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Con la rabbia in corpo. Filosofia come arte del corpo

unnameddi Lella Di Marco

Scrivo a cominciare da me, come nelle vecchie pratiche femministe, e intendo fare una narrazione della mia recente esperienza con la sanità pubblico-privata, sul mio corpo malato e l’ospedalizzazione: tre mesi tra paura, ansia, angoscia, solitudine, medicalizzazione del corpo malato, spersonalizzazione del corpo in appalto, fino a precipitare negli stereotipi richiesti per Sorvegliare e Punire con reale pericolo di psichiatrizzazione.

Intendo raccontare la mia recente avventura sanitaria; non tanto come storia personale ma, a partire dalla rabbia che ho in corpo, socializzare quanto ho vissuto e continuo a vivere, come denuncia politica e sollecitazione a prenderne atto. Per riprenderci quanto quotidianamente ci viene tolto silenziosamente, anche colpevolizzandoci.

In nessun caso sono la paziente ideale. Dopo due mesi di “accanimento terapeutico” o più esattamente di servizio sanitario non adeguato, ho detto alla osteopata che mi aveva in carico che mi sarei rivolta ad Oliviero Toscani posando nuda con il mio corpo martoriato per una foto denuncia. Forse in quell’ambiente la mia espressione è stata imprudente ma ero piena di lividi ovunque: cateteri, flebo, vene rotte, altre schiacciate e nascoste con cerotti, borse agli occhi, pallidissima in volto avendo respirato soltanto l’aria della camera impregnata di disinfettanti. Io in effetti pensavo una foto molto bella, di me senza il volto con il corpo lacerato e in mente avevo la Nike, la famosa Venere di Samotracia. Tralascio ogni commento sulla reazione del medico (“specialista al femminile in osteopatia” – così bisognava chiamarla e mai dottoressa, ritenendo lei offensivo il genere femminile nell’indicare professioni molto elevate socialmente e culturalmente, come la sua).

Cosa mi era successo in pratica per essere finita in ospedale? Era il settembre scorso, bella giornata. Come al solito esco per comprare i giornali, fermarmi al bar, luogo interessante per captare i segreti e capire gli umori della città, indiscrezioni sulla vita dei politici locali e sul quotidiano della gente comune. Praticamente per me che ironicamente mi definisco antropologa partecipante, una fonte di informazioni utili. Al ritorno verso casa mi blocco proprio sulle strisce pedonali, la gamba destra totalmente insensibile e inattiva. Si blocca anche il traffico e. grazie al tempestivo intervento di un mio amico che passava per caso, sono stata portata al pronto soccorso dell’ospedale pubblico Sant’ Orsola di Bologna, punta di eccellenza della sanità bolognese!

Dopo due giorni di accertamenti e di preparazione vengo operata al femore che spontaneamente si era frantumato: inserimento protesi metallica con pratiche per la cementificazione del corpo estraneo. Operazione devo dire eccellente e ben riuscita anche sul piano estetico. A seguire cure ancora in ospedale e poi due mesi di riabilitazione in una struttura privata ma in convenzione con la Regione Emilia Romagna. Da quel momento, io come individua, con la mia identità, bisogni, saperi, dignità scompaio e, violata e spersonalizzata, divento soltanto la numero 02 della stanza 122 al secondo piano 

9b8bb3eb74bd3cd97bb3679c60950d61_xlParlando di corpo

A me, che ho vissuto tutte le fasi del femminismo, viene in mente subito Noi e il nostro corpo, il famoso libro del collettivo Donne di Boston, uscito nel 78 e subito diffuso in molte lingue. Scritto da donne per le donne, fu una pietra miliare nel movimento di liberazione negli USA. Donne nere e bianche all’interno dei movimenti radicali americani concentrano la loro attenzione sulla denuncia del sistema sanitario Usa, sulla natura speculativa della ricerca medica farmaceutica condotta sulla linea del profitto e seguendo una linea maschile della salute. Quel testo-ricerca sul campo ha rappresentato una vera svolta per la presa di coscienza nell’essere-con (cioè non da sole) ma soprattutto per le indicazioni di cura del corpo e di auto-terapia come prevenzione.

a1dzf8uod2lUn libro utile a tutte/i. È ancora attuale, non essendo cambiata la dinamica economica della produzione capitalistica e le condizioni del sistema sanitario anche in Italia. Come tanti altri libri di denuncia sarebbe servito come stimolo ai politici per migliorare l’esistenza e la salute di uomini e donne. Se fossero stati attenti e sensibili a quel pensiero-proposta politica

