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Lampi di un’amicizia. Il carteggio Holan-Ripellino

semicerchiodi Antonio Pane

L’ultimo numero della rivista «Semicerchio» (1, 2021) presenta al posto d’onore, con il titolo La geografia lirica di Holan e Ripellino, la traduzione italiana di un carteggio che Annalisa Cosentino ha ritagliato dalla sua meritoria edizione critica della corrispondenza di Angelo Maria Ripellino con vari letterati ed artisti cechi (ivi compresi alcuni intellettuali espatriati negli U.S.A), rendendo edibile anche ai non-slavisti questa succosa primizia dei ricchi materiali attinti dal Fondo Holan del Památnik národního písemnictví di Praga e dal Fondo Ripellino dell’Archivio del Novecento dell’Università La Sapienza di Roma [1].

La fame di chi ha alle spalle modeste quanto pionieristiche indagini sulla biografia di Ripellino è stata appagata sin dal piatto inaugurale, che illustra il primo passo di un’amicizia destinata a durare una vita. Ela Hlochová, la moglie ceca di Ripellino, me ne aveva a suo tempo parlato, ma senza saperne precisare l’atto di nascita, che ora risponde esattamente alla data del 5 gennaio 1948, quando Ripellino si rivolge a Holan per annunziare l’invio del suo studio Holan salmista di un’epoca tragica [2], per chiedere in contraccambio i libri (precisamente Blouznivý vějíř, Triumf smrti, Kolury, Vanutí, Torzo, Lemuria) che completerebbero la sua collezione holaniana (fatta in gran parte da quelli «procurati e prestati» dalla benemerita «signora Zora Pešková»), e per confessare la sua attrazione verso la letteratura ceca di cui vuol divenire «professore universitario».

Ho sul mio tavolo la copia ingiallita e corrosa della rivista un dì presa al volo in una libreria antiquaria di Firenze, e provo un certo brivido a immaginarne una, candida e immacolata, fra le mani di Holan; a figurarmi lo stupore del poeta di fronte al ‘lenzuolo’ a lui consacrato dal ventiquattrenne, ignoto italiano (e preceduto nell’ordine dai paginoni che ospitavano La poesia nel teatro di T. S. Eliot e Sainte-Beuve di un certo Pier Paolo Pasolini). Uno stupore che si sarebbe ingrandito a conoscere il breve percorso che precedeva un esito così cospicuo (ulteriormente arricchito, con corredo di traduzioni, sotto il titolo Holan salmista, nel libro d’esordio) [3].

Exif_JPEG_420Ripellino aveva iniziato a studiare seriamente il ceco all’inizio del 1946, un anno dopo la laurea (coronata da una tesi sulla poesia russa del Novecento), quando, su consiglio del suo maestro Ettore Lo Gatto, era giunto nella «città vltavina» per tenere un corso di letteratura all’Istituto di Cultura Italiana (diretto «fino al 1941», scrive Annalisa Cosentino, proprio dallo stesso Lo Gatto, che aveva anche «insegnato letteratura italiana all’università di Praga»). Vi era rimasto fino ad aprile, portandosi dietro il tenero legame con una sua ‘allieva’, e vi era tornato nell’estate del 1947, invitato da Mario Pirani, con la delegazione italiana del Festival mondiale della gioventù promosso dal WFDY (World Federation of Democratic Youth). In questo intervallo le sue conoscenze boemistiche si erano molto accresciute, e in molte direzioni. Ne testimoniavano, prima del saggio su Holan, la Notizia sulla poesia ceca contemporanea («La strada», n. 2, 1947), gli articoli Film cechi («La fiera letteraria», 27 febbraio 1947) e Praga è diventata la Hollywood europea («L’Unità», 8 giugno 1947), la ‘Lettera sulla cultura fonica’ («La fiera letteraria», 10 luglio 1947), basata in gran parte su fonti ceche, la traduzione di Ballata intorno a Juraj Cup di Karel Čapek («La fiera letteraria», 6 novembre 1947), le recensioni a libri narrativi di Svatopluk (La macchina per scarpe, «L’Unità», 13 novembre 1947) e Julius Fučík (Reportage scritto sulla forca, «L’Unità», 14 dicembre 1947): i primi sintomi della malìa che avrebbe condotto a Praga magica e che traluce in molte poesie di questo periodo, particolarmente nei versi del novembre 1947, dove Ripellino ritorna sulla «notte che leggemmo “Rudoarmějci”» (la raccolta in cui Holan festeggiava la fine della guerra e l’alba di un tempo nuovo poi rapidamente mutato in incubo) [4], annodando il trasporto per la ragazza praghese che aveva appena sposato e quello per la terra che sarebbe divenuta per lui una seconda patria.

Tutto questo futuro sembra divinato nella replica di Holan (28 gennaio 1948). Il poeta (che risiede, ancora per poco, in un villino fra i campi, la Hlavova vila [5], nel distretto di Strašnice, lungo la periferica Černokostelecká) mostra di aver capito, e (dopo i dovuti ringraziamenti per il lavoro puntuale e appassionato) si ripromette di procurare i propri libri e le «novità» che il suo destinatario ha inutilmente richiesto all’editore Borový. La sua buona disposizione è favorita dal ricordo di un fugace viaggio in Italia (nella primavera del 1929), con soste di Firenze, San Gimignano e Volterra («Una o due mie poesie su questo tema si trovano nella raccolta Vanutí. Devo trovarla per lei…»).

Ripellino si fa risentire quattro mesi dopo, il 25 giugno. Dice di trovarsi a Praga «per un soggiorno di studio», e chiede un convegno, alla singolare condizione che non sia di sera, «perché vado solitamente a teatro»: condizione che la dice lunga sulla natura del personaggio, e si accorda con il fatto che l’indirizzo da lui dichiarato (Karoliny Světlé 17, un prestigioso edificio tardo ottocentesco in stile neorinascimentale progettato da Antonín Wiehl e Jan Zeyer, dove abitava la famiglia di Ela – come farebbe pensare l’indicazione «u Hlochů»: «presso Hlochov») non è lontano dal Národní divadlo (il Teatro nazionale). Il «soggiorno di studio» è pienamente giustificato dall’attivismo boemistico che lo precede. Dopo il saggio su Holan, Ripellino ha infatti pubblicato nell’ordine (sulla terza pagina di «L’Unità»): Il poeta senza nome (20 gennaio, sugli 80 anni del poeta nazionale cecoslovacco Vladimír Vašek), le traduzioni di Zaruba in libertà di Karel Čapek (8 febbraio) e di Il compagno Don Chisciotte di Vladislav Vančura (21 marzo), Intorno alle ribalte si accentra la vita culturale cecoslovacca (31 marzo), Tra poco a Roma «Estasi» il film più vietato del mondo (20 aprile, sulla celebre pellicola di Gustav Machatý), le traduzioni di Le galline e il cinema di Marie Majerová (23 aprile), Il direttore Kàlina sapeva già tutto e Il delitto del contrabasso di Karel Čapek (9 e 13 maggio), Dopo dieci anni di assenza la pittura ceca ritorna a Venezia (25 maggio), le traduzioni di Uno zufolo interessante di Ignát Herrmann (30 maggio), di Il tirocinio è una tortura e Il garzone Honzik e il cavallo peloso di Vladimír Neff (13 e 18 giugno).

