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L’economia del Trapanese alla vigilia della prima guerra mondiale

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Marsala, Baglio Ingham, dipinto a olio, fine sec. XIX

di Rosario Lentini

La distanza che separava l’economia dell’ex regno delle Due Sicilie da quella settentrionale – non particolarmente significativa all’atto dell’unificazione – divenne più marcata sul finire dell’Ottocento, per effetto della accelerazione impressa dal processo di industrializzazione in alcune aree del Nord, anche se il Paese nel suo insieme rimaneva ancora a dominante connotazione agricola. Diversi erano i fattori frenanti della crescita economico-produttiva della Sicilia: l’insufficiente sviluppo dell’agricoltura determinato dalla persistenza nei contratti agrari di clausole vessatorie e dall’incidenza nella fisiologia del processo produttivo di una pletora di gabelloti, di intermediari e di strozzini; l’inadeguatezza delle infrastrutture portuali, della rete stradale e ferroviaria soprattutto dell’entroterra; la dipendenza di molte produzioni (vino, agrumi, sommacco, zolfo) dalle oscillazioni della domanda estera; e, non ultimo, la rapida estensione e pervasività del dominio mafioso nei gangli vitali della società siciliana, come avrebbe mostrato in modo eclatante all’intera nazione, il primo omicidio eccellente commesso nel 1893 a danno di Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo ed ex direttore generale del Banco di Sicilia che aveva avviato un’opera rigorosa di moralizzazione e di pulizia finanziaria all’interno dell’istituto [1].

Nonostante ciò è innegabile che l’Isola sia progredita nei decenni anteguerra, seppur non in modo uniforme nel suo stesso territorio, come si rileva analizzando i risultati conseguiti nelle diverse province e per settore produttivo (agricoltura, industria, commercio, servizi), che appaiono contrastanti e indicano dinamiche differenziate. La Sicilia non rimase ferma, ma ci vollero 50 anni, dal 1861 al 1911, per ridurre la percentuale di analfabeti dall’89 al 58%. Nel quarantennio 1871-1911 [2] la popolazione siciliana residente crebbe complessivamente del 42%, passando da 2.584.099 a 3.672.258, con incrementi percentuali assoluti ancor più elevati nelle provincie di Siracusa (+66,9%), Catania (+63,4%), Ragusa (+56,3%) e Trapani (+51,1%). Tuttavia, queste percentuali vanno lette tenendo conto anche di altri quozienti, soprattutto della migrazione netta (differenza tra immigrati ed emigrati) che ha condizionato sensibilmente l’andamento degli incrementi netti di popolazione.

1In provincia di Trapani il fenomeno si sviluppò in costante crescita dal 1876 al 1910, raggiungendo la punta massima nel 1913 con 25.556 espatri. In particolare, con l’inizio del nuovo secolo, il fenomeno assunse sempre più le caratteristiche dell’esodo di massa e nei primi quindici anni del Novecento emigrarono in 121 mila, ben più della popolazione residente nei tre comuni di Castelvetrano, Marsala e Mazara alla data del 1911. Fino alla fine degli anni ottanta dell’Ottocento, Mazara e Marsala contribuirono con altri centri della fascia costiera ad arginare «[…] la tendenza all’esodo dai paesi dell’interno», soprattutto grazie al fatto che ancora in quegli anni vite e agrumi lasciavano intravedere possibilità occupazionali che la cerealicoltura non concedeva più [3]. Per quanto riguarda la provincia di Trapani, i dati aggregati mostrano la forte crescita dell’emigrazione transoceanica sul totale del flusso verso l’estero passata nel quarantennio 1884-1914 dal 23,1% al 92,4% [4] a conferma della volubilità del settore manifatturiero siciliano che mostrava di non essere in grado di radicarsi, di svilupparsi in modo duraturo, di cogliere gli elementi di novità del panorama industriale nazionale, di attrarre capitali privati e di creare occupazione.

Inoltre, la rincorsa all’innalzamento di barriere doganali nei diversi Stati europei, dalla seconda metà degli anni ottanta, ebbe come conseguenza l’avvitamento della crisi internazionale e l’avvio di un ciclo economico depressivo. L’inversione di tendenza avverrà con i governi Giolitti, dal 1904 al 1906, durante i quali si stipuleranno trattati commerciali con la Svizzera, l’Austria-Ungheria e la Germania che consentiranno ai prodotti agro-alimentari meridionali e siciliani nuovi sbocchi di mercato e, conseguentemente, una forte crescita delle esportazioni [5].