Oggi non riesco più a pensare al separatismo, cioè ad un benessere disgiunto fra i sessi, magari anche in contrapposizione rivendicativa. Non lo sento come problema soltanto mio, come non credo nelle forme ultime di “femminismo separatista” che non parla più di società fallocratica ma di pensiero “spermico” e società spermatica. Non mi sembra un pensiero nuovo che possa incidere e aprire una pista, fermo restando che il patriarcato non si elimina con la forza del pensiero (ammesso che certo pensiero abbia forza). Ritengo che uomini e donne, nell’attuale fase storica, siano dentro gli stessi drammi personali e social-politici. Vanno soltanto compresi, scandagliati per capire quanto l’essere donna e uomo pesi moltissimo, anche nella vita di coppia. E anche nei conflitti di “genere” e familiari bisogna vedere la contestualizzazione e magari da cosa viene prodotta la follia uxoricida. 

la-palestra-di-platone-simone-regazzoni-gettyimages-22-09-2020La sanità pubblica: quale presente e quale futuro 

Anche l’ospedale pubblico si regge in convenzione con cooperative scelte con criteri particolari (non ho mai letto i bandi in merito). Nella quotidianità ospedaliera è visibile come una piramide etnico/regionale fra operatori e operatrici. Dalla fascia degli inservienti, in maggioranza donne straniere, al personale sanitario generico proveniente dalle zone più disagiate della penisola, con punte elevate di siciliani (con generica preparazione sanitaria), al personale medico, sia maschi che donne legati all’università di Bologna e poi la squadra di stagisti dottorandi al seguito dei medici di turno. Ho notato qualche infermiere eritreo collocato nei turni di notte. Devo dire molta professionalità e apparente interesse per il mestiere nonché buona capacità di relazione-cura con i pazienti. Ho ritenuto invasivi i diversi segnali tatuati sulle loro braccia di natura religiosa, come le collanine con una vistosa croce di legno, o la quasi confidenziale segnalazione di strutture private dove trovare rifugio sicuro.

Del resto in tutto il pubblico e non solo sanitario si trova l’invito a rivolgersi ad equivalenti strutture private in convenzione o a pagamento. Non sto sottolineando nulla di nuovo. La sanità è al collasso ma la politica cosa faceva quando, in tempi non sospetti, venivano fatte denunce in merito, anche sulla scarsa capacità di accoglienza: pochi posti letto, pochi strumenti tecnologici, pochissimo personale, in una società di anziani con malattie endemiche e pandemiche alle porte?

Dopo il fisiologico percorso post-operatorio ecco la riabilitazione. Stranamente l’unica alternativa disponibile era una struttura privata: prendere o rinviare alle calende greche. Così sono stata “deportata” a Villa Bellombra ai piedi di San Michele in bosco, per la riabilitazione ortopedica.

Sembra che l’idea di creare tale struttura sia venuta a un gruppo di professionisti privati riuniti in un consorzio (Colibri) con un programma all’avanguardia, tutto basato su nuove tecnologie. Il programma è bellissimo ma forse da sviluppare ancora. Al momento, nonostante la grande approvazione di esperti ministeriali e il superbo lancio del quotidiano “Il Resto del Carlino”, ritengo che tutto sia molto carente a cominciare dai locali. Sembra che il problema sarà superato il prossimo anno con la realizzazione fuori porta di un’enorme struttura, onnicomprensiva di piscine termali e tanto altro.

Ma adesso intendo sottolineare le gravissime carenze esistenti, a partire dal super affollamento. Pazienti meno gravi in camera con soggetti anziani e gravissimi. Lamenti continui e impossibilità a riposare tranquillamente. Urla di chi dolorante, soprattutto di notte, attende invano infermieri che non arrivano. In poche parole è molto grave la carenza di personale con turni micidiali e super-sfruttamento. Credo che alcuni di loro non avessero neppure un contratto, facile preda dunque di ricatti. Del resto la presente fase storica favorisce molto super-sfruttamento e restringimento delle libertà personali; e ovviamente negazione dei diritti acquisiti sul lavoro.

Il mio soggiorno in quel luogo è stato meno drammatico grazie alla generosità e direi abnegazione degli operatori, fra i quali molti stranieri e tanti meridionali. Alcuni di loro sono anche laureati e voglio sottolineare molto abili come i fisioterapisti. Preparati e con grandi capacità relazionali, capaci dunque di porsi dalla parte di chi è malato e capirne la sofferenza.

