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Il ruolo della Russia in Libia. Un possibile alleato strategico per l’Italia?

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Haftar e Putin

di Michela Mercuri

La Libia, oramai è cosa nota, è divenuta il teatro delle guerre per procura di molti attori regionali e internazionali. Tra questi la Russia, estromessa dalla partita libica nel 2011 perché contraria ai bombardamenti, è, oggi, uno dei protagonisti del complesso mosaico di alleanze e, probabilmente, un attore indispensabile per tentare di mediare un percorso di pacificazione per il Paese. Il Cremlino, come la Francia, sostiene il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, in aperta contrapposizione con Fayez al-Serraj e più in generale con gli attori dell’ovest libico che, invece, sono alleati dell’Italia. Quali sono i reali interessi della Russia? Putin potrebbe essere l’interlocutore del nostro governo per un percorso di stabilizzazione del quadro politico e di sicurezza del Paese? Per rispondere a queste domande è necessario fare un passo indietro, per lo meno a partire dall’avvento al potere di Gheddafi.

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Gheddafi e Breznev

Una storia complessa

I rapporti tra la Russia e la Libia non sono certo storia recente. Le prime relazioni risalgono alla metà degli anni settanta, qualche anno dopo l’ascesa al potere del rais. Così come per molti altri Paesi, tra cui l’Italia, si trattava di rapporti commerciali, centrati sull’esportazione di armi. L’Unione Sovietica, infatti, è stata tra i principali fornitori del colonnello. Dopo un primo accordo nel 1974, il Cremlino inviò a Tripoli, negli anni a seguire, migliaia di carri armati, mezzi blindati, cannoni ed elicotteri da combattimento. Tali “manovre” non lasciarono indifferenti gli americani e suscitarono le preoccupazioni dell’allora segretario di Stato Henry Kissinger che temeva la nascita di un rapporto privilegiato tra l’Urss e la Libia, con il passaggio di Gheddafi nel blocco socialista. Le inquietudini americane emergono in un interessante memorandum di una conversazione tra Kissinger e il ministro degli esteri britannico James Callaghan:

«Nel maggio del 1974 i russi hanno firmato un accordo con la Libia per la fornitura di un’ampia gamma di equipaggiamenti militari […] Vi è, inoltre, la prova che più di 500 tecnici sovietici sono già in Libia. La dipendenza di Tripoli dai russi per la fornitura di armi e il suo interesse a ottenere informazioni di intelligence da Mosca sulle possibili mosse egiziane contro la Libia li potrebbe portare ad acconsentire alle richieste russe di posizioni militari» [1].

Preoccupazioni in parte giustificate visto che, allora, l’arsenale militare libico era costituito per il 90% da forniture sovietiche. L’esportazione fruttava a Mosca circa 100 milioni di dollari l’anno, mentre il Paese nordafricano si indebitava sempre di più.

Inoltre, la strategia sovietica risentiva del clima della guerra fredda e ne condizionava la traiettoria anche nei confronti dei Paesi non considerati di interesse prioritario, come la Libia. Già nel marzo del 1970, infatti, il ministro del petrolio libico, Izzad-Din Mabruk, si recò a Mosca per discutere di una possibile collaborazione tra la Libia e l’Unione Sovietica per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi libici e per l’assistenza dei russi nei processi esplorativi. Sui risultati tangibili di tali “accordi informali” non ci sono notizie ma è plausibile ipotizzare che la Libia non escludesse a priori un avvicinamento all’Urss anche in chiave anti-americana, per controbilanciare il supporto che gli Stati Uniti stavano offrendo all’Egitto del presidente Sadat. Non è un caso se lo stesso Gheddafi, nel 1976, si recò nella capitale sovietica per siglare importanti contratti per dotare la Libia di sistemi di difesa missilistici russi. Viaggi poi ripetuti nel 1981 e nel 1985.

