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Yusuf Huwayyik, il decano della scultura libanese

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Autoritratto di Yusuf Huwayyik

di Francesco Medici [*]

La prima scuola d’arte fondata in Libano fu l’Académie Libanaise des Beaux-Arts, inaugurata a Beirut nel 1937, cui fece seguito una ventina d’anni più tardi l’istituzione da parte dell’American University of Beirut (AUB) del Dipartimento di Belle Arti e di Storia dell’Arte. Negli anni Cinquanta e Sessanta sorsero invece le prime gallerie che fecero finalmente conoscere al Paese le opere degli artisti locali. Ma se i più giovani tra loro ebbero la possibilità di formarsi in patria, coloro che li avevano preceduti, generalmente provenienti da agiate famiglie cristiane, non poterono che guardare alle accademie europee per poter affinare il proprio talento e acquisire una maggiore padronanza degli stili e delle tecniche espressive.

Tra gli studenti d’arte, soprattutto stranieri, che giunsero a Parigi tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo era particolarmente in voga l’Académie Julian, che non richiedeva particolari requisiti per l’ammissione e i cui corsi erano estremamente flessibili: vi si tenevano infatti lezioni di disegno, pittura e scultura che si potevano frequentare per pochi mesi o anche per un intero anno. L’elenco degli artisti che si formarono oppure orbitarono intorno a quell’istituzione privata (fondata dal pittore e incisore Rodolphe Julian nel 1868 e rimasta in attività fino al 1968) risulta assai ricco, variegato e prestigioso: basti citare personalità del calibro di Henri Matisse, John Singer Sargent, Fernand Khnopff, Edmund Dulac, Marcel Duchamp, Maurice Prendergast, Édouard Vuillard, Maurice Denis, Pierre Bonnard, Paul Sérusier. Ai nomi illustri menzionati meritano senz’altro di essere aggiunti anche quelli di almeno un paio di libanesi, uno dei quali è stato oggi quasi completamente – quanto ingiustamente – dimenticato.

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Gibran all’Accademia Julian, Parigi, 1909

Figlio di Saadallah Huwayyik (Sa‘d Allāh al-Ḥuwayyik, 1853-1915), consigliere amministrativo del Mutasarrifato del Monte Libano (1902-1907), e nipote del Patriarca maronita Elias Huwayyik (Īlyās Buṭrus al-Ḥuwayyik, 1843-1931), Yusuf Huwayyik (Yūsuf al-Ḥuwayyik) nacque a Helta, nell’attuale Libano settentrionale, il 9 marzo 1883. Nel 1898 lasciò la città natale per recarsi a Beirut, dove frequentò il Collège de la Sagesse (Madrasat al-Ḥikmah). Risale a questo periodo l’inizio della sua profonda amicizia con Kahlil Gibran (Ğubrān Ḫalīl Ğubrān, 1883-1931), suo coetaneo e compagno di scuola, destinato a diventare il più celebre poeta-pittore originario del Paese dei Cedri. Insieme i due giovani fondarono la rivista scolastica «al-Manārah» (Il faro), sulle cui pagine, affiancati da un terzo studente, pubblicarono i loro articoli e disegni.

Nel 1903, ottenuto il diploma, Gibran fece ritorno negli Stati Uniti, dove la sua famiglia era emigrata già dal 1895, mentre Yusuf partì alla volta dell’Italia per studiare pittura, scultura e architettura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Seguirono alcuni anni fondamentali per la sua formazione, soprattutto nell’ambito dell’arte sacra, grazie anche a numerosi viaggi a Napoli, Firenze, Milano e Venezia (e più tardi anche in Spagna, Grecia, Egitto e Iraq). Nel 1909 si trasferì a Parigi dove diede di fatto l’avvio alla sua produzione creativa. Si dedicò inizialmente all’arte pittorica, la sua prima grande passione, che finì però con il cedere progressivamente il passo alla scultura, sotto la decisiva influenza del venerato maestro Auguste Rodin.

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Yusuf Huwayyik, Parigi, 1910

Il nuovo incontro con Gibran nella «Ville Lumière» rappresentò un vantaggio per entrambi: i due artisti, assidui frequentatori del noto Café du Dôme, nel quartiere di Montparnasse, strinsero infatti un vero e proprio sodalizio fraterno, sostenendosi a vicenda, visitando insieme musei e gallerie, dividendo le spese per pagare le modelle e i modelli che posavano nel loro studio-appartamento. A corto di denaro, abbandonarono i corsi dell’Académie Julian per mettersi a studiare e a lavorare in proprio, avendo peraltro compreso di avere più affinità con la tradizione classica piuttosto che con il fauvismo e il cubismo (da loro ritenuti «una rivoluzione folle radicata contro l’arte e la bellezza»), allora in piena fioritura nella capitale francese [1]. Il suggestivo ritratto a olio di Gibran eseguito da Huwayyik nel 1910 e intitolato Ritratto di un parigino è oggi esposto al Gibran Museum di Becharré (Bišarrī), in Libano.

