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Metafisica del Tempo

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Giorgio De Chirico, L’enigma del tempo, 1910

di Alberto Giovanni Biuso

L’ontologia indaga che cosa esiste, la metafisica analizza in che modo esiste ciò che esiste. Tale indagine sta a fondamento anche della logica poiché per i pensatori delle origini e per Platone il lógos, il discorso, verte sempre su ciò che esiste, su quanto nel mondo si dà. Per essi la verità è una caratteristica del mondo e non soltanto del discorso che la mente conduce su di esso, la verità è una determinazione del reale e non soltanto del linguaggio che lo dice.

«Metaphysics is now respectable again», ‘la metafisica è oggi di nuovo una disciplina rispettabile’[1]. Questa affermazione di David Armstrong sintetizza quanto va accadendo ormai da molti anni. L’idea che la metafisica possa essere dissolta nelle sue strutture linguistiche è tramontata, così come vanno perdendo di plausibilità le varie forme di riduzionismo e di eliminativismo. I più avvertiti filosofi materialisti si rendono conto che metafisica e naturalismo non sono per nulla in contraddizione, che concetti come sostanza, verità, proprietà, qualità, evento, possibilità e molti altri possiedono una densità ontologica e una complessità epistemologica che sarebbe del tutto impoverente disconoscere e negare. Non esistono infatti soltanto gli oggetti come tali ma esistono anche le loro proprietà universali. Le leggi di natura sono precisamente le relazioni tra questi universali.

La metafisica è anche uno dei modi più ricchi e più fecondi di sperimentare, mettere alla prova, comprendere e vivere la complessità degli enti, degli eventi, dei processi. L’essere non si limita infatti agli enti particolari, ai singoli grumi di materia spaziotemporalmente estesa ma si estende anche alle proprietà generali di tali enti, alle relazioni degli enti tra di loro e con gli eventi, all’insieme dei processi che si generano da tali interazioni

I particolari sono soggetti a trasformazioni anche radicali, le proprietà universali no. Ma questo non significa che gli universali stiano al di fuori dello spaziotempo, significa semplicemente che le forme sono i caratteri universali degli enti e che dunque tali universali esistono sempre in re, nelle cose stesse, le quali degli universali costituiscono istanziazione, incarnazione, manifestazione. Ed è così che esistono. Così come esiste anche la negazione. Il Sofista platonico ha ben mostrato che Parmenide si sbagliava, che la negazione non è un assoluto ma consiste nel limite e nella differenza. Un buco, un ritaglio, un ‘niente di più’ non costituiscono un qualcosa che si aggiunge all’essere ma sono il limite dell’essere. Un limite che è del tutto reale e privo di contraddizioni proprio perché è un modo dell’essere. Ogni ente, ogni evento, ogni situazione -o ‘stato di cose’- è ciò che è anche perché non è altro. In questo modo il limite si mostra in profonda continuità con l’identità e con la differenza. Identità e differenza sono gli elementi fondamentali dell’ontologia anche perché non rappresentano degli assoluti, delle quantità e qualità uniformi ma costituiscono sempre dei gradi tra di loro in connessione. E questo spiega la complessità e la varietà degli enti, degli eventi, dei processi.

La filosofia è una scienza originaria che viene prima di ogni particolare sapere. Questa sua condizione si esprime in modo peculiare e assai chiaro nella domanda di Leibniz che chiede perché ci sia qualcosa piuttosto che il nulla, dato che il nulla è più semplice e più facile di qualcosa.

La metafisica è un sapere scientifico, è ogni indagine sull’essere che sia sufficientemente universale, capace di argomentare i propri contenuti e indirizzata a un loro chiarimento radicale. Ben lontana da ogni liquidazione storiografica o teoretica, la metafisica mostra di essere la filosofia stessa nella originalità, peculiarità e forza del suo metodo, dei suoi contenuti e dei suoi obiettivi. La filosofia è la messa in atto centrale e totale dell’essenza metafisica dell’esistenza.

