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La vivacità della storia orale nell’epoca della crisi delle riviste

copertina_il-de_martino_31di Antonio Fanelli 

L’Editoriale del n.31

«La rivista “Il de Martino” è nata nel 1992 per rafforzare il rilancio dell’Istituto Ernesto de Martino nel momento del trasferimento da Milano a Sesto Fiorentino. Dopo 30 numeri, e in vista del suo trentesimo anniversario di vita, inaugura un nuovo ciclo che raccoglie e sviluppa l’eredità del lavoro fin qui svolto e apre nuove prospettive di ricerca e di intervento, grazie alla sinergia con l’AISO (Associazione italiana di storia orale), con il Circolo Gianni Bosio di Roma e la Lega di cultura di Piàdena e con l’IRES (Istituto di ricerche economiche e sociali) Toscana. 

Questo gruppo si è ritrovato agli incontri alla Festa della Lega di cultura di Piàdena. Si è consolidato condividendo idee, letture e temi di ricerca nei seminari organizzati presso la Casa della memoria e della storia di Roma, presso l’Istituto Ernesto de Martino e poi negli spazi sempre più pervasivi della rete. Ha lavorato quasi due anni – in gran parte forzatamente a distanza – alla progettazione della nuova vita della rivista, costruita da una redazione vasta e plurale, che si è impegnata a fondo per trovare un assetto editoriale adeguato. La periodicità diventa semestrale. Cambia il sottotitolo: «storie voci suoni». Viene dato spazio sia ad articoli e interventi brevi, sia a saggi più corposi. L’obiettivo è offrire uno spazio di visibilità, confronto e dibattito fra coloro che lavorano con le fonti orali, le storie di vita e la memoria, con le scritture e le fonti autobiografiche, con gli archivi sonori, audiovisivi, multimediali, e con i media contemporanei.

La storia orale farà da guida alla nostra esplorazione del presente e del passato, delle memorie e dei futuri possibili, del mondo del lavoro e delle culture popolari, delle soggettività migranti e dei contesti e movimenti sociali e politici, delle forme di espressività musicale e dei canali di diffusione e fruizione della cultura. Le interviste, il dialogo e l’ascolto delle storie, delle voci e dei suoni ci aiuteranno a pensare alle forme contemporanee di intervento culturale, di ricerca-azione e di uso pubblico della ricerca. La valorizzazione del patrimonio culturale e archivistico farà da collante fra generazioni ed esperienze diverse, accomunate dalla passione per la ricerca e da una particolare sensibilità etica, civile e politica e, soprattutto, dallo sforzo costante per un uso critico e rigoroso delle fonti orali e autobiografiche.

C’è una tradizione da rinnovare e c’è tanto da fare per raccontare l’Italia, il mondo e le loro storie, rimettendo occhi e orecchie sui territori, disseppellendo talvolta radici lunghe e talaltra documentando tagli, strappi e nuovi inizi, che spesso non conosciamo anche perché ormai quasi nessuno sembra interessato a raccontare le realtà locali, le vaste periferie sociali, i soggetti non egemoni. Che cosa sia successo nelle nostre società negli ultimi quarant’anni è tema con cui la ricerca storica, antropologica e sociologica deve ancora largamente misurarsi.

Se pensiamo a una rivista di ricerca scientifica e di intervento civile, in cui le armi critiche delle discipline (che si sono raffinate in questi ultimi quarant’anni di svolta linguistica ed ermeneutica) tornano a ingaggiar battaglia con i temi grossi del nostro tempo, abbiamo bisogno di tante persone nuove, ma anche di talismani che vengono da altre stagioni e che ci fa piacere ereditare e tenerci vicino. Così intendiamo “Il de Martino”». 

