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Tracce di cultura ebraica nella prefettura di Kumamoto (Giappone) nel periodo Kofun

Tumuli funerari del periodo Kofun (III sec. d.C.) nella prefettura di Kumamoto (ph. Olimpia Niglio, 2021).

Tumuli funerari del periodo Kofun (III sec. d.C.) nella prefettura di Kumamoto (ph. Olimpia Niglio, 2021)

di Olimpia Niglio

La presenza della cultura ebraica in Giappone è un tema alquanto affascinante soprattutto se lo colleghiamo ai difficili dialoghi che l’Occidente aveva tentato di instaurare sin dal XIII secolo con le terre dell’estremo Oriente, quando molti viandanti avevano intrapreso il viaggio per raggiungere le terre “dove sorge per prima il sole”, percorrendo l’antica via della Seta.

Intanto la presenza ebraica, ancora oggi, è tema tutto da esplorare e studiare, anche se non mancano tracce importanti e studi archeologici che si sono avvicendati soprattutto a partire dalla fine del secolo scorso. Non c’è dubbio che un riferimento interessante per comprendere proprio la presenza ebraica lungo la via della Seta sia il libro Il Milione che racconta il viaggio di Marco Polo e dei membri della sua famiglia tra il 1271 e il 1295.

Infatti, proprio nel libro di Marco Polo si parla di un incontro presso la città di Fuzhou (Fugiu) nella Cina Meridionale.

«Qui Marco Polo e lo zio Maffeo avevano incontrato una comunità e […] scoprirono che era di una religione dell’area mediterranea. Infatti, essi avevano dei libri, e messer Maffeo e messer Marco, leggendoli cominciarono a interpretarne la scrittura e a tradurla da parola a parola e da lingua a lingua; scoprirono così che erano le parole che trattavano di testi biblici. Allora domandarono loro da chi avessero avuto quella legge e quella dottrina, ed essi risposero “dai nostri antenati”. Avevano infatti in un certo tempio tre immagini dipinte, che erano tre apostoli – dei settanta che andarono predicando nel mondo – e dicevano che i loro antenati erano stati anticamente istruiti in quella legge e che conservavano quella fede già da settecento anni ma erano stati per molto tempo senza insegnamento, per cui ne ignoravano le cose principali […]» (trascrizione tratta dal volume di Matteo Nicolini-Zani, 2006: 11).

Quanto asserito da Marco Polo trova molti e importanti riscontri soprattutto negli antichi testi sino-cristiani che Matteo Nicolini analizza nel suo volume La via radiosa per l’Oriente, aiutandoci a ripercorrere tappe fondamentali anche della diffusione della cultura ebraica nel continente Asiatico centrale e orientale attraverso la via della Seta. Infatti, si trattava di primigenie forme di dialogo interreligioso che si generarono lungo le vie carovaniere dell’Asia centrale per poi spingersi fino al Giappone.

Una storia caratterizzata da numerosi e complessi incontri tra popoli e civiltà ma che ha consentito di mettere alla prova la forza missionaria della cultura ebraica fin da tempi più remoti, probabilmente già dalle deportazioni di diverse comunità nelle terre della Persia, sin dal III secolo d.C. Infatti, tra i deportati c’erano anche tanti ebrei e tra loro anche religiosi.

Questo tema investe campi di studio molto complessi, affrontati da autorevoli studiosi, tra cui John England, Samuel Hugh Moffett, Ian Gillman, Hans Joachin Klimkeit, Suha Rassam, solo per citarne alcuni, ma è agli scritti di questi studiosi che dobbiamo riferirci per avere autorevoli riferimenti su cui basare anche la trattazione di questo breve contributo.

Fig.8. Antica“haniwa” del periodo Kofun custodita presso l’Asian Art Museum di San Francisco in California.

Antica“haniwa” del periodo Kofun custodita presso l’Asian Art Museum di San Francisco in California

Tracce archeologiche della presenza ebraica soprattutto in Asia Centrale risalgono già al principio del primo millennio e ne sono testimonianza non solo le tradizioni funerarie ma anche la presenza di oggetti proprio all’interno delle pietre tombali che riportano iscrizioni nella lingua locale ma con riferimenti chiaramente giudaici. Molti anche i simbolismi sincretici dal momento che accanto alla croce si ritrovano rappresentazioni di persone con aureola e il fiore di loto. Parecchie anche le incisioni ritrovate su alcune rocce visibili percorrendo i tratti più impervi dell’antica via della Seta e che mostrano proprio l’opera intrapresa da mercanti e religiosi giunti in Asia lungo le principali rotte carovaniere. Moltissimi gli edifici cristiani riscontrati nelle mappe delle principali città asiatiche già in epoca preislamica. Qui risulta interessante annotare che le città orientali erano strutturate in tre precise zone: “arg” la zona del potere e sempre delimitata da mura di difesa; “shahrustan” il quartiere dei nobili posto vicino alla cinta muraria e poi il “rabad” ossia il quartiere dei commercianti. Ed è proprio in questa terza area che trovarono collocazione le prime comunità ebraiche che prevalentemente svolgevano attività mercantili e pertanto avevano necessità di stabilire contatti e aprire dialoghi con persone del posto ma anche con persone di diverse provenienze (Carcione, 1998).

