Stampa Articolo

Laboratorio politico Tunisia: tra fughe in avanti e ingerenze esterne

Monumento al partigiano, Nabeul (ph. Emanuele Venezia)

Monumento al partigiano, Nabeul (ph. Emanuele Venezia)

di Emanuele Venezia

Dal 25 luglio al 25 settembre: un cambio di passo

All’indomani dello “scacco matto presidenziale” del 25 luglio (licenziamento del capo del governo e di alcuni ministri, congelamento del parlamento e assunzione di pieni poteri per un mese) accompagnato da un diffuso giubilo popolare, anche gli eterni indecisi della “sinistra” piccolo borghese (intellettuali, riformisti ecc.) avevano finito sostanzialmente col prendere atto del risultato e a sostenerlo implicitamente: il governo più antipopolare e il parlamento più reazionario degli ultimi  dieci anni della storia del Paese erano stati liquidati in poche ore, come chiedevano da mesi le piazze. Anche la proroga di un mese ulteriore di tali misure non aveva fatto granché scandalo.

Ma il 22 settembre, quando Kais Saied da Sidi Bouzid, luogo simbolo da cui sono detonate le Rivolte Popolari in quasi tutti i Paesi arabi nel 2011, rompendo il silenzio di quasi due mesi, ha reso noto che il processo politico avviato il 25 luglio sarebbe stato irreversibile ovvero che l’attuale parlamento è ormai passato alla “pattumiera della Storia” e che una nuova Costituzione sarà preparata da un team di giuristi presieduta dallo stesso presidente (che è un ex professore universitario di diritto costituzionale) e sottoposta al referendum popolare, la piccola borghesia “progressista” ha levato gli scudi, gettando la maschera e ricongiungendosi col fronte anti Kais Saied ovvero con la destra islamista e quella filo-occidentale (giornalisticamente chiamata “laica”) entrambe rappresentanti la borghesia burocratica e compradora tunisina.

Intanto tale annuncio ha scompaginato ancora di più gli ex partiti di governo che tale borghesia rappresentano: Ennahdha il 24 settembre ha visto la dimissione in massa di oltre 113 quadri e dirigenti del partito in rottura con il leader, nonché (ex) presidente del parlamento Ghannouchi; Karama, truppa di completamento a destra di Ennahdha vede i suoi massimi dirigenti arrestati per crimini comuni una volta che non godono più dell’immunità parlamentare; Qalb Tounes partito senza base di massa raccolto intorno al proprio leader, Nabil Karoui magnate delle televisioni, è in agonia dopo che quest’ultimo, spaventato dalla retorica anticorruzione di Kais Saied, ha pensato bene di scappare in Algeria entrandovi illegalmente e per questo si trova lì in prigione da circa due mesi.

Nella prima decade di ottobre si è assistito, quindi, ad un colpo di coda di tali partiti che hanno organizzato un paio di manifestazioni a Tunisi contro Kais Saied, rafforzate da partiti di centro sinistra partecipi. Allo stesso tempo, un grande pubblico raduno dei sostenitori del presidente ha messo a tacere quanti sostenevano la mancanza di sostegno popolare verso Saied, mettendo fine a questo breve ciclo di manifestazioni contrapposte, almeno per il momento.

Il Partito dei Lavoratori di Hamma Hammami (l’ex Partito Comunista Operaio Tunisino), pur non scendendo in piazza con gli islamisti, si è unito al coro anti Kais Saied apportandovi delle “analisi” imbarazzanti per il pressapochismo e il qualunquismo che non ci si aspetta da un militante politico di vecchia data come Hammami, il quale ha semplicemente definito Kais Saied un “fascista come Mussolini e Hitler”. D’altronde l’assenza dalle piazze di tale partito è la causa di tale corto circuito tra il partito e la realtà complessa e lacerata che attraversa il Paese.

Souk a Medenine (ph. Emanuele Venezia)

Souk a Medenine (ph. Emanuele Venezia)

La nomina del governo Bouden

Oltre al forte sostegno di piazza, la nomina il 29 settembre di una donna, l’accademica Najla Bouden, come primo ministro incaricato per la formazione del nuovo governo, ha ulteriormente spiazzato e diviso il fronte avverso a Kais Saied, sia in patria che nell’arena internazionale.

