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Uno sguardo su Giacomo Balla. Attualità della sua lezione

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Giacomo Balla nel suo studio

di Giuseppe Modica

Ricordo che Maurizio Fagiolo, storico dell’arte e appassionato novecentista, aveva dedicato a Balla molta attenzione e studio: una ventina di cataloghi mono- grafici e mostre. Dopo la morte di Fagiolo, ormai da diversi anni a questa parte Elena Gigli, sua allieva, si sta occupando con devozione e rigore scientifico di studiare il Maestro futurista torinese e su di lui organizza mostre.

Nella vertiginosa proliferazione di nuovi strumenti e nuove tecnologie tipiche della nostra contemporaneità, si avverte il bisogno di fare chiarezza per capire le ragioni fondanti ed ontologiche dei nuovi linguaggi artistici. Questo bisogno di chiarezza spinge gli “addetti ai lavori” a riferirsi a precisi punti di riferimento necessari e quindi ineludibili per comprendere meglio lo sviluppo fenomenologico dei linguaggi ed delle espressività, fino alla nostra contemporaneità.

Giacomo Balla è uno di questi punti di riferimento, una pietra miliare dell’avanguardia storica italiana e della cultura artistica europea del Novecento: assieme a Umberto Boccioni è, per quanto riguarda la pittura e le arti plastiche, caposcuola del Futurismo.

Pittore complesso e poliedrico, di difficile classificazione in un settore circoscritto della ricerca artistica, sconfina e straripa negli ambiti e territori più disparati: dalla pittura figurativa a quella astratta, dalla scultura alla decorazione, dal design alla moda allo spettacolo. Un autore trasversale, sempre con un ruolo da protagonista, con una sua visione personale ed inconfondibile.

Se è vero che la centralità della cultura artistica dell’Ottocento spetta alla Francia con l’Impressionismo e la sua nuova avventura di spazio, luce e colore, è vero anche che la centralità del Novecento spetta all’Italia con il complesso ed eterogeneo ventaglio delle proposte che, dall’inizio del secolo, spaziano dal Divisionismo Simbolista al Futurismo alla Metafisica al Realismo Magico.

È vero! il Novecento  è Italiano, concetto affermato oltre che da grandi  studiosi italiani quali  Longhi, Venturi, Briganti, Calvesi, Crispolti, Fagiolo, Appella, Trucchi, Strinati, D’Amico, Corà, Benzi, anche da insigni critici e storici d’oltralpe come Jean Clair. Ed ha una sua precisa fisionomia con una luce particolare ed una melanconia che lo rendono unico e riconoscibilissimo nel panorama internazionale.

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G. Balla, Lampada ad arco, 1909

Alla radice della cultura artistica del Novecento c’è il cosiddetto divisionismo italiano che differenziandosi da quello francese, di ascendenza impressionista e quindi più scientifico e positivista, ha implicazioni di tipo simbolista e spiritualista: di fatto è un’altra cosa, con una polverizzazione della luce e infinitesima parcellizzazione di riverberi luministici. I protagonisti di tale movimento ed area di ricerca portano i nomi di Segantini, Previati, Pellizza da Volpedo, ma anche di Balla e Boccioni  nella fase prefuturista. Il primo quadro, davvero memorabile, che mi viene in mente per la sua potente simbolicità, ma nel contempo  per la sua silente solennità è Sole nascente di Pellizza da Volpedo del 1903. Un quadro che è una fonte ineludibile e che sarà oggetto di riflessione e studio per Balla. Se, andando alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, ci avviciniamo al quadro per guardare con attenzione la sospesa e complessa aura di luce che ha origine dal centro del sole e si irradia verso l’esterno, con una magica tensione e progressione, ci accorgiamo della fitta trama pittorica composta da  una infinità di segmenti cromatici.