Queste premesse aiutano ad intendere secondo quali principali modalità si registrarono presenze mediterranee lungo quelle vie carovaniere che partivano proprio dalle coste orientali del Mar Mediterraneo, laddove si trovavano anche i principali porti di approdo per coloro che intraprendevano questi viaggi esplorativi nel continente asiatico. Più difficile, invece, è immaginare come queste comunità del Mediterraneo orientale siano giunte nell’arcipelago nipponico e soprattutto a partire da quale epoca. Contrariamente a quanto si possa immaginare in Giappone la presenza della cultura ebraica si attesta in epoche molto remote e in particolare sin dal periodo “Kofun”, ossia tra la metà del III secolo e l’inizio del VII secolo d.C. secondo il calendario gregoriano, quindi già prima dell’arrivo della cultura buddista, proveniente dal Tibet.

La denominazione “kofun” 古墳 in giapponese significa tumulo, ossia area di sepoltura, in quanto in questo periodo erano particolarmente diffuse le tombe ricoperte da tumuli di terra. Questa tipologia prevedeva una camera funeraria costruita con elementi di pietra, le cui caratteristiche formali e decorative dipendevano dal rango del defunto. Se osserviamo la planimetria di questi Kofun non è difficile intuire che sembrano simboleggiare buchi di serrature di porte. Questi luoghi sepolcrali erano sempre circondati da un fossato pieno di acqua, chiara allegoria del passaggio dalla vita terrena a quella della morte. Queste colline assumevano poi dimensioni differenti a seconda delle caratteristiche delle camere funerarie e del rango della famiglia sepolta.

Parco Archeologico di Nagomi. Tumulo di Eta-Funayama, Tamana, Prefettura di Kumamoto. Composizione della foto di Olimpia Niglio, 2021.

Parco Archeologico di Nagomi. Tumulo di Eta-Funayama, Tamana, Prefettura di Kumamoto (ph. composizione Olimpia Niglio, 2021)

La maggiore presenza di “kofun” in Giappone si attesta nella zona sud e precisamente in quella occidentale dell’isola di Kyushu, tra la prefettura di Fukuoka e quella di Kumamoto. Qui, in particolare, vicino la cittadina di Tamana, tra Nagomi e Yamaga, si trovano importanti tumuli funerari che documentano la presenza di antichissimi insediamenti sin da epoche molto remote e, in particolare, proprio in questi territori sono state rinvenute le prime tracce della scrittura giapponese.

Interessante qui annotare il tumulo di Eta-Funayama del V secolo d.C. rinvenuto solo nel 1873 (6°anno Meiji), che costituisce un esempio notevole di tumulo nobiliare dove sono stati ritrovati anche diversi oggetti di argento e bronzo e statuine di terracotta, oggi custoditi presso il Museo Nazionale a Tokyo, mentre presso il museo locale del parco archeologico di Nagomi sono esposte delle riproduzioni.

Tumuli funerari dell’epoca Kofun (III-VII secolo d.C.) a Yamaga nella prefettura di Kumamoto. Foto di Olimpia Niglio, 2021.

Tumuli funerari dell’epoca Kofun (III-VII secolo d.C.) a Yamaga nella prefettura di Kumamoto (ph. Olimpia Niglio, 2021)

In un articolo pubblicato nel 1988 da Yuji Mizoguchi (National Science Museum, Tokyo) l’autore si sofferma sull’evoluzione genetica del popolo giapponese che aveva preso avvio dalla civiltà Jomon, comunità di importanti cacciatori e pescatori che si erano insediati nella zona nord dell’arcipelago e principalmente nel nord dell’isola di Honshu e in Hokkaido, con chiare influenze mongole. Intanto durante il periodo Yayoi (dal 400-300 a.C. al 250-300 d.C.) si erano registrate consistenti immigrazioni verso la zona sud dei Jomon ma anche di popolazioni provenienti dal continente e in particolare dalla Corea. Questi studi di Mizoguchi sono stati orientati all’analisi dell’evoluzione genetica e delle influenze che i nativi giapponesi avevano ricevuto dall’esterno. Proprio da queste ricerche scientifiche è stato possibile riscontrare come alcune caratteristiche cefalee erano simili alle persone nate sulla costa orientale del Mediterraneo e quindi delle comunità ebraiche e dei nativi del Medio Oriente. A tutto questo si sono associati anche studi sul DNA sostenuti dal Hidemichi Tanaka, storico dell’arte della Tohoku University di Sendai che, in un suo ultimo libro pubblicato nel 2019, ha confermato l’ipotesi di Mizoguchi, proponendo anche una rilettura geografica dei vari insediamenti delle comunità ebraiche lungo la via della Seta.