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Giorgio De Chirico,  Gli Archeologi, 1927

Identità e Differenza

Proprio perché è ben viva nella sua problematica ricchezza, è necessario porre delle domande alla e sulla metafisica che ne mettano alla prova la capacità di dire il mondo. Qui ne porrò soltanto una, ma fondamentale: è possibile una metafisica che non immobilizzi l’esseredivenire in una stasi del tutto astratta? Rispondo subito che tale metafisica è possibile ed è necessaria. Essa è il senso stesso della scienza che chiamiamo filosofia; è il suo nucleo e il suo obiettivo. L’immobilità è infatti solo un’interpretazione che fissa in una istantanea il movimento incessante della materia, la cui struttura è continua e la cui percezione discreta, invece, è un effetto degli apparati matematici con i quali le scienze della natura cercano di fissare il flusso allo scopo di comprenderlo. Esigenza del tutto legittima se limitata alla sua giustificazione metodologica ma errata quando ritiene di porsi come ontologia.

Anche quando sembrano immobili, gli enti sono sempre movimento, mutamento, divenire. Lo sguardo metafisico e fenomenologico rivolto all’essere e agli enti mostra «che ciò che è, il tutto, è costituito da entrambe le cose, immobili e mosse»[2]. La Dialettica tiene unite una molteplicità di determinazioni senza ritenerle né identiche né opposte ma diverse.

L’esperienza e la sua conoscibilità sono rese possibili dall’infinita dinamica tra il particolare e l’universale, tra la parte e il tutto, tra l’identità e la differenza. Il nucleo di tale dinamica è il tempo, che nella riflessione di una coscienza diventa temporalità, senza che però l’esperienza del tempo possa essere limitata alla coscienza, in essa confinata. Il mutamento sta nelle cose, le quali mutano appunto, e non si dissolvono, proprio perché rimangono sempre identiche a se stesse. Se così non fosse, non di mutamento si tratterebbe ma di semplice distruzione.

L’essere è dunque non soltanto una sostanza ma è anche e soprattutto un processo. Merleau-Ponty afferma giustamente che «il serait, en effet, plus exact de dire que rien n’existe et que tout se temporalise», ‘sarebbe in effetti più esatto affermare che niente esiste e che tutto si temporalizza’[3]. Limitare, delimitare, confinare il tempo alla sua sola dimensione coscienzialistica o alla sua sola struttura naturalistica significa perderlo, vuol dire smarrire l’unitarietà molteplice di cui esso è fatto, che è l’unitarietà molteplice dell’essere.

Le forme del tempo, ciò che continuiamo a chiamare passato, presente e futuro, non esistono e non possono esistere autonomamente l’una rispetto all’altra. Il tempo non è fatto di punti discreti ma è un flusso unitario e sempre differente. Il tempo non è l’adesso assoluto – impossibile e contraddittorio – ma consiste in un divenire che dà senso a ciò che appare sia nella coscienza sia nella materia come un’onda composta di ciascuna delle sue gocce, gli istanti che sono stati, quelli che sono e quelli che saranno.

Il divenire degli enti, l’essere degli eventi, il fluire dei processi non è qualcosa che debba essere dedotto o dimostrato, è qualcosa che semplicemente si vede. È anche per questo che l’approccio fenomenologico riesce meglio di altri a dar conto della complessità dell’essere temporale. Tutto nel tempo coesiste come identità e si separa come differenza. Un tempo gestaltico che porta ogni volta all’evidenza uno dei suoi elementi ma lo può fare soltanto perché sullo sfondo permangono tutti gli altri.

