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Thesaurum fidei: il “secolo cristiano” nel Sol Levante. Un progetto dell’Arcidiocesi di Lucca

cop_mostra_thesaurum_fidei-scaleddi Paolo Giulietti, Olimpia Niglio

Il primo significativo incontro tra Oriente e Occidente avvenne lungo la Via della Seta, percorrendo strade che si estendevano dai Paesi dell’area Mediterranea a tutto il continente asiatico, deviando anche nel sud dell’India e raggiungendo talvolta perfino il Giappone. La denominazione “Via della Seta” apparve nel 1877 nell’opera Tagebücher aus China del geografo tedesco Ferdinand von Richthofen (1833-1905). Sembra che tale termine sia stato coniato proprio dallo studioso tedesco per indicare i principali tracciati di comunicazione commerciale tra l’Oriente e l’Occidente a partire dal III secolo a.C. fino ai nostri giorni [1].

La storia ci tramanda che proprio lungo queste rotte carovaniere, proprio dal III secolo a.C., fu possibile stabilire importanti relazioni commerciali persino tra Roma e l’Estremo Oriente, come testimoniano anche le ricerche archeologiche e vari ritrovamenti di oggetti e monete. È interessante ricordare, anche con riferimento a personalità italiane, che su queste rotte commerciali furono compiute imprese epiche come quella di fra Giovanni da Pian del Carpine, dei mercanti veneziani Matteo e Niccolò Polo, e del figlio di quest’ultimo, Marco, fino a ricordare le eroiche avventure del gesuita Matteo Ricci di Macerata e del domenicano Angelo di Bernardino Orsucci di Lucca, martirizzato a Nagasaki in Giappone nel 1622, e di cui presso il palazzo di famiglia in Lucca una lapide ricorda il triste evento.

Marco Polo (1254-1324) era partito per l’Oriente nel 1271 e certamente non giunse in Giappone, ma con tutta probabilità aveva avuto modo di ascoltare notizie su questo Paese che nell’opera Il Milione (1298) aveva descritto in modo molto sommario, come un territorio ricco di miniere d’oro, come effettivamente poi si è dimostrato – pensiamo come esempio significativo alle miniere dell’isola di Sado, nella prefettura di Niigata –, ma che il Kubilai Khan tentò di conquistare nel 1281 senza buoni risultati [2].

Come annota Adriana Boscaro [3], il Giappone era chiamato “Zipangu”, “Cipangu”, “Zapanu” o ancora “Sipangu” a seconda dei manoscritti, ma tale nome lo ritroviamo anche nel Milione di Marco Polo, che per la prima volta aveva citato l’isola di “Zipagu”:

«Zipagu è una isola in levante, ch’è nell’alto mare in mille cinquecento miglia. L’isola è molto grande, le genti sono bianche, di bella maniera e belle; la gente è idola, e non ricevono signoria da neuno, se no’ da loro medesimi. Qui si truova l’oro, però n’hanno assai» [4]. 

Tuttavia, le origini dei rapporti tra l’Europa e il Giappone vanno ricercate all’interno di una prospettiva di evangelizzazione. Antichi documenti testimoniano che i primi contatti e scambi culturali con l’Estremo Oriente si ebbero in piena epoca Muromachi (1392-1573); ma i primi contatti stabili si ebbero a partire dal XVI secolo, quando molti missionari europei si recarono in Estremo Oriente con la finalità di divulgare la fede cristiana. Per oltre un secolo questa azione di evangelizzazione aveva favorito anche interessanti e proficui scambi culturali, di cui sono testimonianza concreta i molti scritti dei padri missionari; e certamente la loro opera aveva creato i presupposti per condividere una prima importante “rete di scambi”.

71ept9vii9l-_ac_uf10001000_ql80_Intanto, è soltanto a partire dalla metà del XV secolo che le politiche di espansione commerciale principalmente del Portogallo e della Spagna favorirono missioni esplorative verso le terre più estreme dell’Oriente. Furono proprio i portoghesi a raggiungere per primi le terre di Goa in India e Malacca in Malesia.

Negli ultimi decenni un numero sempre più crescente di studiosi di varie nazionalità ha rivolto particolare attenzione al tema dell’espansione europea in Asia dal XV al XVI secolo, analizzando manoscritti inediti, descrizioni di viaggi e testi storici, ma principalmente rileggendo e trascrivendo una copiosa documentazione d’archivio conservata tra Portogallo, Spagna, Italia e Giappone.

