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L’arsenale dei ricercatori. Contro gli stereotipi sull’immigrazione

COPERTINA  di Cinzia Costa

Qualche tempo fa mi è capitato di imbattermi in un’interessante riflessione proposta dal giornalista Alessandro Gilioli all’interno del blog Piovono Rane, da lui curato per L’Espresso. In quest’articolo l’autore commentava una dichiarazione rilasciata dal ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni nel corso di un’intervista andata in onda in prima serata all’interno di un noto talk-show. Il ministro, interrogato sulla difficile situazione della politica estera, soprattutto in relazione ai recenti attentati di Bruxelles, sosteneva che «a fermare il terrorismo non sarà un esercito di sociologi» [1].

La metafora bellica proposta da Gentiloni richiama bene lo scenario di “guerra in casa” e la retorica della minaccia globale che da tempo ormai ammanta tanto la politica, quanto l’opinione pubblica, in conseguenza ai tragici episodi terroristici che hanno colpito Parigi e Bruxelles. Siamo in guerra, dunque, ed è necessario difenderci da e combattere chi ci attacca con le bombe e con i kalashnikov. Sono questi i termini in cui le maggiori autorità dell’entourage politico affrontano oggi il problema della cieca violenza terroristica che è esplosa nel cuore dell’Europa. Alla perentoria affermazione di Gentiloni, Gilioli rispondeva tuttavia dicendo che questo «anti-intellettualismo ostentato e straccione» equivale alla «firma di un suicidio». Ostinarsi dunque a negare il ruolo centrale che gli “intellettuali” (termine che reputo per alcuni versi inappropriato, come spiegherò in seguito) hanno e possono avere nell’influenzare e svolgere azioni di advocacy sulle decisioni politiche del mondo contemporaneo significherebbe combattere alla cieca contro un nemico che non si conosce, ovvero perdere a tavolino.

Sostiene dunque Gilioli che, contrariamente a quanto il ministro degli esteri, ma anche, posso aggiungere, la grande parte dei governanti, lascino intendere

«c’è proprio bisogno di un esercito di sociologi, invece. Così come di urbanisti, di antropologi, di etnografi, di statistici, di psicologi, di studiosi delle emarginazioni e delle diseguaglianze, delle periferie, delle religioni, del razzismo. C’è bisogno come il pane di chi ricerca le dinamiche che creano guerre e morte. Ma soprattutto c’è bisogno di una politica che anziché deriderli, li ascolti»[2].

Un esercito militante dunque, quello di uomini e donne che con la ricerca si battono contro gli stereotipi e le semplificazioni dei divulgatori della paura sociale e che con il loro lavoro cercano di offrire strumenti, armi forse, per capire, decostruire e individuare il nemico, e dunque sconfiggerlo. Al termine “intellettuali” preferirei dunque sostituire quello di artigiani (o armaioli, semmai), poiché ad un immaginario che presenta gli scienziati umani come professionisti di congetture astruse e teorie lontane dalla realtà, arroccati sulla proverbiale torre d’avorio, vorrei opporre quello di operai, tecnici e specialisti che, con piedi ben saldi nella realtà e mani industriose, nelle loro fucine, dentro università, centri di ricerca o liberamente, fabbricano e producono strumenti concreti per combattere la miopia sociale e politica, vere e proprie armi contro l’analfabetismo della società. Un lavoro, questo, svolto al servizio della società civile e delle istituzioni.

È in questi termini che può essere accolto il lavoro minuzioso dell’Osservatorio sulle Migrazioni nato a Palermo nel 2013 nell’ambito del Programma Sylff cui aderisce l’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe. L’Osservatorio, patrocinato dal Comune di Palermo, che «nasce dalla volontà di analizzare il fenomeno migratorio e la sua specificità nel territorio siciliano»[3], mette insieme ricercatori provenienti da diversi bacini disciplinari, sfruttando al meglio le competenze, complementari fra loro, che i diversi studiosi offrono al team di ricerca. La squadra conta infatti al suo interno sociologi, antropologi, demografi, statistici, tecnologi dell’ISTAT e giuristi; un’equipe quanto mai variegata e preparata [4].