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Marsala, Baglio Woodhouse, 1903

Le aziende siciliane, piccole o medio-grandi, che mostravano maggior vitalità e capacità di proporsi con successo tanto nel mercato interno quanto in quelli esteri, appartenevano al comparto agroalimentare e della pesca: le fattorie vinicole del marsala, l’industria molitoria dei cereali, quella delle conserve alimentari, del pesce sott’olio e sotto sale (tonno, sardine, alici) con in testa lo stabilimento Florio di Favignana, dei derivati agrumari in cui eccellevano le aziende della Sicilia orientale, con una delle più importanti famiglie anglo-siciliane di Messina (i Sanderson) [6], nonché dell’industria molitoria dei sommacchi nel palermitano. Si trattava di generi che dipendevano in modo preponderante dalla domanda estera, ma con ricadute economiche differenziate nelle rispettive aree di produzione.

A seguito dell’introduzione della legge Corleo del 10 agosto 1862, che prevedeva l’enfiteusi forzata dei beni ecclesiastici incamerati dallo Stato, solo nel territorio di Mazara furono posti in vendita al miglior offerente circa 14 mila ettari di terre quotizzate dai latifondi di proprietà del Vescovado e dei monasteri [7]. Questi fondi, dagli anni settanta in avanti, furono progressivamente trasformati dai nuovi possidenti della borghesia agraria marsalese, dal barone Saporito di Castelvetrano, dai trapanesi Agostino Burgarella e dal barone Adragna e da una residua minoranza di proprietari mazaresi [8] in rigogliosi vigneti che avrebbero fornito la materia prima per gli stabilimenti enologici sempre più numerosi.

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Marsala, Baglio Florio

La produzione di vini marsala conobbe una crescita quasi inarrestabile in tutta la provincia di Trapani; a Marsala, in particolare, grazie alle due antiche ditte inglesi dei Woodhouse e degli Ingham-Whitaker, allo stabilimento Florio, cui si aggiunsero dopo l’unificazione le ditte Rallo, Spanò Caracciolo, Giacone, Mineo, Curatolo Arini, Pellegrino, Martinez; nonché alle aziende mazaresi degli Hopps, dei Burgio e dei Favara; a Trapani, soprattutto con D’Alì & Bordonaro e Aula & Virgilio, che conseguirono prestigiosi riconoscimenti in Italia e all’estero.

Tuttavia la maggior parte del vino siciliano che veniva esportato non era rappresentato dal tipo marsala che si spediva in botti di varia capacità e in misura minore in bottiglie; bensì da vino da taglio, a forte gradazione alcolica, richiesto dall’industria enologica dell’Italia continentale o estera per potenziare i propri vini. Marsala viveva soprattutto di viticoltura e di enologia supportata da un indotto che dava occupazione a diverse centinaia di operai-artigiani (fabbri, bottai e costruttori di carri). Va sottolineato, peraltro, che l’insediamento diffuso della popolazione nelle numerose contrade del territorio comunale, legato all’espansione dei vigneti sin dalla seconda metà del Settecento, aveva favorito la formazione di un ceto di piccoli proprietari e la creazione di un aggregato sociale extraurbano abbastanza autosufficiente, nel quale il fabbisogno di credito veniva ancora alimentato dalle anticipazioni vinicole erogate dalle case vinicole che mantenevano un rapporto di fidelizzazione con i viticoltori. Le poche banche popolari e cooperative sorte nel periodo in esame manterranno un profilo abbastanza modesto e non determinante nella crescita del tessuto produttivo marsalese [9].

Diversa era già la configurazione sociale ed economica mazarese tra i due secoli; la popolazione era cresciuta nel cinquantennio 1861-1911 da 11.068 a 25.251 abitanti [10] e tanto i contadini quanto i proprietari terrieri non vivevano nelle campagne ma vi si recavano giornalmente. Il problema dell’aria malsana generata da numerose zone paludose costituiva un serio ostacolo alla colonizzazione degli ex feudi e la malaria, prima che i lavori di bonifica – invocati per diversi decenni e fino agli anni cinquanta del secolo successivo – diventassero risolutivi, colpì un’elevata percentuale di lavoratori agricoli.