2020-845629968-375448-8835_grandeLe difficoltà di comunicazione e la crisi delle riviste

Mentre è in corso di stampa il numero 35 proviamo a fare un primo bilancio di questa nuova esperienza. La gestazione del nuovo corso della rivista ha consolidato un gruppo di lavoro molto solido e ben affiatato (coordinato da Mariamargherita Scotti) e una vasta rete di scambi, dialoghi e amicizie che si sono consolidate grazie alla presidenza dell’Aiso di Alessandro Casellato, al prezioso ruolo di collante tra più mondi svolto da Stefano Bartolini (responsabile dell’archivio storico della Cgil Toscana) e al contributo decisivo del Circolo Gianni Bosio e della Ires Toscana presieduta da Gianfranco Francese. Si è creato un certo fermento attorno alla rivista, come si evince in maniera chiara dall’entusiasmo che anima l’editoriale del numero 31 (un piccolo ‘manifesto’ che abbiamo ripreso integralmente in questo articolo di bilancio delle prime due annate) e ciò fa ben sperare per il futuro del nostro periodico e, soprattutto, per quello sempre precario delle associazioni che concorrono a realizzare “Il de Martino”. Non è poco per i tempi che corrono, vista la tendenza a chiudersi in orticelli angusti, protetti e autoreferenziali, certo, non basta aver creato una squadra plurale ed efficace per assolvere un compito ambizioso.

Realizzare un progetto editoriale “nuovo” nel solco di una tradizione culturale “antica” non è impresa facile; inoltre, un po’ di entusiasmo è venuto sicuramente meno con il Covid che ci ha fatto lugubre compagnia fin qui. La pandemia – che pure è stata oggetto di riflessione nel primo numero – ha in parte fiaccato l’attivismo culturale che doveva sorreggere la diffusione della rivista e, pertanto, i contenuti dei primi numeri stanno circolando fra i soci e i frequentatori della rete che si è costituita attorno a “Il de Martino” con una particolare lentezza. Del resto, la storia orale e l’etnografia partecipativa hanno poco senso se non si calano nella spirale dei processi di restituzione del lavoro condiviso. Manca ancora al nostro gruppo il riverbero e l’eco della diffusione del lavoro effettuato in tante direzioni e resta ancora da centrare l’obiettivo di attivare nuove forme di circolazione culturale in grado di promuovere con-ricerca e auto-etnografie da parte di soggetti attivi nella scena locale. Restano ancora nel cassetto dei sogni i seminari, laboratori, festival e workshop che avevamo in mente di realizzare per creare in maniera condivisa e reticolare i contenuti della rivista. Inoltre, come spesso e paradossalmente accade, l’innovazione può scardinare le piccole posizioni di rendita e così, nel nostro caso, riscontriamo perfino un passo indietro in termini di vendite. 

Può apparire poco elegante iniziare un bilancio scientifico dalla lista dei conti ma si tratta di un aspetto cruciale per valutare il senso effettivo delle operazioni editoriali e la loro ricezione; un aspetto che viene spesso oscurato visto che si dà ormai per assodato che le riviste siano sostenute da finanziamenti pubblici e finalizzate a offrire una vetrina per chi scrive senza tener conto di un pubblico e di una comunità di lettori (che spesso coincide con il comitato di redazione e con i valutatori e i referee). Il nostro caso è diverso: “Il de Martino”, che rientra tra le riviste scientifiche riconosciute dall’ANVUR (è un riconoscimento frutto dell’iniziativa dell’ente di valutazione della ricerca senza che vi sia stata una candidatura da parte del nostro periodico), viene realizzata al di fuori dell’ambito accademico e degli specialismi disciplinari e nell’alveo di una comunità storica di ricercatori, musicisti e attivisti, desiderosa di rinnovarsi e di ampliare il suo raggio d’azione.

61wq-uheqwl-_ac_uf10001000_ql80_Tenere insieme il rigore scientifico e l’impegno civile è il nostro obiettivo principale visto che nel nostro campo è proprio dalle esperienze politiche che sono scaturite le più originali innovazioni metodologiche e scientifiche grazie all’osservazione di scenari fino a quel momento ignorati. Il nostro antenato mitico, Ernesto de Martino, da teorico delle scienze dell’uomo divenne un “cercatore di umane e dimenticate istorie” [1] nella veste di segretario del Psiup a Bari visitando le sezioni rurali; incontrando i braccianti poveri pugliesi e lucani, riuscì a fondare una etnologia storicistica rigorosa, innovativa e originale. Nei dibattiti teorici sulla cultura popolare è bene ricordare che il saggio decisivo di Stuart Hall [2] per collegare Gramsci alla società di massa e dare una base teorica forte ai cultural studies è stato veicolato in Italia al momento della sua uscita dalla rivista militante e autoprodotta de “I Giorni Cantati” (mentre la comunità scientifica lo ha scoperto almeno 20 anni dopo). Del resto, la sintesi più efficace della poetica e della politica di Gianni Bosio l’ha offerta il suo amico e sodale Alberto Mario Cirese, maestro e decano dell’antropologia italiana, che condensò efficacemente la formula dell’“intellettuale rovesciato” in «rossi ma esperti» [3], ribandendo che la sinergia tra politica e scienza non doveva mai far perdere di vista l’ordine delle tappe del lavoro culturale per cui «prima vi era la filologia e poi il socialismo»[4]. 

