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Le sfide e le prospettive della Tunisia dopo le elezioni

copertinadi Simone Casalini

La transizione democratica tunisina prosegue, per certi versi si omologa alle dinamiche di voto e consenso delle democrazie occidentali, ma la nuova direttrice non insisterà sui diritti civili e sociali come leva di emancipazione collettiva e di modernizzazione del Paese – in linea con la tradizione bourguibista – bensì seguirà le linee di un conservatorismo compassionevole innervato da tendenze populiste. È la prima lettura, in attesa del riscontro empirico, che emerge dalle doppie elezioni – presidenziali e legislative – celebrate in Tunisia tra fine settembre e metà ottobre e che hanno insediato al Palazzo di Chartage il 61enne costituzionalista Kaïs Saïed e restituito un parlamento balcanizzato e senza maggioranze politiche. Un quadro di incertezza che potrebbe essere in parte dissolto da un governo di unità nazionale o da un esecutivo tecnico, ipotesi quest’ultima alimentata sotto traccia dal nuovo Presidente della repubblica. Più remota la possibilità di un governo politico: Ennahda, il partito più votato, dovrebbe ricomporre in parlamento la frattura delle urne.

Presidential elections in Tunisia

Kaïs Saïed

Presidenziali, il peso dei giovani e l’insuccesso del governo

Kaïs Saïed è nato a Tunisi nel 1958, ma è originario di Béni Khiar nel governatorato di Nabeul, cresciuto in una famiglia devota ma di tendenze progressiste. Ha insegnato alla Facoltà di diritto e scienze politiche di Sousse, rivestendo anche il ruolo di preside del Dipartimento di diritto, fino al 1999 per poi passare all’università di Tunisi. Il giurista, ribattezzato “Robocop” per il suo tono monocorde e l’uso dell’arabo classico, è riuscito a catalizzare sulla sua figura il voto dei giovani e delle fasce più vulnerabili della popolazione. Nel primo turno ha ottenuto il 18,5% dei consensi che si sono trasformati in un plebiscito nel secondo turno (72,71%), sfruttando la convergenza di altre forze politiche – il partito islamista Ennahda in testa – e la surreale vicenda del suo avversario, il magnate televisivo Nabil Karoui, affondato da un’inchiesta giudiziaria per evasione fiscale che lo ha condotto in carcere il 23 agosto per poi essere liberato il 9 ottobre, a quattro giorni dal ballottaggio.

Saïed sarà un Presidente della repubblica senza un riferimento partitico perché ha scelto di non fondarne, consegnando direttamente agli elettori il suo messaggio. Del resto il professore si è espresso criticamente sull’assetto della nuova democrazia tunisina, reclamando un potenziamento delle attribuzioni dei municipi che potrebbe tradursi in una revisione della Costituzione del 2014. La sua affermazione è maturata tanto sui social network – sono numerosi i profili Facebook con migliaia di aderenti che ne hanno supportato l’azione – quanto nelle strade e nei caffè dove Saïed ha svolto centinaia di incontri, dedicandosi anche all’ascolto dei tanti disagi suscitati da una rivoluzione in parte delusa.

L’idea di costruire una relazione diretta e partiticamente non filtrata con il popolo e la consistenza del suo messaggio lo avvicinano alla famiglia, a dire il vero molto controversa, dei populismi. Saïed ha costruito un’articolata retorica anti-sistema, denunciando gli esigui risultati ottenuti dai governi della diarchia (Nidaa Tounes-Ennahda) e rilanciando su alcuni valori (anche religiosi) che hanno attecchito tra i giovani, nelle periferie, persino tra i supporter di calcio, classificati normalmente all’opposizione e sensibili alle parole anti-establishment. Se Essebsi è stato il motore della nuova stagione di diritti civili – a cui è mancato, tuttavia, il sigillo del voto in parlamento – portando al centro del dibattito la parità nell’eredità tra uomo e donna, l’eliminazione della dote come condizione per contrarre il matrimonio, la trasmissibilità del cognome materno e la depenalizzazione dell’omosessualità, le parole d’ordine di Saïed muovono in una direzione totalmente opposta. Ha spiegato che nel Corano l’eredità non è fondata sull’uguaglianza formale, ma sull’idea di giustizia. E che il testo sacro individua un sistema (patriarcale) in cui i diversi elementi convivono in armonia. Quindi, pur rassicurando che «le donne in Tunisia sono sempre state libere e hanno goduto di tutte le libertà e dunque non esiste una ragione per tornare indietro», il neopresidente della repubblica non solleciterà la ripresentazione della questione dell’eredità in parlamento.