Tuttavia, i rapporti tra il “mad dog” di Tripoli e l’Unione Sovietica procedettero tra alti e bassi fino alla caduta del muro di Berlino, quando la “nuova” Russia di Boris Eltsin si schierò apertamente con i nemici di Gheddafi [2].

Carta-di-Laura-Canali-2016

Carta di Laura Canali, 2016

Per arrivare a un miglioramento delle relazioni diplomatiche si dovrà attendere l’arrivo di Vladimir Putin, anche se i rapporti tra i due Paesi non potranno mai dirsi idilliaci, per lo meno fino all’aprile del 2008. In quell’anno, infatti, il leader russo si recò in Libia per siglare una serie di accordi: dalla costruzione di una linea ferroviaria tra Sirte e Bengasi (un affare da 2,2 miliardi di dollari da realizzare con l’acquisto da parte libica del 70% di attrezzature, tecnologia e prodotti metallurgici russi), al rinnovo della collaborazione tra il gigante russo Gazprom e la compagnia petrolifera nazionale libica. La Russia, inoltre, colse l’occasione per aprire alla possibile edificazione di basi militari in territorio libico, utilizzando i porti di Bengasi e Tripoli come attracco per le proprie navi [3], ma soprattutto per cercare di incrementare la vendita di armamenti. In quell’occasione arrivò addirittura a cancellare il debito di 4,5 miliardi di dollari accumulato da Tripoli in epoca sovietica, in cambio della firma di accordi per l’acquisto di armi.

D’altra parte il Cremlino stava giocando la sua partita come molti altri attori. Dopo la rimozione delle sanzioni americane alla Libia nel 2004, infatti, i Paesi occidentali corsero in massa a stipulare accordi con Tripoli per “forniture belliche”: la Francia per oltre 5 miliardi di dollari, la Gran Bretagna per più di un miliardo di sterline, l’Italia per diverse centinaia di milioni di euro. La Russia non fece eccezione e si predispose contratti per oltre 2 miliardi di dollari. Tuttavia nel 2011, quando la coalizione guidata dalla Francia decise di destituire Gheddafi, solo una parte di questi era stata onorata. È plausibile ipotizzare che un possibile cambio della guardia in Libia avrebbe comportato l’inadempimento degli accordi con una perdita di svariati miliardi di dollari per Mosca [4].

Anche per questo motivo Putin, nonostante l’astensione dal voto della risoluzione n.1973 del 17 marzo 2011 che sanciva, di fatto, l’intervento militare internazionale in Libia in sostegno dei ribelli anti-Gheddafi, si era più volte opposto all’azione. In una dichiarazione rilasciata durante un meeting ad Udmurtia, ad esempio, fece notare che il Consiglio nazionale di transizione [5] era stato assurto a unico interlocutore rappresentante della Libia, nonostante vi fossero gruppi in totale disaccordo con questo organo.

«This resolution is flawed and inadequate. If one reads it, then it immediately becomes clear that it authorises anyone to take any measures against a sovereign state. All in all, it reminds me of a medieval call to crusade, when someone calls upon others to go somewhere and free someone else» [6].

Ancor prima, il 19 marzo, e dunque ad attacco appena iniziato, assieme a India e Cina chiese un immediato cessate il fuoco affermando che le azioni condotte dalla coalizione erano andate ben oltre le condizioni imposte dalla risoluzione, mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini libici [7]. Verrebbe da chiedersi, dunque, perché la Russia non abbia imposto il proprio veto in sede Onu. Secondo alcuni studiosi, pur considerando l’intervento militare in Libia privo di chiari obiettivi strategici e un concreto rischio per il potenziale degenerare del conflitto in una crisi regionale, la posizione delle organizzazioni regionali, unanimi nel condannare il regime di Gheddafi, e il sostegno dei Paesi arabi e africani nell’ambito del Consiglio di sicurezza fu decisivo per l’astensione [8]. Non sappiamo se furono davvero queste le motivazioni che spinsero Putin a non imporre il proprio veto. Quel che è certo, però, è che oggi la Russia è rientrata nella partita libica da protagonista, forse per chiedere il conto.