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Mazara, il porto, primi 900

L’economia della città di Mazara, alla vigilia della guerra si fondava sull’industria vitivinicola pur con i duri colpi subiti dal settore per causa delle malattie della vite e delle crisi commerciali, ma rispetto alla vicina Marsala, non era preponderante e poteva contare su altre attività che si erano andate sviluppando. In primo luogo l’estrazione della pregiata calcarenite (pietra tufacea) che abbondava nelle cave del territorio e la ben più agevole asportazione della sabbia fine silicea dai vasti giacimenti esistenti. Entrambe queste due risorse rappresentavano una voce importante dell’export da fine Ottocento in avanti. Le produzioni della lana e del cotone – di cui Mazara vantava estese piantagioni – tenevano in vita l’industria tessile con il 68% dei telai familiari esistenti in tutta la provincia. La pastorizia non era da meno, collocandosi al terzo posto per produzione dopo quella di Erice e di Castelvetrano. La marineria da pesca non era ancora diventava centrale e trainante come nei decenni successivi alla Grande Guerra, ma vantava già un cospicuo numero di addetti che si contendeva la produzione ittica in un crescente conflitto tra metodi tradizionali e sistemi sempre più evoluti che consentivano risultati maggiormente fruttuosi: per esempio, l’impiego delle paranze che praticavano la pesca con le reti a strascico.

Le tensioni sociali tra i due principali gruppi della marineria, che si protrassero per anni, trovavano temporanee tregue nei provvedimenti sospensivi concordati con l’amministrazione comunale, ma gli interessi in gioco diventavano sempre più forti. Come notava il consigliere comunale Sciplino nel 1903: «la pesca delle sardelle e il salato che se ne fa, costituisce un cespite considerevolissimo d’industria marittima e commerciale»[11]. E dagli anni venti del Novecento con la motorizzazione dei primi pescherecci, la marineria avvierà la sua crescita esponenziale caratterizzando in modo determinante l’economia della città.

Ben più ricco di sfumature e cromatismi si presenta il quadro economico-produttivo della città capoluogo nel periodo in esame. Trapani era ancora una grande e importante città-portuale a forte connotazione marittimo-mercantile, con un retroterra agricolo-industriale di tutto rispetto e con delle peculiarità produttive di tradizione plurisecolare (tonnare, saline, coralli), ulteriormente alimentato dalla ricchezza delle Egadi. Ma Trapani – come ha sottolineato Salvatore Costanza – era anche una delle principali piazzeforti marittime del Paese, «per la sua posizione strategico-militare, resa più importante dalle controversie internazionali sorte in quegli anni per il possesso delle coste settentrionali dell’Africa»[12].

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Marsala, Scuola diurna per pescatori

Per numero di bastimenti partiti e arrivati, Trapani si collocava ai primi posti in Italia e il commercio del sale rappresentava la voce principale dell’export internazionale con una media annua di circa 170 mila tonnellate di prodotto imbarcato con destinazione Norvegia, Stati Uniti e Inghilterra. Per quanto riguardava il settore marmifero, che già nel 1890 contava 130 cave attive e oltre 500 operai addetti, la forte crescita avrà inizio dal 1898, dopo l’impianto della prima segheria a vapore dell’ingegnere Vito Maria Burgarella [13].

La pesca del tonno che si praticava ancora con margini di profitto negli antichi siti di tonnare costiere, da Castellammare del Golfo a San Giuliano, costituiva un altro grande punto di forza anche se il 70% di tutto il pescato della provincia proveniva da Favignana che dal 1874 apparteneva alla casa palermitana dei Florio. Ma dalla più grande isola delle Egadi si trasportavano a Trapani i blocchi di calcarenite per l’edilizia; nel quadriennio 1895-98, secondo la Camera di Commercio, si sarebbe passati da 432 a 531 mila quintali di pietra da costruzione favignanese esportata, rispettivamente per valori pari a 2.584.664 e 3.187.272 di lire [14]. Dai primi del ’900, i volumi della produzione e dell’esportazione si mantennero elevati, di contro, però i relativi valori cominciarono a discendere rapidamente per effetto della diffusione di materiali per l’edilizia più economici [15].