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Giorgio De Chirico, La ricompensa dell’indovino, 1913

Termodinamica

«We are temporal beings»[4], siamo anche e soprattutto esseri temporali, dispositivi temporali. Se il tempo rimane uno degli enigmi più profondi, è perché la questione del tempo è anche questione del senso dell’esistenza umana e del significato dell’intera natura. Nella sua completa vicinanza e insieme enigmatica distanza da noi, il tempo è una molteplicità i cui estremi appaiono lontani ma che bisogna fare di tutto per avvicinare tra loro: «The reconciliation of time as conceived in physics with time as encountered in experience is the central problem in the metaphysics of time», ‘la conciliazione tra le concezioni che la fisica ha del tempo e il tempo della vita quotidiana è il problema centrale della metafisica del tempo’[5]. Ogni tentativo di pervenire a tale conciliazione deve partire dall’analisi del tempo vissuto, del divenire, dell’irreversibilità. Mutamento e movimento costituiscono infatti la regola, non l’eccezione.

Anche per questo la scienza fondamentale del tempo non è la meccanica ma è la termodinamica, la quale spiega la miriade di processi irreversibili che intessono di sé enti ed eventi. La semplicità del tempo della fisica – privo di direzione e senza una differenza intrinseca tra passato e futuro – è soltanto una parte del più vasto tempo dei fenomeni cosmici e interiori, nei quali il tempo ha una precisa direzione. Ricordo qui alcune manifestazioni della irreversibilità sia della materia sia della coscienza: le cause precedono sempre gli effetti; rammentiamo il passato ma non il futuro; il futuro è sempre aperto rispetto alla chiusura del passato; la direzione dei sistemi va da una condizione di non equilibrio a una di equilibrio e mai l’inverso.

La struttura del mondo è spaziotemporale, unitaria e insieme plurale. L’essere corpomentale delle entità coscienti è costituito da stati spaziali e da condizioni temporali, inseparabili tra di loro. Il corpo umano è una struttura nella quale i processi temporali più profondi accadono nell’organismo e plasmano la persona.

Se dunque i filosofi che si occupano del tempo non possono ignorare le ricerche, le discussioni, i risultati ai quali la fisica contemporanea perviene, è altrettanto vero che fisici, chimici, astronomi, biologi non possono conseguire risultati che non implichino sin da subito delle opzioni metafisiche, esplicite o no che siano. E l’opzione metafisica di fondo consiste nel fatto che se c’è qualcosa piuttosto che nulla è perché c’è tempo piuttosto che stasi, è perché c’è differenza insieme all’identità.

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Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, 1923

Metafisica dell’evento

Uno degli enigmi della metafisica del tempo è l’istante. Quanto dura, infatti, il presente? Per quanto si estende la sua durata? Le risposte possono essere le più diverse in relazione ai contesti e agli obiettivi. Nelle nostre vite il presente è tutto ciò che siamo, ma che cosa sia l’adesso è questione complessa per affrontare la quale è anzitutto necessario che l’istante non sia inteso come sostanza.

È chiaro infatti che come sostanza l’istante non può che scomparire nel fantasma di una continua dissoluzione. L’istante non è una tale impossibile sostanza ma costituisce l’incessante vibrazione della materia nella quale la materia appare sensata alla coscienza umana e agli strumenti da essa pensati per misurarla, senza che però si possano assumere i referti della fisica – anche quelli che accennano al confine quasi impensabile dei miliardesimi di secondo – come ontologia del tempoistante, referti che scambiano le misure del tempo per il suo modo d’essere, che confondono la sua percepibilità con la sua natura. L’istante è altro e oltre poiché è movimento anch’esso, vibrazione di ciò che chiamiamo atomo, molecola, particella. ‘Particella’ è una ‘piccola parte’, alla lettera, di ciò che accomuna l’intero materico nella potenza del suo stare, al centro del quale magma un incessante divenire. Tale divenire è la materia.

La metafisica è dunque da intendere non come fondazione/fondamento ma come comprensione di questo infinito eventuarsi in cui mondo, materia e umanità consistono. Metafisica non come soggettivismo/idealismo ma come schiusura, apertura e compenetrazione del mondo umano con il mondo spaziotemporale che lo rende ogni volta e di nuovo possibile. Metafisica non soltanto come intendimento di una realtà già data e neppure, di contro, soltanto come costruzione della realtà a partire dalla mente che la osserva, non come oggetto/soggetto ma in quanto coglimento della parte che l’umano costituisce nell’ampio cerchio ontologico. Metafisica non come produzione idealistica del mondo ma come semantica che lo riconfigura costantemente nell’ambito del possibile, in quella struttura di senso che è il vero e proprio abitare degli umani sulla Terra. Metafisica non come eternità ma in quanto finitudine e gettatezza.

