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Una vita allo specchio e il prodigio della memoria

tanino-copertinamarongiubozza1_page-0001il centro in periferia

di Ilario Carta

L’autobiografia di Tanino Marongiu Ho scavalcato il 900. Autobiografia di un cagliaritano (AIPSA edizioni, Cagliari 2021) di Tanino Marongiu, dopo lette alcune pagine, trasmette l’idea di assistere alla visione di una storia cinematografica, per la quale valga la pena sedersi comodi e limitarsi a veder scorrere l’esistenza del protagonista, intrecciata con la vita di Cagliari e della Sardegna e perché no, attraverso un ideale gioco di specchi, anche dell’Italia intera.

Scrivere una autobiografia è diverso dalla stesura di un romanzo dove puoi inventare tutto facendo l’occhiolino al lettore. Nella autobiografia ti metti a nudo perché racconti la tua vita, anche gli aspetti più intimi, l’evolversi dei rapporti familiari, l’intreccio della vita vissuta. È quindi un denudarsi della finzione che spesso serve a rappresentarci diversamente da come siamo. Diventa una narrazione quasi epica, un regalo alla comunità di appartenenza o alla generazione di riferimento, che ci ritroveranno tanti momenti e episodi di vita condivisa che formano poi le memorie collettive. 

Ma è molto interessante anche per uno spettatore altro, non coinvolto personalmente nella storia, perché vi ritroverà tanti aspetti esistenziali che in cuor suo riteneva fossero appartenute solo al suo mondo. A quel punto un’autobiografia diventa lo specchio in cui riflettersi.

È dotato di una memoria portentosa Tanino Marongiu, evidentemente sostenuto da una sensibilità non comune che gli ha permesso di tenere dentro, per tutta la vita, una serie di episodi che ricostruisce attimo per attimo, momento per momento come fosse la trama di un romanzo. Possono sembrare dettagli minimali nell’arco di una vita così lunga e varia, invece sono tasselli fondamentali per ricostruire un mosaico pieno di colori vivi.

La narrazione scorre su due binari paralleli, come se avesse vissuto due vite uguali e contrarie. Una è quella dei primissimi anni di vita e delle vacanze estive sino alla fine dell’adolescenza, vissuta nella Sardegna arcaica, contadina dei paesi dell’interno. Una realtà in cui le simbologie e le modalità di rapportarsi rispondono a canoni antichissimi, scanditi dai tempi della natura, più lenti rispetto ai ritmi caotici della città.

La stazione di Villanovatulo

La stazione di Villanovatulo

L’oggetto della sua narrazione sono due paesi simili dell’interno della Sardegna, entrambi a vocazione agro pastorale – quello del padre e quello della madre – che fungono da posti dell’anima e alimentano in Tanino un forte senso di appartenenza a una famiglia allargata, estesa a tutto il villaggio, un luogo denso di storia e di memoria, dove le generazioni precedenti tramandano ai più giovani, durante i lavori rurali o davanti al caminetto oppure al fresco nelle sere  d’estate, il susseguirsi quasi magico della vita.

Il richiamo consolante delle radici contadine resta presente, come uno dei fili conduttori, in buona parte del racconto e rappresenta un ancoraggio imprescindibile per il ragazzo prima e per l’uomo dopo.

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti» scriveva Pavese in La luna e i falò. Tanino Marongiu con la sua autobiografia non fa che confermare questo concetto. E poi c’è l’altro binario parallelo, il racconto della vita cittadina, a creare un dualismo, questa volta bonario, con l’apertura mentale al mondo della città.

Villanovatulo, autunno 46, i fratelli Marongiu con la mamma e l'insegnante

Villanovatulo, autunno 1946, i fratelli Marongiu con la mamma e l’insegnante

Scorrono davanti agli occhi di Tanino bambino, la guerra, lo sfollamento nei paesi di origine dei genitori, poi il ritorno a Cagliari e la ricostruzione della città. Marongiu racconta la povertà del dopoguerra come fosse un momento passeggero da dover comunque passare, giocando tra le case bombardate, inventandosi i giocattoli che allora non c’erano, certi di un avvenire nuovo, diverso dalle sofferenze del passato.

Un futuro radioso che nel volgere di qualche anno avrebbe ridato nuova vitalità a Cagliari, avvicinandola alla realtà nazionale più di quanto lo fosse stato sino ad allora. Contemporaneamente alla ricostruzione della città, descritta attentamente anche dal punto di vista topografico, il racconto testimonia il miglioramento della condizione lavorativa del padre/capofamiglia, che da venditore ambulante arriva ad ottenere una stabilizzazione certa, dando una certa forza economica alla famiglia.  