Sull’accettazione dell’omosessualità Saïed ha posizioni di difesa dello status quo: l’articolo 230 del codice penale che criminalizza la sodomia, autorizzando gli esami anali delle persone sospettate, è stato codificato «per preservare i valori della società». Le uniche concessioni in materia sono per un’applicazione moderata della disposizione e nel riconoscere che «nella sfera privata ciascuno è libero di fare ciò che crede». Ma non in quella pubblica. Saïed ha toccato anche il registro della pena di morte – presente nell’ordinamento tunisino, ma di fatto non applicata dagli anni Novanta –, proponendo di riattivarla limitatamente ai casi di terrorismo. In questo senso si è detto pronto a far eseguire le prime sentenze di morte.

Ma il messaggio di Saïed è più sofisticato di un conservatorismo che alla fine interpreta anche una tendenza culturale radicata nell’emancipata società tunisina. E va oltre lo steccato religioso dove non ha mancato di ambiguità verso le posizioni salafite. Offre anche simbologie di modernismo – a partire dalla sua famiglia, la moglie Ichraf Chebil è un magistrato che non porta il velo – e ricorre ad un lessico che coniuga destra e sinistra («Voglio rassicurare tutti, non ci sarà spazio per l’esclusione»), caricandosi del fardello della disuguaglianza sociale che attraversa il Paese da nord a sud. Ha proposto un carnet di azioni che include lotta alla corruzione, giustizia sociale e rappresentanza per tutti «attraverso una diversa organizzazione politico-amministrativa».

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Mobilitazione a favore di Nabil Karoui

Ascesa e caduta di Nabil Karoui

Saïed ha raccolto un consenso anti-sistema che si è abbattuto in primis sul governo uscente. Il candidato di Ennahda, il vicepresidente uscente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo Abdelfattah Mourou, un sufi che ha accompagnato la storia dell’islamismo tunisino, si è classificato terzo con l’11%, il ministro della Difesa Abdelkarim Zbidi si è fermato al 9,4% mentre il premier uscente Youssef Chahed non è andato oltre il 7,5%.

Queste elezioni segnano in qualche misura anche il distacco definitivo dal tempo storico della decolonizzazione e dell’epoca successiva. A scandirlo, simbolicamente, sono state le morti del primo presidente post-rivoluzione – Béji Caïd Essebsi, ministro con Bourguiba e fondatore di Nidaa Tounes che aveva dato cittadinanza all’area laica e modernista – deceduto il 25 luglio per un’intossicazione alimentare, circostanza che ha accelerato la scaletta del voto, e dell’ex dittatore Ben Ali, riparato in Arabia Saudita dopo i tumulti del dicembre 2010. Ben Ali aveva preso il potere nel 1987 detronizzando Bourguiba con un “colpo di Stato medico” e aveva progressivamente virato il sistema di potere in una tela corrotta di stampo familistico.