Studi specifici sulla trattazione, nonché più recenti aggiornamenti confermano che i primi importanti contatti tra il Giappone ed il Vecchio Continente si ebbero a partire dalla metà del XVI secolo quando, sulle isole sud-occidentali del Sol Levante, giunsero le prime navi portoghesi ed anche i missionari tra cui la Compagnia di Gesù [5]. Quest’ultima fu riconosciuta da papa Paolo III come ordine religioso nel 1540, e solo a seguito di una richiesta del re Giovanni III del Portogallo al Papa i gesuiti iniziarono la loro attività missionaria fondando la loro base presso Goa in India.

Fu Francisco Saverio Javier (1506-1552), gesuita spagnolo, che durante la sua permanenza a Malacca, in Malesia, conobbe con molta probabilità mercanti portoghesi o forse anche giapponesi, e grazie alle descrizioni di questi decise di affrontare il viaggio verso l’Estremo Oriente, giungendo a Kagoshima sull’isola di Kyūshū nel 1549. Così annota in una lettera ai confratelli nel gennaio 1548: 

«Mentre stavo in questa città di Malacca alcuni mercanti portoghesi, uomini di molto credito, mi diedero grandi notizie di alcune isole assai grandi, scoperte da poco tempo a questa parte, le quali si chiamano Isole del Giappone» [6]. 

Notizie più concrete però sono quelle che ricordano come già nel 1543 naufragassero sulle coste giapponesi alcuni mercanti portoghesi che avevano avviato un proficuo scambio commerciale tra la Cina e il Giappone [7]. A Jorge Álvarez, uno dei capitani portoghesi che gestivano questi traffici commerciali in Estremo Oriente, pare che spetti il merito di aver scritto nel 1547, su invito del missionario gesuita spagnolo Francisco Javier, le prime importanti notizie sul Giappone. Proprio grazie alle notizie ricevute da Álvarez, Javier aveva poi deciso di intraprendere il suo viaggio.

71vscglr44l-_ac_uf10001000_ql80_Quella di Jorge Álvarez fu certamente la prima e più lunga relazione sui territori del Sol Levante mai scritta prima da un occidentale [8]. Ovviamente la relazione non solo costituì una base fondamentale di riferimento per i missionari gesuiti, ma fu inserita da Francisco Javier, primo evangelista in Giappone nella citata lettera di sua mano, scritta il 20 gennaio 1548 dalla città di Kochi, sul versante sud-occidentale dell’India, e indirizzata ai suoi confratelli a Roma [9]. La lettera di Javier fu presto tradotta in latino per assicurare una maggiore diffusione presso tutte le sedi della Compagnia di Gesù nei vari Paesi, e senza dubbio costituì una base molto importante per annotare preliminari informazioni su un Paese a molti sconosciuto.

Nella sua relazione Álvarez si era soffermato molto su descrizioni ambientali come il clima, la flora e la fauna, abitudini alimentari del popolo giapponese, sulla loro religione e le loro particolari abitazioni. Molto interessanti le annotazioni riguardanti il loro carattere orgoglioso e amabile, il loro abbigliamento e la corporatura media e robusta e di pelle bianca che caratterizzava questo popolo dedito al lavoro, e dai lineamenti eleganti e delicati. Così annotava Álvarez: 

«I loro abiti sono corte vestaglie che arrivano al ginocchio, con maniche che arrivano fino al gomito, che sembrano maniche imbottite; portano le braccia scoperte dal gomito alla mano e sopra alle vestaglie indossano delle cotte di lino grezzo e rado che pare velo ed è nero, o bianco, o bruno, o azzurro, con dipinti sulle spalle e sul davanti una rosa o un attraente disegno molto bello e naturale; portano mutandoni allo stesso modo della cotta molto lunghi e stretti, aperti sui fianchi con dei nastri con cui si stringono, e sul davanti e il didietro queste mutande hanno degli arcioni di cuoio di cavallo larghi e lunghi quattro o cinque dita ricoperti dello stesso panno, e queste mutande le portano legate sopra la vestaglia e le cotte. Portano scarpe di paglia coi piedi fuori per metà, e lo considerano elegante» [10]. 

Così, con il supporto delle informazioni contenute nella relazione del capitano Álvarez, e fortemente incoraggiato anche dai numerosi racconti di mercanti portoghesi, Francisco Saverio Javier intraprese il viaggio in Giappone, dove sbarcò il 15 agosto 1549 nel porto di Kagoshima, nell’omonima prefettura al sud dell’arcipelago nipponico, sull’isola di Kyūshū. I documenti testimoniano che la sua permanenza durò fino alla metà di novembre del 1551, quando intraprese poi il rientro in Europa, che mai raggiunse in quanto morì il 3 dicembre 1552 sull’isola di Sachón nella Cina Meridionale. Non c’è alcun dubbio che il suo arrivo in Giappone però segnò l’inizio del meglio noto “secolo cristiano” conclusosi nel 1639 con la persecuzione e la cacciata definitiva da parte dello shogunato Tokugawa di tutti gli occidentali cristiani [11].

