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EDITORIALE

SOMMARIO N. 12

Foto Sinatra

Foto Sinatra

  Sono trascorsi due anni dalla pubblicazione in rete del primo numero di Dialoghi Mediterranei. Da allora la rivista ha guadagnato visibilità e autorevolezza, ha raggiunto una larga e insperata circolazione, definendo via via sempre più distintamente il suo profilo identitario in corrispondenza di una crescente offerta di contributi sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo. Nato soprattutto quale osservatorio sulla realtà euroaraba con particolare attenzione al mondo umano e culturale che intorno al mare Mediterraneo si è storicamente formato e articolato, senza tuttavia mai trascurare il più vicino contesto territoriale dentro il quale si trova ad operare, il periodico bimestrale ha soprattutto dato spazio e valore ai lavori di ricerca dei giovani laureati, dottorati e dottorandi della Scuola antropologica dell’Università di Palermo, e più ampiamente alla collaborazione di quanti sono impegnati a ragionare e riflettere sulle dinamiche culturali che investono il nostro tempo e le nostre società.

Più di 250 articoli inediti costituiscono il ricco archivio che può già vantare Dialoghi Mediterranei, un vasto repertorio di testi la cui lettura offre un copioso inventario di temi e di questioni di grande attualità e di estremo interesse. Luogo di confronto in cui dialogano teorie complesse e ricerche locali, ipotesi progettuali e sperimentazioni metodologiche, sintesi storiche e analisi su cronache contemporanee, la rivista ha dato vita ad una comunità di autori che si ritrovano a condividere l’orizzonte mediterraneo quale latitudine di sguardo e prospettiva speculativa. Se lo studio delle migrazioni è certamente al centro della gran parte dei contributi pubblicati nei diversi numeri, lo è perché il movimento degli uomini è storicamente centrale nell’identità mediterranea, ieri come oggi, laboratorio di incontri e di scambi transnazionali e intercontinentali. Nella strategia editoriale i processi migratori sono i nodi che tengono la rete, l’ordito che sostiene la trama delle esperienze umane e culturali, il sostrato delle vicende politiche, economiche, letterarie, artistiche, o semplicemente esistenziali. Siamo convinti che guardare al mondo, antico e contemporaneo, attraverso la ricognizione dei diversi aspetti del composito fenomeno delle migrazioni – siano esse transiti, fughe, passaggi frontalieri o vere e proprie diaspore – significa in fondo attingere alle radici di uno dei gangli vitali della mediterraneità, alle origini di quelle permanenze e persistenze che, pur nel divenire, hanno definito l’essere, ovvero quello che siamo, quello in cui ci riconosciamo.

Non c’è, del resto, figura più esemplificativa della cosiddetta postmodernità del migrante, cioè di colui che, al di là dell’asilo o dell’esilio, abita nel cuore della globalizzazione, ne è agente e ne è agito, muovendosi sui crinali sottili e incerti di più luoghi fisici e simbolici. Dialoghi Mediterranei  è consapevole che il mondo che si prepara è quello prefigurato da quanti nati qui hanno genitori nati altrove, da appartenenti a famiglie costitutivamente mobili e frammentate, a genealogie estese e fortemente ramificate. Da qui lo sforzo collettivo cui, come redazione, ci sentiamo impegnati per liberare il campo delle analisi dalle becere strumentalizzazioni politiche, dai radicati pregiudizi ideologici, dalle oscure paure emotivamente prodotte o artificiosamente create dalle contingenze. La rivista, che guarda alle contraddizioni di questo nostro feroce tempo, particolarmente sensibile ai flussi di merci e di capitali e paradossalmente refrattario alla circolazione dei corpi, volge il suo interesse di studio ai processi culturali della contemporaneità, su ciò che si nasconde sotto la superficie apparente degli accadimenti e su ciò che la lezione della memoria concorre a farci scoprire o riscoprire. Così è anche in questo numero, che presenta una straordinaria ricchezza di contributi, molti dei quali dedicati a temi oggi al centro del dibattito pubblico che gravita attorno al Mediterraneo, alla sua antropologia storica e al suo destino politico.

Stretti tra scafisti e schiavisti, terroristi e talebani, i migranti sopravvissuti ai naufragi sono destinati  a riempire i centri di accoglienza già al collasso. Che la Libia disintegrata e gettata nel caos potesse diventare una polveriera, la terra elettiva del cosiddetto Califfato non c’è osservatore attento che non lo avesse da tempo capito. Da parte nostra potremmo oggi riscrivere le parole dell’editoriale pubblicato nel numero 9 del 1 settembre 2014 e sarebbero tragicamente attuali. Fin da allora non era affatto difficile intravedere il nesso drammatico e rovinoso che lega la deflagrazione libica, la crudele spoliazione dei profughi, l’accelerazione dei transiti e il rovesciarsi nel mare Mediterraneo di una massa enorme di disperati senza più terra né patria. Quel che è accaduto negli ultimi mesi – attentati, guerre, orrori per barbare esecuzioni e terribili naufragi – è la conseguenza del disordine mondiale che ci fatto precipitare nel nostro medioevo contemporaneo, frutto avvelenato di utopie apocalittiche, seduzioni millenaristiche, retoriche imperialistiche. Politica e religione avvinghiate in un corpo a corpo, in un incestuoso e sciagurato intreccio, sono destinate a riprodurre le vecchie teorie ispirate allo scontro delle civiltà, alla organica incompatibilità delle culture, alla sapiente distillazione delle paure, prima fra tutte l’islamofobia.