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Giuseppe Pellizza da Volpedo, Sole nascente, 1903

Una stesura costituita da millimetriche particelle aghiformi e coloratissime, che divenne oggetto di studio ed indagine per Giacomo Balla. La sua Lampada ad Arco del 1909 ha una chiara ascendenza nel Sole di Pellizza, anzi è proprio una ine- quivocabile conseguenza filologica. Diciamo, con un pizzico di provocazione e col senno del poi, che nel Sole nascente di Pellizza c’è già in nuce quella che sarà la Lampada ad Arco di Balla.  Così come certi quadri di Cezanne sono una premonizione e preannunciano il cubismo di Picasso, così il Sole di Pellizza è premonitore  per il futurismo di Balla. Nella Lampada ad Arco la dimensione pulviscolare della luce di Pellizza si trasforma in pura struttura segnica, con inconfondibile  purezza e timbricità cromatica.

G. Balla, Compenetrazioni iridescenti, 1910

G. Balla, Compenetrazioni iridescenti, 1910

Da questa opera del 1909 alle Compenetrazioni Iridescenti del 1912  il passo è breve. Sono opere di una sintesi formale inedita e rappresentano un singolare approdo all’astrazione pura. È vero che Balla, anche quando parla di una dimensione invisibile, tiene a sottolineare sempre il suo legame con la realtà sensibile e la memoria delle cose.  È così anche quando tocca gli esiti di una pura sintesi formale e cromatica che sembrano abolire ogni riferimento di tipo naturalistico. E proprio le Compenetrazioni Iridescenti saranno punto di riferimento per gli artisti del secondo dopoguerra: gruppo Forma 1 e gruppo Origine.

D'Orazio, Instrumentum Regni, 1989

P. D’Orazio, Instrumentum Regni, 1989

Sarà Piero Dorazio tra i primi a racco- gliere l’eredità di Balla, a capirne il valore poetico, ad assorbire e far proprio il suo linguaggio con ulteriori sviluppi ed acquisizioni, creando così una sorta di continuità storica con il Maestro futurista, con una serrata ed affascinante ricerca sul tema della grande tradizione italiana di forma-luce-colore, con inedite trame di segni e di stupefacenti esiti cromatici. A ben vedere anche Titina Maselli, pittrice di temi urbani in energici quadri coloratissimi di grandi dimensioni, ha fatto tesoro della lezione del Maestro torinese investigandone il mondo poetico e trovando una sua originale chiave di interpretazione dalla geometria ritmica e dinamica con cromie di sorprendente purezza timbrica.

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T. Maselli, Palazzo e semaforo verde,1968

E come non vedere nella scultura di Balla Linee forza del pugno di Boccioni, ideata nel 1916 e nel ciclo di opere Linea di velocità+forma rumore del 1914 e nelle creazioni plastiche Fiori futuristi del 1918 un’affinità con quella che sarà la scultura astratta di Umberto Mastroianni e del secondo Novecento? Dell’ampia area d’indagine del Maestro fa parte un quadro del periodo divisionista, e quindi prefuturista, Fallimento del 1902: opera di singolare ed  immedicabile melanconia nella quale  uno sguardo oggettivo ed analitico, in una inquadratura obliqua, ci restituisce un pezzo di marciapiede, uno scalino con una porta di bottega chiusa per fallimento.

G. Balla,…o, 1902

G. Balla, Fallimento, 1902

Quella porta chiusa di desolante tristezza, sulla quale si sono accumulati scarabocchi di gesso, segni e graffiti di ragazzi, e in terra un pezzo di carta, un cerino, persino uno sputo, è simbolo nella sua desolante tristezza e solitudine, dell’attenzione di Balla per la realtà sociale, per le classi in difficoltà. Temi questi del realismo malinconico ed umanitario della Torino di fine Ottocento, dalla quale egli proveniva per trasferirsi a Roma nel 1895, intercettando l’attenzione di giovani autori come Boccioni, Severini e Sironi dei quali sarà maestro, amico e compagno di strada.