Autunno 48, i tre fratelli Marongiu con i genitori nel giardino di casa

Autunno 1948, i tre fratelli Marongiu con i genitori nel giardino di casa

Gli anni cinquanta per Tanino coincidono con la scolarizzazione e con essa quella leggerezza di vita che lo porterà a intessere una serie di relazioni amicali, attraverso i compagni di scuola e di quartiere, con tutta una generazione di coetanei che lo accompagnerà, sempre presente, sino alla vecchiaia. Sono relazioni nuove rispetto al passato e a quelle tenute dai suoi genitori. L’idea del tempo, anche se contingentato, a disposizione da poter “sprecare” per intessere relazioni sociali con ragazzi e ragazze, attraverso il su e giù nella neonata Via Dante che nelle intenzioni dei progettisti avrebbe dovuto soppiantare la Via Roma, da sempre il cuore pulsante della città, è di per sè un evento eversivo rispetto alle relazioni amicali veloci e frugali del passato, in cui i genitori erano schiavi delle urgenze lavorative e del proprio pudore.

E poi il liceo! Non è un liceo qualsiasi il “Dettori”, ma il migliore di Cagliari, quello più famoso, riservato alla migliore gioventù cagliaritana, quello che ti permette di inserirti nel cuore della città grazie ai tanti amici di valore, spessissimo di estrazione sociale alta, ben diversa da quella dell’autore. Da appena messo piede in quelle vecchie aule scolastiche pregne di storia, Tanino si trova introdotto da protagonista nelle dinamiche giovanili della città. È solo questione di tempo e di volontà nello studiare, ma chi frequenta quella scuola sa di avere un futuro assicurato.  

3a Liceo Dettori,1959-60

3a Liceo Dettori, 1959-60

E mentre la sua vita avanza pagina per pagina in quei magici anni cinquanta, di pari passo viene descritto il decollo di Cagliari come città “nazionale”, perfettamente inserita nelle mode e nelle abitudini in voga nelle altre grandi città italiane. Marongiu, che non possiede nemmeno una vecchia Lambretta da poter esibire, non per questo si chiude in se stesso isolandosi, ma forte del suo saper stare al mondo, non disdegna di accompagnarsi con i ragazzi che dispongono di grosse macchine sportive e ville nelle migliori località turistiche. Sono gli amici benestanti che fanno a gara per tenerlo con loro.

Sono anni dedicati allo studio con l’obiettivo del diploma e poi dell’università certo, ma anche tempi dedicati allo svago. Sono gli anni dei balli organizzati nelle case private e dei primi amorini, con un orecchio teso a ciò che succedeva nel mondo, interesse inteso come scoperta di una identità cagliaritana che doveva per forza commisurarsi con il resto del mondo. È un periodo raccontato dettagliatamente quello del ginnasio prima e del liceo poi, un quinquennio che immette nei favolosi anni del boom economico, che omologa l’Italia intera alla società consumistica occidentale.

Stoccolma 1968, davanti al Palazzo Reale

Stoccolma 1968, davanti al Palazzo Reale

La vita degli studenti cagliaritani descritta da Marongiu non è per niente diversa da quella tramandataci dai film dell’epoca da I vitelloni sino a Il sorpasso: stessa voglia di scoprire il mondo, stessa necessità di scardinare abitudini ereditate dai genitori che avevano fatto il loro tempo. E tra le giornate studentesche le testimonianze che provengono dal mondo, non più così lontano, comunque in movimento: l’invasione dell’Ungheria, la passeggiata di Gagarin nello spazio, la crisi di Cuba, il Cagliari che arriva in serie A e che incredibilmente si confronterà con la Juventus, il Milan e l’Inter mondiale dopo decenni di derby inconcludenti con Torres e Carbonsarda.

Il suo scalare i gradini dell’ascensore sociale è scandito dal sottofondo delle motivazioni, caparbie e ostinate, dei genitori di far studiare i figli, anche a costo di grandi sacrifici, consci che sarebbe stato comunque un salto epocale. Dopo il liceo, l’università. Ha gia chiara la sua meta Tanino, la laurea in giurisprudenza e con l’importante “pezzo di carta” in tasca, un lavoro adeguato alla laurea. 