FOTO 1Il 29 marzo 2016 alla Sala Gialla del Palazzo dei Normanni di Palermo è stato presentato il III Rapporto “Migrazioni in Sicilia 2015” [5], giunto, appunto, alla sua terza edizione, come esito di un rigoroso e approfondito lavoro dell’Osservatorio sulle Migrazioni dell’Istituto Arrupe. L’evento di presentazione, organizzato con il patrocinio dell’Assessorato Regionale alla Famiglia, Politiche Sociali e Lavoro-Ufficio Speciale Immigrazione, ha visto ospiti diversi rappresentanti delle istituzioni, regionali in primo luogo, poiché l’idea del Rapporto sulle migrazioni è stata accolta come uno strumento da sfruttare nella programmazione di piani politici relativi all’accoglienza e all’integrazione dei migranti nel tessuto della Regione Siciliana. Ciò avviene soprattutto in conseguenza del fatto che la Regione non dispone di risorse e mezzi necessari per avviare programmi di ricerca che costituiscono, invece, un passo preliminare indispensabile a qualsiasi manovra politica che abbia l’intento di intervenire positivamente sul territorio.

La direttrice dell’Istituto Arrupe, Nicoletta Purpura, ha introdotto l’incontro presentando lo spirito di lavoro del Centro di ricerca e di formazione politica, che sin dalla sua nascita si contraddistingue per la promozione di corsi e di occasioni di ricerca allo scopo di proporre interventi che abbiano un impatto concreto sul territorio. Il Rapporto nasce proprio con questo obiettivo: quello di offrire una cassetta degli attrezzi disponibile a tutti, ma in primo luogo alla politica [6]. Per fornire questo tipo di servizio alla società, l’Osservatorio ha condotto un’osservazione del contesto siciliano tutt’altro che sterile ed asettica; i ricercatori hanno proposto infatti un’analisi dal di dentro, che, supportata dalla solida base dei dati quantitativi, cercasse di cambiare la prospettiva con cui di solito si guarda alla migrazioni: dalla nostra alla loro.

Lo stesso intento è stato ribadito nell’introduzione al Rapporto dal sociologo Maurizio Ambrosini che nel presentare alcuni dati su scala nazionale ha sottolineato l’importanza di studi statistici e ricerche ad ampio raggio destinati a sfatare leggende e miti sull’immigrazione e a ridimensionare l’entità di un fenomeno di cui i media parlano ossessivamente in termini di “emergenza” e “invasione”. Lo scopo prioritario della ricerca quantitativa deve dunque essere quello di «separare la rappresentazione dall’evidenza statistica», come ha appunto affermato il sociologo nel corso della presentazione. Tra i principali dati riportati da Ambrosini quelli che maggiormente saltano all’occhio sono relativi alla conformazione della popolazione immigrata che arriva in Europa, costituita principalmente da donne, di religione (o di cultura) cristiana, provenienti dai Paesi dell’Est . Il principale ingresso riguarda le donne richiamate dalla domanda di lavoro delle famiglie italiane che hanno bisogno di sostegno nell’ambiente domestico e nella cura di anziani e bambini. Essendo, inoltre, la migrazione un processo selettivo, i migranti che arrivano in Europa non sono né i più poveri né i più disperati tra la popolazione del Paese d’origine, poiché per migrare servono delle risorse da investire. Riguardo infine la presunta invasione di profughi che l’Europa si trova ad affrontare, basta un solo dato per demolire il falso mito delle orde di uomini e donne che premono ai confini delle nostre città: l’87% dei rifugiati in fuga da disgrazie e calamità umane si trova nelle nazioni limitrofe ai Paesi di guerra, ovvero Turchia, Pakistan, Libano. Queste poche informazioni, offerte in modo schematico, bastano a scardinare gli stereotipi e luoghi comuni intorno alla massa informe dei migranti presenti sul nostro territorio, generalmente descritta come un’orda di disperati, per la maggior parte uomini, provenienti dalle aree del pianeta più distanti (sia geograficamente che culturalmente) da noi, e dunque molto, forse troppo, diversi da noi per poter essere integrati nel tessuto sociale.

foto n.2In questo senso l’intervento di apertura dell’incontro, incentrato sugli aspetti più generali del fenomeno migratorio, ha ben introdotto il lavoro svolto invece, in prospettiva locale, dai ricercatori dello Osservatorio. Il Rapporto, concepito come una fotografia sulla realtà, è compartito in diverse sezioni: Popolazione e famiglie, Lavoro, Imprenditoria migrante, Rimesse, Minori e Minori stranieri non accompagnati, Istruzione, Sbarchi, Sanità e Strutture di accoglienza. Le ultime due sezioni non comparivano nei Rapporti degli anni precedenti e sono state inserite come ulteriore approfondimento. Il testo comprende inoltre alcuni box di analisi, intercalati fra i diversi capitoli, che si soffermano, in alcuni casi, sugli aspetti più qualitativi del fenomeno migratorio in Sicilia [7].

