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Rosario Di Bella, un maestro umanista

 

95-sarino-di-belladi Piero Di Giorgi

Rosario Di Bella, Sarino come lo chiamavamo gli amici, è stato un professore e un intellettuale, che ha insegnato, nella metà degli anni cinquanta, al liceo classico G. G. Adria di Mazara del Vallo, prima di trasferirsi a Castelvetrano, sua città natale. Mi ricordo che noi della sezione A invidiavamo i nostri coetanei della sezione B, che stravedevano ed esaltavano il loro professore di italiano e latino, mentre noi avevamo professori molto limitati e scarsamente qualificati.

Ho saputo dallo stesso Sarino che il nostro preside, padre Morello, che apprezzava molto gli insegnanti colti e che riuscivano a stimolare e coinvolgere i ragazzi, ogni anno che il prof. Di Bella inviava al Provveditorato di Trapani la domanda di trasferimento al liceo di Castelvetrano, si recava al Provveditorato e faceva annullare la domanda. Dopo qualche anno, Rosario Di Bella si recò al Provveditorato per capire perché non veniva dato seguito alla sua domanda di trasferimento, pur avendone diritto, e scoprì che c’era la mano di don Gaspare Morello. Ne parlò con lui e padre Morello non poteva non confermare, dicendogli che, proprio per la stima che aveva per Di Bella, non avrebbe voluto che andasse via. E così l’anno dopo il prof. Di Bella venne trasferito al liceo classico Pantaleo nella sua città natale.

Allievo di Di Bella era stato anche il mazarese Giuseppe Inzerillo, un caro amico, anch’egli deceduto qualche anno fa e che era stato provveditore agli studi di Ferrara e provveditore regionale dell’Emilia-Romagna. Egli passava le vacanze estive a Mazara del Vallo in una villetta a pochi metri da casa mia e un giorno mi chiese di andare a trovare il prof. Di Bella. Siamo andati ed è stato un bell’incontro di affetto e di stima reciproca. Rosario Di Bella, oltre a essere stato un bravo professore, è stato un intellettuale della provincia di Trapani, che avrebbe meritato di varcare l’angusta soglia locale per la sua intelligenza e per la sua cultura.

Giuseppe Inzerillo

Giuseppe Inzerillo

Alcuni mesi fa è uscito un volume per i tipi Angelo Mazzotta editore, Opere, contenente la raccolta dei suoi scritti e interventi in manifestazioni culturali, curato da Rosario Marco Atria e con il contributo di Giuseppe Bongiorno, Antonino Cangemi, Nella Cusumano Lombardo, Alfredo Finotti, Aurelio Giardina, Paola Grassa, Maria Pia Sammartano, Giovanni Santangelo, Tino Traina.

Avendo avuto il privilegio di averlo frequentato negli ultimi 25 anni della sua vita, mi piace ricordarne la figura di fine letterato e acuto umanista. Quello che mi ha sempre impressionato di Sarino Di Bella è la sua memoria. Qualsiasi argomento, dalla letteratura alla musica, al cinema, al teatro, egli ne parlava con dovizia di particolari e con competenza. Certo, le sue maggiori conoscenze erano centrate sulla letteratura. Sarino era soprattutto un dantologo, conosceva la Divina Commedia nei minimi particolari e ne ha messo in luce la musicalità che la pervade e l’intima connessione tra sonorità e poesia nonché la consonanza tra l’ispirazione poetica e la scansione del ritmo. Non a caso, molti musicisti si sono ispirati alla poesia di Dante.

Sarino Di Bella non era attento soltanto alla grande letteratura e alla cultura internazionale ma lo era anche a quella locale e provinciale. Sapeva cogliere le qualità artistiche degli amici che frequentava, come ad esempio, Ferruccio Centonze, che ho avuto la fortuna di avere come professore di francese alla scuola media e che ho avuto modo di rincontrare e frequentare dopo il mio ritorno da Roma a Mazara del Vallo attraverso comuni amici di Castelvetrano. Ho assistito a qualche sua opera teatrale al teatro Selinus di Castelvetrano. Sarino lo chiamava “un autore senza autori” per il suo stile e per il suo linguaggio, che non aveva modelli.

Filippo Cilluffo

Filippo Cilluffo

Allo sguardo di Sarino Di Bella non poteva mancare la figura di Filippo Cilluffo, professore e preside, intellettuale fine e “critico di razza”, amico di Sciascia, il quale scrisse di lui come di un “critico sagace”. E all’attenzione di Sarino non poteva sfuggire la scrittrice e poetessa di Sambuca, Licia Cardillo, sensibile donna, attenta agli ideali di fraternità, di partecipazione, di solidarietà umana e di amicizia.

Sarino Di Bella era una mente poliedrica, non era soltanto un letterato, un latinista, un critico, nulla dello scibile umano gli era estraneo o indifferente. In occasione del 150° dell’Unità d’Italia, rivolse una forte critica a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore di Il Gattopardo, affermando che «la Sicilia non è stata gattopardianamente immobile». Essa, anzi, ha contribuito alla creazione dello Stato unitario, contrariamente a quanto emerge dal dialogo tra il principe e Chevalley, sul sonno dei siciliani e sul desiderio d’immobilità, sul fallimento risorgimentale, riassunto nella famosa frase “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. In sostanza, Sarino Di Bella considera il giudizio del principe “un’ideologia dell’immobilismo”, con il suo scetticismo sulla possibilità «d’incanalare la Sicilia nel flusso della storia universale». Di Bella sostiene che, alla luce degli eventi storici, ciò risulta falso.