Se le basi epistemologiche del nostro lavoro sono solide e originali, il problema politico più urgente è la creazione di una nuova comunità di riferimento. Questa resta la sfida più ardua per coronare gli sforzi prodotti finora. Nonostante la rivista abbia, finalmente, un editore e una distribuzione, grazie all’Istituto storico della Resistenza di Pistoia, e sia uscita dal carattere artigianale che finora l’aveva sorretta, le speranze di ricreare in tempi brevi una rete capillare di ‘corrispondenti’ e di realtà locali e di movimento interessate a interagire con il nostro progetto si presenta ardua ma non per questo irrealizzabile visto che alcuni scambi si stanno consolidando. I numeri precedenti, per il loro carattere monografico, avevano trovato in alcuni casi, un certo riscontro critico, a volte, perfino, in ambito mediatico e politico-culturale.

81lbyadqll-_ac_uf10001000_ql80_Infatti, il motore della rinascita della rivista è stato il successo di vendite e di apprezzamenti critici per il numero speciale dedicato a Emilio Lussu [5] e incentrato sulla valorizzazione e l’analisi di una intervista inedita di Gianni Bosio al politico sardo, realizzata a Roma nel 1970 e conservata nella nastroteca dell’Istituto Ernesto de Martino. Ancora oggi continua a circolare questo numero speciale de “Il de Martino” visto che la voce di Lussu, tratta dal cd allegato alla rivista, è al centro un programma radiofonico di Rai Radio 3 Sardegna, grazie a Francesco Bachis e Walter Falgio. Forse ci siamo montati un po’ la testa, visto l’interesse della stampa, delle tv regionali e di un vero proprio tour di presentazioni della rivista tra la Sardegna e il continente, sia in dipartimenti universitari, sia presso Istituti della Resistenza e altre associazioni culturali, e, così, abbiamo alzato il tiro puntando su una pluralità di voci, di soggetti e di strumenti per narrare le storie di un Paese in trasformazione, tra riutilizzo dei patrimoni d’archivio e nuove ricerche sul campo.

il_de_martino_29-copertinaIl passaggio dal monografico alla miscellanea ha però delle ricadute significative visto che il monografico ha una base potenziale di lettori e si rivolge ad un determinato pubblico grazie alla efficacia del tema prescelto, mentre la miscellanea, seppur ricca di contributi in numerose direzioni, rischia incredibilmente di non intercettare nessuno dei circuiti che lambisce. Quando si prova a navigare in mare aperto, come stiamo facendo noi, il rischio maggiore che minaccia il lavoro culturale è quello di non trovare più una audience sicura, forse, nemmeno quella degli afecionados. 

La polverizzazione dell’editoria, della ricerca e dell’attivismo si può constatare anche dal nostro piccolo (ma non piccolissimo) osservatorio, visto che il collante politico che in passato teneva insieme ambiti diversi tra di loro (canto politico, folk revival, storia orale, teatro civile, inchiesta sociale, storia del movimento operaio, memorialistica e letteratura di impegno civile, etc.) è ormai uno sparuto ricordo e la moltiplicazioni dei piccoli mondi che si richiamano a tale eredità assume spesso dei tratti inquietanti di settarismo e di purismo autoreferenziale. Ivan Della Mea lo aveva definito “leghismo mentale” [6] per sollecitare (almeno) gli attivisti della galassia che ruota attorno alla figura di Gianni Bosio a non chiudersi nella propria sfera di attività senza cooperare per una politica culturale di più ampio respiro rivolta alle nuove generazioni e alla restituzione condivisa dei documenti d’archivio nei territori e nelle comunità di provenienza che molto spesso restano ignare dei patrimoni conservati altrove. Ivan Della Mea si scagliava contro la scarsa capacità di unire le forze per realizzare una politica condivisa sulla valorizzazione degli archivi sonori e su questo nodo decisivo vi sono, per fortuna, anche dei segnali positivi e in contro tendenza (come il Vademecum sulle fonti orali pubblicato su “Il de Martino. Storie voci suoni”). 