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Putin e Gheddafi

Da grande esclusa ad attore indispensabile. Tutti gli interessi russi in Libia

Nel 2016, il federmaresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar, si è recato per la prima volta, per lo meno in via ufficiale, in visita a Mosca. In quel periodo la Russia aveva versato nelle casse della Banca centrale di Beida 200 milioni di dinari, distribuiti nell’est del Paese per fare fronte alla crisi di liquidità e per stipendiare le milizie del generale. Si scoprì, così, che tra la Russia e Haftar c’era un legame consolidato che, probabilmente, andava avanti da qualche tempo. Perché questa alleanza?

Per far luce sulla reale strategia del Cremlino è utile muoversi per lo meno su tre direttrici. La prima è quella economica. Negli ultimi anni la Russia ha avviato un approccio volto a instaurare rapporti commerciali con i Paesi della regione mediorientale, seguendo due strumenti: quello delle commesse militari e quello della cooperazione energetica. A solo titolo esemplificativo, nel 2011, subito dopo il ritiro delle truppe americane dall’Iraq, la Russia ha iniziato a intessere accordi per la fornitura di armi con il governo del primo ministro Nuri al-Maliki con cui, nell’ottobre del 2012, ha siglato contratti per la vendita di armamenti per oltre 4 miliardi di dollari [9]. Non solo, nel 2014, subito dopo la condanna americana del golpe di al-Sisi e la conseguente minaccia di interruzione degli aiuti, l’Egitto avrebbe firmato un accordo con la Russia per la fornitura di armi per un valore superiore ai tre miliardi di dollari.

Oltre al sempre fiorente mercato delle commesse militari, però, il nuovo asset della politica economica del Cremlino sembra essere la cosiddetta “diplomazia dell’atomo”. Nel marzo del 2016 la commissione per l’energia atomica della Giordania ha siglato un accordo di circa 10 miliardi di dollari per il primo impianto del paese con la società russa Rosatom. Il progetto al momento è in fase di stallo ma sono in corso nuovi accordi [1]0]. Anche l’Egitto sembra interessato al know how russo. Nel 2015, nel corso di una visita di Stato al Cairo, Putin ha affermato di voler aiutare al-Sisi a costruire una centrale nucleare, fornendo tecnologia e formazione per il personale [1]1].

La seconda importante “direttrice” dell’azione russa nella ex Jamahiriya è quella della cosiddetta “politica egemonica”. Se allarghiamo lo sguardo al quadrante mediterraneo, infatti, notiamo che Putin ha una chiara strategia. In Siria sostiene apertamente Assad – e dunque anche l’Iran – ma mantiene buoni rapporti con gli israeliani. In Nord Africa ha favorito la controrivoluzione del presidente egiziano al-Sisi. Una posizione netta che, tra l’altro, ha giovato delle indecisioni americane e più in generale dell’Occidente, lacerato dai disaccordi su migrazioni e terrorismo, indebolito economicamente nonché carente di leadership. Vista da questa prospettiva, la Libia è una delle poste in palio della partita russa nel Mediterraneo.

Infine, c’è un motivo di ordine geostrategico. Una delle linee guida della politica estera di Mosca è stata la ricerca di un accesso ai mari caldi per aggirare il problema del congelamento dei porti russi durante i mesi invernali. Fin dal XIX secolo la Russia ha tentato di ottenere un accesso al Mediterraneo. Tuttavia, il tanto agognato “sbocco” venne trovato solo un secolo dopo, nel 1971, quando l’Urss ottenne dal presidente siriano Hafez al-Assad la concessione a poter stabilire una base militare (tutt’ora in suo possesso) nel porto di Tartus. Il che spiega, in parte, il sostegno russo ad Assad.