In Tunisia le Ong che si occupano dell’uguaglianza e parità formale tra uomini e donne e i portavoce di alcuni governi occidentali hanno salutato tale decisione attenuando momentaneamente critiche e pressioni. Inoltre pochi giorni dopo, la Bouden ha rivelato la composizione del nuovo governo in cui figurano ben dieci ministre donne, registrando così ulteriori consensi. Alcune femministe tunisine come Olfa Lamloum hanno però fatto notare che la presenza della donna tunisina nelle istituzioni è stata, sin dall’indipendenza, usata strumentalmente dal regime tunisino più per accreditarsi presso i governi occidentali che per sostenere realmente l’emancipazione della donna. In tale occasione la Lamloum ha riproposto sui social media un proprio articolo risalente agli anni ‘90 e scritto contro il regime di Ben Ali [1].

Anche se è innegabile che tale rivoluzione dall’alto abbia avuto delle ricadute positive nel quadro legislativo e sul fronte di alcuni diritti di cui godono oggi le donne tunisine, tale approccio formale alla questione di genere non colpisce il patriarcato nel Paese di cui soffrono principalmente le donne delle classi sociali subalterne e dei centri dell’interno (operaie, contadine, lavoratrici e dei settori poveri), cioè la maggior parte delle donne non rappresentate socialmente né dalla Bouden né dalle neoministre tutte provenienti dalla borghesia tunisina.

I detrattori di Saied fanno notare che tale governo, non essendo vincolato dalla fiducia del parlamento, dato che quest’ultimo rimane congelato, e trovandosi la prima ministra Bouden in realtà come tutti gli altri ministri sotto la diretta direzione presidenziale, è di fatto azzoppato dai poteri molto limitati, riducendosi ad essere una sorta di cinghia di trasmissione delle linee politiche dettate da Kais Saied verso gli apparati dello Stato e la società.

In ogni caso, allo scadere del trimestre post 25 luglio, sembra che anche la nomina dell’attuale governo abbia contribuito ad indebolire da un lato gli ex partiti di governo (questo mix di forze dell’ancien regime e quelle dell’islam politico) e dall’altro il principale partito d’opposizione il Partie Destourienne Libre (Partito Costituzionalista Libero, il cui nome richiama il partito Neo-Destour di Bourghiba) il quale rivendica una continuità con l’RCD, il partito unico al potere prima della Rivolta del 2010-2010 ormai disciolto.

Il PDL, che ha fatto della lotta senza quartiere ad Ennahdha la propria bandiera, all’indomani del 25 luglio tramite la propria presidentessa Abir Moussi, ha provato ad approcciarsi più volte alla presidenza della repubblica per partecipare attivamente a tale fase politica di transizione ma ricevendo in cambio una totale indifferenza.

Il presidente Saied infatti rivendica nei suoi discorsi, sin dalla campagna elettorale, che nella nuova Tunisia non c’è posto né per le forze dell’ancien regime né per gli islamisti che hanno sfruttato gli eventi rivoluzionari per conquistare il potere e infiltrare la pubblica amministrazione con il sostegno più o meno esplicito di forze straniere durante l’ultimo decennio (Qatar, Turchia, Regno Unito, USA, Francia, Italia e Germania). Sin dalla propria elezione alla presidenza della Repubblica Saied ha prediletto il rapporto con i Paesi arabi e in particolare con quelli dichiaratamente ostili alla Fratellanza Musulmana come Algeria (dove ha effettuato la prima visita di Stato rompendo con la tradizione che questa sia in Francia), Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Matmata (ph. Emanuele Venezia)

Nei pressi di Matmata (ph. Emanuele Venezia)

Le reazioni internazionali

Le potenze straniere, e in particolare USA, Francia e Italia nonché l’UE, dopo il 22 settembre hanno intensificato le pressioni dall’esterno chiedendo il ripristino del parlamento eletto precedentemente e l’apertura a tutte le forze politiche per un dialogo nazionale che faccia uscire il Paese da tale crisi istituzionale.