Quanto è cambiato il mondo di allora rispetto a oggi! Tanino appena laureato riceve una serie di proposte di lavoro che gli vengono offerti per posta e che puntualmente rifiuta, avendo come obbiettivo un posto pubblico. Dopo alcuni tentativi, in cui sconta sulla sua pelle il clientelismo politico e il non essere schierato con il partito di maggioranza di allora, si impiega ai vertici di aziende private, che operano in quella sorta di industrializzazione forzata, operata in Sardegna negli anni sessanta con fondi pubblici, un’economia assistita   destinata chiaramente a fallire appena finiti i fondi pubblici.

C’è tanto altro ovviamente nella autobiografia. Non può essere altrimenti per una persona che è partita da umili origini per poi arrivare a ruoli di estrema responsabilità. Soprattutto lo sostiene, nella prova della vita, un orgoglio latente, rispettoso della vita altrui, probabilmente non visibile all’esterno da parte delle persone che ha incrociato nelle sue esperienze, ma sempre presente nel suo animo, per il percorso fatto, rivendicando la provenienza da una famiglia modesta e immigrata dall’interno in città.  E Tanino mai dimentica le sue origini nemmeno quando diventa un valente dirigente d’azienda.

Un’altra specificità dell’autobiografia Ho scavalcato il 900 riguarda il sessantotto. Chi ha vissuto quegli anni, soprattutto se da studente impegnato in politica, tende o a enfatizzare quel periodo oppure a prenderne le distanze, quando la collocazione attuale nella società l’ha portato a occupare ruoli pubblici o lavorativi allora oggetto di contestazione. Tanino Marongiu invece taglia la testa al toro. Dedica solo qualche riga a quel periodo di sommovimenti che passa per lui praticamente da spettatore.

agosto 1984 a Parigi

Parigi, agosto 1984

Non esita a rivendicare l’appartenenza a un gruppo esiguo che non è schierato apertamente, riconoscendosi in una forza politica che viene da molto lontano, i repubblicani, che in qualche modo prende le distanze da tutto il fermento dell’epoca. Ecco anche questa è una specificità, perché dimostra che in quel periodo si poteva attraversare la storia anche senza accasarsi con una delle parti in causa. Ciò non significa che Tanino non abbia partecipato al suo tempo, ma semplicemente che, avendo un altro punto di vista rispetto ai due filoni di estrema destra e di estrema sinistra, ha vissuto quell’era in posizione semplicemente più defilata.

Ma non è solo storia patinata questa biografia: all’improvviso tra le pagine che scorrono tranquille con tutte le cose che vanno per il verso giusto, le conquiste una dietro l’altra (il diploma, la laurea, il lavoro, il matrimonio), a spezzare l’incantesimo di una storia tutta in positivo, arrivano anche le disgrazie che la vita riserva un po’ a tutti. La sua famiglia è vittima di un lutto terribile che segnerà per sempre anche il legame matrimoniale con la separazione dalla propria moglie e il disintegrarsi della famiglia come tradizionalmente la si intende. Malgrado ciò la vita continua e prosegue attraverso i successi professionali dei figli e alcune esperienze politiche di Tanino, alcune positive come l’elezione a consigliere comunale del comune di Cagliari, altre piuttosto deludenti.

In definitiva quella di Tanino Marongiu, è una narrazione attenta e veritiera dal dopoguerra a oggi. Nelle sue pagine si colgono, scritte con un linguaggio corretto e ricercato, frutto dei suoi studi classici e della formazione universitaria, i cambiamenti epocali dell’Italia intera dalla Seconda guerra mondiale a oggi, e soprattutto l’orgoglio, l’ostinazione e la caparbietà di chi può trasmettere il suo racconto con un alto senso della dignità della vita vissuta secondo valori. 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022

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Ilario Carta, abita a Cagliari, laureato in materie letterarie, ha lavorato per quarant’anni presso la Regione Sardegna nell’ambito delle politiche sociali ricoprendo ruoli funzionariali e dirigenziali. Impegnato nella scrittura letteraria, a tutt’oggi ha pubblicato con Arkadia editore tre romanziI giardini di Leverkusen (2015), Lo scorpione nello stomaco (2017) e Espiazioni collettive (2019). Con I giardini di Leverkusen nel 2016 ha vinto il premio Osilo quale miglior romanzo sardo di narrativa ed è stato tra i 20 finalisti del Premio Fante. Ha pubblicato un racconto nell’antologia Sardi per sempre delle Edizioni della sera di Roma e un altro racconto nell’antologia Ogni luogo ha la sua voce con Palabanda edizioni.

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