Stampa Articolo

Le donne nei media italiani. Dalla banalizzazione della violenza alla manipolazione

1di Francesca Morando       

Non c’è mai tara per un uomo (proverbio cabilo)

L’oggettivizzazione sessualizzante e la svalutazione della violenza contro le donne non sono temi nuovi nei mass media italiani (e in altre parti del mondo). Cosa mi spinge invece a volere scrivere questo articolo sta nell’avere ravvisato alcuni escamotage informativi utilizzati da parte dei mezzi di comunicazione di massa italiani nei confronti di questa categoria, forse in particolar modo adoperati durante i periodi di “crisi”, come vedremo dopo.

Nella mia esperienza di formatrice di Gender per un pubblico di diversa estrazione etnica ho riscontrato primariamente l’imbarazzante ritardo storico e culturale con il quale l’Italia tratta le questioni di genere, creando al contrario molta confusione. Tuttavia, spero in futuro di potere approfondire tali ampie tematiche, dal momento che in questa sede se ne parlerà soltanto in maniera mirata, ponendo l’accento, pur non esaustivo, sugli argomenti dell’oggettivizzazione, della violenza nonché dell’informazione di massa.

710edu0hi3lLa rappresentazione socio-culturale del corpo

Dalla fine degli anni Ottanta il corpo ha costituito un tema di ricerca privilegiato per le scienze sociali, specialmente per la sociologia e l’antropologia, investigando come la società configuri culturalmente i corpi, convalidandoli in essa. Tali rappresentazioni seguono diversi modelli socio-culturali, basti pensare ai tatuaggi, al fitness, alla chirurgia estetica, alla cosmesi e a tutte quelle pratiche di modifica del corpo per fini estetici, di accettazione sociale o anche di interventi permanenti sul corpo per la creazione di nuove mode. Ciò nonostante ai corpi maschili e a quelli femminili sono state attribuite espressioni culturali molto diverse, che Sciolla e Torrioni (2012: 143), riportando G. Simmel, scrivono:

«Il maschio deve essere “significativo” [ovvero deve entrare in contatto con il mondo e trasformarlo]. Analogamente, si racchiude l’imperativo storico femminile nella frase: la donna deve essere bella».

In altre parole, le diverse società, nel corso del tempo, hanno richiesto la capacità intellettiva e l’azione all’uomo mentre alla donna soltanto l’apparenza fisica e la docilità d’animo [1]. A tal proposito risulta interessante che in arabo esistono un gran numero di nomi propri che si riferiscono alla bellezza fisica e al portamento, rispetto all’italiano. È da sottolineare, inoltre, che i canoni di bellezza non vengono esplicitati palesemente ma attraverso la socializzazione diventano modelli interiorizzati dagli individui. Non va dimenticato, poi, che per fini squisitamente economici i modelli fisici e comportamentali hanno subìto anche modifiche profonde. Per esempio, nel tempo, la cosmesi ha visto periodi di fortuna alterna, perché tendenzialmente utilizzata dalle prostitute, così come anche l’atto di fumare da parte delle donne, come riporta N. Chomsky (2017:132):

«Non è detto che il fumo si sarebbe tanto diffuso tra le donne se le compagnie del tabacco non avessero colto l’occasione negli anni Venti e Trenta, di sfruttare le idee di liberazione, potere e altri valori importanti dell’universo femminile per iniziarle al mercato delle sigarette. La sfida era associare nuove immagini e messaggi sociali al fumo femminile per svincolarlo da comportamenti e valori equivoci e lussuriosi. Fumare doveva diventare un’abitudine percepita non soltanto come rispettabile, ma anche sociale, alla moda, elegante e femminile».

Il corpo viene percepito come materiale “grezzo” su cui il singolo può e a cui tocca intervenire per plasmare forme socialmente positive, per raggiungere il pieno consenso del gruppo ma anche per ottenere l’appagante senso d’appartenenza a esso.

9788833311272_0_536_0_75Oggetti sessuati

Abbiamo appena visto come il corpo in tempi recenti viene inteso come materia da plasmare ma nel corso del tempo, uomini e donne (legati intrinsecamente ai loro ruoli socio-culturali) sono stati definiti in maniera molto più rigida, da un punto di vista sociale androcentrico.