Il tempo è ἀρχή proprio perché è causa, principio e limite. È ciò da cui gli eventi nascono non nel senso estrinseco per il quale prima ci sarebbe il tempo e poi gli eventi ma nel senso che nel loro esistere e accadere gli eventi sono tempo in atto, nel senso che il tempo è la forma di ogni possibile ente, evento, processo. Tempo ed eventi sono consustanziali. Il tempo è l’eventuarsi del mondo.

In natura esiste un divenire anche ciclico: il ritornare del sole al mattino, dell’autunno dopo l’estate, della luna e dei pianeti nell’assoluta prevedibilità delle loro orbite. Ma ogni evento che accade in questi cicli è unico e irreversibile in quanto evento. L’enigma dell’istante nasce dal fatto che ogni ente ha una struttura non soltanto spaziale ma spaziotemporale, nasce dal fatto che ogni ente è in realtà un evento che accade e muta a un ritmo non direttamente percepibile dai nostri organi. Molte delle presunte aporie legate allo statuto ontologico dell’adesso possono in realtà essere comprese e superate in una concezione del tempo più ampia, dinamica e molteplice.

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Giorgio De Chirico, Le Muse inquietanti, 1925

Microcosmo e macrocosmo

Il tempo e la materia costituiscono fondamento, forma, struttura e modalità del mondo in ogni sua manifestazione, del reale a ogni suo livello. L’umano esiste, vive e si muove in questo plesso di tempomateria: «Dann bewegen wir uns immer schon in dem geschehenden Unterschied» ‘ci muoviamo già sempre nella differenza che accade[6]. Passato, presente e futuro esistono. Esistono davvero, possiedono una densità ontologica e non soltanto una modalità psichica o epistemologica. Il tempo è una realtà piena, totale e pervasiva.

Come abbiamo visto, il presente non va ridotto all’‘adesso’, al semplice istante. Esso costituisce una forma ontologica, psicologica, fisiologica che non rappresenta un punto irrelato e solitario ma è parte di un flusso che gli dà esistenza e che il presente contribuisce a sua volta a formare. Il presente non è una sottilissima lama che taglia e separa passato e futuro ma è l’unità di ciò che sia Husserl sia Heidegger definiscono Zeit Ekstasen, le estasi del tempo, l’unità delle strutture che possiamo separare a livello gnoseologico ma che rimangono l’unità ontologica del futuro che germina dal passato per dare esistenza al presente. Il presente e il tempo così intesi non sono evidentemente riducibili alla semplice variabile t della meccanica classica e della fisica relativistica; non sono riducibili alla reversibilità, la quale è in realtà un caso limite e non la regola del mondo; non sono riducibili alla stasi parmenidea. Un mondo senza tempo o per il quale il tempo è soltanto un’illusione/percezione della coscienza sarebbe in realtà un mondo impensabile e inesistente. L’irreversibilità degli eventi è la prima percezione e l’ultimo apprendimento. Ed è parte fondamentale dell’esperienza psichica e fisiologica che il corpo che siamo vive istante dopo istante.

Senza tempo la vita diventa incomprensibile, senza tempo la vita non è. Uno degli elementi che differenziano la biologia dalla fisica è proprio la struttura temporale dei viventi. Ma, al di là della biosfera, è l’intera materia a essere pervasa di un incessante movimento molecolare. Al di sopra dello zero assoluto, al di sopra dei meno 273 gradi centigradi, le molecole sono l’incessante movimento della materia, di tutta la materia: minerale, vegetale, animale.