La Libia è il tassello mancante di tutte e tre le direttrici russe. Da un punto di vista economico Putin non disdegna di vendere ad Haftar armi, know-how e tecnologie per i tanti impianti da saggiare nell’est ricchissimo di petrolio. In termini di proiezione mediterranea l’uomo forte della Cirenaica, baluardo del laicismo, è il complemento ideale all’asse con l’Egitto di al-Sisi e, forzando un po’ la mano, anche con Damasco. Infine, la questione dello sbocco sul mare. Mosca, intervenendo militarmente nel conflitto siriano accanto ad Assad, si è assicurata, per lo meno, il mantenimento del porto di Tartus, come già ricordato, vitale per l’egemonia marittima. Perché non approfittare di Haftar per ricavarsi un altro “porto sicuro” nella Cirenaica e realizzare, così, le sue vecchie ambizioni? Al momento la Russia, tenendosi lontana dagli attriti europei sulle misure da utilizzare per la stabilizzazione della Libia e sfruttando il disimpegno americano, continua indisturbata nel perseguimento della propria strategia.

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Haftar e Lavrov, ministro degli esteri russo

Conclusioni

Come già sopra ricordato, la Russia, inizialmente esclusa dalla partita per la spartizione delle risorse libiche che si è aperta dopo la morte del rais, è intervenuta in un secondo momento, ponendosi quale attore determinante nel riempire il vuoto politico lasciato dagli Stati Uniti a seguito del cambio di amministrazione americana, con Trump assai meno propenso a farsi coinvolgere nel Paese. Putin persegue il suo interesse nazionale, portando avanti una chiara strategia volta all’appropriazione delle risorse dell’ex Jamahiriya e all’affermazione della propria egemonia nell’area. Per questo, assieme ad altri attori esterni, tra cui la Francia, sostiene Haftar, una sponda utile per realizzare i suoi disegni. Tuttavia, se i francesi si sono posti fin dall’inizio come “competitors” dell’Italia, prima coinvolgendola in una guerra contro i propri interessi e poi optando per la realizzazione di politiche totalmente svincolate dal coinvolgimento del governo italiano, Putin ha perseguito una strategia del tutto autonoma.

L’Italia ha investito molto negli attori dell’ovest libico, con un lungo lavoro di mediazione tra i gruppi locali – svolto dall’ex ministro dell’interno Marco Minniti – e ora, con il nuovo governo, sembra voler procedere su questa linea, rafforzando l’asse con Tripoli. Negli ultimi mesi le autorità italiane hanno fatto la spola con la capitale libica: prima il ministro dell’interno Salvini, poi quello degli esteri Moavero Milanesi e, quindi, il ministro della difesa Trenta. Sul tavolo c’è il disegno di legge che prevede la donazione di 12 motovedette alle autorità libiche ma si è anche parlato di una possibile riattivazione del trattato di amicizia e cooperazione italo-libico, siglato, nella sua versione “originaria”, da Gheddafi e Berlusconi nel 2008. Al di là delle disquisizioni giuridiche sulla sua validità, vista la partecipazione italiana all’intervento contro il rais, una sua riattivazione, per quanto parziale, sarebbe un passo importante per a una partnership rafforzata con l’ex Jamairyia, capace di andare oltre il dossier migratorio per consolidare le relazioni bilaterali.

Alla luce di questi importanti passi avanti per non restare esclusa dalla partita libica ed essere un attore determinante per la stabilizzazione del quadro politico e di sicurezza del Paese, l’Italia deve necessariamente dialogare con gli attori internazionali che sostengono le fazioni dell’est e, dunque, con la Russia e la Francia. Se con l’Eliseo il dialogo appare molto complesso, visto l’atteggiamento che la Francia ha avuto fin dal 2011 e che è proseguito negli anni successivi, con la Russia potrebbero esserci spiragli di maggiore collaborazione. D’altra parte il coinvolgimento di Putin in Libia non è paragonabile a quello in Siria e l’azione di Mosca appare chiaramente tesa a far valere i propri interessi nell’ambito di una mediazione piuttosto che nel perseguimento di una nuova escalation militare.