Nella cultura giudaico-cristiana, un forte esempio di questa concezione, si riscontra, per esempio, nel nono e nel decimo comandamento, i quali, in forma estesa, recitano: «Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es. 20, Dt. 5). Analizzando tale divieto divino si nota come la donna (pur essendo l’alter ego dell’uomo libero) viene considerata come un bene mobile, al pari di oggetti, animali e degli schiavi (i quali non potevano vantare alcuno status giuridico e quindi sociale). Inoltre sembrerebbe che alla donna (secondo leggenda) sia stata riconosciuta la presenza dell’anima soltanto dopo lunghi dibattiti e decisioni conciliari da parte di uomini, facenti parte di una delle strutture più patriarcali in assoluto, ovvero la Chiesa.

Già nel 1785 il filosofo Immanuel Kant aveva parlato di oggettivizzazione sessuale, identificando, per primo, in tale concezione, il fenomeno per cui una persona viene trattata in maniera puramente strumentale per il raggiungimento del piacere erotico di un altro individuo, che non tiene in conto della dignità del soggetto-oggetto. Inoltre Martha C. Nussbaum (1999) ha teorizzato sette comportamenti seriali (non necessariamente contemporanei) in cui la persona oggettivata viene concepita come un’entità senza autonomia e autodeterminazione; il soggetto-oggetto viene visto come un essere privo della capacità di agire e dunque passivo; l’oggettivato viene considerato sostituibile con altri oggettivati; il soggetto-oggetto viene percepito come privo di confini che ne garantiscano l’inviolabilità e l’integrità e quindi risulta potenzialmente distruggibile; in quanto idealmente il soggetto è un oggetto, allora appartiene a qualcuno; l’oggettivato viene assimilato a un’entità il cui vissuto, la dignità e le emozioni non hanno rilevanza. Ultimo ma non per importanza, il tratto più caratterizzante dell’oggettivizzazione risiede nella sessualizzazione del soggetto-oggetto, in quanto questo estrinseca la sua utilità esclusivamente nel momento del soddisfacimento erotico. In altre parole, l’oggetto sessualizzato ha valore perché soddisfa le necessità temporanee dell’altro individuo.

61sbegstlllTale esercizio culturale si riscontrava in maniera esasperata nell’istituzione degli harem, concepiti durante la dinastia abbaside (750-1258) in Iraq e nel resto dei confini più orientali dell’impero, incluso l’Afghanistan. Successivamente, gli harem vennero replicati nei vari territori della dominazione arabo-islamica. Come riporta Leila Ahmed (1993), la relazione tra unico uomo e moltitudine di donne nei ginecei equivaleva a quella del padrone di schiavi, tanto più che Bourdieu (1998:73) afferma: «non è esagerato paragonare la mascolinità a una forma di nobiltà». Tale sorta di “aristocrazia” è ravvisabile nella giurisprudenza islamica, dove colui che gode in toto di pieni diritti è il mukallaf  [2] , ovvero il musulmano maschio pubere non schiavo, nel pieno delle sue facoltà mentali, senza imperfezioni fisiche (cecità, sordità, mutismo, ecc..) che pregiudicherebbero il suo discernimento. Costui quindi è “abile” nell’osservare in maniera ligia i precetti della vita religiosa. A questo obbligo sono invitate anche le donne ma non i ragazzi impuberi. Le limitazioni alla capacità giuridica risultano quindi l’età, le imperfezioni fisiche e mentali, il genere, la condotta eticamente o religiosamente scorretta e lo stato di insolvenza. Nel Corano, il Creato è al servizio del mukallaf.

Altre forme di sessualizzazione, intrinsecamente legate alla violenza psico-fisica su corpi femminili, immaturi dal punto di vista erotico, sono i matrimoni delle bambine di pochi anni con uomini più grandi di loro anche di decine di anni e le mutilazioni genitali femminili, attuate su bimbe sempre più piccole, fra le varie motivazioni, perché dovrebbero preservare la castità femminile.

fig-2-fumettiIn Occidente, da decenni, una potentissima forma di definizione dei ruoli sociali e oggettivizzazione del corpo avviene attraverso i modelli (sub-)culturali propinati a qualsiasi ora del giorno, attraverso i mass media. Questi, giusto per citare qualche esempio, vanno dagli innumerevoli film (specialmente di produzione hollywoodiana) ai fumetti, ai cartoni animati e ai videogiochi [3]; dalla pubblicità in generale e in particolare quella dei giocattoli per bambini, quella della moda, dei profumi, del fitness; ai programmi più o meno trash della TV italiana (ed estera). Un caso significativo è avvenuto poche settimane fa, quando all’interno del programma Lo Sportello di Forum, la giornalista conduttrice, Barbara Palombelli, ha riferito le frasi seguenti in merito ai femminicidi di quei giorni, riportate dal quotidiano Il Mattino (18.09.2021):