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Ritratto di un parigino, Parigi, 1910

Sul finire della primavera del 1910 li raggiunse a Parigi un altro compatriota, lo scrittore Ameen Rihani (Amīn al-Rīḥānī, 1876-1940). Per l’intera stagione estiva i tre amici furono inseparabili, tanto da autosoprannominarsi ironicamente «il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo»[2]. Nel 1938 Yusuf avrebbe realizzato un busto scultoreo di Ameen, attualmente conservato presso la casa-museo Rihani, situata nella cittadina libanese di Freike.

A Parigi Huwayyik e Gibran ebbero l’eccezionale opportunità di conoscere molti importanti intellettuali, attivisti politici e artisti, tra cui la famosa danzatrice statunitense Isadora Duncan (1877-1927), che acquistò due quadri di Yusuf per la somma di 500 franchi. In quegli anni Huwayyik scoprì inoltre il suo autore prediletto, il francese Ernest Renan (1823-1892), di cui apprezzò soprattutto la monumentale Histoire des origines du Christianisme (Storia delle origini del Cristianesimo, 1866-1881), e iniziò la traduzione in arabo della Divina Commedia, rimasta inedita e incompiuta. Grazie a un suo resoconto di quel fecondo periodo parigino, si sa per certo che egli tradusse quantomeno il canto di Paolo e Francesca e che ne sottopose il risultato allo stesso Gibran:

 «Ci accomodammo sul divano e, mentre Gibran mi ascoltava con la testa reclinata su una spalla, gli lessi la mia traduzione del quinto canto [dell’Inferno], in cui Dante parla dell’amore. Ripetevo alcune frasi in italiano per maggiore chiarezza. Poi, quando arrivai all’ultima parte, la più drammatica, lessi a voce più alta, fino al verso conclusivo, dove Dante dice: “E caddi come corpo morto cade”. A quel punto guardai Gibran per vedere quale effetto avesse sortito su di lui la mia lettura, e lo vidi con lo sguardo basso e gli occhi gonfi di lacrime» [3].

Nell’autunno del 1910 Kahlil e Yusuf lasciarono entrambi la Francia, il primo diretto a Boston, il secondo in Libano. I due sodali non potevano immaginare allora che non si sarebbero mai più rivisti (Gibran sarebbe morto appena quarantottenne a New York senza la possibilità di visitare nuovamente né l’Europa né il Libano). La nostalgia per quella loro intesa tanto straordinaria traspare chiaramente in una lettera spedita l’anno dopo da Gibran all’amico oltreoceano:

«L’anima è un fiore celeste che non può vivere all’ombra, ma le spine possono vivere ovunque. Questa è la vita della gente orientale afflitta dalla malattia delle belle arti. Questa è la vita dei figli di Apollo esiliati in questo Paese straniero, il cui lavoro è strano, il passo è lento e il riso è pianto. Come stai, Yusuf? Sei felice tra i fantasmi umani che vedi ogni giorno ai due lati della strada?»[4].
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Ahmed Shawki

Huwayyik, dal canto suo, continuò fino alla fine degli anni Trenta a viaggiare tra Europa e Medio Oriente. Nelle sue memorie inedite, custodite dagli eredi in Libano, parla della libertà dei popoli occidentali e della loro civiltà, deplorando l’amara sorte della sua patria, sottoposta da quattro secoli al giogo della Sublime Porta. Intanto, mentre la sua fama come artista si diffondeva in tutta la regione della Grande Siria, le sue idee politiche iniziavano a suscitare sospetto e diffidenza. È noto infatti che le spie inviate da Jamal Pascià (Ahmet Cemal Paşa, 1872-1922), uno dei triumviri che guidarono l’Impero ottomano dal 1913 fino alla fine del primo conflitto mondiale, abbiano osservato con attenzione l’operato dello scultore, ritenuto un pericoloso sovversivo.