Il Comitato degli Affari Esteri presso il Congresso americano ha messo all’ordine del giorno del 14 ottobre la questione tunisina [2]; negli stessi giorni il Parlamento Europeo ha emesso una risoluzione di condanna [3]. Anche una deputata italiana, Lia Quartapelle, del Partito Democratico, principale forza politica dell’attuale governo Draghi, ha espresso “inquietudine” per la sorte della “democrazia tunisina”, auspicando un maggior interesse del governo italiano. La notizia ha avuto risalto sui media tunisini [4].

Davanti a tale ingerenza straniera negli affari interni tunisini, la risposta non si è fatta attendere e in più occasioni Kais Saied ha rivendicato la sovranità del Paese. Nel breve periodo però ciò che preoccupa gli analisti economico-finanziari, sono le conseguenze reali di tali ingerenze, come il congelamento dei negoziati tra il governo tunisino e le agenzie finanziarie internazionali egemonizzate dagli USA con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Desta preoccupazione l’ultima notazione negativa dell’agenzia Moody che ha declassato la Tunisia da B3 a C1, notazione concernente l’affidabilità del Paese nella solvibilità dei pagamenti, con la conseguenza pratica di scoraggiare eventuali investitori terzi.

Fonti del Ministero dell’economia e delle finanze avvertono che, a partire da gennaio 2022, c’è il rischio che manchino le finanze per assicurare il pagamento degli stipendi della funzione pubblica e per coprire le spese correnti dello Stato. Questa sembra essere attualmente la carta giocata dalle potenze occidentali per deviare la politica interna e istituzionale tunisina in accordo con i propri desideri.

L’unica alternativa cercata dalla presidenza per non cedere ai ricatti pare sia quella di cercare il sostegno finanziario, oltre che politico, dai “Paesi arabi fratelli”, anche se sembra inverosimile che essi possano sopperire alle mancate tranches miliardarie garantite dal FMI, a dure condizioni di contropartite politiche ed economiche in un ciclo infinito di indebitamento sempre maggiore del Paese. Non è quindi esclusa la discesa in campo di un’altra potenza interessata ad allargare la propria area di influenza, come ad esempio la Cina o la Russia. D’altronde, la Tunisia ha buoni rapporti diplomatici con entrambi i Paesi; il cinese e il russo negli ultimi anni stanno iniziando ad essere insegnati nei licei e nelle università. A seguito della crisi russo-turca nel quadro della guerra siriana, la Russia ha dirottato miglia di turisti dalla Turchia alla Tunisia garantendo che il turismo di massa non scomparisse del tutto. Infine, con l’inizio delle pressioni americane come tutta risposta Saied ha convocato presso il palazzo presidenziale i responsabili di Huawei per il Nord Africa incoraggiandoli a investire in Tunisia.

Kef nordovest (ph. Emanuele Venezia)

Kef nord-ovest (ph. Emanuele Venezia)

L’ingerenza straniera e la sua quinta colonna nel Paese

Risulta evidente come la dinamica politica attuale si sviluppi in un intreccio tra condizioni esterne ed equilibri interni. Recentemente un gruppo di una quarantina di docenti universitari ha pubblicato una dichiarazione in cui si denuncia il moltiplicarsi delle ingerenze straniere in questa fase. In essa  si afferma tra l’altro che il 25 luglio: «costituisce una risposta decisiva alla domanda popolare di arrestare un’esperienza che, sotto la copertura della transizione democratica e del regime parlamentare, ha istituzionalizzato la razzia degli islamisti e dei loro alleati sull’economia e le istituzioni del Paese»[5].