«“A volte è lecito anche domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati? Oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza, in questa sede, un tribunale». Queste le parole pronunciate da Barbara Palombelli durante la puntata de Lo Sportello di Forum a commento dell’impressionante raffica di femminicidi che ha visto sette donne uccise in sette giorni. L’intervento aveva l’intento di introdurre una discussione sul tema, ma ha scatenato una polemica che ha coinvolto non solo i social ma anche politici, sindacati e organismi di categoria.
[…] Barbara Palombelli si era già scusata a sua volta sia a Stasera Italia sia in diretta a Quarto Grado venerdì sera: «Chiedo scusa se qualcuno sentendo quella frase ha pensato che potessi essere complice di chi commette un delitto, ma il mio era un discorso diverso».

Quanto delineato è soltanto una premessa per il passaggio successivo, dal momento che, come vedremo la distanza tra oggettivizzazione e violenza risulta estremamente breve.

51btfqihgzlLa “tollerabilità” della violenza

In merito a quanto esposto sopra, si capisce che trattare le donne come cose, ha permesso nel lungo corso del tempo ad azioni maschili anche molto brutali, siano esse dirette o inconsapevoli, definite, queste ultime da Bourdieu (1998) come violenza simbolica contro il genere femminile. In quasi tutte le società del globo, infatti, è possibile ravvisare due mondi dicotomici contrapposti a causa della forte disparità di potere dovuto alla cosmologia androcentrica [4]. In maniera estremamente semplificata e sintetica vediamo che le sfere della virilità e della femminilità presentano le seguenti macro caratteristiche, distanti diametralmente:

  • maschile ≠ femminile
  • sacro e divino ≠ magico e diabolico
  • razionale ≠ irrazionale
  • autoritario ≠ arrendevole
  • dominante ≠ protetto
  • guerriero ≠ dominato
  • agente ≠ passivo
  • diurno ≠ notturno
  • parlante ≠ silente
  • cittadino ≠ rurale
  • pubblico ≠ casalingo
  • onorabile ≠ disonorevole
  • prestigioso ≠ umile
  • vendicativo ≠ transigente

riepilogando, l’uomo rientra simbolicamente e fisicamente nello spazio “alto”, mentre la donna invece rientra nello spazio simbolico e fisico “basso” e questo dal momento che:

«I dominati applicano categorie costruite dal punto di vista dei dominanti ai rapporti di dominio, facendoli apparire come naturali (corsivo mio). […] Il potere simbolico non può esercitarsi senza il contributo di coloro che lo subiscono e che lo subiscono soltanto perché lo costruiscono come tale» (Bourdieu, 1998: 45, 51).

Parafrasando Bourdieu, le categorie del maschile e del femminile si sono culturalmente e socialmente concretizzate nel tempo per via della reciproca costruzione e legittimazione, seppure fortemente sbilanciata a favore degli uomini. Nel contesto della sopracitata storica biforcazione prodotta dalle cristallizzate società patriarcali, Grassi e Guercio (2018: 30) scrivono in merito alla superficialità giurisprudenziale relativa alle brutalità subite dalle donne:

«si spiega una certa originaria fragilità del diritto internazionale a sanzionare le violenze nei confronti delle donne, in primo luogo le violenze di carattere sessuale, commesse in tempo di pace e in maniera sistemica nelle situazioni di conflitto. A fronte di tale lacuna sanzionatoria, lo stupro di massa è così diventato una tattica di guerra, uno strumento di terrore e di offesa strutturata nei confronti della popolazione femminile. Lo è stato per le donne durante la guerra in Bangladesh negli anni Settanta, così come durante il conflitto tra l’Iraq e il Kuwait, o quelli in Afghanistan, Somalia, ex Jugoslavia, Rwanda e in genere in tutte le aree del mondo colpite dalle guerre locali degli ultimi decenni del XX secolo (Brownmiller, 1975).