La risposta di Holan (3 luglio), che tiene nel debito conto la particolare esigenza dell’ospite e fornisce sollecitamente l’itinerario («Si diriga a Strašnice con il tram numero 16, scenda alla penultima fermata»), ci permette di stabilire con ragionevole certezza che il primo, storico rendez-vous avvenne il pomeriggio del 9 luglio 1948, «intorno alle quattro», mentre sul tenore del colloquio ci danno qualcosa le lettere immediatamente successive. Quella del 15 luglio 1948 è un biglietto di presentazione (conservato tra le carte di Ripellino) in cui Holan si rivolge all’amica Staša Jilovská (che Annalisa Cosentino descrive come «giornalista e traduttrice ceca, impiegata dopo la fine della Seconda guerra mondiale al Ministero dell’Informazione»), con la preghiera di occuparsi «di questa persona eccellente, il dott. Ripellino, amico nostro e di altri slavi», straordinariamente esperto di poesia e in procinto di iniziare un corso di slavistica all’università di Bologna, di «venirgli incontro in ogni modo», e di presentarlo al poeta Lumír Čivrný (che, informa ancora la Cosentino, «dirigeva all’epoca la sezione culturale del Ministero dell’Informazione»).

Con Vladimir Holan nel suo studio

Ripellino con Vladimir Holan nel suo studio

Oltre che di poesia si parlò dunque di aspetti pratici. E se l’immediata efficacia del patrocinio di Holan trova un’obliqua ma eloquente conferma nella cartellina intestata «Ministerstva Informací», presente nell’archivio di Ripellino come raccoglitore di un mannello di poesie risalenti al biennio 1946-47, il sofferto successo di una parallela intrapresa di Ripellino è documentato dalla sequenza di missive che raccontano una tipica storia del dopoguerra: l’odissea del caffè. La vicenda, che ha oggi dell’incredibile, si dipana fra la lettera dell’11 settembre 1948, in cui Ripellino denunzia il primo tentativo di inviarne un semplice pacchetto, e quella del 7 marzo 1949, che ne dà ricevuta. Nel mezzo veleggiano un diniego alla frontiera (per Ripellino «una cosa intollerabilmente idiota»), uno sciagurato esperimento attraverso un corriere diplomatico che nel frattempo finisce «nella prigione di Pankrák», l’avventurosa spedizione «tramite l’addetto stampa Gavora», ma da ritirare «presso la signora Jilovská».

Il tête-à-tête ha lasciato il segno. L’11 settembre 1948, da Roma, Ripellino si dice «fiero» della nuova amicizia e certifica l’avvio, a novembre, delle sue lezioni bolognesi di filologia slava e poesia ceca; e dieci giorni dopo ricorda «le belle e chiare ore trascorse» con Holan, che da sua parte, il 2 ottobre, apre il cuore: comunica giubilante l’acquisizione, «dopodomani», della nuova casa nell’isola di Kampa (all’indirizzo, che diverrà leggendario, U Sovových Mlýnů 7), e libera pensieri da poeta (sull’autunno «malinconico senza cinismo, tanto gentile da rasentare la crudeltà; e così onnipresente da essere un mondo intero, un mondo che sbigottisce al punto che posso vedere il muro di Ekbatan e altrettanto bene un palo del telefono a Ussurijsk»; sulla fisarmonica che «allaccia la sua blusa con i bottoni del sentimentalismo»), per correre alla chiusa che dice tutto e per sempre: «È un bene che Lei viva, di più: che Lei sia».

La lettera che Ripellino scrive da Bologna il successivo 8 dicembre, scusandosi del ritardo («ho avuto molto lavoro e anche problemi personali»), è ancora un riflesso di quelle ore dorate. Il toponimo «Mulino dei gufi» accende la nostalgia della «romantica» Kampa («una volta in inverno il vento fischiava come lo zufolo di un pastore. L’altra riva era lontana come un altro mondo di ghiaccio») che già risuonava in Romanza, una poesia del 1946: «Su Kampa bisbigliava quella notte | il salice dei sogni; all’altra riva | i vecchi tram sul lungofiume Masaryk | guizzavano in un bosco di fanali» [6].

Le congratulazioni per il Premio di Stato «ricevuto in ottobre» si saldano al ringraziamento per le První básně (un altro gioiello del tesoro holaniano), alle confidenze sui dettagli della vita nella città universitaria (anch’essi accostabili a una poesia probabilmente coeva, Bologna a dicembre, dove discende «all’oscura | sala d’attesa delle ombre | che bevono fumo, delle ombre assordate | dal fischio tagliente dei treni»)[7]: «sono qui tre giorni alla settimana. Ho parecchi allievi: insegno sia filologia slava (introduzione alla slavistica), sia lingua ceca. Una lingua difficile, maledettamente difficile! Per gli studenti è un rompicapo e per me uno “cejtfrtrejb”, un passatempo, come dicevano i vecchi marionettai cechi» (e qui il diabolico Ripellino tira in ballo un termine adoperato nel saggio Il teatro di marionette nel romanticismo ceco, che uscirà di lì a poco [8], quando menziona il «misero “pimprlovy tyatr” che, con fantocci di legno e tamburo turco, si spostava da un borgo all’altro per recitare “cejtfrtrejby” (dal ted. “Zeitvertreib”) in un ceco frammischiato di germanismi»).

Nella lettera del 28 febbraio 1949, sempre scritta da Bologna, già si avverte che il paesaggio è mutato: la sequenza di eventi che dal golpe comunista di Gottwald ha portato al ‘suicidio’ del ministro degli esteri Masaryk e alle dimissioni del presidente Beneš ha iniziato a produrre i suoi danni. Così, insieme ai ragguagli sui progressi del suo lavoro («i miei allievi cominciano a balbettare una sorta di ceco incomprensibile. In maggio avrò pronto il libro sulla poesia ceca contemporanea»), Ripellino deve scontare l’inattesa carcerazione del ‘corriere del caffè’ e il rapido scadimento della poesia cecoslovacca («Nei giornali cechi leggo poesie molto deboli, composizioni scolastiche in versi che non sono altro che impacciati scarabocchi»); indizi inquietanti che trovano dolorosa conferma nella risposta di Holan (7 marzo 1949): «Sì, è così, e sono accadute molte cose da quando è stato qui. La mia amarezza è ormai mutismo…».

copertina-storia-della-poesia-cecaAl peggio non c’è mai fine. Il 20 aprile Ripellino torna sul punto che più duole: il «momento triste» per i poeti che, come Holan, «credono soltanto nell’eternità», rifiutano di adeguarsi ai precetti del ‘realismo socialistico’, e sono così esposti al ludibrio dei critici «burattini e mortali», alle viete accuse di formalismo e pessimismo; e le ambasce dello studioso che stenta a trovar rispondenza nel nuovo potere («ho l’impressione che quei signori comincerebbero a sbraitare che sono uno straniero ostinato e molesto»), ma è lungi dal desistere: parla del suo «difficile» lavoro sulla poesia ceca contemporanea, che «cresce di giorno in giorno» (e nell’ultimo capitolo conterrà una dura condanna della «sabbiosa assordante retorica» e dell’ottimismo a tutti costi dei poeti di Rudé Pravó) [9] e di una non meglio identificata «nuova collana di opere slave che pubblicherà volumi di 200 pagine contenenti testo originale, traduzione filologica (cioè senza quelle licenze poetiche vecchio stampo che hanno finora infettato le traduzioni italiane della poesia slava), introduzione e note», il cui decollo incontra però una «grande difficoltà», e che è forse da ricondurre alle raffinate Edizioni d’Argo dell’amico Gianni Polidori (intraprese nel 1949 e rimaste attive fino al 1950) che stamperanno la Storia della poesia ceca contemporanea (le uniche traduzioni con testo a fronte di autori slavi si devono, in questi anni, alla collana «Il melagrano» di Fussi). Ripellino contempla per adesso di collocarvi la traduzione dei poemi di Pasternak (che confluirà invece nell’antologia einaudiana del 1957), una scelta di poesie di Holan (per la quale chiede consiglio all’autore) e del poeta e patriota ottocentesco Havlíček-Borovský (di cui cita Král Lávra e Tyrolské elegie). E il perentorio «Taccio, perché devo tacere… Dunque parleremo di tutto quando verrà» di Holan (10 giugno) è bilanciato dal felice annunzio della nascita della figlia Kateřina, dai rallegramenti per il contemporaneo arrivo di Milena, la primogenita di Ripellino (comunicato da Angelo e Ela il 17 maggio) e dalla semiseria sigla «La parte d’Amleto» (locuzione che, come altre adoperate da Holan, Annalisa Cosentino attribuisce al manuale di italiano di Josef Bukáček, apparso nel 1947): un gesto di complice omaggio che stabilisce il clima del sodalizio, ribadito dal veloce riscontro di Ripellino (che prevede di essere a Praga dal 25 agosto fino a ottobre, e di portare, autentico Re Magio dei poeti esangui, vino e caffè).