Una volta in terra nipponica, Francisco Javier intraprese subito un viaggio verso la capitale, Kyoto, ma le sue principali attività di conversione al Cristianesimo si svolsero sull’isola di Kyūshū e in particolare a Hirado, a sud, nella prefettura di Saga, e presso la prefettura di Yamaguchi, la parte più occidentale dell’isola di Honshū.

Javier fu certamente il primo ad essere venuto in contatto con la cultura giapponese, ne aveva riconosciuto l’alto valore culturale e spirituale, e sulla base di questo aveva dato avvio ad una linea di adattamento del Cristianesimo al buddismo e allo shintoismo; nonostante ciò non fu in grado di distruggere una premessa fondamentale ossia che la cultura europea, vale a dire quella cristiana, era superiore a tutte e che l’insegnamento cristiano era l’unica via in grado di condurre alla vera salvezza. Tutto ciò non trovò alcun riscontro ed interesse nel buddhismo e nello shintoismo, culture politeiste e in cui vigono la tolleranza e la capacità di inclusione [12]. A partire dal 1550 si intensificarono notevolmente i viaggi delle navi mercantili portoghesi che giunsero al largo dell’isola di Hirado. 

Fig. 1: Ricostruzione grafica con la localizzazione dei principali siti del Cristianesimo nascosto sull’isola di Kyūshū nel sud del Giappone (ricostruzione degli autori).

Ricostruzione grafica, a cura degli autori, con la localizzazione dei principali siti del Cristianesimo nascosto sull’isola di Kyūshū nel sud del Giappone

Tali lettere, che sono considerate unanimemente «monumenti preziosi [...] per la conoscenza che all’Europa apportarono dell’ignorata civiltà giapponese»[13], e sulle cui conoscenze si è iniziato poi a investigare, conobbero un’immediata e larga diffusione. La permanenza seppur breve di Francisco Javier aprì però il tracciato ai confratelli gesuiti che seguirono le sue orme e che ebbero maggior impulso sull’opera di evangelizzazione e nei rapporti tra Europa e Giappone.

Dopo la partenza di Francisco Javier nel 1551, in Giappone si contava già un consistente numero di convertiti al cristianesimo, e molti altri gesuiti giunsero per continuare la missione da lui intrapresa. Le numerose lettere che i missionari inviarono a Roma tra la metà del XVI e i primi decenni del XVII secolo segnano una testimonianza molto importante della loro opera e di quanto fu possibile realizzare e costruire, nonché approfondire circa la cultura del popolo nipponico [14].

Sulla base delle notizie contenute in queste lettere, lo storico gesuita Daniello Bartoli (1603-1685) nel 1660 aveva dato alle stampe i cinque libri sul Giappone contenuti nella sezione Asia, che apparteneva al più ampio progetto, rimasto incompiuto, della Storia della Compagnia di Gesù nel mondo. La ricca corrispondenza e i numerosi scritti dei suoi confratelli in Giappone avevano costituito senza alcun dubbio una fonte inesauribile di informazioni che il Bartoli aveva riordinato e trascritto, forse anche apportando contributi personali, e poi narrando le tristi vicende dei martiri e delle persecuzioni. In particolare, la narrazione era fortemente incentrata ad evidenziare lo sforzo sempre più eroico e sempre più contrastato dei gesuiti nell’opera di evangelizzare una terra divenuta ben presto molto ostile.

800px-portret_van_daniel_bartolus_rp-p-1886-a-10653Nel frattempo, l’idea di una missione giapponese in Europa, nota con il nome di Ambasciata Tenshō, fu molto caldeggiata dal gesuita Valignano e sostenuta da tre prìncipi giapponesi: Ōmura Sumitada (1532-1587), Ōtomo Sōrin (1530-1587) e Arima Harunobu (1567-1612). La missione partì da Nagasaki il 20 febbraio 1582 e terminò oltre otto anni dopo con il rientro nel luglio 1590. Furono quattro gli ambasciatori giapponesi ordinati gesuiti dallo stesso Alessandro Valignano: Mancio Itō, Miguel Chijiwa, Julião Nakaura e Martinho Hara. Sbarcarono nel porto di Livorno il 1° marzo 1585, in piena Controriforma, per offrire la loro obbedienza a papa Gregorio XIII e poi al successore Sisto V. Come stabilito nel breve Ex Pastoralis Officio del 1585, papa Gregorio XII riservò le missioni in Giappone ai soli gesuiti [15]. Nello stesso anno, il 9 agosto i giovani giapponesi ripartirono dal porto di Genova dopo aver visitato anche altre città italiane secondo il seguente calendario: 

Fig. 2: Mappa dell’itinerario dell’Ambasceria Tensho in Italia (1585) in cui sono indicate le province presso cui sono stati ricevuti i giapponesi cristiani (con riferimento alle città indicate nell’elenco). Considerato il periodo storico non c’è alcun riferimento alla perimetrazione diocesana attuale, che non corrisponde con quella amministrativa.  (ricostruzione grafica degli autori).