Lungi dal presentare una mera sintesi dei dati contenuti nel Rapporto, che è consultabile e scaricabile per intero online, cercherò in questa sede di riportare soltanto alcuni dati che ritengo interessanti ai fini della riflessione che qui propongo. La maggior parte dei quali proviene da statistiche di diverse fonti (Istat, Inps, Inail, etc.), aggiornate al 1° gennaio 2015. A questa data si registra un incremento di popolazione immigrata sul territorio siciliano rispetto all’anno precedente, che però appare piuttosto esiguo: da 162.408 a 174.116. Sulla classifica nazionale la Sicilia si colloca all’ottavo posto per numero di residenti stranieri, proporzionalmente al totale della popolazione (3,4%). La distribuzione di genere è in favore degli uomini e si concentra su una fascia d’età  compresa tra i 24 e i 47 anni. Un dato importante rivela che la popolazione autoctona va da alcuni anni incontro ad un calo demografico che riesce a malapena ad essere compensato dai flussi migratori. Riguardo la varietà dei Paesi di provenienza e la distribuzione eterogenea sul territorio ci sono degli elementi specifici del territorio siciliano da sottolineare. Le nazionalità che occupano i primi posti nella classifica della popolazione straniera presente in Sicilia sono: Romania, Tunisia e Marocco, seguiti da Sri Lanka, Albania e Bangladesh. Per quanto riguarda invece la distribuzione nelle diverse province della regione, i capoluoghi in cui si concentra la maggior parte della popolazione immigrata sono Palermo, Catania, Messina e Ragusa. La popolazione non si raccoglie  però solo all’interno dei tessuti urbani, ma molti sono anche i paesi di provincia che contano, fra i propri concittadini, numerosi residenti di origine straniera; tra questi Vittoria, Comiso, Marsala e Mazara del Vallo. Ciò è dovuto principalmente alla domanda del  mercato del lavoro locale, soprattutto nel settore agricolo e della pesca.

Tunisini a Mazara del Vallo (foto E. Grosso)

Tunisini a Mazara del Vallo (foto E. Grosso)

Nell’ambito lavorativo molti sono gli spunti di riflessione che tornano utili nell’economia di questo articolo. Sebbene la crisi economica abbia colpito tutte le fasce della società – «il tasso di disoccupazione mostra un andamento in crescita per entrambe le componenti autoctone e straniere» (2016: 33) –  alcune statistiche dimostrano che i migranti applicano delle particolari forme di resistenza alla recessione – «l’occupazione di cittadini stranieri ha resistito meglio di quella dei connazionali all’impatto della crisi» (ibidem). Per molti dei dati relativi all’occupazione lavorativa i ricercatori hanno fatto riferimento al Ministero dell’Interno, all’Inps e all’Inail. Queste fonti sono molto importanti perché possono fornire dei dati relativi anche ai permessi di soggiorno rilasciati ai migranti. Durante lo scorso anno si è registrato un aumento nel conseguimento dei permessi di soggiorno rispetto all’anno precedente (+8,9%), sebbene la maggior parte di questi con una scadenza a breve termine; questo elemento assume una particolare rilevanza se si confrontano i dati provenienti dalle diverse province. I permessi di soggiorno a breve termine, oltre ad essere più facili da ottenere, indicano una precarietà nella condizione lavorativa ma possono anche indicare un progetto migratorio non ancora definito, segnalando il fatto che la Sicilia resta ancora principalmente una regione di passaggio, prima ancora che di stabilizzazione e radicamento insediativo. Contrariamente a questo ultimo dato spicca, però, la provincia di Trapani che «espone una quota di autorizzazioni per lungo periodo solo leggermente inferiore al dato nazionale, segno di una maggiore strutturazione delle migrazioni con il territorio» (ivi: 36). I settori di principale impiego degli stranieri nel lavoro dipendente sono, in primo luogo, il lavoro domestico e di cura (37,2% delle posizioni), seguito dal comparto agricolo (32,5%), e infine gli addetti ad attività non agricole (30,3%). Un altro elemento da evidenziare riguarda il fatto che, per quanto la categoria dei lavoratori domestici rimanga sempre la più quotata, nel corso dell’ultimo anno c’è stato un calo nella domanda di lavoratori migranti poiché anche gli italiani hanno cominciato ad offrire la propria forza lavoro in questo settore, per sopperire alle pesanti conseguenze della crisi. Ad ogni modo un dato rimane costante: «la possibilità di impiego degli immigrati sembra […] essere maggiormente schiacciata su lavori low skills e con tipologie contrattuali spesso a tempo determinato» (ivi: 46).