Di vino e caffè si colma, il 6 luglio, «l’armadio del cuore»[10] di Holan (poeta tanto metafisico quanto sensualmente terrestre), nonché di gradite «Pubblicazioni» in cui si intravedono almeno due importanti studi sfornati nel frattempo da Ripellino, ovvero Poeti religiosi boemi [11] e Il teatro di marionette nel romanticismo ceco, da sommare a un intenso lavoro di traduzione (da Hašek, Weil, Čapek, Hrubín, Halas) che andava apparendo su «L’Unità» e altre sedi. A contropartita, il riservato indirizzo della madre Marie (Všenory n. 146, Dobřichovice) che segnala anche una delle possibili, numerate ‘evasioni’ dal reclusorio di Kampa, e il «Io non vivo! Ho dimenticato a casa la mia musica…», che è anche un altro modo di deferire (sempre grazie al benedetto prontuario di Bukáček) all’idioma dell’ospite.

Di questa prolungata dimora dell’estate-autunno 1949 il nostro carteggio non può ovviamente comunicarci nulla, ma è da credere che Ripellino vi abbia avuto l’agio di misurare a fondo lo ‘stato delle cose’. Ne può essere una spia la fine della collaborazione a «L’Unità» (la sua ultima traccia è la versione non firmata di La morte di Archimede, di Karel Čapek, apparsa il 20 febbraio 1949) e sembrano dirne, a distanza, le parole che ricordano il tempo in cui «lo stalinismo già volpeggiava negli arcani casamenti di Kafka», e la frase che Halas, «deluso e spaurito del bàratro in cui il comunismo veniva precipitando, ripeteva agli amici: “Ho ingannato la gente”» [12]. Un analogo mood affiora del resto nei messaggi holaniani dell’11 dicembre 1949 («scrivere: di che cosa? E perché? Perché caricare l’altro, lontano, dei propri macigni? […] Aspetto il suo lavoro sulla nostra lirica moderna, un giusto giudizio sugli ammutoliti, una giusta visione su vedenti e ciechi e accecati») e del 25 marzo 1950, che accusa il «momento per me particolarmente difficile».

La «solitudine» e il «tacere» cui Holan pur allude il 30 giugno 1950 danno invece fiato a un vero inno all’amicizia che muove dal ringraziamento «per la sua fedeltà» (probabilmente riferito all’invio del saggio Di un’opera inedita del poeta ceco Holan, su Ale je hudba, che apparirà alla fine dell’anno) [13] per sfociare in una memorabile professione di fede («La poesia per me è tutto! Posso dirlo soltanto a lei senza essere ridicolo o tragico») specchiata sul fraterno battesimo di Ripellino: «A causa del suo “pessimismo”, alieno dai dettami correnti oggi nella letteratura ceca, Ale je hudba è rimasta inedita; e il poeta vive ora in un silenzio che sempre più somiglia a una lunga oscurissima notte. Traducendo dal manoscritto, ci è parso di riportare alla luce un codice sepolto tra i frantumi di un’epoca tramontata, che, sebbene vicinissima a noi, appare in realtà più lontana del secolo di Hus» [14]. A sigillo della reciproca stima il poscritto avvisa che Una notte con Amleto, «un poema non ancora finito», è dedicato a Ripellino.

Lapide sull'ultima casa di Holan

Lapide sull’ultima casa di Holan

Questa nota continua a vibrare nella lettera del 24 novembre 1950, dove Holan esalta il favore che gli scritti di Ripellino registrano in Cecoslovacchia (in particolare presso lo studioso Oldřich Kralík), e termina trasognato: «Lei ha una tale forza, che la incontro, discorro con lei, siede qui insieme a me, ci raccontiamo le cose che amiamo». La replica di Ripellino (20 dicembre) non si dimentica. Vi scorrono in tumulto l’affetto per l’amico lontano («Il mio ricordo di Lei si fa con il passare del tempo sempre più vivo e posso affermare che ogni qual volta cerco un libro di poesia ceca emergono dai miei ricordi l’immagine e l’accento e il colore della sua poesia»), l’entusiasmo per una recente scoperta che darà i suoi frutti («nei mesi scorsi ho lavorato alle origini della letteratura ceca: si tratta di qualcosa di veramente importante»)[15], lo sconforto dello studioso dinanzi alla pochezza della critica letteraria ceca («così rigida e scolastica e grigia, e soprattutto incapace di percepire il valore formale della creazione letteraria») e la desolazione dell’uomo esposto a una sorte impietosa: «Sono ammalato da un mese e la prossima settimana dovrò sottopormi a una seria operazione ai polmoni. E poi dovrò rimanere in ospedale altri venti giorni».

Ripellino qui filma, in una palpitante ‘diretta differita’, un momento cruciale della sua esistenza: il delicato intervento di pneumectomia eseguito dal celebre Valdoni, di cui Ela mi aveva a suo tempo parlato, senza tuttavia poterne precisare la data. Il nostro prezioso reperto consente ora di stabilirla con buona esattezza, mentre la materna risposta di Holan (22 dicembre) attribuisce, non senza ragione, l’improvviso acuirsi della malattia tubercolare di cui Ripellino soffriva dagli anni Quaranta alle fatiche delle continue trasferte («i treni affollati fra Roma e Bologna»). Il successivo messaggio di Ripellino (12 giugno 1951), con il suo speranzoso voto («Tenterò di venire in Boemia forse in agosto»), non sappiamo se adempiuto, segna virtualmente il termine di questa drammatica evenienza, concludendo insieme il primo ventaglio di lettere. Nella corrispondenza recuperata da Annalisa Cosentino c’è infatti una lacuna di circa quattro anni che si può forse legare alle traversie portate alla luce da Giuseppe Dierna [16].

La storia prende abbrivio il 12 gennaio 1952, quando il Figaro Littéraire divulga il cosiddetto testamento di Halas, che esprime la sofferenza di un intellettuale comunista dentro un regime da cui si sente alieno, e che il giornale dichiara di aver ricevuto da Ripellino. «E qui», scrive Dierna, «scoppia il putiferio. L’ambasciata cecoslovacca a Roma lo convoca, chiede spiegazioni e, davanti alla sua proclamata estraneità, gli intima una smentita. Ma lui non può farla. Anche se non è stato lui a passarlo al giornale, quell’originale era suo: gliel’aveva consegnato Halas, e Ripellino l’aveva solo incautamente prestato a un emigrante ceco che aveva abusato della sua buona fede». L’incidente è dei più gravi. Malgrado le immaginabili riserve, Ripellino si è giocoforza ingegnato di conservare buoni rapporti con il governo comunista (che finanzia il suo insegnamento bolognese e produce il visto d’ingresso necessario alle sue febbrili ricerche): ne fanno fede le traduzioni da Halas, Neumannn e Wolker, apparse tra il 1949 e il 1951 sul mensile «Europa nuova», curato dalla stessa legazione. Dopo il ‘fattaccio’ la situazione precipita. Il vivace e fertile studioso diviene per le autorità ceche un ‘sorvegliato speciale’ e una persona doppiamente ‘ricattabile’: sul versante economico e letterario. Ma il disegno di farne un informatore, un ‘guardiano’ di emigranti cechi, darà luogo, dopo una serie di tragicomiche schermaglie, a un secco rifiuto. Dierna riferisce che l’avventura ‘spionistica’ di Ripellino si ferma nell’autunno del 1955, su «un colloquio col linguista Havránek, membro un tempo del glorioso Circolo linguistico di Praga, che – imbeccato da zelanti funzionari – gli rinfaccia scarsi risultati e un tiepido atteggiamento “nei confronti della nostra letteratura”». I contraccolpi di questo ‘gliommero’ sono per lui esiziali, perché danno luogo, prima alla cessazione del corso di Bologna (che si trova a essere in quel frangente il suo principale cespite) e quindi al temporaneo distacco dai prediletti studi cechi: i suoi contributi, ultimamente affidati a «La fiera letteraria»[17], si interrompono il 15 marzo 1953, con Un ricordo di Hašek (per molti anni a venire si dedicherà quasi esclusivamente alla letteratura russa, con qualche incursione in quella polacca) [18]. Un’orma di questo calvario si può scorgere nella poesia Mia sorella Praga, apparsa su «La fiera letteraria» del 28 settembre 1952 (p. 5): 

