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Quello che la parola non dice, quello che l’immagine nasconde

Iran (ph. Silvana Grippi)

Iran (ph. Silvana Grippi)

immagini

di Silvia Mazzucchelli

I sette contributi che seguono, nel loro insieme, impongono alcune considerazioni preliminari. La prima è che si riferiscono a persone di formazione culturale diversa e, ciò che più conta, con interessi diversi dalla fotografia “tout court”, coltivati in ambiti che spaziano dall’antropologia alla musica, alla poesia, geografia, architettura, graphic design. Non si tratta, quindi, di fotografi nel senso tradizionale della professione. La seconda si riferisce all’area interessata, che va anche oltre il Mediterraneo in senso stretto, con Sicilia, Campania, Iran e Africa.

La questione che risalta con maggiore rilievo è però quella di analizzare come ciascuno di questi contributi riesca, o meno, a risolvere la relazione tra testo e immagine. Da secoli siamo stati abituati alla scrittura e alla parola come fonte privilegiata per la conoscenza, mentre all’immagine è stato attribuito un ruolo secondario se non ancillare. La fotografia, poi, sin dai suoi esordi, ha avuto la pretesa di “catturare” la realtà e di essere capace di restituirla in tempi e contesti diversi. La rivoluzione digitale ha capovolto la gerarchia tra testo e immagine, con un esito fallimentare, perché, mentre riduceva progressivamente la ricchezza del testo ai pochi caratteri di un twitter, parallelamente azzerava per inflazione il valore dell’immagine, avendone moltiplicato esponenzialmente il numero e i modi di essere.

Entrare nel merito del nesso tra testo e immagine vuol dire, allora, fare uno sforzo verso un equilibrio nuovo, per restituire a ciascun mezzo espressivo le migliori possibilità di comunicazione.

Hotel Heremo (ph. Luigi Scarpato)

Hotel Eremo (ph. Luigi Scarpato)

Tutte le più «agguerrite disamine della “svolta visuale”, qualunque sia la loro provenienza (…) non possono fare a meno di mettere al centro la questione teorica del confronto tra dimensione verbale e dimensione immaginale», scrive Michele Cometa. E per questi sette progetti si può dire che nessuno dei due media è subalterno all’altro, bensì complementare, in quanto ciascuno mette in moto una serie di rispecchiamenti molteplici fra parola e immagine. Entrambi possono essere considerati originali, di cui l’altro è raffigurazione o sovrascrittura. Poiché, come suggerisce Philippe Hamon, «descrivere non è mai descrivere una realtà, ma dimostrare le proprie conoscenze retoriche, dimostrare la propria erudizione libresca (…). Descrivere, dunque, è descrivere per».

Casalvecchio (ph. Salvina Chetta)

Casalvecchio (ph. Salvina Chetta)

In questi autori il testo funziona come un peso e un freno alla volatilità e alla velocità delle immagini digitali, un antidoto al loro rapido consumo, mentre le immagini hanno la funzione di dare corpo al racconto. Non si tratta di immagini accattivanti. Non c’è alcuna necessità di insistere sull’enfasi visiva, accennata solo nelle foto che Luigi Scarpato ha scattato alle macerie dell’Hotel Eremo. Le fotografie drammatiche di Salvina Chetta, sui piccoli comuni soggetti allo spopolamento, risulterebbero slegate ed occasionali se non intervenisse la scrittura di Nicola Grato a immergerle in una riflessione esistenziale.

Marsala, Stagnone (ph. Ivana Castronovo)

Marsala, Stagnone (ph. Ivana Castronovo)

Allo stesso modo, Ivana Castronovo riesce a rendere vivide le foto dello Stagnone di Marsala con un testo bene articolato che, partendo da alcune premesse storiche, perviene a spunti interessanti, come l’erotico versus il porno della mappa, oppure dell’assenza come costante del discorso fotografico.

Iran (collective Sarab)

Iran (collective Sarab)

Sfogliando le proposte di questi autori può accadere di incappare in immagini di per sé “forti” e autoreferenti, che paradossalmente risultano un po’ indebolite da una narrazione non sempre coerente, come nel caso del collettivo Sarab a proposito dei ritratti in Iran.

Questo stesso Paese è lo scenario del lavoro di Silvana Grippi, incentrato sulle donne e il loro quotidiano. Qui il testo si snoda, tra un viso e un sorriso, sul filo di un tema che risulta in bilico tra introspezione e reportage, un album di ricordi. In senso opposto si muove la ricerca di Jacopo Lentini che fa del testo un collante per tenere assieme le tappe dell’avventura e del nomadismo. L’Africa delle sue immagini è la proiezione del suo modo di essere, lui la chiama introspezione.

(ph. Jacopo Lentini)

Senegal, verso la Guinea (ph. Jacopo Lentini)

Il testo di Michele Di Donato ha i toni del saggio e del manifesto programmatico: è chiaro, ordinato ed esplicito nel mettere a nudo la realtà della post-fotografia contemporanea, qualcosa che poco o nulla ha ormai da spartire con il “dipingere con la luce”. Le sue immagini sono una felice traduzione visiva dell’enunciato teorico, perfettamente coerenti con il testo, che non è narrativo perché sono le immagini ad avere, ad esigere direi, questa capacità.

Metamorphosis (ph. Michele Di Donato)

Metamorphosis (ph. Michele Di Donato)

È evidente che una rassegna di contributi non può essere rappresentativa di un universo di progettualità che si impernia sulla fotografia e le sue declinazioni più recenti, ma si possono già estrapolare alcuni dati degni di nota. Ad esempio, la tendenza ad una fotografia di reportage, che si accompagna ad una ripresa di impegno civile e sociale di chi non si limita ad osservare, ma intende anche riferire i fatti di cui è stato testimone. Altra cosa di rilievo è l’ampiezza del raggio geografico: Africa e Medio Oriente significano interesse e consapevolezza di un mondo sempre più globalizzato.

Ma è già tempo di mettere in atto quell’esercizio di distinzione, suggerita da W.J.T. Mitchell, tra «image/text, che esprime una scissione nella rappresentazione, imagetext, che esprime l’utopia di una sintesi tra i due termini, e image-text, che allude alle relazioni tra il visuale e verbale». 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021 

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Silvia Mazzucchelli, laureata in Scienze umanistiche, ha conseguito un master in Culture moderne comparate e un dottorato in Teoria e analisi del testo presso l’Università di Bergamo. Ha pubblicato due saggi dedicati alla fotografa e scrittrice Claude Cahun, dal titolo Claude Cahun e Suzanne Malherbe: l’immaginario di un sodalizio (Sestante, 2012) e Oltre lo specchio. Claude Cahun e la pulsione fotografica (Johan & Levi, 2013). Della stessa autrice ha curato Les paris sont ouverts (Wunderkammer, 2018) e scritto il saggio introduttivo per la traduzione in italiano del pamphlet. Ha collaborato con numerose riviste, fa parte della redazione della rivista on line Doppiozero e si occupa della sezione dedicata alla fotografia. Di prossima pubblicazione è l’introduzione al progetto Pornoland Redux del fotografo Stefano De Luigi. Ha curato diverse mostre fra cui Imagines Mundi di Giulia Flavia Baczynski insieme a Lucia Biolchini (2019) e In calce di Enrico Bedolo (2020). Da circa due anni sta conducendo uno studio analitico sul lavoro fotografico e poetico di Giulia Niccolai.

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