Avendo accennato come il concepire un essere umano di genere femminile quale un oggetto inanimato qualsiasi e avendo visto come questa concezione denaturalizzante comporti alla sconcertante violabilità del corpo [5], il passaggio successivo è quello di vedere la manipolazione delle vicende femminili attraverso i mass media.

fig-3-panem-et-circenses-modernoLa distrazione mediatica

Prima di Blaise Pascal e Noam Chomsky, i Romani già conoscevano l’elemento di distrazione delle masse dalla politica con l’abbondante elargizione della strategia del panem et circenses (pane e giochi circensi) per deviare l’attenzione della popolazione e contenere il potenzialmente critico malumore della gente. Pascal intendeva il divertissement non in maniera aderente al concetto in lingua francese di distrazione frivola da una realtà cupa o noiosa, bensì quei comportamenti che allontanavano gli uomini dall’introspezione sulla condizione umana fatta di ignoranza, pochezza, destino ineluttabile terminante con la morte, ecc. Il divertissement quindi aveva l’ingannevole vantaggio di illudere l’uomo, distogliendolo dalla sua triste condizione.

Il contemporaneo Chomsky, invece individua la sistematica strategia della distrazione, che orienterebbe le masse verso altri elementi di scarso o infimo interesse. Questi ultimi devono focalizzarsi su ciò che evitano accuratamente i cambiamenti politici delle élite, specialmente riguardo a temi di reale coinvolgimento, quali i concetti fondamentali della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. Viene impiegata, inoltre, la sistematica stimolazione mediatica dell’emotività invece della presentazione oggettiva dei fatti, che spronerebbe invece la riflessione. Questa tecnica, infatti, che punta direttamente all’emozione e all’irrazionalità, provoca una sorta di corto circuito della logica ponderata. In questo modo il turbinìo emotivo, inficiando sul senso critico dell’individuo e facendo leva sull’inconscio, innesta idee, desideri, paure e preoccupazioni, compulsioni, riuscendo anche a indurre comportamenti preordinati.

Tale ampia premessa individua, per esempio, il continuo riproporre nelle ultime settimane, la “questione femminile” e la necessità di salvaguardia dei diritti delle donne afghane, a seguito della ritirata degli Americani dall’Afghanistan. Naturalmente parteggio indefessamente per tale categoria e per la garanzia democratica dei loro diritti fondamentali ma, attraverso i mass media, tale reale bisogno sembrerebbe invece trattato come uno degli argomenti ricorrenti “di punta” o come tema di “distrazione”. Fatima Farina (2004:139-140) riporta il “pubblico scrutinio” delle donne americane nel momento del combattimento durante la Guerra del Golfo (investigato da M. Segal):

 «L’enfatizzazione del ruolo delle donne operata dai media rientra nella scelta di non informare (corsivo mio) o meglio di contenere l’informazione sulla dinamica di guerra con lo scopo di prevenire un effetto Vietnam. […] La strategia comunicativa adottata prevedeva di parlare delle donne anche per creare il consenso intorno alla inedita partecipazione femminile, coerentemente con la più ampia disinformazione e manipolazione del pubblico. […] Le identità delle protagoniste femminili è stata sfumata nei ruoli di volta in volta delle “madri”, delle “prigioniere”, delle “vittime». 

51n-pfr5hjl-_sx335_bo1204203200_Quello che si è sentito nelle ultime settimane attraverso i mass media dalla ribalta dei talebani è stata (giustamente) la preoccupazione per i diritti e il destino delle donne afghane. Facciamo l’esempio del popolare programma Striscia La Notizia: la simpatica e competente inviata musulmana Rajae Bezzaz ha proposto a uomini e donne musulmani di lanciare una “ciavatta” (ciabatta) contro una sagoma di cartone, riproducente un terrorista. Nei diversi servizi, si sono sentite anche le parole “talebani” e “donne afghane”. Dal mio modestissimo parere, tale tentativo di mettere in luce dei reali problemi di delicata trattazione, sembrerebbe più che altro divulgare il tema dei diritti delle donne musulmane e afghane con carente nesso logico, banalizzando al contempo le reazioni positive dei musulmani in Italia, che si dichiarano contro il terrorismo islamico.