Come è noto il rapporto tra lavoro e permesso di soggiorno è ancora alla base del sistema di rilascio della autorizzazioni ai cittadini stranieri. Questo è sicuramente uno degli elementi che influisce, maggiormente rispetto agli italiani, nella determinazione e nell’impegno dei migranti nel trovare e mantenere un lavoro. Un altro dei dati più rilevanti è infatti quello relativo all’imprenditoria migrante, che per alcuni versi rimane legato alla necessità di avere un lavoro per poter ottenere o rinnovare il proprio permesso di soggiorno.

Come sostiene la ricercatrice Castronovo, le iniziative di lavoro autonomo

«sono correlate con il più ampio fenomeno dell’autoimpiego e, non di rado, chiamano in causa le strategie individuali “di resistenza” con le quali gli uomini e le donne migranti fanno fronte alla propria condizione di incertezza giuridica e lavorativa all’interno dei contesti locali ospitanti (ivi: 55).

Un altro aspetto importante da sottolineare è quello che riguarda le rimesse: nel 2014 si è infatti registrato un loro drastico decremento. Oltre agli effetti della crisi, questo fenomeno è probabilmente imputabile ad una maggiore integrazione nel tessuto sociale ospitante: più ci si integra nel Paese di destinazione, più si investe e si spende lì stesso. L’integrazione lavorativa rimane comunque il principale canale di integrazione sociale.

Altri importanti aspetti relativi ai processi di integrazione riguardano i minori che al 1° gennaio 2015 sono presenti in Sicilia in numero di 34.163, con una leggera flessione rispetto all’anno precedente (-0,8%). Aumenta invece il numero dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) che si trovano in Sicilia, regione che conferma il suo primato a livello nazionale. Dei 69 Centri di primissima accoglienza presenti in Italia 37 si trovano in Sicilia, dato ancor più significativo se confrontato con la percentuale di coloro che, dopo essere approdati in Sicilia, si spostano in altre regioni. La Sicilia rimane per molti minori terra di passaggio.

Allo sbarco a Palermo (foto Repubblica.it)

Allo sbarco a Palermo (foto Repubblica.it)

Altro dato interessante è quello relativo all’istruzione dei minori (sia di seconda generazione, che arrivati in seguito ad una effettiva migrazione); essa si presenta come un fenomeno ormai strutturato, indice dell’inserimento ormai certificato dei migranti nel sistema non solo scolastico ma anche sociale, con tutte le conseguenze (anche problematiche) e i distinguo necessari per le diverse categorie di studenti. La provincia con un maggior numero di studenti stranieri iscritti è Palermo (5.368); i percorsi scolastici più seguiti dai giovani migranti [8] sono generalmente quelli più professionalizzanti.

I dati relativi all’ambito sanitario evidenziano una scarsa e poco corretta fruizione dei servizi da parte degli stranieri e sottolineano, ancora una volta, una realtà che molti studi hanno già in precedenza documentato, anche sulle pagine di questa rivista:

«il profilo di salute dei migranti si è certamente modificato passando da un quadro relativamente favorevole, almeno all’arrivo in Italia, del cosiddetto “migrante sano” ad un quadro che si delinea, nel tempo, di “migrante esausto”» (ivi: 121).