La discrepanza tra la ricchezza e l’originalità dei contributi – su cui mi soffermerò tra poco – e la scarsa circolazione del cartaceo (e finanche del pdf scaricabile gratuitamente online) negli stessi ambiti specialistici ci ha posti già di fronte alla sfida cruciale del passaggio non più rimandabile a una versione web della rivista. Non basta inserire un pdf su uno o più siti poiché la materia prima che trattiamo riguarda numerose dimensioni sonore e visuali e necessita di una accurata riflessione sulla complementarità dei codici di comunicazione. Il paradosso delle nostre ricerche resta sempre quello della finalizzazione degli sforzi umani, politici ed etnografici verso la stesura di prodotti scientifici cartacei o comunque testuali dove restano solo poche tracce del paesaggio sonoro e visuale del dialogo. Tracce di scrittura rivolte a un pubblico diverso rispetto a quello dei narratori e redatte spesso in un gergo specialistico il più delle volte inaccessibile ai protagonisti delle storie narrate.

61wq-uheqwl-_ac_uf10001000_ql80_i-giorni-cantatiIl disco e lo spettacolo musicale e teatrale avevano offerto una soluzione efficace al paradosso elitario delle ricerche sul campo svolte in nome di una rivoluzione culturale in grado di spezzare la torre d’avorio degli intellettuali, come auspicava Bosio con l’Elogio del magnetofono e la creazione di un nuovo “intellettuale rovesciato” [7], ma destinate in gran parte al circuito degli addetti ai lavori. In questa direzione le innovative riviste “Il Nuovo Canzoniere Italiano” e “I Giorni Cantati” – di cui auspichiamo di saper raccogliere il testimone – erano uscite dalla cerchia degli specialisti grazie alla dinamicità dei contenuti e alla pubblicazione di storie, canti, suoni e, perfino, spartiti musicali, influenzando in maniera profonda la vita culturale di una nuova generazione protagonista dei fermenti creativi e politici del ’68 e della stagione dei movimenti.

In questo momento, e già da alcuni anni, la forma rivista è in crisi mentre podcast online e videoclip sui social mostrano delle nuove potenzialità per favorire la diffusione dei documenti della ricerca.  Inoltre, si registra un forte ritardo in questa direzione anche in quei settori, come il nostro, che erano stati più innovativi nella stagione delle inchieste sul campo e delle nuove produzioni musicali veicolate da quelle piccole sfere di cera lacca che stanno tornando a conquistare nuove fette di mercato dopo un lungo oblio. Innanzitutto, si tratta di una discrasia tecnologica tra le varie generazioni che spesso non condividono più gli stessi mezzi di comunicazione e di informazione, moltiplicando in tal modo le fratture culturali e l’aumento delle bolle incomunicanti e del tutto prive di coesione per operare in maniera sinergica nelle maglie larghe e negli interstizi della rete mediatica (come avevano provato a fare i movimenti no-global agli albori del web). Spesso gli over 40 si approcciano alle dimensioni multimediali con una mentalità testuale poco incline a cogliere le opportunità della comunicazione visuale e interattiva e con uno spirito pesantemente condizionato da visioni catastrofiste della società contemporanea che risultano poco utili per capire la galassia mediatica dove provare a inserirsi.

Intanto, nel nostro piccolo, per stare su temi più concreti e meno utopici, e, soprattutto, per aggiornare gli strumenti di comunicazione della storia orale, abbiamo iniziato a corredare i testi con dei qrcode che rimandano alle fonti sonore e agli archivi dove sono conservate le registrazioni; inoltre, nel prossimo numero un primo modello di scrittura interattiva con file sonori integrati nel testo è stato confezionato, non a caso, da Sandro Portelli, che pone in relazione le voci proletarie create da Pasolini nei suoi romanzi ambientati nelle borgate romane e le voci registrate al magnetofono negli stessi luoghi da Portelli e dagli attivisti del Circolo Bosio. A dispetto delle barriere generazionali l’innovazione si produce, come in questo caso, grazie a uno studioso nato nel ’42, quando si ha qualcosa da dire visto che nell’urgenza di comunicare viene sondata ogni strada possibile. 