Mappa dell’itinerario dell’Ambasceria Tensho in Italia (1585) in cui sono indicate le province presso cui sono stati ricevuti i giapponesi cristiani (con riferimento alle città indicate nell’elenco). Considerato il periodo storico non c’è alcun riferimento alla perimetrazione diocesana attuale, che non corrisponde con quella amministrativa (ricostruzione grafica degli autori)

1 marzo 1585: Livorno e Pisa; 8 marzo: Firenze; 14 marzo: Siena; 18 marzo: Viterbo; 19 marzo: Montefiascone; 20 marzo: Bagnaia; 21 marzo: Caprarola; 22 marzo: Roma; 3 giugno: Civita Castellana; 4-5 giugno: Narni e Spoleto; 6-7 giugno: Assisi e Perugia; 10 giugno: Camerino; 11 giugno: Macerata; 12 giugno: Loreto; 14 giugno: Ancona; 16 giugno: Urbino; 18-21 giugno: Bologna; 22 giugno: Ferrara; 25 giugno: Venezia; 6 giugno: Padova; 8 luglio: Vicenza; 10 luglio: Verona; 13-23 giugno: Mantova; 25 luglio: Milano; 3 agosto: Pavia; 4 agosto: Voghera; 5-8 agosto: Genova. 

L’ambasciata Tenshō fece ritorno in patria nel 1590, e dei quattro giovani cristiani giapponesi, solo uno di essi fu bandito dal Giappone rifugiandosi in Cina; per gli altri la sorte fu più severa, morendo alcuni anni dopo martiri a Nagasaki nel 1622. Sul finire del XVI secolo era infatti iniziata una drammatica fase storica per il Cristianesimo in Giappone.

Intanto, al principio del XVII secolo, nonostante le repressioni e le persecuzioni fossero sempre più aspre lo spagnolo Luís Sotelo (1574-1624), francescano giunto in Giappone nel 1603 e impegnato nella diffusione del Cattolicesimo, ebbe modo di confrontarsi immediatamente con una situazione locale molto avversa, generata anche dall’inizio dello shogunato Tokugawa. Nel tentativo di risanare un clima piuttosto inquinato dalle forti tensioni interne con gli ordini religiosi occidentali, nonché di stabilire una costruttiva collaborazione con le autorità politiche giapponesi, Sotelo si propose come promotore e sostenitore di accordi economici tra lo shogunato e la corona di Spagna. Con questa importante finalità diplomatica, il missionario francescano organizzò una seconda ambasceria giapponese in Europa, con il fine di ottenere, attraverso la mediazione di papa Paolo V Borghese, l’appoggio della Spagna alla politica commerciale che aveva proposto al governo giapponese.

Così, alla missione voluta da Valignano ne seguì una seconda da parte dei giapponesi nel periodo Keichō (1596-1615), nota come “Ambasciata d’Europa”. Infatti, col sostegno di un potente signore feudale della città di Sendai del Giappone, Date Masamune (1567-1636), Luís Sotelo partì alla volta della Spagna e poi di Roma. Il viaggio fu intrapreso il 28 ottobre 1613 insieme a ben 180 persone che accompagnavano la delegazione dell’ambasceria [16]. Così ne scrive Lo studioso giapponese Masumi Ishinabe della Seijo University in Tokyo: 

«Con il nome “Ambasciata in Europa nell’era Keicho” si intende l’ambasciata inviata da Date Masamune, signore di Sendai, in Spagna e a Roma. Il missionario francescano di Siviglia Luís Sotelo ne era a capo, e il suo vice era Hasekura Rokuemon Tsunenaga, vassallo di Masamune (in Europa Tsunenaga era considerato ambasciatore, cioè capo della spedizione). Lo scopo principale di questa ambasciata era eseguire trattative commerciali con il Messico (Nova Ispania), ma si pensa fosse stata approvata anche dallo shogunato. Naturalmente, il pensiero di Sotelo era rivolto al proselitismo. Circa 180 uomini partirono il 28 ottobre 1613 da Tsukinoura nella penisola di Ogika. Il nome della nave era San Juan Bautista. Il 25 gennaio 1614 giunsero sulla spiaggia di Acapulco, in Messico. Il 5 ottobre dello stesso anno, attraversato l’oceano Atlantico, arrivarono in Spagna, a Coria del Rio, in tutto 31 persone (2 padri spagnoli, 2 interpreti, 10 vassalli di Sendai con Tsunenaga, e si dice anche altri cristiani con alcuni commercianti).