Alla mia età so che nessuna denuncia senza altra azione è incisiva politicamente, ma tanto mi sento di fare, anche come dovere morale. Non voglio descrivere la vita in ospedale minuto per minuto, basta leggere La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino per capire sino in fondo. Oltre la malattia e il dolore percepisci un senso di invasione e lacerazione del tuo corpo. Un senso di annientamento della tua identità e, se sei attaccata alla flebo, non rientrando nei canoni richiesti per il paziente omologato, vieni tenuta sotto osservazione: omologati e conformati.

Io mi sono difesa anche per il mio carattere e la mia decennale pratica politica. Cerco il positivo in tutto e considero ogni esperienza come arricchimento umano. Continuavo a essere “felicemente resiliente” e parlavo amichevolmente con gli operatori sanitari, con gli inservienti; socializzavo con le compagne di stanza stabilendo anche un bel rapporto di scambio di informazioni e confidenze sulla vita privata, tanto da turbare i dirigenti che hanno chiamato mia figlia per dirle che correvo il rischio di essere trasferita in psichiatria perché ero sempre “sopra le righe”. 

9788833313252_0_0_600_0Biopolitica e il ritorno alla cultura greca 

Mai come negli ultimi decenni il corpo umano ha avuto tanta attenzione, come del resto suggerisce la rilettura di teorici come Carlo Marx che ne hanno descritto la sua funzione all’interno dell’economia capitalistica o Michel Foucault che ha ideato il concetto di biopolitica per indicare la logica del Potere nel controllo quotidiano degli individui attraverso elementi tecnologici, strategie e pratiche sempre più avanzati. La coscienza delle persone viene manipolata così delicatamente e dolcemente che gli sfruttati accettano le regole del gioco e le fanno proprie “volontariamente” e felici di farlo. Tali pratiche vengono esercitate sull’individuo ancora prima della nascita tanto da farlo nascere e crescere già con determinati valori. E tutto questo si può applicare alla medicalizzazione forzata del corpo, per non parlare poi della psichiatrizzazione in cui il potere politico ha scavalcato tutto il lavoro enorme e rivoluzionario di Basaglia e basagliani. È appena il caso di ricordare lo smantellamento della struttura manicomiale a Gorizia e della sua pratica rivoluzionaria, per capire anche il senso di certe scelte attuali. Arretramento culturale – sorvegliare e punire – utilizzo del corpo anche come accumulazione capitalistica, sembrano essere gli obiettivi principali del Potere. 

Quanto da me raccontato, nella prima parte del mio scritto, rientra in tale logica e averne consapevolezza o meno da sola non basta. Ma noi rimaniamo una dicotomia di corpo e mente e il corpo non è così docile e remissivo come lo vorrebbero, come del resto la produzione di pensiero non sempre viene nullificata; così accade che può avvenire una ribellione, come controvolontà. E mi riferisco al fiorire di proposte culturali e pratiche non conformistiche, come il ritorno alla cultura greca pre-ellenistica, al concetto di corpo che dirige la mente e del connubio corpo che respira-mente che pensa. Inscindibili. Il corpo di fatto è il protagonista di azioni e idee È il corpo che ha bisogno di nutrirsi, che mi deve piacere, che non è separato da me. È uno strumento di cui io posso disporre in autonomia su cui mi posso imporre ma che si ribella anche al mio dominio.

A questo proposito anche per me è stata una scoperta notevole la lettura del libro La Palestra di Platone di Simone Regazzoni (2020) che apre una totalmente nuova lettura della vita nell’antica Grecia, della cura e del prendersi cura, del pensiero per una pratica sociale comunitaria. Ho discusso su quel testo con dei giovani greci, praticanti arti marziali e precisamente il pan-crazio, in pratica tipo di sport basato sull’allenamento continuo del corpo con tecniche e mosse rigorose che tendono ad esprimere forza e resistenza sull’antagonista, non per annientarlo ma semplicemente per mettere in evidenza e in tensione la propria forza come supremazia e superare i limiti fisici, nel senso di puntare ad un miglioramento continuo di se stessi. La palestra di Platone era anche un luogo fisico dove tutti potevano accedere e dove oltre il combattimento si discuteva di filosofia. Lo stesso Socrate la frequentava portando il suo corpo assieme al suo sapere.

Simone Regazzoni, egli stesso filosofo e atleta, ripensa al corpo, in riferimento alla cultura dell’antica Grecia, alla sua corretta postura ma anche ad una nuova postura per la mente, per uscire dalla logica della filosofia a tavolino soltanto per pochi intellettuali, e viverla come pratica quotidiana di penetrazione e soluzione dei problemi esistenziali, finalizzata al ben-essere degli individui e quindi della comunità. Sembra sia stata anche aperta a donne che misurandosi in quella pratica acquistavano maggiore sicurezza e capacità di autodeterminazione.