Mappa degli insediamenti ebraici lungo le vie carovaniere asiatiche. La mappa è tratta dal volume di Hidemichi Tanaka, 2019, p. 68

Mappa degli insediamenti ebraici lungo le vie carovaniere asiatiche (dal volume di Hidemichi Tanaka, 2019: 68)

Da questa nuova indagine si evince come il passaggio in Giappone era avvenuto tramite la Corea che è poco distante dall’isola di Hyushu a sud dell’arcipelago nipponico. Questa ipotesi è stata sostenuta anche dal professore Masaaki Ueda, dell’Università di Kyoto, esperto in fenomeni migratori tra il nord-est asiatico e le isole del Giappone. 

Inoltre, la presenza della comunità ebraica è stata poi confermata dal ritrovamento di arredi funerari o meglio detti “haniwa”, ossia oggetti di argilla di differenti dimensioni e caratteristiche ritrovati nelle sepolture a tumulo (Tanaka, 2019). Questo tema ribadisce e certifica la presenza della cultura ebraica in Giappone sin dal periodo Kofun non solo per le tracce genetiche ma anche grazie ai numerosi ritrovamenti di statuine di differenti caratteristiche e dimensioni portate alla luce durante gli scavi archeologici nelle aree funerarie e che si ricollegano chiaramente alla cultura ebraica.

Fig.5. Copertina del libro di Hidemichi Tanaka (2019), 発見! ユダヤ人埴輪の謎を解く (Discover! Solve the mystery of the Jewish Haniwa), Bensei Publishing, Tokyo

Copertina del libro di Hidemichi Tanaka (2019), 発見! ユダヤ人埴輪の謎を解く (Discover! Solve the mystery of the Jewish Haniwa), Bensei Publishing, Tokyo)

I guerrieri in epoca Kofun indossavano armature con spade e altre armi e utilizzavano strategie militari molto avanzate, proprio come quelle del nord-est asiatico. Ne sono prova gli “haniwa”, ossia le statuine d’argilla che venivano disposte ad anello sopra e intorno ai tumuli tombali. I più importanti di questi “haniwa” sono stati trovati nella zona meridionale dell’isola di Honshu, in particolare nella prefettura di Nara, antica capitale del Giappone e nella parte settentrionale dell’isola di Kyushu, nella prefettura di Kumamoto. Molti di questi reperti originari si trovano presso il Museo Nazionale di Tokyo ma anche presso musei stranieri come il British Museum a Londra e l’Asian Art Museum di San Francisco in California. 

Segni della cultura ebraica sono ben evidenti anche presso alcuni santuari shintoisti dell’area rurale della cittadina di Nagomi.

A sinistra la riproduzione di una “haniwa”, raffigurante un antico guerriero dell’epoca Kofun e ritrovato vicino Tamara, nella prefettura di Kumamoto (foto di Olimpia Niglio, 2021); a destra antica “haniwa” originaria dell’isola di Honshu e custodita presso il Tokyo National Museum.

A sinistra la riproduzione di una “haniwa”, raffigurante un antico guerriero dell’epoca Kofun e ritrovato vicino Tamara, nella prefettura di Kumamoto (ph. Olimpia Niglio, 2021); a destra antica “haniwa” originaria dell’isola di Honshu e custodita presso il Tokyo National Museum.

Infatti, su alcune basi in pietra sono incise immagini come grappoli di uva e animali esotici dell’area mediterranea che lasciano intuire l’incontro tra le culture occidentali e quelle orientali in epoche molto antiche. Alcune incisioni, tuttavia, si riferiscono anche ad epoche più recenti, attribuite al periodo Meiji (1867-1912), quando il Giappone aveva riaperto i confini e stabilito nuove relazioni con l’Occidente. Continuando ora a seguire queste tracce non ci resta che sperare in una ricostruzione storica e archivistica più approfondita al fine di fare luce su una storia che è ancora tutta da scoprire. 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022 
Riferimenti bibliografici 
Filippo Carcione (1998), Le Chiese d’Oriente. Identità, patrimonio e quadro storico generale, San Paolo, Cinisello Balsamo. 
Yuji Mizoguchi (1988), “Affinities of the Protohistoric Kofun People of Japan with Pre- and Proto-historic Asian Populations”, in Journal Anthrop. Soc. Nippon 人 類 誌 96(1): 71-109.
Matteo Nicolini-Zani (2006), La via radiosa per l’Oriente, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano. 
Hidemichi Tanaka (2019), 発見! ユダヤ人埴輪の謎を解く (Discover! Solve the mystery of the Jewish Haniwa), Bensei Publishing, Tokyo

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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente di Restauro e Storia dell’Architettura comparata. È Professore presso la facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Pavia. Dal 2012 a tutto il 2021 è stata Professore presso la Hosei University (Tokyo), la Hokkaido University, Faculty of Humanities and Human Sciences e presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. E’ Visiting Professor in numerose università sia americane che asiatiche. Dal 2016 al 2019 è stata docente incaricato svolge i corsi di Architettura sacra e valorizzazione presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum ISSR, con sede in Vicenza, Italia. È membro ICOMOS – International Council on Monuments and Sites – e ACLA – Asian Cultural Landscape Association. È Vice Presidente dell’ISC PRERICO, Places of Religion and Ritual, ICOMOS – International Council on Monuments and Sites – e Vice Presidente ACLA – Asian Cultural Landscape Association.  È President RWYC.

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