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La pesca del tonno e la cultura d’impresa nelle tonnare di Capo Granitola e di Sciacca

coverdi Rosario Lentini

La recente pubblicazione del libro di Gianluca Serra ‒ Le tonnare di Capo Granitola e Sciacca. Il ritorno della memoria (Melqart Communication, Sciacca 2021) ‒ suscita una considerazione di ordine generale immediata riguardo alla crescita di attenzione e di studi specifici sulle tonnare siciliane, da almeno tre decenni a questa parte, che denota un consolidamento della recente storiografia mirante a demolire lo stereotipo di una Sicilia che per secoli avrebbe fondato la sua economia quasi esclusivamente sul grano; dominata dal latifondo, arretrata e refrattaria al progresso, prigioniera di un feudalesimo a tempo indeterminato.

Nuove generazioni di studiosi hanno prodotto saggi e monografie originali, frutto di ricerche lunghe e laboriose che dimostrano quanto la realtà economica dellʼIsola sia stata più dinamica e pienamente inserita nel mercato globale ante-litteram di come, invece, viene spesso rappresentata. La produzione dello zucchero siciliano, della seta e delle tonnare per secoli hanno sfamato decine di migliaia di famiglie, senza che ciò voglia dire negare la prevalenza della coltura cerealicola.

Stabilimento della tonnara di Capo Granitola, anni 50 (ph. N. Barrabini)

Stabilimento della Tonnara di Capo Granitola, anni 50 (ph. N. Barrabini)

Anche questo libro si colloca sulla scia della riscoperta e di unʼattenta lettura del complesso e millenario mondo delle tonnare e il fatto che i casi studiati dallʼautore riguardino due tonnare di “ritorno” è ancor più apprezzabile. Lo sottolinea Ninni Ravazza nella sua accurata prefazione, che la minore considerazione di cui queste hanno beneficiato rispetto alle tonnare cosiddette di “corsa”, dipendeva dal fatto che le carni dei tonni mattanzati, in quanto post-genetici, risultavano meno grasse, più asciutte e, conseguentemente, meno pregiate. Tuttavia, questa differenza di condizione biologica (pre e post fase riproduttiva) ha tenuto immeritatamente in secondo piano le tonnare di “ritorno”, anche quando conseguivano importanti risultati produttivi come quello del 1963, con 2.850 tonni uccisi nellʼintera stagione, sotto la direzione del rais trapanese Luigi Grammatico, detto “Giotto”, così soprannominato «per la maestria con la quale “cruciava” tonnare sulla carta e sul mare». Cruciari la tonnara significava compiere tutte le operazioni necessarie a disporre sulla superficie del mare il cavo del summu rispetto al quale si collocavano trasversalmente altri cavi ancorati al fondale per reggere lʼintera struttura. Si aggiunga a ciò che su queste due tonnare in particolare non vi erano studi degni di questo nome o, comunque, paragonabili al certosino lavoro di indagine e raccolta dati compiuto dal nostro autore. 

Stabilimento di Capo Granitola in abbandono, anni 80 (ph. A. Alessi)

Stabilimento di Capo Granitola in abbandono, anni 80 (ph. A. Alessi)

Se cʼè un rischio che non si corre leggendo il libro di Gianluca Serra, è quello di ritrovarsi a commemorare il bel tempo andato e a considerare le tonnare di cui si è occupato, al pari di microcosmi economico-produttivi a sé stanti, decontestualizzati, quasi fossero vetrini da analizzare al microscopio. Vero è che la spinta propulsiva a scrivere queste pagine trae origine dal personale vissuto di un adolescente, dalle vicende familiari, dal carisma del nonno rais Giuseppe Barraco, dalla forza dei ricordi e dei racconti dei tanti protagonisti da lui stesso intervistati, dal filo conduttore che ha legato Capo Granitola a Sciacca nelle figure del medesimo proprietario ‒ Attilio Amodeo ‒ e dellʼamministratore Salvatore Barrabini, operante prima a Sciacca e poi a Capo Granitola dal 1955 al 1972. Ma il valore del libro sta nella meticolosa ricomposizione dei frammenti, nella capacità di spiegare e narrare la rete di connessioni socio-economiche e di relazioni umane innestate nei rispettivi territori; di coniugare la storia antica col presente; di colmare molte lacune e, soprattutto, di problematizzare alcune questioni che erano e rimangono attuali, perché attengono al rapporto tra lʼuomo e il suo ambiente.