Nei mass media, spesso le prime pagine dei giornali o intere trasmissioni vengono dedicate a vicende tristemente noir in cui le vittime sono donne (incluso lo sterile conteggio numerico dei femminicidi durante alcune trasmissioni). Così facendo i mezzi di comunicazione di massa puntano a suscitare la reazione emotiva del pubblico, quando l’ISTAT, invece riporta che, di fatto, risultano in netta maggioranza gli omicidi di uomini:

«Il diverso andamento degli omicidi di uomini e donne ha dunque radicalmente modificato il rapporto tra i sessi. Per i maschi, sebbene l’incidenza degli omicidi si mantenga tuttora sempre nettamente maggiore rispetto alle femmine, i progressi sono stati molto visibili. Per le donne, che partivano da una situazione molto più favorevole, la diminuzione nel tempo ha invece seguito ritmi molto più lenti, fino ad arrestarsi. Il calo differenziale nel periodo tra i due sessi è stato favorito anche dalla contrazione degli omicidi legati alla criminalità organizzata, che coinvolgono – esclusivamente o quasi – gli uomini». (ISTAT, omicidi di donne).

Gli esempi sono innumerevoli e non possono essere rappresentati tutti. Fra i tanti casi, basti pensare agli incidenti fatali sul lavoro. Se la protagonista dell’incidente è una donna, viene concentrata una certa attenzione da parte dei mass media, al contrario rispetto ai colleghi uomini, che in genere (a parte qualche eccezione) non godono di tale popolarità. Qualche anno fa, quando la minaccia dell’ISIS era in crescita e i mass media orientavano l’attenzione verso questo avvenimento, una parte delle informazioni era riservato alle donne, sia al fenomeno delle foreign fighters, che abbandonavano essenzialmente l’Occidente per combattere e spostarsi nei territori del sedicente Califfato ma anche alla controparte delle soldatesse curde.

Come abbiamo visto sopra, una delle tematiche più “scottanti” riguarda l’operato delle donne o comunque le vicende femminili in ambito delle forze armate (o satellitari all’orbita bellica). Termino questo lavoro con un articolo di pochi giorni fa (Repubblica, 12.10.2021), in cui per le donne della Marina Militare è stata sperimentata la divisa premaman, pur avendo una normativa che tutela le lavoratrici in stato di gravidanza, in quanto viene permesso loro di recarsi al lavoro in abiti civili [6].

41yibsxehylConclusioni

In questo breve articolo ho voluto mettere in correlazione l’oggettivizzazione del corpo in senso lato e in particolare di quello femminile, pur non disquisendo approfonditamente dei modelli (che in certi casi arrivano a essere grotteschi) proposti nelle varie trasmissioni, non necessariamente esclusivamente frivole. La storica legittimazione del potere da parte maschile e la conseguente oggettivizzazione del corpo femminile hanno fatto sì che gli uomini, per fini politici e di alleanze militari, disponessero delle donne del proprio gruppo, decidendo di vincolarle in matrimonio, possibilmente con prole, per ragioni di interesse, disattendendo quasi sempre i sentimenti delle “prescelte”. Tale pratica è ravvisabile, sin dagli albori, nelle casate nobiliari che si imparentavano fra loro per evitare conflitti. L’interiorizzazione dei comportamenti identificanti la donna-oggetto, però comportano una serie di atteggiamenti deviati come il sessismo, l’emarginazione, le limitazioni, la violenza fisica e psicologica, eccetera. Purtroppo i mass-media, sfruttando abilmente tecniche di audience, cannibalizzano notizie concernenti le donne, enfatizzando la forma e il suscitamento di emozioni, svuotandone però i contenuti.