Proprio perché il tempo non è una ‘quarta dimensione’ che si aggiunge alle tre (o alle tante) della materia ma è la materia stessa; proprio perché l’essere di un ente/evento e l’accadere di un ente/evento sono la stessa struttura/processo enunciata in modi differenti, proprio perché l’essere è tempo, anche la mente lo è. Mente e coscienza non sono degli enti statici, non sono cose ma costituiscono il fieri dell’umano sincronizzato con il divenire dell’intero. È per questo che il corpomente riesce ad affrontare la rutilante complessità del mondo. Se nei microstati – ambito di studio della meccanica sia classica sia quantistica – gli eventi sono anisotropi, e quindi reversibili e sempre uguali, nei macrostati invece la freccia del tempo è legge universale, fenomenologicamente evidente e logicamente necessaria. L’errore e l’ingenuità filosofica di molti fisici consistono nell’applicare alle macrostrutture dell’esperienza le condizioni del tutto diverse che vengono studiate dalla fisica delle particelle elementari.

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Giorgio De Chirico, Spirito di dominazione, 1927

Kαιρός

Il tempo conferma così la sua natura plurale, stratificata, differenziata. Perché plurale è la realtà, stratificata è la materia, differenziata è l’identità dell’essere. Il presente è e accade. Il presente ha una realtà oggettiva che la termodinamica quantifica nel suo valore e spiega nelle sue componenti. Il presente è lo spazio/evento dinamico nel quale le strutture si trasformano in modo irreversibile, segnando il prima e il poi della compagine molecolare della materia, della sua identità/permanenza e della sua differenza/trasformazione. Il mutamento consiste nel diventare passato di qualcosa che continua a esistere anche nel presente, proprio perché l’essere delle cose si distende nell’essere stato e nell’aver da essere.

Il presente è il tempo degli enti singoli, degli enti astrattamente intesi perché privi di relazione. Senza questa modalità del tempo non potrebbero naturalmente esistere passato e futuro ma non bisogna da ciò concludere che passato e futuro siano soltanto un’astrazione, un ricordo, un’attesa. Il presente non è un punto nel tempo poiché il presente da solo è un’astrazione. Anche il passato da solo è un’astrazione. Anche il futuro da solo è un’astrazione. Il tempo è unitario; sono le azioni nel tempo a poter essere presenti, passate e future. Se l’accadere è possibile è perché il presente, il passato e il futuro sono tutte strutture e modalità reali della natura. In modi diversi, certo, ma tutti reali. Ciò che rende possibile l’identità del tempo e la differenza dei suoi modi è l’intreccio indissolubile di essere e divenire.

Al di là della lunga tradizione parmenidea che intesse il pensiero europeo; al di là delle prospettive riduzionistiche – antiche o contemporanee che siano – volte a confinare la temporalità dell’essere nella misurabilità dei tempi della fisica; al di là anche di ogni concezione flussica del tempo, in cui soltanto il presente esiste davvero – e il resto è realtà degradata, derivata, seconda –, il tempo è una struttura reale, intera, molteplice, nella quale l’accadere senza posa e ordinato del mondo produce le forme, i paradigmi e il loro intreccio. La capacità che il corpomente umano e animale ha di riconoscere regolarità e identità nel mondo dipende dal fatto che «the natures of individuals also change; they are modified but remain the same. These natures are the general ways in which individuals change and act», ‘anche la natura degli enti individuali muta; essi vengono modificati ma rimangono gli stessi. Questa natura/struttura è il modo universale nel quale gli enti individuali agiscono e si trasformano’[7].

Il tempo consiste anche nel rimanere identico di qualcosa che cambia e consiste anche nel mutare di ciò che permane. La temporalità non può che accadere sul fondamento della differenza, di un rapporto degli enti tra di loro e degli enti con l’essere che non è una relazione di identità ma non è neppure di opposizione.

Una differenza pura, senza identità, comporta la dissoluzione del legame che intesse ogni ente con ogni altro, del legame che coniuga gli eventi tra di loro lasciandoli essere eventi differenti, del legame che fa del mondo un processo molteplice e sensato alla mente. Una pura identità, senza differenza, implica la stasi totale e l’unità originaria del niente. Un’identità che cancella dunque se stessa perché ha distrutto la consistenza del divenire che è intrinseca all’essere di ogni ente.