Tra le lacrime bevo il luccichio
del fiume che calza scarpine di gelo:
sulla distesa di acque assiderate
scivola perlaceo il tuo volto.
Dietro le ostie del tempo ti rivedo,
ferma a un cantuccio di Praga:
sotto agnelli di neve, ingiallita,
dietro specchietti di celluloide,
con gli occhi malati dei tram
Praga piange. E la nostra vita
si scioglie in laghi di dolce speranza.
Ma almeno il desiderio, almeno l’ansia
di tornare fra quelle umide pietre,
di riabbracciare le statue del ponte,
dà un cielo ai giorni mesti, una musica
ai fili del pianto e rinchioma
gli alberi del nostro amore. 
Nella sede dell'Espresso con esponenti del dissenso cecoslovacco

Nella sede dell’Espresso con esponenti del dissenso cecoslovacco

Comunque sia, è certo che Ripellino cambia strada. Risale infatti a questo periodo l’inizio dell’impiego alla «Enciclopedia dello Spettacolo», della collaborazione con la rai e della consulenza slavistica per Einaudi. E non è forse un caso che il nostro epistolario ricominci, dopo una pausa probabilmente ‘cautelare’, il 28 ottobre 1955, con un biglietto di auguri per i cinquant’anni del poeta (già vi senti la nostalgia del «tempo in cui bussavo | nella luce di Kampa verdognola e viola | alla porta serrata con cinque mandate tenaci», richiamato nella poesia n. 83 di Lo splendido violino verde) [19], che suscita la gratitudine «per il raggio augurale che squarcia le tenebre» (7 novembre 1955) [20]. E un filo di speranza filtra nel biglietto del 4 maggio 1956, dove l’accenno di Ripellino ai «giorni convulsi» e l’auspicio di un prossimo incontro, sembra alludere al ‘disgelo’ innescato, nel gennaio 1956, dal XX congresso del PCUS (ma smentito in novembre dalla sanguinosa repressione della rivolta ungherese). Che l’incontro non sia avvenuto sembrano testimoniarlo una cartolina del 6 luglio 1956, in cui Ripellino ringrazia per l’invio di un libro [21], e le lettere del 1° novembre e del 28 dicembre 1956: l’una con la preghiera «di non dimenticare il poeta Vladimír Holan»; l’altra con la struggente invocazione «Angelo, sto morendo – e sono anche vivo, vivo…», che sembra riferibile all’infarto che spegnerà la voce di Holan per un quinquennio e che sarà contrastato nel 1961 da un intervento chirurgico all’addome (al luttuoso appello Ripellino non potrà che opporre, il 20 gennaio 1957, una disarmata sollecitudine: «mi scriva di più a proposito di se stesso. Penso sempre a lei. Posso esserle d’aiuto in qualche modo?»).

Il biglietto holaniano del 27 novembre 1962 scandisce, dopo un lustro di silenzio (durante il quale Ripellino ha avuto modo di andare a Praga almeno due volte)[22], il ritorno alla vita. Sebbene precaria, la guarigione (allusa nel «no, non sta dimenticando il poeta malato che invecchia», in cui si può leggere un ringraziamento per l’invio del breve saggio Su un poema di Vladimír Holan (První Testament) [23] è confortata dall’aria nuova che si respira nel paese. Che i tempi siano mutati lo conferma la lettera del 5 marzo 1964, un altro grazie, stavolta per i «due fascicoli de L’Europa» (ossia per il paragrafo Vladimír Holan, uno dei lirici più forti della poesia cecoslovacca, incluso in È l’ora della Cecoslovacchia. Fogli di diario praghese [24], e per le traduzioni holaniane riunite nel titolo «Sei qui? Parla!» e altre poesie e corredate dalla significativa postilla Messo al bando dagli stalinisti oggi a Praga è un protagonista del ‘risveglio’) [25], che sono il riverbero di un soggiorno di Ripellino a Praga (e di un probabile incontro con Holan) che può farsi con buona approssimazione ricadere fra i termini del 7 settembre 1963, data in cui Ripellino informa Italo Calvino della sua imminente partenza [26], e del successivo 2 ottobre, quando comunica a Vittorio Strada di esserne «appena tornato», dicendo di avervi trovato «una situazione culturale straordinariamente interessante, un grande fervore di vita teatrale, letteraria, artistica» [27], vale a dire i segni evidenti di quel ‘risveglio’ che Holan ribadisce con un nutrito elenco di sue pubblicazioni presenti e future (fra cui spiccano Noc s Hamletem e «la seconda grossa parte di Ale je hudba, dal titolo Na postupu», che sarà dedicato a Ripellino), e con la notizia che «la casa editrice tedesca occidentale S. Fischer ha manifestato interesse per la mia opera». L’euforia per il ‘nuovo corso’ (sostenuto fra gli altri da Alexander Dubček, il nuovo segretario del Partito Comunista Slovacco) si prolunga nell’immediato riscontro di Ripellino (10 marzo 1964), con promettenti novità: l’antologia poetica holaniana che Einaudi prevede di pubblicare «all’inizio del prossimo anno», e la prossima visita a Praga «ai primi di maggio», per parlare anche di un «promesso viaggio in Italia». Quanto alla prima, sappiamo che la pubblicazione di Holan in Italia è la diretta conseguenza di un’idea di Ripellino, esplicitata in una lettera a Italo Calvino del 9 marzo 1963, con la proposta di inaugurare una collana di poesia (la futura ‘bianca’), che offra eventualmente spazio ad autori «poco noti» [28], e precisata, al momento del varo, caldeggiando per il settore ceco i nomi di Holan e Halas, «la cui altezza non ha nulla da invidiare a quella dei russi»[29]. La seconda è confermata da una lettera a Giulio Bollati, scritta il 7 maggio 1964 dall’Hotel Alcron di Praga, che sollecita appunto l’editore ad acquisire al più presto i diritti di tutta l’opera poetica di Holan e Halas e di altre opere ceche (il romanzo Il dottor Dongo di Josef Nesvabda, il volume di racconti Volare in fondo e facile di Ivan Vyskočil, i racconti inediti di Věra Linhartová) [30], nonché da Mosaico praghese: maggio ’64, vivido reportage culturale in cui figura il paragrafo La dimensione, oggi, è il discontinuo: Holan, che riferisce anche di una serata al caffè Viola, con la lettura di Noc s Hamletem, «dentro una cappa di fumo, in un’aria irrespirabile. L’atmosfera luttuosa di quella cripta semibuia si adattava a meraviglia al barocchismo lugubre, alla ‘notturnalità’ di questo poema, che ha le radici nella lirica ceca del Seicento. Gli attori recitavano con lentezza solenne, intercalata da virgole di musica, spezzando la frase in modo che la cadenza non coincidesse con la punteggiatura, in una sorta di dizione atonale. E in quel semibuio era come guardare le terrificanti immagini d’una lanterna magica» [31]. Per quanto tenebrosa, la kermesse holaniana premia una scelta appena rivendicata nella lettera del 10 marzo: il non essersi «impantanato nel fango della pseudopoesia di una certa epoca e di aver capito fin dall’inizio chi era e sarebbe stato il miglior poeta ceco».