Serra non è uno storico di mestiere ma il suo approccio metodologico e il rigore scientifico nellʼesplorazione delle fonti documentarie e nellʼanalisi delle stesse, è ammirevole. Peraltro, il ricco corredo fotografico proveniente, in entrambi i casi, da fonte privata, si integra con lʼaltrettanto ricca cartografia storica e con la documentazione delle fonti pubbliche e rende il volume davvero pregevole. Grazie anche alla “potenza” evocativa e illustrativa delle foto dʼepoca, oltre che alla linearità e ricchezza di dettagli offerti dal testo, si comprende meglio il passaggio dallʼuniverso della pesca organizzata e diretta secondo regole, usi e tradizioni che affondano le radici nel lontano passato, al mondo della lavorazione industriale novecentesca, con lʼemersione di figure imprenditoriali al cospetto delle quali i famosi capitani coraggiosi della ex Alitalia appaiono delle macchiette.

È in questo discrimine tra ricostruzione della storia della pesca del tonno, da una parte, e individuazione dei primi innesti di cultura di impresa nelle fasi della lavorazione, conservazione e commercializzazione del prodotto, dallʼaltra, che si genera la prima grande frattura tra vecchio e nuovo mondo. Non tutti i complessi architettonici di tonnara, e cioè i marfaraggi, che sono sopravvissuti allo scempio e allʼabbandono, possono definirsi siti di archeologia industriale. Lo sono diventati nel momento in cui lʼesercente si è proiettato fuori dal suo contesto e ha colto i segni del cambiamento dei tempi e ha cominciato ad investire per modernizzare lʼintero ciclo produttivo e, in special modo, quello della lavorazione del pescato.

Latta della Tonnara di Capo Granitola (ph. A. Correnti)

Latta della Tonnara di Capo Granitola (ph. A. Correnti)

Il passaggio dal barile alla latta che cosʼè, se non lʼirrompere del capitalismo industriale nel mondo della tonnara? A Favignana sarà lʼimprenditore genovese Giulio Drago a compierlo nei primi anni sessanta dellʼ800 e lo seguirà Ignazio Florio venti anni dopo, decidendo di iniziare a costruire il grandioso stabilimento che ancora oggi ammiriamo. In altri casi, il marfaraggio pre-industriale abbandonato ha assunto piena connotazione industriale grazie ad un riuso delle strutture, per avviare attività di natura diversa. Mi riferisco alle due ex tonnare marsalesi del Cannizzo e del Boeo che i mercanti imprenditori inglesi John Woodhouse jr. e Thomas Corlett rilevarono a fine Settecento e nei primi dellʼOttocento, per impiantare i rispettivi stabilimenti enologici.

In tutti gli altri casi i marfaraggi erano e rimangono luoghi della cultura materiale siciliana pre-industriale, sorti e sviluppati dalla forza del capitale del ricco mercante che scommette al tavolo da gioco della pesca del tonno, sapendo che può perdere molto, ma che può anche stravincere. Siamo, cioè, pienamente allʼinterno della logica e del mondo del capitalismo mercantile non di quello industriale; anziché finanziare con prestiti a cambio marittimo col 20-30% di interessi i capitani dei velieri che da Palermo affrontavano lʼoceano per arrivare a Boston, il ricco mercante sette-ottocentesco poteva decidere, in alternativa, di finanziare le stagioni di pesca da solo o in società con altri negozianti-banchieri.

Gianluca Serra, raccoglitore di testimonianze a lui rese dai protagonisti «di unʼepoca a suo modo straordinaria», si autodefinisce «piccolo omero» con la “o” minuscola, ma non si limita a inventariare fatti e fin dalle prime battute sottolinea correttamente uno dei nodi del problema: «Così come è improponibile un recupero delle tonnare dismesse in chiave puramente folcloristico-museale, allo stesso modo, è inaccettabile un loro recupero che abdichi alla semantica originaria dei luoghi». Il nostro autore propone quindi un compromesso sostenibile tra identità dei luoghi e progresso; ma per arrivare a questo equilibrio bisogna procedere inevitabilmente dalla ricomposizione dei frammenti, perché di questo si tratta.