Il tempo è l’identità della struttura generata dagli eventi ed è la differenza degli eventi generati. Il tempo è la differenza della materia nei diversi istanti del suo divenire ed è l’identità di questo divenire in una coscienza che lo coglie. Di tutto questo si occupa la scienza che chiamiamo metafisica, il cui oggetto è l’essere e il tempo, la loro realtà e la loro conoscibilità. Una realtà non soltanto empirica, una realtà non soltanto logica, una realtà, appunto, metafisica. È dunque vero ciò che il giovane Heidegger scriveva con chiarezza, vale a dire come non sia «possibile che la filosofia faccia a meno della sua propria ottica, cioè della metafisica»[8].

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Giorgio De Chirico, Piazza d’Italia, 1952

Il tempo necessario

L’approfondirsi e l’intrecciarsi delle questioni antropologiche, mentalistiche, fisiche, cosmologiche, vanno dimostrando con sempre maggiore forza che fare a meno del tempo nella comprensione del mondo è cosa del tutto illusoria. Simmetrie e squilibri, cicli e irreversibilità, costituiscono insieme l’essere e il divenire di tutte le cose. Il mondo è fatto di enti permanenti, eventi perduranti e significati che nascono, si distendono, mutano nello spaziotempo. Non possiamo bagnarci nelle medesime acque ma possiamo ben immergerci nello stesso fiume, poiché le acque sono elementi materiali che scorrono, un fiume è un significato che perdura. La metafisica del tempo coniuga l’approccio ontologico con quello linguistico/semantico, mostrando in tal modo la propria fecondità. La struttura del mondo e il suo apprendimento da parte della mente umana sono parte di un divenire che scaturisce dalla continuità temporale dell’ente. Il tempo è costituito ogni volta e sempre da passato, presente, futuro, ed è costituito anche dal prima e dal poi. L’essere è evento, l’ente che siamo è in grado di intuire il sempre rimanendo tuttavia intriso di ora. Siamo corpotempo, siamo finitudine e passione, siamo bisogno e azione, siamo trasformazione e costanza.

Comprendere il tempo e darne conto è il senso stesso della metafisica. Il tempo è tema filosofico per eccellenza in quanto nella sua struttura stessa è antidogmatico, è plurale, è capace di coniugare scienze empiriche e teoresi, è infinito e incoglibile e dunque asintotico, è sempre aperto, sempre oltre, μετά.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] D.M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, Oxford University Press, Oxford 2010: VIII.
[2] Platone, Sofista, trad. e cura di B. Centrone, Einaudi, Torino 2008, 249d: 157.
[3] M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1992: 383.
[4] J. Ismael, Temporal Experience, in C. Callender (ed.), Oxford Handbook of Philosophy of Time, Oxford University Press, Oxford 2011: 460.
[5] Ivi: 480.
[6] M. Heidegger, Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endilchkeit – Einsamkeit, in «Gesamtausgabe II. Abteilung: Vorlesungen 1923-1944», herausgegeben von F.W. von Herrmann, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1992, § 75, punto 4: 519.
[7] C. Lieb, Past, Present and Future. A philosophical essay about Time, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 1991: 193.
[8] M. Heidegger, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto (Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus [1915]), trad. di A. D’Angelo, Mimesis, Milano-Udine 2015: 253 (il corsivo è di Heidegger).
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Alberto Giovanni Biuso, professore ordinario di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, dove insegna Filosofia teoretica, Filosofia delle menti artificiali e Sociologia della cultura. È collaboratore, redattore e membro del Comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee. È direttore scientifico della rivista Vita pensata. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Si occupa inoltre della mente come dispositivo semantico; della vitalità delle filosofie e delle religioni pagane; delle strutture ontologiche e dei fondamenti politici di Internet; della questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Nel 2020 ha pubblicato due libri: Tempo e materia. Una metafisica (Olschki Editore), Animalia (Villaggio Maori Edizioni).

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