Insieme a Saïed, l’altra figura chiave della nuova stagione della primavera tunisina è stata quella del proprietario di Nessma Tv, Nabil Karoui. Con il fratello Ghazi, eletto in parlamento ma latitante, ha fondato nel 1996 l’agenzia di comunicazione Ekko Publicité Lions (poi diventata Karoui&Karoui), come ha ricostruito in un’inchiesta giornalistica Jeune Afrique. Negli anni Duemila il raggio d’azione si è esteso in Marocco, Mauritania, Algeria, Libia, Sudan e Arabia Saudita, generando un giro d’affari intorno ai 4,5 milioni di euro e un organico di trecento dipendenti (150 in Tunisia). Nel 2009 il passaggio decisivo con la creazione di Nessma Tv che ha conquistato rapidamente il primato tra le televisioni tunisine con un audience di 3,8 milioni di spettatori. Il business cresce e si diversifica, allargandosi nel 2017 al campo della telefonia.

Un anno prima la Ong I watch aveva promosso un’inchiesta che condusse a muovere accuse pesanti ai fratelli Karoui: avrebbero creato società fittizie in Lussemburgo per evadere le tasse. La difesa cerca invece di dimostrare che quella società lussemburghese serviva semplicemente a far transitare un investimento da 35 milioni di euro da Mediaset e Prima Tv – proprietarie del 25% ciascuno di Nessma Tv, il rimanente 50% appartiene alla Karoui&Karoui – alla holding dei fratelli Karoui. La Ong conferma l’accusa di evasione e riciclaggio di denaro. Il resto della storia conduce al presente: a luglio Nabil Karoui lancia la sua candidatura alle presidenziali e il partito Qalb Tounes con un programma proteso verso gli strati più deboli della popolazione e un’azione caritatevole che radica il movimento nel popolo e nei sondaggi. Il 23 agosto, a distanza di tre anni dall’istruttoria di I watch, la questione ritorna a galla e determina l’arresto di Karoui. Giustizia a orologeria è l’accusa dell’entourage del tycoon che inizia a perdere consenso e viene scavalcato da Saïed alle presidenziali e da Ennahda alle politiche.

Rispetto alle presidenziali del 2014 è mancato il voto femminile: un milione di donne garantirono l’elezione di Essebsi e spinsero le vele di Nidaa Tounes. Questa volta solo il 36% delle donne iscritte all’albo dei votanti ha deciso di entrare ai seggi, scegliendo in prevalenza Karoui. Complessivamente al secondo turno l’affluenza è stata del 57,8% (3,7 milioni di votanti contro i 3,46 del primo turno e i 3,1 del ballottaggio che consacrò Essebsi, ma con 1,7 milioni di iscritti in meno alle liste elettorali).

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Rachid Ghannouchi

Ennahda tra sconfitta e riscatto

Se Saïed e Karoui sono state le due facce della stessa medaglia elettorale che ha dato voce al malcontento più profondo con la promessa di una nuova rivoluzione, le elezioni legislative hanno rappresentato la normalizzazione. Sterilizzato Karoui e Qalb Tounes – liberato alla vigilia del ballottaggio, ma dopo il voto delle politiche – Ennahda ha potuto issarsi in cima alle preferenze dei tunisini, seppur con un risultato ridimensionato rispetto a cinque anni fa (52 seggi contro 69). Ma per quanto esiguo consegna nelle mani del partito della Rinascita le carte da distribuire al tavolo del nuovo governo con Rachid Ghannouchi indicato dal presidente di Ennahda, Abdul Karim al Harouni, come candidato premier. Certo la disaffezione coltivata all’ombra di un’economia in stagnazione ha avuto un suo ruolo: il tasso di partecipazione è stato del 41,3% (2,9 milioni su 7 milioni di aventi diritto) contro il 69% del 2014. Gli elettori maschi sono stati il 64%, le elettrici il 36%. Solo il 9% dei giovani tra i 18 e i 25 anni ha votato per le legislative, sicché l’esito finale è stato in gran parte determinato dagli over 45 (57% del totale dei votanti).