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Les Pleureuses, Piazza dei Martiri, Beirut, 1939

Il 6 maggio 1916, oggi ricordato in Libano e in Siria come il Giorno dei Martiri, a Beirut e a Damasco furono condannati a morte e giustiziati dai Turchi per impiccagione nella pubblica piazza numerosi indipendentisti e nazionalisti siro-libanesi. Huwayyik riuscì fortunosamente a scampare alla forca soltanto perché residente all’estero. Quella tragedia ispirò uno dei suoi capolavori, il Monumento ai Martiri, collocato nella Piazza dei Cannoni a Beirut (rinominata poi Piazza dei Martiri). L’opera, commissionata durante il Mandato francese in Siria e Libano (1923-1946) e nota come Les Pleureuses, fu svelata il 19 dicembre 1930 e raffigura due donne piangenti, una cristiana e l’altra musulmana, poste l’una di fronte all’altra nell’atto di tendersi reciprocamente le mani. Purtroppo nel 1948 la scultura in pietra fu oggetto di pesanti atti di vandalismo e venne rimossa nel 1953 per essere infine sostituita nel 1960 da un nuovo monumento realizzato in bronzo dallo scultore italiano Renato Marino Mazzacurati (1907-1969). Quello realizzato da Huwayyik è stato restaurato e traslato nei giardini del Nicolas Sursock Museum di Beirut.

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Lo scultore accanto al monumento equestre a Youssef Bey Karam, Napoli, 1932

Lo scultore lavorò per anni a numerosi busti e monumenti che immortalano eminenti personalità a lui coeve o del passato. A suo avviso, ritrarre un individuo significava rappresentarne con precisione le linee e le proporzioni, e quindi l’anima, il carattere e il pensiero – ed è per questo che i critici hanno sovente definito l’artista come «un raffinato psicologo». Tra i soggetti più noti meritano di essere menzionati: il patriota libanese Youssef Bey Karam (Yūsuf Bik Karam, 1823-1889), il pittore libanese Daoud Corm (Dāwūd Qurm, 1852-1930), il poeta egiziano Ahmed Shawki (Aḥmad Šawqī, 1869-1932), il Patriarca Huwayyik (suo zio paterno), Papa Benedetto XV (1854-1922) e Faysal I (Fayṣal Ibn al-Ḥusayn Ibn ‘Alī, 1885-1933), re dell’Iraq e della Siria. E fu proprio Huwayyik, grazie ai suoi ottimi rapporti con gli ambienti del Vaticano, a propiziare nel 1919 lo storico incontro tra il pontefice e il sovrano hascemita, da lui conosciuto quello stesso anno a Parigi in occasione della Conferenza di Pace.

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Busto di Ameen Rihani,1938

Nel 1924 a Roma Yusuf sposò la contessa Anna Maria Paolini e dalla loro unione nacque Giorgio Hoyek (1925-2007) – questa l’imprecisa traslitterazione italiana del cognome –, che sarebbe diventato un insigne giurista (una testa di Giorgio bambino, scolpita dal padre, è parte della collezione privata di proprietà dalle discendenti Ornella e Paola Hoyek). Il matrimonio finì dopo appena un anno e Huwayyik fece nuovamente ritorno in Libano, dove consolidò la sua fama di ‘artista nazionale’, lavorando quasi esclusivamente su commissioni da parte del clero o dello Stato libanesi. Molte sono dunque le sue opere, principalmente scultoree, collocate all’interno di chiese o in luoghi pubblici. Alcuni dei suoi capolavori si possono ad esempio ammirare nella chiesa di Nostra Signora del Libano, nel quartiere beirutino di Achrafieh, e nella cappella delle Suore Maronite di Ebrine. Vi sono poi il monumento al Patriarca Stephan Douayhy (Isṭifān al-Duwayhy, 1630-1704), a Ehden, e quelli dedicati al Profeta Elia e al nazionalista pan-siriano Antoun Saadeh (Anṭūn Sa‘ādah, 1904-1949). I dipinti intitolati Madonna dei Sette Dolori e Cristo nel Giardino degli Ulivi furono donati alla Casa Madre delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, a Parigi. L’artista realizzò anche un certo numero di bassorilievi, medaglie e targhe commemorative.

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Giorgio Hoyek bambino

Nel 1939, dopo il definitivo ritorno dall’Europa, Yusuf si stabilì ad Aoura, nel distretto di Batroun, nel nord del Libano, località cinta da formazioni rocciose e gole profonde. Qui lo scultore costruì una casetta in pietra, ai piedi di un’antica quercia, alla cui ombra soleva trascorrere lunghe ore a meditare, scrivere le sue memorie e ricevere di tanto in tanto le visite di parenti, amici e ammiratori. All’interno della modesta abitazione allestì un piccolo atelier dove si possono tuttora ammirare alcuni tra i suoi busti, ritratti e altri oggetti d’arte. Con il tempo, tuttavia, il suo nome e la sua opera caddero nell’oblìo: il suo stile, al contempo realistico e romantico, se non addirittura simbolista, non sembrava suscitare più alcun interesse. Così egli si ritirò pian piano a vita privata, senza però smettere di scolpire, ma soltanto per puro e personale piacere dei sensi e degli occhi. All’ultima stagione artistica appartiene una meravigliosa serie di sensuali nudi femminili che rimandano ai temi dell’amore, della maternità e della semplice vita contadina.