Avere come prototipo il gymnasium, quella palestra a nord-ovest di Atene, dove si produceva cultura, è una certezza per uscire, anche nella fase attuale postmoderna, dall’isolamento, riconoscere e superare i propri limiti, capire e sapere affrontare il dolore, la fatica della vita, poter vivere pienamente la gioia e riscoprire la filosofia come arte del corpo.

Noi e i nostri corpi ridotti a semplici cose, oggi, siamo oggetto di attenzione “commerciale” e mi riferisco alle diverse diete o cure farmacologiche che ci vengono proposte continuamente. Certo, tengo conto delle difficoltà a muoversi e a socializzare dovute anche alla fase pandemica, ma quello della dieta astrale, zodiacale, estiva, invernale, vegetariana, regionale, etnica, vegana … è un interesse antico. Non a caso prosperano cuochi di fama internazionale, gare di cucina e soprattutto grossi investimenti, da parte di associazioni sospette nell’agro alimentare. A Bologna, poi, hanno creato Fico, un vero e proprio tempio del cibo, con iniziative apprezzabili di vario genere e riconoscimenti a livello internazionale. 

image-1Il corpo e la strategia della accumulazione capitalistica 

Quanto Foucault afferma: «Di fatto i due processi: l’accumulazione degli uomini e l’accumulazione del capitale, non possono venir separati», ci aiuta forse a capire l’interesse sul corpo degli ultimi decenni e a tentare una qualche indagine teoretica. Certo sono venuti a mancare tutti i punti fermi di elaborazione in cui abbiamo creduto per oltre un secolo, noi di fatto razionalisti–idealisti, figli di Cartesio e del suo principio che il pensiero genera pensiero. Da qui il convincimento che soltanto i colti, gli intellettuali, quelli abituati o educati a pensare potevano creare altro pensiero. Oggi, però, impoverito il pensiero, diventato sempre più debole, l’unica realtà concreta, visibile, attiva, sembra essere il corpo.  

E, tornando alla Scuola di Platone e alla concezione dell’antica Grecia che considera produttore di pensiero soltanto il corpo che respira, che vive nella simbiosi corpo-mente, tutto entra in crisi e si prova a produrre pensiero nuovo per una pratica politica di cambiamento, assumendo la percezione del corpo a misura del conoscere la realtà e la sua rappresentazione. A pensarci bene, torna di grande attualità il pensiero di Davide Harvey quando afferma: «il capitale circola attraverso il corpo del lavoratore come capitale variabile, e così il lavoratore diventa una mera appendice della circolazione del capitale stesso». 

image-2L’ospedalizzazione continua 

Ecco ora mi sento un po’ come Patrick Zaki. Non sono fuori dalle grinfie della sanità e dell’uso politico ed economico del mio corpo, ma sono a casa. Sono stata dimessa perché avevano bisogno del posto letto, però tre volte la settimana devo recarmi, con mezzi miei, in ospedale per visite di controllo e ulteriori sperimentazioni di farmaci. Il tempo sospeso in cui ci ha gettati la pandemia lascia nei sopravvissuti una sensazione di precarietà e instabilità, un sentimento di drammatica impotenza. Sento di non poter più decidere nulla, nemmeno di non curarmi per non rischiare di espormi alle peggiori infezioni virali per contagio, che è risaputo si contraggono in ospedale. Come uscire da tale gabbia?

Intanto mi nutro di miele della Tessaglia, il miracoloso miele greco prodotto da api achee proprio ai piedi del Monte Olimpo dove aveva trovato salvezza Giove, buttato in quella boscaglia dalla madre per salvarlo dalle ire del padre Cronos che mangiava i suoi figli! 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022 
Riferimenti bibliografici 
Zigmunt Bauman, Consumo, dunque sono, Laterza Bari 2010
Laura Bazzicalupo, Biopolitica. Una mappa concettuale, Carocci Roma 2020
David Harvey, Il corpo come strategia dell’accumulazione, Ed. Punto Rosso Milano 1997
Simone Ramalli, La cura. Liberi da paure e malattie, ed. Tecniche nuove Milano 2015 
Simone Regazzoni, La Palestra di Platone, Filosofia come allenamento, Ponte delle Grazie Milano 2020

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Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’Associazione Annassim.

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