A causare l’insorgenza di malattie o di cattive condizioni di salute, non sarebbero dunque le condizioni di partenza del migrante (che secondo una diffusa leggenda sarebbe portatore di malattie esotiche nei nostri territori, come ha dimostrato la psicosi della diffusione dell’ebola lo scorso anno), ma sarebbero invece le precarie condizioni di fragilità sociale in cui i migranti si trovano a vivere nei paesi di arrivo. Oltre ad una ricognizione sulla preoccupante situazione di irregolarità e violazione dei diritti che si registra nei centri di prima accoglienza e negli Hotspot, istituiti nel 2015, esposta dal giurista Fulvio Vassallo Paleologo, un altro box, di cui Fabio Massimo Lo Verde è autore, fornisce degli spunti di grande interesse. Il sociologo, attraverso infografiche e testate di giornale, propone infatti una riflessione sull’informazione diffusa dai media in tema di migranti. Ciò che emerge prepotentemente è che l’offerta di informazione, che si contraddistingue per non essere affatto imparziale, «contribuisce a “costruire” rappresentazioni dei fatti – cioè, inevitabilmente, a costruire giudizi» (ivi: 101).

Ed è su questo punto che ho intenzione di ritornare per concludere questa breve disanima di dati e statistiche. Ciò che influisce e, in molti casi, determina la formazione del nostro giudizio (e, conseguentemente, il fine delle nostre azioni) in merito al tema dei migranti, e non solo, sono le informazioni di cui disponiamo. Le notizie sul mondo che ci circonda sono la base delle nostre opinioni e valutazioni sulla realtà. Se le informazioni sono però distorte anche le nostre opinioni lo saranno. Questo è il motivo per cui studi scientifici come il Rapporto qui presentato sono di fondamentale importanza, tanto per la società civile quanto per la classe politica da noi delegata a prendere decisioni in nostra vece, poiché è solo attraverso un’analisi ed un’ispezione approfondita di fenomeni così complessi che i nostri giudizi potranno avere ragion d’essere e potranno, almeno, tentare di innescare un cambiamento di rotta positivo sulla realtà che esperiamo o almeno sulla sua interpretazione. Un lettore medio, e tra questi molti dirigenti della politica, non sono sovente in possesso degli strumenti conoscitivi necessari per orientarsi, capire, prendere posizione, decidere. Ed è per questo che, sì, abbiamo veramente bisogno di officine del pensiero in continua attività e di schiere di sociologi, antropologi, statistici, ovvero di combattenti contro le false rappresentazioni del reale, del concretamente fattuale e dell’effettivamente esistente.

Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 201
Note

[1]  L’articolo a cui mi riferisco è Non è alle viste, 23 marzo 2015.  Questo il link http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/23/non-e-alle-viste/
[2]  http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/23/non-e-alle-viste/
[3]  http://www.istitutoarrupe.it/
[4]  I ricercatori che hanno fatto parte di questa equipe sono: Serenella Greco e Giuseppina Tumminelli che hanno curato il rapporto, Roberto Foderà, Antonella Elisa Castronovo, Annalisa Busetta, Luca Insalaco, Daria Mendola, Fabio Massimo Lo Verde, Marilena Macaluso, Simona La PlacaE Fulvio Vassallo Paleologo.
[5]  Il Rapporto è scaricabile per intero nel sito dell’Osservatorio, all’indirizzo     www.osservatoriomigrazioni.org.
[6] «La politica è l’arte del bene comune per tutti» ha scritto il cardinale Martini.
[7]  Tra questi box, sui cui tornerò in seguito, alcuni molto interessanti si concentrano su aspetti come l’informazione sul fenomeno migratorio, l’accesso ai servizio sanitari da parte dei minori stranieri, la partecipazione politica dei migranti e la situazione della prima accoglienza in Sicilia.
[8] Uso questo termine generico anche se, come ho già detto, in molti casi si tratta di migranti senza migrazione.

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 Cinzia Costa, dopo aver conseguito la laurea in Beni demoetnoantropologici all’Università degli Studi di Palermo si è specializza in Antropologia e Storia del Mondo contemporaneo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulle condizioni lavorative dei migranti stagionali a Rosarno, focalizzando l’attenzione sulla capacità di agency dei soggetti. Si occupa principalmente di fenomeni migratori e soggettività nei processi di integrazione.

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