Su questo punto, mi piacerebbe ancora dialogare con lui e con garbo e l’amicizia che ci legava fargli osservare che se si legge la storia della questione meridionale appare chiaramente che la Sicilia, sin dall’inizio dell’unità d’Italia, comincia a essere depredata dal Nord. Già da Gramsci in poi i saggi e gli articoli sulla questione meridionale sono tantissimi. Dalle prime inchieste di Franchetti del 1873, emerge che il divario Nord-Sud era considerato una questione nazionale. E tuttavia, seppure al momento dell’unità nazionale esistevano divari regionali, non erano così pronunciati come lo sono diventati in seguito, soprattutto durante il ventennio fascista. Di industria nel Meridione non si è più parlato e il regime non è riuscito neanche a scalfire minimamente il latifondo. Il Meridione non è riuscito a creare sviluppo industriale autonomo, tranne il caso dell’imprenditoria dei Florio in Sicilia. Sciolta la Cassa del Mezzogiorno, è stata istituita l’Agenzia per il Sud ma i soldi si disperdevano in mille rivoli, finivano su impieghi improduttivi oppure per ingrassare la pubblica amministrazione clientelare. La classe dirigente locale utilizzava i finanziamenti pubblici per rafforzare le sue posizioni di potere e conservare i privilegi o incrementare le cosche criminali, le quali erano infiltrate nei partiti. Finita la Cassa del Mezzogiorno e successivamente l’Agenzia per il Sud, subentrarono gli aiuti europei, che sono stati un volano per lo sviluppo della Polonia e dell’Ungheria, mentre in Sicilia non vengono utilizzati e vengono fatti scadere.

In buona sostanza, si può dire che con tutti i soldi arrivati al Sud dalla Cassa del Mezzogiorno, dall’Agenzia per il Sud, dal Programma per lo sviluppo del Mezzogiorno e per ultimo dell’Unione Europa per le aree depresse, il Meridione dovrebbe avere le migliori infrastrutture del mondo e invece ci sono ancora ferrovie e strade da far west e ci vogliono tempi biblici in certe zone per spostarsi da un luogo all’altro. La mia idea è che un elemento di primo piano del ritardo del Sud, già presente prima dell’Unità d’Italia, è quello delle classi dominanti, una minoranza privilegiata arroccata sulla rendita piuttosto che sul fattore produttivo, come già rilevato da Gaetano Salvemini e da Antonio Gramsci i quali accusavano i latifondisti meridionali e anche le classi dominanti politiche. 

È vero, come dice Sarino Di Bella, che c’è un processo evolutivo, ma è anche vero, come diceva G. Battista Vico che vi sono i corsi e ricorsi storici e, come scrive Marx, la storia si ripete magari una volta come farsa e un’altra come tragedia. Ed è anche vero che Garibaldi ha deluso i contadini sfruttati dai latifondisti e che volevano ottenere giustizia per le vie legali e insorsero contro i “galantuomini”, come li ebbe a chiamare Verga, ma vennero domati nel sangue da Nino Bixio. A chiusura di questo scritto critico verso l’autore di Il Gattopardo, Di Bella cita la frase storica di Wolfang Goethe che, nel suo viaggio in Italia dice: «L’Italia, questo Paese indicibilmente bello, non lascia alcuna immagine nell’anima senza la Sicilia. È in essa la chiave della storia italiana».

Ferruccio Centonze

Ferruccio Centonze

Da intellettuale impegnato, non poteva mancare un riferimento di Sarino Di Bella alla lotta alla mafia e al rapporto tra politica e cultura e amava citare un suo incontro con Sciascia, il quale lamentava che gli intellettuali, che rappresentano la parte più consapevole della società, proprio per questo venivano estraniati dalla vita pubblica.

Infine, voglio sottolineare la sottile ironia di Sarino per i tanti che si professano poeti: in queste occasioni soleva evocare la figura di Carlo V che, durante la sua incoronazione nel 1530, all’atto di nominare i cavalieri che si accalcavano a ricevere la onorificenza, stanco e seccato, ebbe a dire “Estate miles, Todos”. Allo stesso modo, Sarino, rivolgendosi a tutti gli aspiranti poeti, esclamava: “Ci tenete tanto e allora “Estate poetas todos”.

Autore di numerose traduzioni e di saggi critici su Catullo, Giovanni Pascoli ed altri scrittori e poeti, Sarino Di Bella amava scrivere brevi componimenti in latino, i frustoli in cui formulava auguri per le festività agli amici, testimonianze di stima e di affetto firmate con lo pseudonimo Salario del Brio.

Gli ultimi capitoli del libro contengono versi scherzosi recitati in occasioni conviviali presso la villa di Gianfranco Becchina e a lui dedicati, ma anche poesie destinate alla moglie Ornella, al nipote, a Ferruccio Centonze, alla cui memoria dedicò una apprezzata orazione funebre.

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022

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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014); Siamo tutti politici (2018); Scuola ed educazione alla democrazia (2021).

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