il-trucco-e-l-animaTutta questa effervescenza deve però, ancora una volta, pagare pegno alla «malsanìa» di Ripellino. Una lettera a Giulio Einaudi (4 settembre 1964) rivela che ha passato «l’agosto in clinica» e che deve curarsi «per tutto settembre» (in una lettera con la stessa data a Guido Davico Bonino parla di una «nera estate», così nera che, temendo il peggio, si affretta a consegnare il manoscritto di Il trucco e l’anima, cui lavora da cinque anni) [32]. Tuttavia il nuovo messaggio di Holan (18 settembre) giunge in un momento di relativa tregua. Le sue felicitazioni per la fine della degenza hanno sostegno in una comunicazione di Ripellino (al momento dispersa) che induce un ulteriore alleluia (6 dicembre, il giorno di San Nicola): «meno male che vive e che sta guarendo! La sua lettera mi ha fatto un enorme piacere! Ora lasci tutto da parte, si riposi, ha bisogno della massima tranquillità! E la prego di farmi sapere quando sarà ormai guarito, credo che guarirà». Le parole di Holan si affiancano a quelle, coeve, di Ripellino, che il 28 novembre può rispondere positivamente alle preghiere di Guido Davico Bonino riguardo alla revisione della traduzione dei racconti di Schulz effettuata da Anna Vivanti, e assicurare che lavora intensamente ai promessi volumi delle poesie di Holan e Chlebnikov, con l’impegno a consegnarli entro aprile-giugno [33]. E in primavera la sua situazione sembra ancora accettabile. Il 12 aprile Ripellino può prontamente soddisfare l’amico che una settimana prima, insieme alle notizie sulla sua salute, gli ha chiesto un giudizio sulla traduzione francese di Una notte con Amleto, realizzata dal dermatologo Bohumír Rejsek. Dopo le buone parole per la versione «molto bella e precisa», assicura che la sua salute è «migliorata notevolmente» e «migliorerà ancora» (tanto da accarezzare un viaggio in Francia, quale giurato del Premio internazionale degli editori, una puntata a Praga, «nella seconda metà di maggio», e una convalescenza estiva, con una borsa di studio offerta dall’Unione degli Scrittori, a Karlovy Vary e a Dobříš) e anticipa che «L’Europa letteraria» ospiterà le sue traduzioni di «un gruppetto di poesie tratte da Bolest», primizia del volume holaniano che consegnerà a Einaudi «alla fine di maggio» [34], per chiudere con una indimenticabile menzione di Il trucco e l’anima, che dice previsto «alla fine di maggio» (uscirà invece, a sorpresa, il 23 aprile): «un lungo romanzo sulla poesia di quell’epoca, sui destini degli artisti, sulla vita e la morte, sulle chimere del mondo e infine su me stesso. Quei grandi artisti diventano “kukiełki” (come dicono i polacchi) nelle mani dell’autore-burattinaio».

Ma la fiducia di Ripellino non è ben riposta. Lo suggerisce una lettera del 4 maggio 1965, in cui esprime a Giulio Einaudi il suo rammarico per aver dovuto disertare l’impegno del Premio internazionale di letteratura (a Saint Raphaël) per «febbrette serali conseguenti all’influenza e uno stato di debolezza»[35]. E anche se un biglietto del 15 giugno 1965 (a Guido Davico Bonino) lo mostra ancora in attività (ha inviato «il testo delle poesie di Holan» e ne prepara l’introduzione) [36], il suo destino è deciso. Appena un mese più tardi, subito dopo la cerimonia di premiazione del «Viareggio» (assegnato il 17 luglio, contro ogni pronostico, a Il trucco e l’anima), Ripellino raggiunge con la famiglia la Boemia, per un ricovero urgente nel sanatorio di Dobříš. La gravità delle sue condizioni è descritta, non senza una quota di inguaribile ottimismo, in un accorato messaggio all’editore (13 agosto 1965): 

«Mio caro Giulio,
ti ringrazio del telegramma per il «Viareggio». Come ho già scritto a Calvino, sono ricoverato in un sanatorio vicino Praga, tra i boschi, dove esperti e affettuosi medici cercano di rimettermi in piedi. I medici italiani (della famosa scuola di Zorini!) hanno stupidamente curato per non specifico un fatto tubercolare, lasciando che per mesi e mesi io mi affaticassi, senza in realtà curarmi. Ho lavorato, reggendomi sui nervi e imbottendomi di inutili masse di antibiotici e cortisoni, ecc., e per di più mi hanno inoculato un autovaccino, con cui hanno reimmesso nel mio corpo tutti quei bacilli che bisognava scacciare. Incredibile! Qui mi assistono con straordinaria sollecitudine e accanimento e promettono di restituirmi al lavoro e alla vita. Sarà un po’ lunga, perché il male è stato criminosamente trascurato e peggiorato, ma bisogna aver pazienza» [37]. 
Sanatorio di Dobris

Sanatorio di Dobris

Ora sappiamo che, prima che a Giulio Einaudi e a Italo Calvino, il 30 luglio si era rivolto a Holan, per ringraziarlo «del libro e della dedica» (piace vedervi Jeskyně slov, illustrato da Josef Šima, il trionfale primo volume che inaugurava nel 1965 le Opere complete di Holan, promosse dalla Casa Editrice di Stato d’arte e letteratura), per dargli premurosa notizia del lavoro che lo riguarda («ho consegnato il manoscritto del mio libro di traduzioni della sua opera. Uscirà forse in autunno»), e per descrivere le proprie condizioni («mi curo, sto a letto, parlo con la natura») e le speranze che vuole associarvi: «ritengo che questa volta guarirò davvero e pienamente, perché ho la testa piena di progetti e di idee e vorrei fare sempre di più per la cultura ceca» (quest’ultimo proposito era stato pubblicamente bandito proprio nel paragrafo holaniano di È l’ora della Cecoslovacchia: «sono in debito verso Čapek, Vančura, Nezval, Halas, Holan: farli conoscere, scriver di loro è uno dei sogni della mia vita»). Il dialogo prosegue il 23 agosto, quando Ripellino risponde a una lettera di conforto (non pervenuta), rassicurando l’amico sul proprio miglioramento e sul desiderio di continuare a studiarne l’opera, omaggiandolo di una citazione della sua Risposta alla Francia, ma lamentando le «lunghe e noiose serate» che vorrebbe contrastare con i libri (inutilmente richiesti all’Unione degli scrittori cecoslovacchi e ad Einaudi): una protesta che è il Leitmotiv di questa sua inopinata ‘vacanza’ (nella lettera appena citata a Giulio Einaudi aveva scritto: «dalle sei della sera cala una cappa di tedio e di malinconia, che si può diradare solo leggendo»).