Dopo aver ricevuto una festosa accoglienza a Siviglia, il gruppo arrivò a Madrid, sotto la neve, il 20 dicembre 1614. Il 17 febbraio Tsunenaga venne battezzato in una chiesa del convento reale, alla presenza di re Filippo III e consorte. Il suo nome di battesimo fu Filippo Francisco Hasekura Rokuemon. Il gruppo, dopo un percorso tortuoso, partì per Roma il 22 agosto 1615, e vi arrivò il 25 ottobre. Il 29 ottobre vennero accolti in città da una sontuosa celebrazione. A Roma soggiornarono nel convento di Santa Maria in Aracoeli, ed ebbero un’udienza con papa Paolo V. Il cardinale Scipione Borghese fungeva da loro guida e battezzò l’ufficiale (Geki) Kodera. Inoltre, Tsunenaga e gli altri 8 ricevettero l’attestato di cittadinanza di Roma. Prima di fare ritorno in patria visitarono Villa Borghese (odierna Galleria Borghese) e venne loro offerto un banchetto. Il 7 gennaio 1616 il gruppo lasciò Roma.

Dopo la partenza da Tsukinoura, all’incirca nei pressi di Acapulco, lo Shogun Tokugawa Ieyasu emise il bando contro il Cristianesimo. Certamente una spedizione compiuta in così breve tempo si può considerare un miracolo, ed è sicuramente un episodio raro nella storia del Giappone» [17]Questa nuova ambasceria non riscosse però le finalità sperate soprattutto per le relazioni commerciali tanto auspicate da Sotelo. Diversamente, ebbe un riscontro culturale molto interessante, al pari se non superiore alla precedente.

Una volta giunta in Italia, anche se nel frattempo nel lungo viaggio c’erano state perdite, la delegazione giapponese viene accolta in diverse città italiane fino a raggiungere Roma, dove fu ricevuta da papa Paolo V e dalla famiglia Colonna, che l’aveva fortemente sostenuta. Come per la precedente ambasceria, anche in questo caso furono redatti documenti e descrizioni che illustravano e raccontavano la nuova importante visita giunta dall’Estremo Oriente: tra i principali documenti, merita certamente una menzione la Historia del Regno di Voxu del Giappone (1615) 3167edita da Scipione Amati, che nel 1615 accompagnò l’ambasceria in qualità di interprete e di cronista da Lisbona a Roma. Proprio nel volume dell’Amati è descritta la cerimonia ufficiale con cui gli ambasciatori giapponesi furono accolti a Roma da papa Paolo V il 29 ottobre 1615. In realtà, Amati raggiunse la delegazione giapponese in Spagna e da lì fino a Roma, pertanto l’opera descrive minuziosamente ogni fase del viaggio, ma solo le prime pagine anticipano descrizioni relative al Paese del Sol Levante. 

Purtroppo, il viaggio fortemente voluto dal francescano Luís Sotelo non sortì gli effetti sperati, principalmente in Giappone: Hasekura Tsunenaga ritornò in patria nell’agosto del 1620 trovando il Paese fortemente cambiato, e sempre più aspra la persecuzione contro i cristiani: lo sforzo di sradicare completamente il Cristianesimo in tutto l’arcipelago giapponese fu una delle principali prerogative dello shogunato Tokugawa, con cui ben presto molti cristiani giapponesi furono costretti a fare i conti. Il viaggio di Hasekura aveva ratificato degli accordi commerciali anche con il Messico e la Spagna, ma l’isolazionismo intrapreso dallo shogunato non favorì questi progetti di scambi commerciali, tanto che gli accordi furono presto cancellati, e annullate le relazioni diplomatiche. Il destino stesso di Hasekura non è a tutti noto: alcuni studiosi sostengono che difese la sua scelta di cristiano e per questo fu forse martirizzato; altre ricerche avanzano l’ipotesi che abbia pubblicamente abiurato la sua scelta religiosa per aver salva la vita e proseguire la sua fede nell’intimità, clandestinamente, secondo il destino che toccò a molti giapponesi, dove la tradizione cristiana sussiste ancora oggi dopo oltre quattro secoli.