In questo contesto è ragionevole pensare come questo ampio spettro politico anti Kais Saied (destra islamista/destra liberale di governo – partiti della sinistra socialdemocratica – partiti della sinistra riformista – “liberi” intellettuali della sinistra piccolo borghese) condividano praticamente le stesse parole d’ordine agitate dalle potenze occidentali: “difesa della democrazia”, difesa della “transizione democratica”/difesa della “Rivoluzione”, ovvero difesa dello status quo. Secondo l’interpretazione progressista della sinistra socialdemocratica e riformista, in cui rientra per esempio il Partito del Lavoratori, la “transizione democratica” indicherebbe un processo politico rivoluzionario iniziato all’indomani del 14 gennaio 2011 (cacciata di Ben Ali) e che sarebbe tutt’ora in corso, tra alti e bassi, ma il cui dato principale sarebbe l’implemento progressivo e progressista delle “conquiste della rivoluzione”.

I fautori stessi di questa lettura limitano tali conquiste alla «libertà di espressione e di organizzazione», che tra l’altro anno dopo anno va restringendosi: un approccio quantomeno minimalista, tutt’altro che rivoluzionario, considerato che il programma minimo della Rivolta Popolare (leggi Rivoluzione Abortita/Rivoluzione passiva) era Choghl, Hurria, Karama Watania ovvero Lavoro, Libertà, Dignità Nazionale e che tale obiettivo si è allontanato progressivamente in questi dieci anni.

Al contrario i partiti e gruppi rivoluzionari sin dal 2011, in tempi non sospetti, avevano espresso chiaramente nelle loro analisi che: 1) nel 2010/2011 non c’è stata alcuna Rivoluzione (thaura) perché i rapporti di produzione e la natura del Paese sono rimasti sostanzialmente invariati; 2) ha avuto luogo invece una Rivolta Popolare (intifada chaabia) che ha rovesciato il regime precedente, a cui se ne è sostituito un altro simile nella sostanza ma con forme e rappresentanti nuovi (Ennahdha su tutti); 3) nel corso degli anni le questioni poste dalla Rivolta (lavoro, libertà, dignità nazionale) lungi dall’essere affermate sono rimaste irrisolte o dopo un leggero avanzamento sono ripiombate indietro (e questo è sotto gli occhi di tutti) proprio dall’evento normalizzatore per eccellenza: l’Assemblea Costituente e la nuova Costituzione del 2014.

Interessante notare come nel 2012 Ennahdha e il Partito dei Lavoratori erano d’accordo sulla convocazione di un’Assemblea Costituente, una fase ritenuta da entrambi un passaggio politico necessario, che ha oggettivamente ucciso la Rivolta e in particolare il movimento Qasbah 2 (un sit-in permanente dei giovani davanti la sede del governo), e come ancora oggi nel 2021 siano ugualmente d’accordo nel difendere “la nostra Costituzione”.

Allora quanto è fuorviante parlare di “transizione democratica” di fronte ad una restaurazione che tra l’altro ha subìto una profonda accelerazione con l’ex governo Mechichi, sostenuto da un tale parlamento ultrareazionario, pronto a usare più repressione contro i movimenti sociali pur di accontentare le richieste del FMI e delle potenze straniere?

Anche la cosiddetta “società civile” a favore della “transizione democratica”, altro non è, per la maggior parte dei casi, che un insieme di associazioni e organizzazioni che vivono e fondano la propria azione sull’elemosina dei Paesi imperialisti (qui in primis Francia, Italia, Germania, USA) e analogamente i parlamentari, a cui è stato chiuso l’habitat in cui sguazzare, temono che un irrigidimento delle potenze straniere e/o un cambio di regime faccia venire meno i finanziamenti di cui godono e la ragione sociale della propria attività.

Mentre all’inizio di ottobre le piazze contrapposte si fronteggiavano nell’Avenue Bourghiba a Tunisi, 18 Ong della “società civile”, accodandosi al discorso egemonico islamista, diffondevano un comunicato in cui si afferma: «La Tunisia, il solo Paese in transizione democratica nella regione dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, che ha alimentato, finora, la speranza di un cambiamento reale, sembra avere in questo modo girato la pagina della democrazia emergente».