Dei 217 seggi in palio Ennahda ne ha conquistati 52, Qalb Tounes – a lungo in vantaggio nei sondaggi prima dell’arresto di Karoui – si è fermato a 39, Corrente democratica (Attayar, formazione laica di sinistra) 21, la coalizione Karama, vicina al radicalismo islamico, 19, il Partito dei destouriani liberi (eredi di Ben Ali) 17. Poi 15 ciascuno per Tahya Tounes, il partito fondato dal premier uscente Chahed, e Movimento popolare (cartello di sinistra), 4 seggi a Errhama (altra formazione del radicalismo islamico), Machrou Tounes e Nidaa Tounes (crollato dopo la morte di Essebsi e dilaniato dalle divisioni interne), 3 per Abadil e Unione popolare repubblicana, 2 per Afek Tounes, Speranza e lavoro, Aich Tounsi. A questi seggi se ne aggiungono 11 di candidati indipendenti e 5 di formazioni minori.

L’area del consenso islamico si è dilatata perché i seggi perduti da Ennahda sono stati redistribuiti con gli interessi a Karama e Errhama. Accedono al parlamento anche personaggi discussi come Said Jaziri, presidente del partito di Errahma e gestore della radio (illegale) “Saint Coran”, espulso da Francia e Canada e accusato di aver finanziato attività terroristiche. E ancora Riadha Jaouadi, controverso imam della moschea di Sidi Lakhmi a Sfax, noto per le sue prediche estremiste o Maher Zid, coinvolto in diverse inchieste sul terrorismo. L’elettorato modernista in uscita da Nidaa Tounes si è rispecchiato, invece, in Qalb Tounes e in parte nei nostalgici di Ben Ali. La sinistra ha tenuto dopo la dissoluzione del Fronte popolare, ma nell’Assemblea dei rappresentanti del popolo avrà un ruolo marginale.

Per nascere, il governo necessita di una maggioranza di almeno 109 parlamentari. Ennahda – che parla di un «governo di responsabilità nazionale», ha già ricevuto la disponibilità dell’area radicale islamica (Karama in testa), ma una coalizione islamo-conservatrice non ha i numeri in Aula. Un altro interlocutore privilegiato potrebbe essere il partito del premier uscente Chahed che Ennahda ha sostenuto negli ultimi anni, chiedendo magari ora di essere ricambiato. Chi si è già chiamata fuori è la sinistra: Attayar ha declinato l’invito a trattare con il movimento della Rinascita. I primi punti del programma per coagulare una maggioranza sono un programma economico-sociale che dia risposte al Paese e ai settori più marginalizzati, un piano di riforme e modernizzazione e la lotta alla corruzione che da Ben Ali in poi è un fattore endemico nella scarsa performance degli indicatori economici. Uno schema di gioco alternativo potrebbe condurre ad un governo di unità nazionale con Ennahda e Qalb Tounes come pilastri, ipotesi che avvicinerebbe la Tunisia al recente passato. Ma né il partito islamista né quello di Karoui sembrano propensi a percorrere questa strada. Infine, rimane la carta del governo tecnico che assicurerebbe un potere di indirizzo al neopresidente Saïed: il sentiero è tortuoso perché Ennahda difficilmente accetterà di rinunciare alla sua leadership.

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Hamadi Redissi

Il governo che verrà e la battaglia psicologica

Hamadi Redissi, professore di scienze politiche all’università di Tunisi e presidente onorario dell’Osservatorio tunisino sulla transizione democratica, scorre i dati del doppio impegno elettorale, cercando di setacciare una prospettiva. Hanno evidenziato una volta di più la contrapposizione tra le zone prospere del litorale e quelle deprivate dell’entroterra da cui – a cavallo tra il 2010 e il 2011 – scoppiarono i tumulti con epicentro Sidi Bouzid che provocarono la cacciata di Ben Ali. «Alle presidenziali hanno vinto due candidati populisti con un marcato profilo sociale e un programma caritatevole rivolto alla popolazione dei poveri e disperati – analizza Redissi – Sono stati in grado di esprimere un certo valore e Saïed è stato abile a parlare ad elettori politicamente lontani, dal conservatorismo religioso alla sinistra. Alla fine non ha un programma vero e proprio e il cuore della sua battaglia è contro i partiti e sembra interpretare una differente democrazia che assomiglia molto ai Mir russi presenti prima della rivoluzione (vennero aboliti nel 1905, ndr), comunità di contadini che avevano una totale autonomia. Saïed esprime la crisi tunisina, la marginalizzazione dei poveri e la disoccupazione dei laureati. È stato votato dalle famiglie rurali e dai giovani, diplomati e laureati, che spingono per una nuova rivoluzione».