La domanda sorge spontanea: dopo che sappiamo che ogni giorno avvengono tot femminicidi, a noi cosa interessa sapere del numero, se poi questi domani si ripetono, data la mancanza di misure atte a contrastare il fenomeno? Sicuramente il vero vuoto è da imputare alle istituzioni che, consce del reale problema, lo affrontano con misure scarsamente incisive se non ridicolizzanti (pensiamo alle “battaglie” sull’imposizione grammaticale del genere femminile, perseguito da Laura Boldrini). Le istituzioni, probabilmente, al contrario, tendono a volere mantenere lo status quo, per esempio evitando di applicare reali misure anti-stalker. La domanda che quindi pongo è la seguente: «L’ormai insostenibile status quo viene mantenuto per inutili ragioni di audience oppure è ravvisabile il sessismo?» Queste due ipotesi potrebbero non essere le uniche inquietanti e vergognose possibilità per cui sia tollerabile ogni forma di violenza sulle donne. 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021
Note
[1] Da loro [le donne] ci si attende che siano “femminili”, cioè sorridenti, simpatiche, premurose, sottomesse, discrete, riservate se non addirittura scialbe. (Bourdieu, 1998: 80). 
[2] Il vocabolario arabo-italiano Traini riporta come definizione del mukallaf: incaricato; autorizzato, soggetto a un obbligo; obbligato; impegnato; responsabile; soggetto a tassazione; tassabile; contribuente; obbligato a osservare i precetti religiosi; dotato di capacità legale; sano di mente. 
[3] I videogiochi, hanno visto per lungo tempo giovani e uomini come esclusivi fruitori e, per compiacere la platea, i personaggi femminili sono stati realizzati copiosamente dalle case produttrici con caratteristiche femminili molto esasperate e presentati spesso succinti se non seminudi. Un personaggio dei videogiochi molto famoso è Tomb Raider, dove la protagonista, Laura Croft, venne realizzata originariamente nel 1996 ma nel tempo il personaggio venne disegnato con un seno esagerato e con vestiti alquanto essenziali. Non a caso ha riscosso un grande successo ed è considerata un sex-symbol. 
[4] La cosmologia androcentrica per Bourdieu (1998) rappresenta la ratificazione del potere maschile come ordine legittimo e naturale del mondo. 
[5] In questa sede ci si concentrerà sul corpo femminile ma questo non esclude che il corpo “dominato” sia anche quello dei minori e degli omosessuali (nonché quello degli animali). 
[6] https://www.repubblica.it/cronaca/2021/10/12/news/marinaie_in_abito_premaman-321749089/ 
Riferimenti bibliografici
Ahmed L., (1993), Women and Gender in Islam, Yale University Press.
Bausani, A., (1980), L’Islam, Milano: Garzanti.
Bourdieu, P., (1998), Il dominio maschile, Milano: Feltrinelli Editore.
Chomsky, N., (2017), Le dieci leggi del potere, Milano: Adriano Salani Editore.
Grassi V., Guercio L., (2018), Donne, pace, sicurezza tra essere e dover essere. La parola alle donne in Medio Oriente e Nord Africa, Milano: Franco Angeli.
Farina, F., (2004), Forze armate: femminile plurale, Milano: Franco Angeli.
Nussbaum M., (1999), Sex and Social Justice, Oxford: Oxford University Press.
Marco Silvaggi, Adele Fabrizi, Roberta Rossi, Francesca Tripodi, Chiara Simonelli, (2016), Oggettivazione del femminile e sessualizzazione precoce delle bambine: implicazioni sullo sviluppo psicosessuale, in “Rivista di Sessuologia Clinica”, XXIII, 2.
https://www.academia.edu/34153318/Oggettivazione_del_femminile_e_sessualizzazione_precoce_delle_bambine_implicazioni_sullo_sviluppo_psicosessuale
Sciolla, L., Torrioni P. M., (2012), Sociologia dei processi culturali, Bologna: Il Mulino.
Traini, R., (a cura di), (1966), Vocabolario arabo-italiano, Roma: Istituto per l’Oriente.
Sitografia
https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-sesto-comandamento-proibisce-soltanto-ladulterio.aspx accesso 10.10.2021
https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/omicidi-di-donne accesso 18.10.2021
https://www.jewishvirtuallibrary.org/prostitution-2 accesso 10.10.2021
https://www.ilmattino.it/societa/persone/barbara_palombelli_femminicidio_scuse_cosa_ha_detto_news-6203795.html accesso 07.10.2021 
https://www.repubblica.it/cronaca/2021/10/12/news/marinaie_in_abito_premaman-321749089/ accesso 16.10.2021 

 _____________________________________________________________

Francesca Morando: mediatrice interculturale, consulente e trainer per la Pubblica Amministrazione per le questioni culturali, religiose e di genere. Guest Speaker in due corsi della NATO, è traduttrice giurata di lingua araba presso il Tribunale di Palermo nonché insegnante di arabo e italiano L2/LS. È stata docente oltre che in Egitto e nella Georgia caucasica, anche presso l’Università di Palermo e l’ex Università Gar Younis di Bengasi. Svolge divulgazione riguardo all’astronomia culturale ed è autrice di una monografia e di numerosi articoli scientifici.

______________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>