Secondo le stime di Costanza, ad inizio degli anni ottanta, su una popolazione di circa 39 mila abitanti, non meno di 12 mila erano occupati in attività legate al mare: pescatori, portuali, naviganti, salinari, tonnaroti e operai nelle industrie ittico-conserviere: «L’ambiente marinaro permeava di sé la vita locale attraverso i suoi interessi commerciali, la sua cultura e le sue tecniche di lavoro, i fitti collegamenti che esso, di per sé, creava con i Paesi vicini dell’area mediterranea, specialmente con la Tunisia, l’Algeria e la Spagna»[16].

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Etichetta su scatola di latta

L’altro punto di forza dell’economia del capoluogo era rappresentato dal comparto agricolo in particolare cerealicoltura, olivicoltura e viticoltura con le relative industrie di trasformazione (frantoi dell’olio, stabilimenti enologici, molini per il grano): «La ditta degli Aula (1886) fu la prima ad impiegare la forza motrice a vapore in uno dei suoi molini, con una capacità di macinazione di cinquecento quintali di frumento al giorno. […] intorno al 1890 esistevano già a Trapani otto molini a vapore»[17]. Non meno rapido fu lo sviluppo dell’industria enologica che, secondo i dati della statistica industriale del 1896 [18], contava già 15 stabilimenti moderni tutti costruiti dopo il 1870 e con produzioni di qualità che non si limitavano al tipo marsala. Vanno certamente ricordati almeno i due principali di Aula e Virgilio e di D’Alì-Bordonaro. Il primo, fondato nel 1887 e affidato alla direzione tecnica dell’enologo Clemente Gaia della scuola di Conegliano, oltre ai marsala mise in produzione il vino bianco Erice e il pluripremiato Cognac tre stelle. Domenico e Nunzio Aula e il socio Carlo Virgilio, nei primi del Novecento, comprarono 16 mila ettari di terre in Tunisia per mettere a coltura nuovi vigneti [19].

Trapani, dunque, aveva tutte le carte in regola per continuare ad essere nel Novecento una città mercantile e industriale di rango nazionale, che poteva vantare una imprenditoria piccola e media molto attiva, erede di una borghesia commerciale di antica tradizione, altrettanto forte e consistente, proiettata anche verso l’estero; non soltanto un rapporto privilegiato con il nord dell’Africa, Tunisia in testa, ma anche iniziative industriali di rilievo come la realizzazione di saline nello Yemen, ad Aden, da parte di Agostino Burgarella Ajola che da fine anni ottanta in poi attestò la produzione al livello di circa 150 mila tonnellate annue di sale [20].

Si potrebbe affermare in estrema sintesi che il settore vitivinicolo costituiva non solo il pilastro principale dell’economia della provincia, ma anche quello più caratterizzante e identitario, rispetto alle altre province siciliane. Nei terreni da Castelvetrano a Castellammare del Golfo e Alcamo, da cui tradizionalmente provenivano i vini che rifornivano la capitale siciliana, la sperimentazione viticola fu portata avanti per procedere al reimpianto su portainnesti americani, emulando l’intenso lavoro avviato in modo sistematico a Marsala e Mazara grazie all’istituzione di regi vivai viticoli.

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Trapani, Stabilimento D’Alì e Bordonaro

A causa della devastazione fillosserica, il vigneto fu sì ridimensionato nella sua estensione complessiva, ma la lotta al parassita valse a mettere insieme energie e intelligenze di agronomi, viticoltori e di centinaia di giovani innestatori che posero le basi della viticoltura moderna. Parallelamente l’enologia cominciò a compiere notevoli progressi grazie al contributo di tecnici qualificati chiamati a operare nelle principali cantine della provincia. Non si deve, quindi, generalizzare sullo stato di salute dell’economia siciliana anteguerra, ma analizzare con attenzione le singole aree per coglierne anche le vistose differenze territoriali come nel caso della provincia di Trapani che poteva trarre un bilancio largamente positivo in termini di dinamismo imprenditoriale e di risultati rispetto alle altre.