Redissi invita a cogliere anche i dati in controtendenza relativi all’astensione in crescita che rischia di indebolire la fragile democrazia tunisina: «È vero, la disaffezione aumenta, ma nonostante questo il 30% degli elettori di Saïed non aveva mai votato e per la prima volta si è affacciato ai seggi. L’astensione e il voto sono in armonia: esprimono la diffidenza e hanno sanzionato il potere uscente, giudicando insufficiente il personale politico».

Sul caso Karoui il politologo tunisino non si sbilancia: «Chi grida al complotto sostiene che il suo arresto è stato voluto dal premier Chahed e da Ennahda che esprimeva il ministro per la giustizia. Avrebbero deciso di fermare la sua corsa visto che tutti i sondaggi lo davano come favorito. L’uomo è di una moralità dubbia, ma non saprei dire se le accuse nei suoi confronti sono fondate. L’indagine è ancora in corso, Karoui non può lasciare il Paese. Certo, sul piano politico è stato bloccato un candidato, una situazione molto particolare».

Infine il rinnovo del parlamento e le prospettive (difficili) per un nuovo governo. «L’elettorato si è spostato a destra, questo è un dato evidente – riflette Redissi –. La stessa Ennahda ha perso consenso a destra con la scissione della sua ala più intransigente che ha conquistato, con Karama e Errahma, un numero importante di parlamentari. Non è trascurabile la presenza di questi islamisti radicali e pone seri interrogativi anche rispetto all’equilibrio costruito con la Costituzione del 2014. Lo scenario ci rimanda comunque un parlamento non governabile. Gli altri partiti hanno registrato tutti risultati deboli. Un’alleanza Ennahda-Qalb Tounes? Credo che la ragione per la quale Karoui sia stato liberato è anche quella di coltivare la prospettiva di un governo di unità nazionale. Qalb Tounes non ha remore ideologiche verso Ennahda, ma è stata umiliata insieme al suo leader. Sarà una battaglia psicologica».

Dialoghi Mediterranei, n. 40, novembre 2019
Riferimenti Bibliografici
Yadh Ben Achour, La tentazione democratica, Ombre corte, Verona, 2010.
Larbi Chouikha e Éric Gobe, Histoire de la Tunisie depuis l’indépendance, La Découverte, Paris, 2015.
Tania Groppi e Irene Spigno (a cura di), Tunisia. La primavera della Costituzione, Carocci, Roma, 2015.
Aymen Hacen, Suis-je la révolution?, Nous, Tunis, 2017.
Hamadi Redissi, L’Islam incertain. Révolutions et islam post-autoritaire, Cérès éditions, Tunis, 2017.
Stefano Torelli, La Tunisia contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2015.
Anne Wolf, Political Islam in Tunisia. The History of Ennahda, C. Hurst&Co., London, 2017.

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Simone Casalini, giornalista professionista, è caporedattore del Corriere del Trentino/Corriere della Sera e collabora con la rivista di politica internazionale Eastwest, curando in particolare l’evoluzione sociopolitica della Tunisia. È laureato in Scienze politiche all’Università di Urbino e si è occupato, più nello specifico, del pensiero critico della Scuola di Francoforte e del post-strutturalismo francese. Ha pubblicato Intervista al Novecento (Egon editore, 2010) in cui attraverso la voce di otto intellettuali – tra i quali Toni Negri, Franco Rella, Gian Enrico Rusconi e Sergio Fabbrini – ha analizzato l’eredità del secolo breve. È da poco uscito per Meltemi Lo spazio ibrido. Culture, frontiere e società in transizione.

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