In maniera opportunista quest’area politica di “sinistra” e delle Ong della società civile, ancora oggi ignora e si astiene dal denunciare le palesi ingerenze straniere delle ultime settimane, e in particolare provenienti da UE e USA cioè i propri finanziatori. È interessante notare che spesso tra questi attivisti vi sono esperti dei cosiddetti “post-colonial studies” che dovrebbero criticare le relazioni di dipendenza che i Paesi del Nord impongono ai Paesi del Sud del mondo, ma che invece di fatto e in ultima analisi contribuiscono al loro rafforzamento.

Forze politiche e sociali intellettualmente oneste, invece, mentre denunciano l’ingerenza straniera, criticano Saied per la velleità di pensare di poter amministrare e addirittura riformare un sistema politico da solo o meglio solo con l’appoggio delle forze armate militari e civili, senza coinvolgere i partiti e le associazioni dei lavoratori, che sono ben altra cosa dalle Ong finanziate dalle potenze occidentali. Questa critica spinge quindi per sviluppare la forza politica agente, espressione dei lavoratori, contadini e masse popolari per sostenere e indirizzare in senso rivoluzionario il passaggio politico del 25 luglio/22 settembre. Ciò significa lavorare per creare le condizioni per lo sviluppo di un’economia realmente indipendente e slegata dai diktat occidentali e delle sue agenzie (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale su tutte) e per sviluppare una politica che aspiri ad una reale indipendenza politica e culturale.

Infine anche il potente sindacato UGTT che si è lamentato più volte in queste settimane di non essere stato adeguatamente coinvolto nel processo in corso, nonostante ciò continua ad appoggiare (tiepidamente) Saied, dichiarando che «la sovranità nazionale è una linea rossa che non si può oltrepassare».

Intanto Saied ha rilanciato ancora una volta, a fronte di tali critiche probabilmente costruttive, annunciando la convocazione nelle prossime settimane di una Assemblea Nazionale dei Giovani quale sede principale per dettare le nuove linee politiche e di organizzazione istituzionale del Paese: vi prenderanno parte i giovani attivi nei vari comitati di lotta e regionali per discutere le più disparate istanze in tutto il Paese, ma ad oggi non si ha una lista puntuale dei partecipanti.

Ciò che è certo è che, a differenza dei precedenti dialoghi nazionali, saranno esclusi i “partiti corrotti”, come ha affermato esplicitamente Saied, che sembra invece propendere per una linea più morbida nei confronti dell’associazione patronale UTICA e l’UGTT, che intanto attendono, in particolar modo la prima senza essere ancora entrata nel merito delle decisioni post 25 luglio. Sembra che questa Assemblea Nazionale dei Giovani sarà il trampolino di lancio per il progetto di riforma istituzionale elaborato da Kais Saied sin dal 2011 e chiamato la “piramide rovesciata”.

Cimitero Tozeur (ph. Emanuele Venezia)

Cimitero, Tozeur (ph. Emanuele Venezia)

La “piramide rovesciata”, futuro sistema istituzionale in Tunisia?

Cosa prevede esattamente il progetto di riforma istituzionale promosso da Saied? Un recente articolo apparso su Inkyfada [6] ha provato a riassumere le linee guida di tale sistema istituzionale, sebbene le fonti siano davvero scarse: l’unica fonte scritta è un breve articolo apparso nel 2013 [7] a cui vanno affiancati vari interventi orali durante i dibattiti a cui Saied ha partecipato tra il 2011 e il 2019 e in alcuni discorsi pubblici ufficiali tra il 2019 anno della sua elezione e oggi.

Il progetto è quindi attualmente abbastanza vago, si tratta di una sorta di democrazia diretta, rappresentata geometricamente da una piramide rovesciata in cui al di sopra si trova la base di tale piramide formata da 264 consigli provinciali, segue uno strato intermedio formato da 24 consigli regionali e infine, nella parte inferiore, la punta della piramide è rappresentata dal parlamento nazionale.