Gli eventi che caratterizzarono il Giappone con l’affermazione dello shogunato dal 1603 videro mettere al bando il Cristianesimo, e a partire dal 1639 fu proibito anche l’attracco di navi portoghesi e quindi di intrattenere qualsiasi rapporto con Paesi stranieri [18]. Ebbe così inizio una severa politica di isolamento nazionale: solo agli olandesi fu concesso di avere rapporti commerciali in quanto questi erano in collisione con i Paesi cattolici, anche se il commercio olandese fu confinato sull’isola di Dejima, una piattaforma artificiale davanti al porto di Nagasaki.

Durante la repressione cristiana, tra il 1617 ed il 1644, furono giustiziati molti missionari e martirizzati anche molti cristiani giapponesi. Fu certamente un periodo duro per i Paesi stranieri che avevano prospettato sviluppi commerciali nelle isole nipponiche, investendo molte risorse per realizzare viaggi e missioni. Tuttavia, nulla fu perduto del tutto. Lo shogunato intensificò molto anche le repressioni tra i cristiani nascosti, particolarmente diffusi nelle isole di Hirado, Goto, e lungo le coste sud-occidentali fino ad Amakusa. Furono attivate specifiche cerimonie in cui i giapponesi convertiti al Cristianesimo dovevano dimostrare, davanti ad immagini e medaglie cristiane, di rinunciare attraverso la pratica delle fumie, ossia del calpestio delle immagini sacre.

205034233-659584fb-0ff5-4d26-a16f-8ab6d218797bNonostante queste forti repressioni volute dallo shogunato nel periodo Edo (1603-1867), non mancarono di registrarsi contatti con l’esterno, principalmente per rapporti commerciali con inglesi e olandesi che, per un breve periodo, condussero sull’isola di Hirado, a sud del Giappone, una base commerciale privilegiata anche per i contatti con la Cina [19]. Con il ritorno della famiglia imperiale, e quindi l’inizio del periodo Meiji (1867-1912) e la liberalizzazione dei culti religiosi, le prime compagnie religiose occidentali fecero rientro in Giappone: da questo momento ha avuto inizio una nuova storia.

Dopo oltre 450 anni, nel 2018, il patrimonio del Cristianesimo nascosto in Giappone è stato nominato “patrimonio dell’umanità”. A distanza di quasi cinque secoli, il valore storico, diplomatico e culturale dei processi di evangelizzazione cristiana in Oriente hanno lasciato importanti segni tangibili e intangibili. Non c’è alcun dubbio che i riscontri che oggi è possibile leggere e approfondire soprattutto osservando e ascoltando il patrimonio delle persone che vivono in questi territori sia di assoluta rilevanza per tutta l’umanità. La complessa configurazione politica, che si era consolidata in Giappone dall’inizio del periodo Edo (1603-1867), aveva confermato la chiusura della nazione e la persecuzione dei cristiani.

Nonostante le rigide proibizioni di allora è stato possibile rilevare come Francisco Javier avesse avviato un processo di evangelizzazione che non solo non si è mai interrotto ma che, al contrario, ha favorito il moltiplicarsi di fedeli che nascostamente hanno perseguito la verità della parola di Cristo, e che ha permesso loro di credere nell’autenticità di questa parola, di aderirvi occultamente e di perseguire i suoi insegnamenti per oltre 300 anni, senza mai venir meno al loro credo. Questo istinto quasi soprannaturale, che ha avuto ed ha tuttora un legame molto stretto con la fede cristiana ricevuta nella comunione ecclesiale, ha consentito ad un’ampia comunità di credenti, presenti soprattutto nel sud del Giappone, di perseguire la propria vocazione cristiana senza alcuna guida spirituale ma solo con la forza del credo.

Mostra “Thesaurum Fidei” presso la chiesa di San Cristoforo, Lucca (8-31 maggio 2023).

Mostra “Thesaurum Fidei” presso la chiesa di San Cristoforo, Lucca (8-31 maggio 2023)

Pertanto, a 400 anni dal Martirio del domenicano Angelo Orsucci di Lucca (1622-2022); a 440 anni dalla prima Ambasciata Giapponese in Occidente: Ambasciata Tensho (1582-2022); a 470 anni dalla morte di Francesco Saverio (1552- 2022), a 400 anni dalla sua canonizzazione (1622-2022) e pochi anni dopo il viaggio apostolico di Sua Santità Francesco in Giappone (23-26 novembre 2019), l’Arcidiocesi di Lucca ha promosso un importante evento al fine di rinnovare, ancora una volta, l’opera religiosa e diplomatica svolta dai missionari che, pagando anche con la vita, hanno consentito di tessere un filo che, più forte che mai, continua ad unire il mondo intero. Questa straordinaria esperienza evangelica tramandataci dalla storia ci aiuta a riflettere sul valore e sul significato che il Cristianesimo ha avuto ed ha nel Sol Levante.