Potrebbe allora essere la Russia l’attore capace di riportare Haftar – che continua a costituire un forte impedimento al rilancio del processo di mediazione – a più miti consigli. Da questo punto di vista l’Italia ha una chance: sfruttare il suo capitale di fiducia con alcuni attori tripolini per mediare il dialogo intra-libico con Mosca affinché, nell’ambito di una mediazione multilaterale, anche la sua posizione sia tenuta in considerazione. In questo modo l’asse con Putin potrebbe essere funzionale a spingere la comunità internazionale a porsi come garante della stabilizzazione del Paese [12], evitando che ogni attore si concentri sulle proprie priorità a tutto detrimento dell’azione delle Nazioni unite. Viceversa, il rischio di una perdurante assenza di uno sguardo complessivo della situazione libica nella sua complessità, comporterebbe il perpetuarsi della frammentazione e, dunque, dell’instabilità.

Dialoghi Mediterranei, n.33, settembre 2018
Note
[1] The national archives (Tna), Foreign & Commonwealth Office (Fco) 93/605, Near east and North africa department brief – SecState’s meeting with dr Kissinger “Soviet Union/ Libya”, London, 10 luglio 1975; R. B. St John, The Soviet Penetration of Libya, in «The World Today», 1982, vol. 38, n. 4.
[2] M. N. Katz , The russian-libyan rapprochement: what has Moscow gained?, in «Middle east policy», 2018, vol. XV, n. 3: 122-138.
[3] Ibidem.
[4] Secondo alcuni analisti, dopo la morte del rais la Russia avrebbe perso contratti per un ammontare di circa 4 miliardi di dollari. A. Anishchuk, Gaddafi Fall Cost Russia Tens of Blns in Arms Deals, in «Reuters», 2 novembre 2011,
[5] Si tratta dell’autorità politica nata in seguito alle sommosse popolari, come guida della coalizione dei rivoltosi anti-Gheddafi.
[6] Servizio Studi del dipartimento affari esteri della Camera dei deputati – XVI Legislatura, Dossier di documentazione e ricerche, 2011, n. 208.
[7] E. O’Brien, A. Sinclair, The Libyan War: A Diplomatic History – February-August 2011, New York university center on international cooperation, New York 2011: 5 e ss.
[8] L. Glanville, Intervention in Libya: from sovereign consent to regional consent, in «International Studies Perspectives», 2013, vol. 14, n. 3: 325-42.
[9] Y. Barmin, Russian Arms Diplomacy in the Middle East, in «Al Sharq Forum Analysis Series», 5 febbraio 2018.
[10] Sicurezza Internazionale, Giordania rivede accordo nucleare con la Russia, <http://sicurezzainternazionale.luiss.it/2018/05/28/giordania-rivede-accordo-nucleare-la-russia/> (ultimo accesso 24 giugno 2018).
[11] Promos (a cura di), Italia ed Egitto: nuove opportunità per una partnership privilegiata, in «Med&Gulf Initiative Bullettin», 2015, n. 4.
[12] A. Ferrari,E. Tafuro Ambrosetti, Il rilancio del dialogo con la Russia, in Ispi (a cura di) «La politica estera dell’Italia: 6 priorità per il prossimo governo», 2018: 18-20.
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Michela Mercuri, insegna Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata dal 2008 ed è editorialista per alcuni quotidiani nazionali. Ha partecipato a numerose pubblicazioni collettanee per Etas e Egea e presso riviste specializzate. Di recente ha curato, con Stefano Maria Torelli, La primavera araba. Origini ed effetti delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente, edito da Vita e Pensiero e ha di recente pubblicato il volume Incognita Libia. Cronache di un paese sospeso, edito da FrancoAngeli.
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