Secondo tale visione, il popolo elegge, con un sistema di voto diretto in due turni, i membri dei 264 consigli di delegazione (la Tunisia è suddivisa da un punto di vista amministrativo in 24 governatorati, a loro volta suddivisi in diverse delegazioni per un totale di 264 delegazioni). Ogni consiglio di delegazione sarebbe quindi composto da 1 membro eletto dal popolo proveniente da liste elettorali composte da almeno il 50% di candidati al di sotto dei 30 anni di età e da almeno il 25% di candidati che siano laureati e disoccupati, a cui si affianca 1 ufficiale della sicurezza nominato dall’autorità su proposta della maggioranza dei membri del consiglio, 1 disabile a rappresentare tale categoria nella delegazione e, se presenti, anche i dirigenti di amministrazioni locali (senza diritto di voto).

I consigli di delegazione formulano progetti di sviluppo locali che inviano ai consigli regionali, inoltre i consigli di delegazione di una regione formano il consiglio regionale eleggendo al loro interno e infine inviando un rappresentante da ogni delegazione; ognuno dei 24 consigli regionali sarà quindi formato da un rappresentante proveniente dalle delegazioni in cui è suddiviso il governatorato: es. se un governatorato è suddiviso in 5 delegazioni, il consiglio di governatorato sarà formato da 5 membri (1 per delegazione) a cui si affiancano un rappresentante per i disabili della regione e i direttori delle amministrazioni regionali nel governatorato (quest’ultimi senza diritto di voto).

I consigli regionali hanno il compito di armonizzare i progetti di sviluppo provenienti dalle delegazioni della regione. I consigli regionali infine formano un parlamento nazionale di 264 deputati (uno da ogni delegazione del Paese) a cui si aggiunge un numero non precisato di rappresentanti di tunisini all’estero. Il parlamento ha potere legislativo.

Questo sistema prevede che gli eletti in tutti e tre i livelli della piramide rovesciata siano revocabili in qualsiasi momento dal proprio elettorato. Pur ricordando a tratti il sistema di potere della Comune di Parigi (in particolare per il principio della revocabilità dell’eletto per inadempienza in qualsiasi momento) o il sistema dei Soviet, secondo lo stesso Saied non è riconducibile a nessuna di queste esperienze passate. Tale assetto istituzionale avrebbe l’obiettivo di eliminare le disparità regionali molto marcate nel Paese tra le regioni costiere più sviluppate comprese tra Tunisi e Sfax e per estensione anche Biserta a nord e l’isola di Djerba a Sud, da un lato, e le regioni meno sviluppate interne dall’altro. Per questo motivo molti giovani del Paese e attivi in vari comitati di lotte popolari, come i laureati disoccupati o a difesa dell’ambiente, sostengono tale progetto e l’idea di partecipare a tale Assemblea Nazionale dei Giovani.

Kef, lavoratrici municipali (ph. Emanuele Venezia)

Kef, lavoratrici municipali (ph. Emanuele Venezia)

Conclusioni

Da quanto fin qui delineato, l’azione politica di Kais Saied con il passaggio del 25 luglio-22 settembre è andata incontro alle richieste politiche popolari di dissoluzione del parlamento e del governo e ha avuto come primo esito pratico immediato l’organizzazione e l’inizio di una campagna vaccinale di massa su tutto il territorio nazionale che ha ridotto il tasso di positività dal 30% all’attuale 2,5%.

I soggetti politici e sociali che traevano in un certo qual modo profitto dall’ordine instauratosi dopo l’elezione dell’Assemblea Costituente del 2012, comunemente indicato come “transizione democratica”, hanno dato vita ad un largo fronte interno anti Saied, convergente col fronte esterno rappresentato dagli Usa e da alcuni Paesi europei: entrambi i fronti vorrebbero un ripristino sostanziale della situazione antecedente al 25 luglio.

Non è da escludere quindi un maggior interventismo da parte delle potenze straniere che prenda la forma di un nuovo appoggio politico e finanziario alle forze locali dell’islam politico. Ciò potrebbe far virare il Paese verso una guerra civile che non escluderebbe a sua volta l’intervento di attori regionali come Algeria e Turchia, complicando ancor più le contraddizioni tra gli interessi contrapposti di questi Paesi sia in Tunisia che in Libia e chiamando in causa anche l’Egitto, in un effetto domino in tutto il Nord Africa. Tale ipotesi può sembrare oggi molto improbabile ma non più di quanto lo potesse sembrare il “giorno prima” che dinamiche simili si innescassero in Siria, Libia o Iraq.