Il professor Giovanni Lorenzoni, curatore di una relazione tecnica sulle condizioni dei contadini meridionali e della Sicilia, nell’ambito della relativa inchiesta parlamentare, pubblicata nel 1910 [21], rappresentò nelle sue considerazioni conclusive un quadro d’insieme niente affatto sconfortante sulla vitalità dell’economia agraria isolana che rimaneva pur sempre tra le più importanti del Paese. Le criticità rimanevano quelle del passato: strade, scuole, bonifiche non realizzate, sicurezza pubblica. Gli interventi e le soluzioni possibili indicate dallo studioso lasciavano intravedere una via d’uscita, ma il primo conflitto mondiale avrebbe imposto nuovi limiti allo sviluppo, avrebbe dettato una nuova agenda e generato ben altre priorità.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
Note
[1] U. SANTINO, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.
[2] G. LONGHITANO, La dinamica demografica, in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi. La Sicilia, a cura di Maurice Aymard e Giuseppe Giarrizzo, Einaudi, Torino 1987: 983-1020; ISTAT Censimenti popolazione 1861-2001, http://dawinci.istat.it/MD/dawinciMD.jsp.; P. BEVILACQUA, Società rurale e emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi e Emilio Franzina, Donzelli, Roma 2001: 95-107.
[3] F. RENDA, L’emigrazione in Sicilia, Ed. Sicilia al Lavoro, Palermo 1963: 44-45.
[4] Annuario statistico della emigrazione italiana dal 1876 al 1925, a cura del Commissariato Generale dell’Emigrazione, Roma 1926: 41.
[5] S. LUPO, La Questione. Come liberare la storia del Mezzogiorno dagli stereotipi, Donzelli, Roma 2015,
[6] M. D’ANGELO, Comunità straniere a Messina tra XVIII e XIX secolo, Perna, Messina 1995: 59-67.
[7] F. PLACENTI, Feudi e paesaggi agrari. Mazara nella cartografia ottocentesca, in Mazara 800-900. Ragionamenti intorno all’identità di una città, a cura di Antonino Cusumano e Rosario Lentini, Sigma, Palermo 2004: 31-45.
[8] R. LENTINI, La marineria e le attività produttive. Note sulla storia dell’economia mazarese, in Mazara 800-900 cit.: 200.
[9] G. ALAGNA, Storia di Marsala, Torri del Vento, Palermo, vol. II: 489-498.
[10] R. LENTINI, Mazara tra censi e censimenti. Per una storia dell’identità sociale, in Mazara 800-900 cit.: 123, Tav. 7.
[11] IDEM, La marineria e le attività produttive cit.: 215.
[12] S. COSTANZA, Storia di Trapani, Arbor, Trapani 2009: 185.
[13] Ivi: 187.
[14] Relazione sulle condizioni economiche della Provincia di Trapani. Anni 1895-98, Camera di Commercio, Trapani 1902, parte II.
[15] Relazione sulle condizioni economiche della Provincia di Trapani. Anni 1903-1906, Camera di Commercio, Trapani 1907: 75.
[16] S. COSTANZA, Storia di Trapani cit.: 193.
[17] Ivi: 196.
[18] Annali di Statistica. Condizioni economiche della provincia di Trapani, Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Roma 1896: 49.
[19] Rivista industriale, commerciale e agricola della Sicilia, Bontempelli & Trevisani, Milano 1903: 163.
[20] S. FONTANA, Per un corno di pepe. Aden Salt Works 1886-1965. La missione trapanese nelle terre della Regina di Saba, Trapani 2009: 28.
[21] Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia. Relazione del delegato tecnico prof. Giovanni Lorenzoni, vol. 6 – Sicilia, Roma 1910, tomi 2.

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Rosario Lentini, studioso di storia economica siciliana dell’età moderna e contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano diverse aree tematiche: le attività imprenditoriali della famiglia Florio e dei mercanti-banchieri stranieri; problemi creditizi e finanziari; viticoltura ed enologia, in particolare, nell’area di produzione del marsala; pesca e tonnare; commercio e dogane. Ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero e ha curato e organizzato alcune mostre documentarie per conto di istituzioni culturali e Fondazioni. È autore di numerosi saggi pubblicati anche su riviste straniere. Il suo ultimo studio edito da Torri del Vento è dedicato alla Storia della fillossera nella Sicilia dell’800.

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