A guardare bene quei segni di gesso, quegli scarabocchi per la loro naturalezza, disinvoltura e verità sono quasi premonitori di quella stagione dell’informale “poetica del muro” di sartriana memoria dove il segno, il gesto, il graffito, la scrittura segnica appartengono ad un contesto esistenziale di rimarchevole importanza e significato.

G. Balla, Finestra di Dusseldorf, 1912

G. Balla, Finestra di Dusseldorf, 1912

Un’altra opera che non posso tralasciare, perché io stesso da pittore ho ben introiettato, è la Finestra di Dusseldorf del 1912: una coniugazione sincretica di astrazione ed oggettività. Il telaio di una finestra nel suo inequivocabile realismo, con un binocolo poggiato in primo piano sul davanzale, inquadra uno spazio esterno, il fiume Reno, luminoso misteriosamente indefinito ed impren- dibile, lasciando trasparire un vago alone, un’apparizione fantasmica di un ponte che si dissolve nel vuoto e nello spazio infinito di luce.

Sul lato destro del dipinto l’anta sportello riflette nel vetro il nulla dell’esterno e la fascia orizzontale dell’infisso ci appare come una visione smaterializzata di fluttuante leggerezza. La forza e il mistero di quest’opera sta nella sospensione e nel “non detto”, nel rendere l’invisibile e l’indicibile oltre la finestra.

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G. Balla,  Primo Carnera, 1933

Un’opera controversa, ma dai risvolti interessanti è Primo Carnera campione del mondo del 1933; un quadro retorico è indubbio, una messa in scena trionfalistica dei muscoli e della prestanza fisica del mitico campione, ma in realtà il ritratto di un’icona sociale e pubblica e di come essa appare attraverso la pubblicità e l’immagine stampata sui giornali. Infatti la rete applicata sulla superficie sulla quale Balla ha dipinto è una chiara allusione al retino tipografico della stampa, una allusione alla divulgazione mediatica, all’affiche pubblicitaria. Tutto in anticipo di circa 30 anni sulla Pop Art di Andy Warhol, una premonizione di come l’universo mediatico e pubblicitario si riverserà nei linguaggi e nella comunicazione artistica.

Dicevo all’inizio della versatile poliedricità di Balla con i suoi sconfinamenti nel design per aver progettato mobili e oggetti di arredo; nella moda con gli abiti da lui disegnati che Laura Biagiotti ha ripreso e reinterpretato, nel teatro e nella scultura astratta contemporanea della quale, con lo scultore russo Vladmir Tatlin, è considerato, a ragione, da attenti ed autorevoli storici (Crispolti, Lista) l’antesignano. L’universo di Balla è entrato dunque a 360 gradi nel mondo della creazione artistica lasciando un segno indelebile e riservandoci notevoli sorprese.

Dialoghi Mediterranei, n.26, luglio 2017

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Giuseppe Modica, nativo di Mazara del Vallo, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, nel 1986-87 si è trasferito a Roma, dove attualmente vive e lavora ed è titolare della cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti. Autore “metafisicamente nuovo” occupa un posto ben preciso e di primo piano nella cultura pittorica contemporanea. Ha esposto in Italia e all’estero in prestigiose retrospettive e rassegne museali, apprezzato da critici come M. Fagiolo, C.Strinati, Janus, G. Giuffrè, V. Sgarbi, M.T. Benedetti, M. di Capua, G. Simongini, S. Grasso, F. Gallo, F. Gualdoni, S. Troisi, A. Gerbino, R. Gramiccia, e da letterati come L. Sciascia, A.Tabucchi, G. Soavi, M. Onofri, R. Calasso. Una mostra personale dal titolo La Luce di Roma, a cura di Roberto Gramiccia, è stata esposta nel 2015 presso la Galleria La Nuova Pesa di Roma. Sempre nello stesso anno ha esposto una personale sul tema della mediterraneità alla Galleria Sifrein di Parigi: La melancolie onirique de Giuseppe Modica

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