Negli ultimi 70 anni, la fascia costiera dellʼintera Isola non è stata depredata da novelli pirati barbareschi o turchi, come quelli che nel Cinquecento indussero i sovrani spagnoli e i viceré a far costruire torri e fortificazioni; bensì è stata deturpata e imbruttita da chi ci vive (singoli cittadini o società immobiliari) con una disinvoltura e irresponsabilità propria dei comportamenti del branco. Ciò è potuto accadere perché si è completamente sfibrato il tessuto connettivo che legava donne e uomini al loro lavoro, alla cultura materiale ereditata, ai luoghi e al territorio abitato con consapevolezza. La seconda grande emigrazione post bellica, per esempio, che ha visto svuotare tanti paesi, è stata una delle cause di questo sfaldamento sociale, cui ha fatto seguito il mito dellʼindustrializzazione della Sicilia e il sostanziale abbandono alla deriva dellʼagricoltura e del mondo contadino. Alla riforma agraria targata anni Cinquanta si pervenne più sulla spinta delle forti tensioni sociali che per un effettivo disegno di rilancio dellʼagricoltura. E così mentre il grande economista Pasquale Saraceno indicava come prioritario intervenire sulle infrastrutture e sui servizi di cui lʼIsola e il Meridione in generale erano gravemente deficitari, prevaleva la spinta industrialista, la creazione dei poli e il consolidarsi delle lobby politico-clientelar-mafiose.

1 stabilimento Sciacca (anni Cinquanta, foto di N. Barrabini)

Stabilimento  Tonnara di Sciacca, anni 50 (ph. N. Barrabini)

Questo, dunque, il difficile compito che si impone a chi voglia studiare il mondo delle tonnare antiche o recenti: la ricostruzione degli scenari che si sono susseguiti e sovrapposti nei contesti di rifermento, considerando anche fattori e variabili apparentemente ininfluenti e che invece lʼanalisi storico-economica e storico-sociale ‒ o altre discipline ‒ possono mostrarci come determinanti. Alla domanda del perché una tonnara sia stata abbandonata e non sia stata più “calata”, le risposte non sono mai univoche e possono dipendere da cause generate anche a grande distanza da un sito di pesca. Per esempio, la crescita esponenziale delle importazioni di aringhe e baccalà dal nord-Europa nei mercati mediterranei e in Sicilia, a partire dalla seconda metà del Settecento, provocò una drastica caduta delle esportazioni di tonno siciliano e, conseguentemente, una riduzione sensibile del prezzo per barile, una diminuzione altrettanto drastica dei ricavi e dei profitti, fino al punto da indurre singoli esercenti di impianti a non calare tonnara per diversi anni. In altri casi, può essere stato provocato da ragioni riconducibili alla biologia del tonno, allʼandamento delle correnti marine, alla salinità e temperatura delle acque, ai provvedimenti governativi istitutivi dei cordoni sanitari, al sopraggiungere della notizia di una epidemia di peste in uno dei porti del Mediterraneo; e potremmo proseguire ancora a lungo con la casistica.

Stabilimento Sciacca ìn abbandono, 1966 (ph. D'Asaro)

Stabilimento Tonnara di Sciacca ìn abbandono, 1986 (ph. N. D’Asaro)

Serra, nella descrizione delle due tonnare, muove dalle caratteristiche e peculiarità dei luoghi di pesca, alle incertezze e contraddizioni della cartografia storica sui toponimi, dalla natura dei fondali marini alle vicende più propriamente storiche riguardanti le concessioni accordate nel tempo dallʼautorità regia e alle ipotesi sui siti di pesca da Capo Feto a Capo Granitola e poi Selinunte fino a Capo S. Marco, alle porte di Sciacca. Passa poi in rassegna i protagonisti delle tonnare (raisi, amministratori, ciurma); descrive in modo planare il complesso delle reti da calare, le fasi delle operazioni del calatu, i tempi e i modi, le imbarcazioni usate, la mattanza, il salpatu, fino alla conclusione della stagione.