Nel 1957 a Beirut diede alle stampe Ḏikrayātī ma‘a Ğubrān (I miei ricordi con Gibran), tradotto in inglese e pubblicato vent’anni dopo a New York con il titolo Gibran in Paris. Si tratta di un mémoire del biennio parigino 1909-1910 vissuto a stretto contatto con l’amico di gioventù. L’opera è costituita da venticinque capitoli, ovvero da altrettanti racconti narrati in forma di conversazioni drammatizzate, e ha l’indiscutibile pregio di essere di agevole lettura, grazie anche a una scrittura sobria, discreta ed equilibrata [5].

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Fanciulla con daino, 1958

All’inizio del 1962 le condizioni di salute ormai precarie dell’artista peggiorarono sensibilmente. Su consiglio dei medici, Huwayyik abbandonò per sempre l’umile dimora di Aoura per trasferirsi a Haret Sakher, nella città di Jounieh, dove trascorse gli ultimi giorni della sua vita assistito dalla sorella Mhabbé (Maḥabbah al-Ḥuwayyik). Le sue ultime volontà, affidate al nipote Yusuf Richa (Yūsuf Rīšah), recitano: «Desidero un funerale in forma privata, una semplice bara e una lapide dove non sia inciso il mio nome. Desidero essere seppellito a Helta, insieme agli altri membri della mia famiglia, senza clamori né onorificenze».

Alla sua morte, avvenuta il 23 ottobre di quell’anno, qualcuno ricordò le sue parole: «L’arte riveste un ruolo educativo fondamentale perché è la pietra di paragone dello sviluppo e della civiltà dei popoli». Un giornale locale scrisse: «Con Yusuf Huwayyik, il nostro Paese ha perso il decano della scultura contemporanea libanese».

 Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
[*] L’autore del presente articolo desidera ringraziare Ornella e Paola Hoyek, nipoti dell’artista, per le preziose informazioni e per i documenti rari o inediti generosamente forniti.
 Note
[1] Cfr. K. Gibran, Venti disegni, a cura di F. Medici, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2006: 24-28; F. Medici, Gibran in Italy, in The Enduring Legacy of Kahlil Gibran, edited by S. Bushrui and J. Malarkey, University of Maryland, 2013: 182-203.
[2] Cfr. F. Medici, Figli dei cedri in America. Il carteggio tra Ğubrān Ḫalīl Ğubrān e Amīn Fāris al-Rīḥānī, «La rivista di Arablit», anno I, numero 1, giugno 2011: 83-112.
[3] Cfr. Y. Huwayyik, Gibran in Paris, translated by M. Moosa, Popular Library, New York 1976: 90-91 (cfr. K. Gibran, Il profeta e il bambino, inediti e testimonianze raccolti e tradotti da F. Medici, Editrice La Scuola, Brescia 2013: 112-113).
[4] K. Gibran, Un autoritratto, in Tutte le poesie e i racconti, a cura di T. Pisanti, Newton Compton, Roma 1993: 637-638 (cfr. K. Gibran, A Self-Portrait, Citadel Press, New York 1959: 37).
[5] Y. al-Ḥuwayyik, Ḏikrayātī ma‘a Ğubrān. Bāris 1909-1910, Dār al-Aḥad, Bayrūt 1957. Sul soggiorno parigino dei due artisti e sulla loro reciproca influenza, cfr. anche: R. Fāḫūrī, al-Nafs al-ṭāhirah bayna Ğubrān wa al-Ḥuwayyik, Dār Miṣbāḥ al-Fikr, Bayrūt 1981; I.Ğ. Šaybūb, Ğubrān wa al-Ḥuwayyik fī Bāris (1909-1910), Dār al-Ibdā’, Bayrūt 2001.

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Francesco Medici, membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland), è tra i maggiori esperti e traduttori italiani dell’opera gibraniana, nonché autore di vari contributi critici su altri letterati arabi della diaspora tra cui Mikhail Naimy, Elia Abu Madi e Ameen Rihani. Si è inoltre occupato di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare di Leopardi, Pirandello e Luzi. Docente di materie letterarie nella scuola secondaria, lavora attualmente in un CPIA di Bergamo come insegnante di italiano L2.

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