Un’altra incognita è rappresentata dalla domanda se e per quanto tempo continuerà la “benevola neutralità” dell’esercito che finora ha appoggiato la presidenza della repubblica ma che potrebbe ritornare sui propri passi e, in tal senso, potrebbero influire le minacce americane di sospendere i finanziamenti all’esercito tunisino e di revocare lo status di membro associato della NATO al Paese.

Seppur, a nostro avviso, il 25 luglio rappresenti un passo in avanti, il Paese si muove ancora negli argini del vecchio regime post indipendenza e ciò è rappresentato nella sovrastruttura simbolica dalla continua retorica sul ruolo della donna nel Paese e, in modo più pericoloso, dalla continua presenza di uno stato di polizia. Da un punto di vista strutturale invece, la condizione semicoloniale e semifeudale domanda ancora una rivoluzione radicale delle classi sociali subalterne, contadini e operai in particolare.

In tal senso la sudditanza ai diktat imperialisti permane anche sotto il regime diretto da Saied per quanto riguarda la repressione dei flussi migratori, in piena continuità con i regimi precedenti. Inoltre nelle ultime settimane si sono moltiplicati gravi episodi di razzismo verso migranti di Paesi subsahariani accompagnati da respingimenti illegali oltre la frontiera in pieno deserto, al confine tra Tunisia e Libia o in acque territoriali libiche alla mercé della cosiddetta guardia costiera libica, ovvero gruppi jihadisti che hanno cambiato casacca e che sfruttano i migranti come schiavi o peggio.

Infine non è da escludere che i futuri passaggi (neo) istituzionali previsti, come l’Assemblea Nazionale dei Giovani, possano far accelerare il processo rivoluzionario. In tal senso le vie della Rivoluzione sono infinite e non precluse a schemi rigidi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021 
Note
[1]  Lamloum, Toscane, Discours modernisateur pour régime répressif. Les femmes, alibi du pouvoir tunisien, Le Monde Diplomatique, giugno 1998. www.monde-diplomatique.fr/1998/06/LAMLOUN/3767.
[2]    www.foreignaffairs.house.gov/2021/10/tunisia-examining-the-state-of-democracy-and-next-steps-for-u-s-policy.
[3]    www.europarl.europa.eu/doceo/document/RC-9-2021-0523_EN.html.
[4]    www.tunisienumerique.com/la-deputee-italienne-lia-quartapelle-denonce-la-fermeture-du-parlement-tunisien/.
[5] www.webdo.tn/2021/10/20/des-universitaires-et-acteurs-de-la-societe-civile-denoncent-lingerence-etrangere-en-tunisie/.
[6]   Mornagui, La construction de la structure démocratique par la base: quel est le projet étatique de Kaïs Saïed ?,
www.inkyfada.com/fr/2021/10/19/kais-saied-construction-democratie-base-tunisie/.
[7] In lingua araba: Saied, من أجل تأسيس جديد للأستاذ ,www.daghbaji.wordpress.com/2013/08/03/%d9%85%d9%86-%d8%a3%d8%ac%d9%84-%d8%aa%d8%a3%d8%b3%d9%8a%d8%b3-%d8%ac%d8%af%d9%8a%d8%af/?fbclid=IwAR2jPwmHdtTnlLak_yaPjZTKFkiCwLLrRFB02cDI9jsDr9jOU5xNBZlWkVw.

______________________________________________________________

Emanuele Venezia, laureato nel Corso di Laurea Magistrale in Cooperazione e Sviluppo presso l’Università di Palermo, dottorando presso l’Università di Manouba (Tunisi) in Civiltà contemporanea con una ricerca comparativa diacronica inerente la comunità siciliana di Petite Sicile (La Goulette, Tunisi XIX e inizio XX sec.) e la comunità tunisina di Mazara del Vallo. Attualmente insegna italiano applicato all’economia in Tunisia.

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Attualità, Politica. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>