Mostra “Thesaurum Fidei” presso la chiesa di San Cristoforo, Lucca (8-31 maggio 2023).

Mostra “Thesaurum Fidei” presso la chiesa di San Cristoforo, Lucca (8-31 maggio 2023)

Proprio durante questo viaggio si sono creati i presupposti per il progetto Thesaurum Fidei. Missionari Martiri e Cristiani Nascosti in Giappone. 300 anni di eroica fedeltà a Cristo [20] che ha avuto sede presso l’Arcidiocesi di Lucca nel maggio 2023. Il progetto ha visto la realizzazione di un convegno internazionale con relatori internazionali da diversi Paesi (6-7 maggio 2023) e di una mostra (8-31 maggio 2023) che ha avuto quattro prestigiose sedi in Lucca: la Biblioteca Statale, l’Archivio di Stato, l’Archivio Storico Diocesano e la chiesa di San Cristoforo, sui temi del Cristianesimo nascosto in Giappone e i martiri missionari. I contenuti della mostra sono stati raccolti nel volume omonimo Thesaurum Fidei. Missionari martiri e cristiani nascosti in Giappone. 300 anni di eroica fedeltà a Cristo, edito a Lucca [21]. 

  Fig.5. I due volumi dal titolo omonimo “Thesaurum Fidei. Missionari martiri e Cristiani nascosti in Giappone: 300 anni di eroica fedeltà a Cristo” curati da mons. Paolo Giulietti e Olimpia Niglio


 I due volumi dal titolo omonimo “Thesaurum Fidei”, curati dagli autori

I luoghi della memoria dei cristiani nascosti in Giappone sono stati oggetto di un progetto di una ricerca internazionale dal titolo “Thesaurum Fidei. Missionari martiri e Cristiani nascosti in Giappone: 300 anni di eroica fedeltà a Cristo”. La mostra che lo documenta è ospitata dal 12 dicembre 2023 nella Pontificia Università Urbaniana a Roma, dove rimarrà visitabile fino a tutto gennaio 2024; dal 19 febbraio 2024 sarà esposta per un mese presso la Pontificia Università Gregoriana. Il 24 gennaio 2024, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, sarà presentato il volume degli Atti del Convegno Internazionale “Thesaurum Fidei”. 

Un momento del Convegno

Un momento del Convegno

Il progetto è ben analizzato in due volumi dal titolo omonimo Thesaurum Fidei. Missionari martiri e Cristiani nascosti in Giappone: 300 anni di eroica fedeltà a Cristo curati dagli autori. Il primo, edito dalla Pacini Fazzi Editrice e pubblicato a maggio 2023 illustra i contenuti della mostra con inediti documenti di archivio grazie alla collaborazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Storico Propaganda Fide, Biblioteca Statale di Santa Scolastica a Subiaco, Biblioteca Statale di Lucca, Archivio di Stato di Lucca e Archivio Storico Diocesano di Lucca; il secondo volume, edito dalle Edizioni La Villa di Viareggio, raccoglie i risultati del convegno internazionale che ha avuto sede a Lucca il 6 e 7 maggio 2023.

Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024 
Note
[1] O. Niglio, La seda. Un hilo sutil que, por siglos, ha unido a los pueblos de Oriente y de Occidente, in: «Apuntes», Rivista internazionale della Pontificia Universidad Javeriana (Colombia), 25/1, gennaio-giugno 2012: 8-15.
[2] K. Enoki, Marco Polo and Japan, in: Oriente Poliano. Studi e conferenze tenute all’IsMEO in occasione del VII centenario della nascita di Marco Polo (1254-1954), 1957: 23-44.
[3] A. Boscaro, Ventura e sventura dei gesuiti in Giappone (1549-1639), Cafoscarina, Venezia, 2008: 23n.
[4] M. Polo, Il Milione, Milano, 2003: 232.
[5] D. De Silva, The Portuguese in Asia. An Annotated Bibliography of Studies on Portuguese Colonial History in Asia, 1498-c. 1800, Leiden, 1987.
[6] F. Saverio, Dalle terre dove sorge il sole: 201-213, lettera ai compagni residenti in Roma, Cochìn, 20 gennaio 1548.
[7] A. Boscaro, cit.: 30.
[8] Il manoscritto originale portoghese è custodito negli archivi della Compagnia di Gesù a Roma, nelle Epistolae Goanae et Malabaricae, 1545-1560, 38-42. Il testo, già tradotto integralmente in italiano e pubblicato in La prima relazione occidentale sul Giappone, in: Incontri tra Occidente e Oriente, Università di Venezia, Venezia, 1979, pp. 11-32, è stato poi riproposto in A. Boscaro, cit.: 149-163.
[9] A. Boscaro, Il Giappone negli anni 1549-1590 attraverso gli scritti dei Gesuiti, in: «Il Giappone», VI (1966): 63-85; F. Saverio, cit. 
[10] Informazione di Jorge Àlvarez, in: A. Boscaro, cit.: 153.
[11] R. Calvet, Storia del Giappone e dei giapponesi, Torino, Lindau, 2008.
[12] I. Higashibaba, Christianity in Early Modern Japan: Kirishitan Beliefs and Practices, Leiden, Brill, 2001.
[13] P. Tacchi Venturi, Il carattere dei giapponesi secondo i missionari del sec. XVI, in: «Civiltà Cattolica», 8 (1937): 56.
[14] F. Maraini, La scoperta del Giappone in Italia, in: Italia-Giappone 450 anni, 2003, vol. I: 3-12.
[15] G. Brancaccio, Le ambascerie giapponesi al papato nei secoli XVI e XVII, in: Nell’impero del Sol Levante. Viaggiatori, missionari e diplomatici in Giappone, Atti del convegno a cura di Adolfo Tamburello, Fondazione Civiltà Bresciana Camera di commercio di Brescia, Brescia, 1998: 49-64.
[16] T. Iannello, L’Indiani giunsero qui sabato. Riflessi ferraresi della prima missione giapponese alla Santa Sede (1585), Annali online dell’Università di Ferrara, 2012, vol. I: 339-356; T. Iannello, Una legazione giapponese alla corte di Alfonso II d’Este (22-25 giugno 1585): documenti e testimonianze, in: «Il Giappone», 2013: 29-49.
[17] M. Ishinabe, Ambasciata in Europa nell’era Keicho, in: EdA. Esempi di Architettura, consultazione web (www.esempidiarchitettura.it/articoli.php?mod=oggetti&o_nome=articolo&modAzione=scheda&o_id=151_ITA,consultato il 13 giugno 2018). Il testo è stato presentato a Firenze nel novembre del 2010 in occasione della presentazione del volume O. Niglio, K. Kuwakino, Giappone Tutela e conservazione di antiche tradizioni, Pisa University Press, Pisa, 2018.
[18] G. Pittau, Religioni e cristianesimo in Giappone, La civiltà cattolica, Roma, 1986; G. Sorge, Il cristianesimo in Giappone e la seconda ambasceria nipponica in Europa, Clueb, Bologna, 1991.
[19] T. Iannello, Shogun, komojin e rangakusha. Le Compagnie delle Indie e l’apertura del Giappone alla tecnologia occidentale nei secoli XVII-XVIII, Libreria Universitaria, Padova, 2012.
[20] www.diocesilucca.it/thesaurumfidei/.
[21] P. Giulietti, O. Niglio, Thesaurum Fidei. Missionari Martiri e Cristiani Nascosti in Giappone. 300 anni di eroica fedeltà a Cristo, Lucca, Pacini Fazzi, Lucca, 2023.

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Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca, è stato ordinato presbitero il 29 settembre 1991. Nel 2001 è diventato direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Conferenza Episcopale Italiana e il 10 agosto 2014 è stato ordinato vescovo titolare di Termini Imerese e nominato ausiliare di Perugia-Città della Pieve. Il 19 gennaio 2019 papa Francesco lo ha nominato al soglio episcopale di Lucca. Attualmente ricopre, presso la Conferenza Episcopale Italiana, la carica di Presidente della Commissione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita.
Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente di Restauro e Storia dell’Architettura comparata. È Professore presso la facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Pavia. Dal 2012 a tutto il 2021 è stata Professore presso la Hosei University (Tokyo), la Hokkaido University, Faculty of Humanities and Human Sciences e presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. È Visiting Professor in numerose università sia americane che asiatiche. Dal 2016 al 2019 è stata docente incaricato svolge i corsi di Architettura sacra e valorizzazione presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum ISSR, con sede in Vicenza, Italia. È membro ICOMOS – International Council on Monuments and Sites – e ACLA – Asian Cultural Landscape Association. È Vice Presidente dell’ISC PRERICO, Places of Religion and Ritual, ICOMOS – International Council on Monuments and Sites – e Vice Presidente ACLA – Asian Cultural Landscape Association.  È President RWYC.

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