet, Sidi Bou Said, 1923

Marquet, Sidi Bou Said, 1923

Quando Frida incontrò Karam, per la prima volta, erano in una piazza affollata dai tunisini che gridavano al dittatore:«Dégage! Dégage!» Erano in migliaia, una voce sola, un’espressione, lo stesso battito del cuore, mano nella mano, con le donne sulle spalle, stavano tutti scrivendo la storia.

I tunisini erano stati, fino a quel momento, privati di scrivere la loro storia. Il meticcio è un aspetto fondamentale nella cultura tunisina, che deriva dalla confluenza delle diaspore del Mediterraneo e le affiliazioni culturali e nazionali. Di origine berbera, punica, latina e, in seguito alla guerra di Cartagine contro Roma, araba, turco-ottomana e più tardi influenzati sia dalla cultura, sia dalla lingua italiana, sia da quella francese, la Tunisia ha subìto, pertanto, un lungo processo di contaminazione che l’ha portata, per la sua posizione nel Mediterraneo, ad essere punto di incontro tra l’Europa e l’Africa, l’Occidente e il Levante, il Nord e il Sud.

Ben Ali abusava di loro tutti, rendendo i giovani più ignoranti e rubando le terre e il denaro alla gente, rendendo la vita dura a tutti, uomini e donne, ragazzi e ragazze. Di questi ultimi, c’è chi studia perché la famiglia lo permette, c’è chi lo fa perché non ha un’altra strada, c’è chi lo fa nella miseria e viene perseguitato dal rancore per tutta una vita. C’è chi non studia proprio e odia i libri e i quaderni. La carta per questa maggioranza ha significato solamente nella forma dei soldi. La prostituzione fisica è la norma ed è diffusa, pertanto un ragazzo di vent’anni dimostra una grande capacità sessuale con cui attrarre le donne europee che hanno, nella maggior parte dei casi, seri problemi sociali. Si torna a casa con una cinquantenne, un’obesa, una depressa e la famiglia sorride alla cattiva sorte del giovane. Si pensa a sposarsi per ottenere il permesso di soggiorno in Europa. Si sposa una europea complessata e fallita, da sotterrare e mandare, al più presto, agli inferi. Le ragazze, invece, hanno imparato a sedurre ricchi arabi o europei sognatori di harem di donne orientali e aspettano pregando che questi uomini, superiori, nel loro immaginario, per razza, vengano ad impossessarsi e impadronirsi del loro corpo. Non c’è modo migliore, da parte degli europei, di vincere sull’altro se non sodomizzando i suoi figli per un pugno di soldi che magari serviranno a sfamare la famiglia per qualche giorno.

Frida si guardava attorno, non c’era una somiglianza fisica tra i tunisini in piazza. Ma chi siamo? C’è Amine con il naso grande e la bocca rotonda ma gli occhi azzurri, la pelle pallida e i capelli castano chiaro. C’é Nizar, alto, magro capelli neri, occhi color miele, naso piccolo. C’è Malika con i capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle bianca. Questi sono gli amici di Frida. Uno sembra romano, l’altro arabo dall’Arabia, l’altro berbero, l’altra filippina, francese, sub-sahariana, indiana, egiziana, marocchina… un assembramento di differenze. Frida viene assorbita dalla moltitudine. I sentimenti come la voglia di volare, brama di libertà, pulsione di vita, voglia di essere e diventare suonavano nell’urlo di massa: «Sgombra! Sgombra!». Nei silenzi di massa, ognuno continuava le frasi strozzate dentro le proprie teste. Frida urlava dentro: «Levati dalla tua sedia! Lasciaci vivere! Basta soffocarci! Dacci tregua! Quando è troppo è troppo! Ma guardaci! Noi vendiamo la nostra umanità in carne! Noi sfamiamo il pesce per andare via! Perché non hai avuto mai pietà di noi! Noi siamo tutti tuoi figli! I figli di questa terra! Smamma! Vogliamo un’aria fresca! Un sangue nuovo dentro le vene! Due mani pulite! Vogliamo il lavoro, il pane e la dignità! Io non lascerò mai questa terra! In questa terra ci sono nata! Per questa terra combatterò! Per questa terra morirò! Con dignità! Con amore! Io sono la Tunisia!».

Frida pianse con lacrime vere e sincere, chiedendo pietà alla storia, implorando una benedizione celeste, invocando Dio, i profeti e tutti i santi. In questo momento di commozione e con l’aumento del batticuore, l’inquietudine regna e Frida sente di cadere in delirio, ma una mano la afferra e la attira verso un corpo che mentre l’abbraccia singhiozza in sintonia. Fu il primo incontro con Karam!

foto 4Ben Ali lasciò il paese e la gente a pezzi. C’era da ricostruire tutto: l’economia, la cultura, la società. Occorreva ridefinire l’identità tunisina. Quest’ultima è cosa ben più dura perché gli islamici in esilio sono tornati e si sono impossessati della massa che, dopo Ben Ali, voleva una persona pia nella loro ricerca di un genere umano. Dopo il tiranno, la gente metteva le mani su tutto: le sue ville distrutte, le stanze svuotate e violentate, i muri dipinti con i colori del rancore, le immagini della morte e la brutta sorte. Le banche derubate, le macchine distrutte: non hanno lasciato niente. Si rammentano, in questo contesto, le case dei francesi e degli italiani negli anni ‘60, dopo l’ordine di sgombrare il territorio tunisino proclamato da Bourguiba, il padre spirituale della Tunisia. Anni di lavoro, generazioni di vite, case svuotate di tutto tranne che dell’anima della propria gente che partì con le lacrime agli occhi e la Tunisia nel cuore.

La differenza tra questi europei e i connazionali  – tiranni di oggi  – è che i primi furono usati dalle loro nazioni di origine per occupare il territorio colonizzandolo ed erano comunque stranieri. Ma Ben Ali e la sua mafia sono tunisini, cresciuti nella disgrazia socio-economica della loro gente, senza titoli, senza denaro e senza dignità. Hanno pugnalato il popolo, messo il Paese in ginocchio non dimostrando alcuna compassione, anzi hanno punito la moltitudine come se fosse la responsabile della loro precedente povertà.

Dialoghi Mediterranei, n.20, luglio 2016
Note
[1] Aramco World, «Il colore mi possiede», esultò Paul Klee, «Colore ed io sono una cosa sola. Sono pittore». Questo momento rivelatorio è avvenuto quando Klee e due amici artisti hanno scoperto un nuovo mondo in Tunisia, in un viaggio che ha cambiato la loro visione» [traduzione mia]. (8/6/2016) <http://archive.aramcoworld.com/issue/199103/>
[2] ART and ARCHITECTURE <http://melbourneblogger.blogspot.co.uk/2010/08/sidi-bou-said-tunisia-colour-light-and.html>
[3] June Toboroff, Aramco World, all translation is mine,
(7/6/2016) <http://archive.aramcoworld.com/issue/199103/travels.in.tunisia.htm>
[4] Aramco World, http://archive.aramcoworld.com/issue/199103/travels.in.tunisia.htm

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Imen Ayari Cozzo, è dottore in Letteratura comparata  e attualmente è docente part-time di Lingue e letteratura moderne euromediterranee presso l’Università di Essex, Regno Unito. Ha insegnato Studi di letteratura e traduzione alle università di Manouba-Tunisia e all’Accademia Libica a Palermo. Oltre all’insegnamento, presta la sua opera di traduttrice e mediatrice culturale.

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