Il 15 settembre Holan riceve un telegramma per i suoi sessant’anni («All’amato poeta invio dal mio eremo auguri di salute felicità fama internazionale») che è tutt’altro che un gesto di circostanza. Ce lo dice una lettera di Ripellino a Guido Davico Bonino (28 settembre 1965), con la richiesta di «far uscire lo Holan entro l’anno» (perché vuole unirsi «ai festeggiamenti per i suoi sessant’anni» e per mostrargli gratitudine «per l’immenso aiuto che mi ha dato in questi giorni») e di mandare «qui le bozze»[38] – ma il compito sarà probabilmente assolto al suo rientro in Italia: in un’altra lettera a Guido Davico Bonino (14 ottobre) lamenterà il «peso delle medicine che mi intontiscono», le cure che «spossano in un certo senso piú della stessa malattia»[39]. La festa per il genetliaco di Holan è il giusto preludio all’uscita dalla ‘Fortezza d’Alvernia’ (il meraviglioso poemetto che commemora il tempo del «purgatorio») [40], liberazione che dunque ha una data leggermente diversa da quella che Ela mi aveva a suo tempo fornito (il periodo di Natale). In una lettera del 9 novembre 1965 (su carta intestata della Facoltà di Lettere dell’Università di Roma) il ‘poeta risanato’ trasmette, insieme alla notizia più importante («sono tornato a casa e mi sento molto meglio. Pian piano ricomincio a recitare la mia vita»), la sua sollecitudine per l’amico ormai lontano, ricordando che «la mia prima lettura sono state ieri le poesie della raccolta Na postupu», dicendosi rammaricato per il ritardo dell’antologia che sarà comunque il suo dono di compleanno (il libro sarà «finito di stampare» il 2 febbraio 1966), e ringraziando «per le lettere affettuose, che sono state per me luce e conforto nei giorni tristi».

Con Giuseppe Ungaretti e Ingeborg Bachmann al Premio internazionale di Poesia di Taormina

Con Giuseppe Ungaretti e Ingeborg Bachmann al Premio internazionale di Poesia di Taormina

Della rinascita di Ripellino parlano i tre biglietti del 1966: i saluti (18 gennaio) dal ristorante «Cesarina», «dove impera un donnone», controfirmati da Ettore Lo Gatto e Roman Jakobson; il «benvenuto in Boemia» di Holan (19 marzo) [41], e ancora i lieti pensieri in francese (8 aprile) dal ristorante «dal Bolognese», condivisi da un gruppo di amici (fra cui lo stesso Vigorelli e Domenico Javarone, che ospiterà su «Carte segrete» una anticipazione di La fortezza d’Alvernia) [42]. La parabola gaudiosa (prolungata dal Premio di stato cecoslovacco arriso a Ripellino per la versione di Holan) [43] culmina nel messaggio del 2 gennaio 1967 (la riconoscenza di Holan per il calore con cui Ripellino ha difeso la sua candidatura al Premio «Etna Taormina») e nella cartolina taorminese del 5 gennaio (sottoscritta da Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Ingeborg Bachmann e Hans Magnus Enzensberger), che celebra la vittoria (del contributo di Ripellino a questo alloro parlano chiaro l’intervista su Holan rilasciata nell’occasione alla rai e le motivazioni della giuria, in cui visibilmente si avverte la sua mano) [44], diramandosi nel telegramma con data parzialmente illeggibile (ma del 1968) in cui Ripellino si felicita con Holan nominato il 20 maggio Artista nazionale (in una lettera del 4 marzo a Guido Davico Bonino aveva potuto fregiarsi della pubblicazione sulla rivista ceca «Host do domu» di una «splendida versione» della sua introduzione a Holan) [45]. È l’ultimo squillo. I fatti dell’agosto 1968, con l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e la progressiva estirpazione del cancro della ‘Primavera’, danno un tono di malinconia alle residue tracce della nostra corrispondenza (composta, con una sola deroga, dai periodici ‘saluti’ di Ripellino, spesso solennemente indirizzati, come a fermare il tempo sui giorni felici, all’«Artista nazionale»).

Nei biglietti del 24 ottobre e del 15 dicembre 1968 Ripellino (che nella notte fra il 20 e il 21 agosto, sotto l’avanzare dei carri armati del Patto di Varsavia, era precipitosamente fuggito da Praga, dove si trovava da luglio, diretto «per strade marginali e poco battute verso il valico di Rozvadov, che porta a Norimberga») [46], si ricorda affettuosamente al poeta inviluppato come i suoi conterranei nelle vischiose trame della ‘normalizzazione’ che comporterà il 17 aprile dell’anno seguente la formale destituzione di Dubček (nel secondo, da Taormina, si uniscono alla sua le firme di Giancarlo Vigorelli, Ignazio Buttitta, Salvatore Battaglia, Enrico Falqui, Giacinto Spagnoletti e di Lawrence Ferlinghetti) [47], mentre quelli del 5 e 30 maggio 1969, seguiti all’ultimo approdo («la settimana dopo Pasqua», ossia fra il 7 e il 13 aprile) [48] nel suolo che gli sarà per il futuro proibito, sono si può dire l’estrema offerta del suo ventennale apostolato: l’uno (il primo indirizzato U Lužického semináře 18, l’ultima dimora di Holan, dove si era da poco trasferito, oggi ricordata con una targa) è la preghiera di accogliere «il poeta ed editore spagnolo Carlos Barral»; l’altro l’invito a ricevere una troupe della rai che vuol realizzare, su proposta sua e di Einaudi, un documentario a lui dedicato.

Ancora ‘di servizio’ sono le brevi lettere del 29 luglio e del 24 settembre 1969. Nella prima Holan, riferendosi a un discorso «di cui abbiamo già parlato la scorsa primavera», chiede all’amico di sollecitare a Rizzoli il pagamento di un imprecisato anticipo contrattuale (rivelando l’esistenza di un progetto di edizione di suoi testi cui l’editore non diede evidentemente corso). Nella seconda Ripellino, scusandosi per il ritardo, motivato da un viaggio a Monaco (probabilmente connesso con i periodici controlli effettuati presso la clinica di Oberaudorf, dove si era trasferito il medico Petr Ostrý che lo aveva curato a Dobříš), e assicurando il suo interessamento per il compenso del libro in uscita «a fine anno», lo informa che in Europa si parla di una sua candidatura al Nobel, ribadisce l’affetto per il «vecchio brontolone» e dichiara che la propria salute, che è quasi ristabilita, non diminuisce la preoccupazione per la minaccia che incombe su «ciò che ho di più caro».