Davanti alle stragi e alle macabre immagini che diffondono e spettacolarizzano l’orrore con gli strumenti di propaganda messi a disposizione da una ostentata e sofisticata tecnologia, c’è da chiedersi piuttosto perché alcuni giovani figli di immigrati, nati e alfabetizzati in Europa, si rivoltino contro il Paese che li ha accolti, coltivino un odio antioccidentale fino ad arruolarsi nelle file dell’esercito dei tagliatori di gole. C’è da chiedersi quale oscura ideologia nichilista ispiri le conversioni di certa gioventù europea non tanto alla fede musulmana quanto ad una narrazione e ad un’estetica della morte. Affiora poi il dubbio che non esista solo la violenza della religione quando questa, soprattutto se monoteista, promuove e legittima identità contrapposte, ma anche la violenza nella religione, nel senso che la struttura organizzativa e prescrittiva su cui si basa – si pensi all’assolutismo della formula: «Non avrai altro Dio fuori di me», al valore rituale e fondante del sacrificio e del martirio, alla funzione del corpo e del sangue quali elementi costitutivi del sacro –  contiene in sé una forma di violenza. Intorno a questi e altri interrogativi, sulle questioni delle libertà e dei diritti, ragionano alcuni degli autori di questo numero, i quali, pur muovendo dall’attualità, che resta contesto e fattore privilegiato delle argomentazioni, offrono tuttavia una riflessione che, attraverso letture, analisi, testimonianze e ricerche, descrivono un quadro ben più ampio e profondo, una realtà più complessa di quella rappresentata da schematismi e manicheismi.

Tra gli articoli, particolarmente densi e numerosi, che discorrono di biblioteche e musei, di letteratura e archeologia, di mercati e memorie ebraiche, trovano spazio nella sezione Immagini gli scatti del giovane palermitano Giuseppe Sinatra, che nel rappresentare il suo Mediterraneo ha messo insieme, nelle raffinate sfumature del bianco e nero, le inquietudini misteriose e le sospensioni temporali della sua attenta ricerca di fotoamatore, come preferisce essere chiamato. Nel testo che accompagna le immagini in una surreale corrispondenza, l’autore si finge «il fotografo/testimone della vita di tutte le anime migranti dentro le stive delle imbarcazioni fantasma del Mediterraneo».

A distanza di poco più di due anni dalla sua scomparsa, Dialoghi Mediterranei ricorda infine Michele Argentino, l’amico architetto che coniugava l’architettura con la sensibilità etica ed estetica dell’umanesimo, la creatività progettuale con la levità dell’ironia consustanziale alla sua personalità. La testimonianza di Nino Giaramidaro ce ne restituisce un affettuoso e penetrante ritratto umano.

Dialoghi Mediterranei, n.12, marzo 2015

 Sommario

Giovanni Abbagnato
La mafia raccontata
Alessio Angelo e Pietro Simone Canale
Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Antonino Cangemi
Una lunga militanza. Giornalismo e analisi sociale in Virgilio Titone
Annamaria Clemente
Il ritorno di Americanah
Francesco Coniglione
Tutti i terroristi sono islamici?
Antonino Cusumano
L’emigrazione come autobiografia di una nazione
Valeria Dell’Orzo
Digressione nella paura. L’invenzione del nemico nel politically correct
Piero Di Giorgi
Je suis Charlie, Ahmed, nigérian, egitiain. Dalla mattanza jihadista al capolavoro  renziano 
Fabiola Di Maggio
Les statues meurent aussi? Post-musealizzazione dell’arte coloniale
Giovanni Falcetta
Lo splendore sull’abisso. La chiesa di San Domenico e l’«Età dell’oro» a Castelvetrano
Federico Furco
Gli equini in contesti funerari tra età classica ed ellenismo
Concetta Garofalo
Il museo come dialogo agentivo di saperi
Marta Gentilucci
Sul fanatismo: Sciascia e Borges 
Nino Giaramidaro
Michele dal sorriso argentino
Virginia Lima
Il politeismo come antidoto critico e risorsa culturale
Stefano Montes
Come pensiamo noi antropologi? Per nugoli di polvere e brezze d’aria
Walter Nania
Il disagio mentale della donna maltrattata. L’approccio etnopsichiatrico
Franco Pittau e Antonio Ricci
Agricoltura e immigrazione nel contesto dei nuovi mercati globali
Valentina Rametta
Plus de Charlie! Note sulla mediamorfosi del sentimento contemporaneo
Gaetano Sabato
Ospedale, elemosina e performance del dolore: pratiche del campo e del fuori campo
Marco Sanfilippo
«Chi pensa resta immortale, chi non pensa muore». Per un profilo di Averroè
Angela Scandaliato
La Iudeca di la terra di Castello Vitrano
Daria Settineri
Antropologia delle migrazioni. Responsabilità e risorse della ricerca etnografica
Giuseppe Sinatra
Il Mediterraneo. Lettera immaginaria di un traghettatore di anime
Orietta Sorgi
I mercati di Palermo fra storia e attualità. Un fenomeno di lunga durata
Luigi Tumbarello
Scontro di civiltà o intolleranza alla libertà d’espressione? Dopo Charlie Hebdo
Marcello Vigli
Un mese da Presidente, due anni da Papa
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