Ha perfettamente ragione nel considerare la tonnara di Capo Granitola un unicum sotto tutti i punti di vista. Qui si è partiti da zero, non cʼera marfaraggio da restaurare e rivitalizzare e non cʼera neppure certezza su quale potesse essere lʼarea marina più idonea per calare lʼimpianto di pesca: «La concreta realizzazione del progetto, che avvenne nellʼarco di un ventennio (portata a termine da rais “Giotto”), fece di Capo Granitola una delle più complesse e costose tonnare del Mediterraneo in termini di dotazioni e lavoro necessari per armarla, calarla, salparla e manutenerla». Basti pensare solo alla lunghezza della cosiddetta costa, cioè alla rete di sbarramento di circa 6 Km e mezzo, da nord verso sud, calata fino ai fondali per deviare il percorso dei tonni e dirigerli verso la vucca foraticu della sequenza di camere dellʼisula. Certo le indicazioni tecniche sul posizionamento del calatu competevano ai raisi, prima Vito Barraco (poi Giuseppe Barraco, Luigi Grammatico, Pio Renda). A Vito Barraco «si deve la progressiva scoperta ‒ forse si dovrebbe dire lʼinventio ‒ del “locu ra tunnara” o “nautu”, il sito di calo del vero e proprio apparato pescante (isula)». Ma se alle sue spalle non ci fosse stato un imprenditore degno di questo ruolo, disposto a rischiare capitali, con una sua visione industriale, Capo Granitola non sarebbe esistita.

Ex tonnara di Sciacca oggi resort turistico (ph. B Tarantino)

Ex tonnara di Sciacca oggi resort turistico (ph. B. Tarantino)

Lʼassetto proprietario unico delle due tonnare è indicativa della volontà del trapanese Attilio Amodeo di sfruttare al massimo il potenziale di pesca, acquisendo i diritti e la necessaria concessione per una vasta area di mare che si estendeva sostanzialmente da Capo Feto (Mazara) a Sciacca e sostenendo allo stesso tempo i costi per innovare: la sostituzione dei galleggianti in sughero con boe prima in lamiera e poi in plastica; nonché delle reti vegetali con quelle in fibra sintetica; lʼelettrificazione dei locali e lʼacquisto di impianti di refrigerazione. Questi sforzi non indifferenti, purtroppo, non furono sufficienti. Lʼimpresa era totalmente autofinanziata e Amodeo, dalla metà degli anni Cinquanta, cominciò a vendere il pescato ancora fresco ai rigattieri, piuttosto che lavorarlo e inscatolarlo; e con le caparre dei commercianti che prenotavano il prodotto della tonnara riuscì a tenere in equilibrio i conti, evitando il più possibile di esporsi con le banche.

La parabola economico-produttiva di questo sito viene ridisegnata nel libro in tutti i suoi passaggi e, dopo 22 anni di proprietà e gestione esclusiva, lʼimprenditore Amodeo, dal 1967, gravato da alcuni mutui che aveva contratto per investire sugli impianti, fu costretto a rivolgersi alla Regione e ad assistere al declino della sua creatura che nel 1973 sarebbe diventata interamente pubblica. Dopo non poche peripezie e tentativi di riconversione del sito per finalità turistico-alberghiere, la Regione nel 2005 assegnò in comodato dʼuso circa 1/4 dellʼintera struttura al CNR e dal 2009 lʼintero complesso per venti anni: «Si deve soprattutto alla lungimiranza e alla determinazione del compianto dott. Salvo Mazzola, già direttore, se oggi lʼex tonnara di Capo Granitola ha una nuova vita legata al mare, al suo studio e alla sua protezione».

Schizzo della Tonnara di Sciacca elaborato da Alan Lomax, 1954 (Centro studi  Alan Lomax Palermo)

Schizzo della Tonnara di Sciacca elaborato da Alan Lomax, 1954 (Centro studi Alan Lomax Palermo)

La seconda parte del libro è dedicata alla tonnara di Sciacca che vantava una storia molto più antica di quella di Capo Granitola, risalendo le sue origini, secondo le fonti, a fine Quattrocento. Pervenne anchʼessa in possesso di Amodeo nellʼimmediato secondo dopoguerra, acquistata dai saccensi Di Paola padre (Simone) e figli (Paolo e Giuseppe) che ne erano diventati proprietari negli anni Venti, avendola rilevata a loro volta dalla società dei genovesi “Massardo-Diana & C.”.