un-viandante-a-pragaCon questo scambio il nostro epistolario volge al suo occaso. Ne restano le briciole dei saluti affidati a cinque cartoline: del 21 maggio 1970 (un «malinconicamente suo» che val più di vani discorsi); del 27 settembre 1971 e del 20 agosto 1972 (da quella Vieste che ispira la poesia n. 18 di Lo splendido violino verde, con il poeta «rinchiuso in una bicocca garganica»[49], e due sequenze di Parapiglia, in cui si affacciano «le strade tortuose e franate del promontorio garganico» e una «villa sospesa su un dirupo garganico»[50]), del 9 maggio 1975 (da Taormina) e del 23 aprile 1977 (con le firme di Giacinto Spagnoletti e Giancarlo Vigorelli). Una cadenza che via via si dirada, quasi avvisaglia della prossima scomparsa dei protagonisti. Ripellino, il più giovane, se ne andrà, per il precipitare di vari mali, il 21 aprile 1978; Holan il 31 marzo 1980, dopo l’ictus del 1976, da cui si era debolmente ripreso. Un epilogo triste, ‘in minore’, che tuttavia ci lascia luminose vestigia di una smagliante «geografia lirica» in cui rivivono i drammi e i fervori di un’intera epoca, e che continua a toccare le nostre vite. Penso, ad esempio, a quella del poeta Marco Ceriani, che ha consacrato i suoi anni migliori alla poesia di Holan, rendendone in limpidi e consonanti versi italiani le prove estreme [51]; o, perché no?, alla mia, letteralmente manomessa dall’incontro con Lo splendido violino verde, e pronta ad accogliere con gioia ogni nuovo accordo del magico strumento, come i sei ‘pezzi’ inclusi nel volume che aduna lettere a Ettore Lo Gatto conservate alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, e in particolare quelli che indulgono alla memoria della perduta giovinezza. Penso alle parole profuse il 20 novembre 1961, al momento di ereditare la cattedra del Maestro («Fu lei ad aprirmi una rapinosa infilata di porte che davano su incantevoli lontananze, fu lei a rivelarmi le immagini, i nomi, i filtri d’un mondo che doveva affascinare la mia fantasia per sempre. […] Voltandomi indietro, vedo che gran parte della mia vita è lì, nel suo studio, a frugare tra i suoi libri, a discorrere con lei, ad ascoltare i suoi progetti e i suoi crucci»), e il 20 settembre 1976, ad onorare il dono di un libro [52] che muove «un’onda di nostalgie, di ricordi di un tempo ahimè già lontano. Di quando, ragazzo, venivo da te a consultare la tua miniera di re. Di quando mi aiutavi coi tuoi consigli e mi raccontavi delle tue esperienze. Gli anni sono fuggiti, la vita corre disperatamente. Ma tu hai saputo conservarti giovane in un mondo di sfaceli. […] Sono contento di averti continuato»[53]. Una gioia oggi ravvivata dallo splendido volume fotografico di Francesco Jappelli, che ripercorre la topografia e la storia di Praga sulla scorta degli itinerari di Praga magica [54:] l’attrattivo dialogo fra il magnifico bianco e nero delle istantanee e la sognante scrittura di Ripellino fa desiderare un ritorno nella «città vltavina», con tappa obbligata a Kampa. 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
Note
[1] Vd. Annalisa Cosentino, «Do vlasti české». Z korespondence Angela M. Ripellina, IPSL, Praha, 2018 (con lettere di Vladimír Holan, Roman Jakobson, Ludvík Kundera, Karel Teige, Jindřich Chalupecký, Jan Smetana, Kamil Lhoták, Libuše Halasová, Josef Istler, Jiří Kolář, Jan Jelínek, René Wellek, Oldřich Králík, Jakub Deml, Albert Pražák, Otokar Odložilík, Jan Tumlíř, Václav Černý, Jaroslav Rosendorfský, František Hrubín, Ladislav Novák, Alexandr Umancev, Vratislav Effenberger, Ladislav Fikar, Jiří Brabec, Karel Krejčí, Jaroslav Durych, Otakar Odložilík, Josef Suchý). Attraverso la voce di alcuni protagonisti della scena letteraria e artistica, i reperti restituiscono importanti notizie sulla situazione della cultura cecoslovacca nel secondo Dopoguerra, e fanno poi luce sul retroterra di rapporti connesso all’ideazione di Storia della poesia ceca contemporanea e sul laborioso progetto di un’antologia di scritti di Karel Teige (pubblicato da Einaudi dopo la morte di Ripellino), mostrando come le nostre ricerche boemistiche si siano sviluppate in stretta collaborazione con studiosi e artisti cechi. Il carteggio Holan-Ripellino è uscito in contemporanea, con il titolo «Poesie je vzácné koření». Ke korespondenci Angelo Maria Ripellino – Vladimír Holan 1948-1977, in «Slovo a smysl», vol. XV, fasc. 29 (2018): 187-225.
[2] Apparso in «La fiera letteraria», 25 dicembre 1947: 7. Ora in Angelo Maria Ripellino, Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1941-1976), a cura di Umberto Brunetti e Antonio Pane, Torino, Nino Aragno Editore («Biblioteca Aragno»), 2020: 209-219.
[3] Vd. Angelo Maria Ripellino, Storia della poesia ceca contemporanea, Roma, Le Edizioni d’Argo («L’Arcipelago»), 1950: 67-76.
[4] «È tardi per i sogni, spunta l’alba», «Idra», a. I, n. 1, 1990:114. Ora in Angelo Maria Ripellino, Poesie prime e ultime, a cura di Federico Lenzi e Antonio Pane, presentazione di Claudio Vela, introduzione di Alessandro Fo, Torino, Nino Aragno Editore («Biblioteca Aragno»), 2006: 394.
[5] Evocata, diresti a commemorare il primo incontro, nella citata Storia della poesia ceca contemporanea, laddove si parla di Rudoarmějci (p. 74): «Bisogna conoscere Holan-uomo per capire com’egli fosse destinato e preparato a cantare questi uomini. Ebbi tale impressione una volta ch’egli mi narrò d’un soldato russo, il quale veniva, ubriaco, a danzare sull’erba dinanzi a Hlavova vila e sapeva a memoria i versi lugubri del poemetto “L’uomo nero” di Esenin».
[6] Vd. Poesie prime e ultime, cit.: 361.
[7] Ivi: 395.
[8] In «Convivium», n. 1 (gennaio-febbraio), 1949: 122-134. Ora in Angelo Maria Ripellino, Fantocci di legno e di suono, a cura di Antonio Pane, Torino, Nino Aragno Editore («Biblioteca Aragno»), 2021: 1-36 (la citazione a p. 8).
[9] Vd. Storia della poesia ceca contemporanea, cit.: 107-108.
[10] Vd. la poesia n. 67 di Lo splendido violino verde (elaborazione di una lettera di un’attrice cecoslovacca). Ora in Angelo Maria Ripellino, Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, a cura di Alessandro Fo, Federico Lenzi, Antonio Pane, Claudio Vela, presentazione di Alessandro Fo, introduzione di Antonio Pane, Torino, Einaudi («Collezione di poesia»), 2007: 271.
[11] Apparso in «La fiera letteraria», 7 novembre 1948: 5. Ora in Iridescenze, cit.: 233-237.
[12] Vd. l’Introduzione a František Halas, Imagena, traduzione di Angelo Maria Ripellino, Torino, Einaudi («Collezione di poesia»), 1971: 9.
[13] In «Convivium», n. 5-6 (novembre-dicembre), 1950: 757-771.
[14] Ivi: 757.
[15] Il ragguardevole saggio Due capitoli di letteratura ceca: Le origini (863-1306). Il Trecento, «Convivium», n. 1 (gennaio-febbraio), 1951: 730-761.
[16] Vd. Giuseppe Dierna, Angelo Maria Ripellino spiato e ricattato dal Ministero dell’Interno, «lapresenzadierato.com» (come pubblicato da Giorgio Linguaglossa il 18 gennaio 2014), che attinge le informazioni da un dossier ceco desecretato.
[17] Novità letterarie cecoslovacche, 3 giugno1951: 6; Jirásek, alla maniera di Walter Scott, 21 ottobre1951: 4; Poeti cecoslovacchi parlano ai bambini, 23 dicembre 1951: 3; Musica nera e notturna (su František Halas), 14 settembre 1952: 5-6; L’omino delle acque (sul folklore boemo), 12 ottobre 1952: 4; Pastelli del cuore (su Jaroslav Seifert), 7 dicembre 1952: 3.
[18] Nella seconda metà degli anni Cinquanta le frequentazioni ceche di Ripellino si risolvono nei brevi cenni al poema holaniano Prostě e ad altre novità boeme (in Parodia del romanticismo in un dramma romantico polacco, «La fiera letteraria», 1° maggio 1955), nelle traduzioni di Lirica moderna ceca («Il Contemporaneo», n. 1, 1957) e di Lo zampognaro di Strakonice, ovvero la sagra delle streghe di Tyl (in Fiabe teatrali, Torino, E.R.I.,1958), nel Ricordo di Vitězslav Nezval («Il Contemporaneo», n. 1-2, 1958).
[19] Vd. Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, cit.: 89.
[20] La lettera era già apparsa in «Trasparenze», n. 23, 2004, numero monografico dedicato a Ripellino, a cura di Federico Lenzi: 70.
[21] Annalisa Cosentino plausibilmente vi individua la raccolta di poesie per bambini Bajaja, illustrata da Jiří Trnka, apparsa nel 1955.
[22] Vd. Antonio Pane, Notizie dal carteggio Ripellino-Einaudi (1945-1977), «Annali di Studi Umanistici Università di Siena», vol. VII, 2019):208-210, 216.
[23] Incluso in Studi in onore di Ettore Lo Gatto e Giovanni Maver, Firenze, Sansoni («Collana di “Ricerche Slavistiche”»), 1962: 567-570.
[24] «L’Europa letteraria», n. 22-23-24, 1963: 172-184 (il paragrafo su Holan a p. 180). Ora in Angelo Maria Ripellino, L’ora di Praga. Scritti sul dissenso e sulla repressione in Cecoslovacchia e nell’Europa dell’Est (1963-1973), a cura di Antonio Pane, con la collaborazione di Camilla Panichi, prefazione di Nello Ajello, contributi di Alessandro Catalano e Alessandro Fo, Firenze, Le Lettere («fuori formato»), 2008: 3-17.
[25] «L’Europa letteraria», n. 25, 1964: 58-65. Ora in Iridescenze, cit.: 453-456.
[26] «Vado ora a Praga per qualche giorno». Vd. Angelo Maria Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), a cura di Antonio Pane, introduzione di Alessandro Fo, Torino, Einaudi, 2018: 71.
[27] Ivi: 73.
[28] Ivi: 67-68.
[29] Lettera del 5 novembre 1963 a Guido Davico Bonino, conservata nell’Archivio Einaudi (ora presso l’Archivio di Stato di Torino, fascicolo Angelo Maria Ripellino, carta 759).
[30] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 76-77.
[31] Vd. «L’Europa letteraria», n. 29, 1964: 76-77. Ora in L’ora di Praga, cit.: 23-24.
[32] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 78.
[33] Lettera conservata nell’Archivio Einaudi (carta 869).
[34] Vladimír Holan, Il dolore e altre poesie, «L’Europa letteraria», n. 35, 1965: 63-66.
[35] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 81.
[36] Conservato nell’Archivio Einaudi (carta 933).
[37] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 82-83.
[38] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 84.
[39] Conservata nell’Archivio Einaudi (carta 952).
[40] Vd. Poesie prime e ultime, cit.: 161.
[41] Da allineare alla lettera del 15 marzo 1966 (a Guido Davico Bonino), conservata nell’Archivio Einaudi (carta 966), dove Ripellino fa presente che trascorrerà una settimana a Praga «per controllo medico», e si offre di allestire «un piccolo Halas (o Kolář) per la Collana di poesia, visto che, a quanto pare, Holan ha “incontrato”», forte di «un entusiastico articolo, in cui Vigorelli definisce Holan il più grande poeta moderno: è convinto che lo si debba proporre addirittura per il Nobel».
[42] Vd. Angelo Maria Ripellino, Diario d’Alvernia (dal poema «Nonostante»), «Carte segrete», n. 1, 1967: 115-119.
[43] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 88 (lettera del 6 settembre 1966 a Guido Davico Bonino).
[44] Vd. Angelo Maria Ripellino, Solo per farsi sentire. Interviste (1957-1977) con le presentazioni di programmi Rai (1955-1961), a cura di Antonio Pane, Messina, Mesogea («La grande»), 2008: 22, 178-179.
[45] Vd. Lettere e schede editoriali, cit.: 96.
[46] Vd. Angelo Maria Ripellino, Ai miei amici patrioti che sono stati messi in carcere, «L’Espresso», 1° settembre 1968: 6. Ora in L’ora di Praga, cit.: 87.
[47] In un’intervista televisiva rilasciata a Luciano Luisi nell’occasione del Premio, il poeta della ‘beat generation’ sarà detto «antico clown» e «stolto di Dio», bramoso «di trasfigurare il mondo, di dinamitare la vita, di rifare l’universo». Vd. Solo per farsi sentire, cit.: 26.
[48] Vd. Angelo Maria Ripellino, Le ultime ore di Dubček, «L’Espresso», 20 aprile 1969: 8-9. Ora in L’ora di Praga, cit.:143-148. Piace pensare che proprio a questi giorni risalga lo scatto (tratto dal sito l’ombradelleparole.wordpress.com) che ritrae Holan seduto al tavolo del suo studio ricolmo di libri, con il solo volto illuminato, dinanzi a una sagoma in ombra cui si riconosce l’inconfondibile profilo di Ripellino.
[49] Vd. Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, cit.: 218.
[50] Vd. Angelo Maria Ripellino, Storie del bosco boemo e altri racconti, a cura di Antonio Pane, Messina, Mesogea («La grande»), 2006: 31, 39.
[51] Vd. Vladimír Holan, Il poeta murato, a cura di Vladimír Justl e Giovanni Raboni, traduzione dal ceco di Vlasta Fesslová, versi italiani di Marco Ceriani, Roma, Fondo Pier Paolo Pasolini, 1991; Dieci poesie, a cura di Vlasta Fesslová e Marco Ceriani, «Anterem», n. 69, 2004: 32-39; A tutto silenzio, introduzione di Vladimír Justl, traduzione dal ceco di Vlasta Fesslová, versi italiani di Giovanni Raboni e Marco Ceriani, Milano, Mondadori, 2005; Sedici poesie da Předposlední (Penultima), a cura di Giovanni Raboni e Marco Ceriani, «Almanacco dello Specchio» 2006: 35-44; Poesia e conoscenza, a cura di Clara Janés, Vlasta Fesslová, Marco Ceriani, «Poesia», n. 211, dicembre 2006: 2-9; Tempo di mutezza, traduzione dal ceco di Vlasta Fesslová, versi italiani di Giovanni Raboni e Marco Ceriani, «Istmi», n. 21-22, 2008; Addio?, traduzione dal ceco di Vlasta Fesslová, versi italiani di Marco Ceriani, prefazione di Giovanni Raboni, Milano, Arcipelago edizioni, 2014.
[52] Ettore Lo Gatto, I miei incontri con la Russia, Milano, Mursia, 1976.
[53] Vd. Sono contento di averti continuato. Lettere a Ettore Lo Gatto conservate alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, a cura di Valeria Bottone e Gabriele Mazzitelli, con la collaborazione di Pasqualino Avigliano, Quaderni della Biblioteca nazionale centrale di Roma, n. 24, 2020: 153-154. Il libro mi è stato segnalato dal prof. Giorgio Ziffer, che ringrazio di cuore.
[54] Francesco Jappelli, Un viandante a Praga. Nei luoghi della storia e della letteratura con Angelo Maria Ripellino, selezione estratti da Praga magica, fotografie, testi e note di Francesco Jappelli, presentazione di Sylvie Richterová, Firenze, Edizioni Polistampa, 2021. Il volume completa il trittico praghese i cui precedenti episodi sono gli altrettanto splendidi Da Praga. 1983-1988. Immagini di una topografia letteraria, con un testo di Sergio Corduas, selezione dei testi e note a cura di Francesco Jappelli, Firenze, Edizioni Polistampa, 2008, e Visioni di Praga nel mondo di Jaroslav Seifert, con una presentazione di Dario Massimi, Firenze, Edizioni Polistampa, 2016.

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Antonio Pane, dottore di ricerca e studioso di letteratura italiana contemporanea, ha curato la pubblicazione di scritti inediti o rari di Angelo Maria Ripellino, Antonio Pizzuto, Angelo Fiore, Lucio Piccolo, Salvatore Spinelli, Simone Ciani, autori cui ha anche dedicato vari saggi: quelli su Pizzuto sono parzialmente raccolti nel volume Il leggibile Pizzuto (Firenze, Polistampa, 1999).

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