Amodeo la mantenne in attività fino al 1954, facendo poi trasferire il suo amministratore di fiducia, Barrabini, a Capo Granitola. Sulla decisione della chiusura della tonnara di Sciacca ebbe peso decisivo sia lʼesigenza di rafforzare il potenziale produttivo di Capo Granitola, sia la necessità di ridurre i costi generali e di recuperare liquidità finanziaria, come segnala la decisione di sospendere lʼattività di inscatolamento del pescato e di privilegiare la vendita del tonno in fresco.

Attilio Amodeo, anni 50 (ph. S. Amodeo)

Attilio Amodeo, anni 50 (ph. S. Amodeo)

Al di là del ricco corpus fotografico inedito ritrovato dagli eredi dellʼex amministratore Barrabini, il libro è impreziosito da una Appendice-antologica che comprende diverse pietre miliari di natura documentaria, prima fra tutte il diario e le fotografie dellʼetnomusicologo Alan Lomax, rinvenuti da Serra negli archivi americani: «La presenza di Lomax a Sciacca si inquadrava in una ampia campagna di ricerca on the field patrocinata dalla British Broadcasting Company (BBC) e dal Centro Nazionale di Studi sulla Musica Popolare (CNSMP) di Roma». Lo studioso americano dotato di registratore sonoro, macchina fotografica e quaderno di appunti, era giunto in visita alla tonnara di Sciacca due volte nel mese di luglio 1954. Il materiale pervenuto risulta di grande interesse e, opportunamente, Serra lo ha proposto allʼattenzione e allʼesame dellʼetnomusicologo Sergio Bonanzinga, affinché ne analizzasse i contenuti e potesse scrivere un saggio da inserire in Appendice.  Allʼinterno della stessa si raccolgono anche una selezione di fotogrammi e di testi del docufilm realizzato da Vittorio De Seta nel 1955, dal titolo «Contadini del Mare»; alcuni brani tratti dagli scritti di Raimondo Sarà, che a Granitola condusse i suoi esperimenti sulla biologia dei tonni; testi e immagini da due cinegiornali “Settimana Incom” del 1949; un breve ma intenso reportage del giornalista mazarese Nino Giaramidaro, a corredo del servizio fotografico da lui stesso realizzato, a distanza di 32 anni dalle due visite compiute rispettivamente nel 1964 e nel 1996, per registrare con amarezza la fine della tonnara; due contributi, infine, rispettivamente di Fabrizio Di Paola, erede degli ex proprietari della  tonnara saccense prima che venisse venduta ad Amodeo, e del figlio di questi, Salvatore, su Capo Granitola. Entrambi gli interventi si svolgono sul filo dei ricordi personali e testimoniano del forte legame di intere famiglie con quelle attività e con quei luoghi.

Il pregevole libro di Serra è, dunque, molto ricco e articolato e costituisce un notevole passo avanti nella generale ricostruzione della storia delle tonnare siciliane. 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021

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Rosario Lentini, studioso di storia economica siciliana dell’età moderna e contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano diverse aree tematiche: le attività imprenditoriali della famiglia Florio e dei mercanti-banchieri stranieri; problemi creditizi e finanziari; viticoltura ed enologia, in particolare, nell’area di produzione del marsala; pesca e tonnare; commercio e dogane. Ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero e ha curato e organizzato alcune mostre documentarie per conto di istituzioni culturali e Fondazioni. È autore di numerosi saggi pubblicati anche su riviste straniere. Tra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano: La rivoluzione di latta. Breve storia della pesca e dell’industria del tonno nella Favignana dei Florio (Torri del vento 2013); L’invasione silenziosa. Storia della Fillossera nella Sicilia dell’800 (Torri del vento 2015); Sicilie del vino nell’800 (Palermo University Press 2019).

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