ildemartino-1La struttura della rivista e la costruzione di una saggistica scientifica basata su fonti orali, memorie e dialoghi

Mentre la diffusione della rivista necessita di un piano energico di promozione per far fronte alla crisi del “modello” novecentesco di circolazione della cultura e del dibattito civile, la sfida per il rinnovamento dei contenuti è stata in gran parte vinta grazie a una energica proiezione del nostro lavoro verso il mondo contemporaneo. Su “Il de Martino. Storie voci suoni” trovano, finalmente, posto le voci, le storie e i suoni del nostro tempo, offrendo ai lettori un caleidoscopio che altrove non è facile trovare. Dagli operai in lotta della GKN di Campi Bisenzio, alle testimonianze del movimento no-tav alle true-fiction sui giovani immigrati e le palestre della periferia milanese, per fare solo alcuni esempi. Non mancano anche dei temi classici (dal rapporto tra oralità e scrittura in Calvino, al canto del Maggio sull’appennino emiliano, dal femminismo allo speciale per i 100 anni del Pci) ma si segnalano anche esperienze innovative, come la trascrizione della lingua dei sordomuti e della oralità parlamentare, le sperimentazioni della labour public history, l’uso dei podcast e le ricerche sindacali sugli effetti dello smart working nella vita quotidiana dei lavoratori e sullo sfruttamento dei lavoratori pakistani di Grafica Veneta.

Anche la sfida sulle forme di scrittura si è aperta nel migliore dei modi e ci sta offrendo numerosi elementi di riflessione (e di soddisfazione) grazie alla rubrica “Storie” che ospita “finzioni vere”, con esperienze che possono trasmettersi soltanto grazie alla fiction e immaginazioni creative che cercano di andare al fondo di questioni dirimenti che la filologia a volta ci fa perdere di vista. Filologi rigorosi che si lambiccano sulle modalità di trascrizione dell’oralità convivono, sulle pagine de “Il de Martino”, con autori e autrici che invece scelgono la strada tortuosa ma spesso fertile della restituzione creativa e narrativa di profonde esperienze di vita. Le rubriche de “Il de Martino” si sono ormai consolidate ma non hanno assunto il carattere di griglie obbligatorie entro le quali convogliare gli articoli. Si parte sempre, dopo l’Editoriale, con una rassegna di articoli brevi frutto di esperienze sul campo, con resoconti di festival (come quello di Collelongo organizzato dal Circolo Bosio) e di ricerche in corso e con brevi reportage etnografici e narrativi che presentano un carattere vasto e plurale di temi (dalla memoria dei moti del macinato a quella recentissima del G8 di Genova, dalla esperienza controversa dei navigator del reddito di cittadinanza alle memorie di maestri e compagni di strada che ci hanno lasciato, come Alberto Sobrero, Paolo Pietrangeli, o di cui ricorre l’anniversario, come nel caso di Giovanni Pirelli). 

il_de_martino_28-2018-copertinaDue punti fermi del nostro lavoro editoriale sono la presenza delle Interviste e quella dei Saggi. Nel primo caso ci muoviamo su un terreno più abituale nella sfera della valorizzazione delle fonti orali, mentre nel secondo la sfida è più complessa e comporta uno sforzo non indifferente per costruire un modello di scrittura saggistica basato su fonti orali, memorie, suoni e autobiografie. Si tratta di elementi decisivi nel lavoro di tanti ricercatori e studiosi che trovano più facilmente una configurazione chiara ed efficace nella forma della monografia che non nel saggio scientifico. Un libro basato su fonti orali viene accolto con favore, se ben fatto, dalla critica accademica e dai media, mentre nei saggi tali documenti sono relegati spesso alla funzione ancillare di materiali di campo adoperati dagli studiosi e subalterni rispetto al processo critico e interpretativo.

Del resto, le riviste accademiche stanno producendo una standardizzazione dei modelli di scrittura che valorizzano l’ostensione di ingenti apparati bibliografici (posti spesso in note iniziali di apertura e di riverenza nei confronti delle correnti mainstream) a scapito della documentazione, delle narrazioni e dei dialoghi. Un controsenso rispetto alle posture impegnate e alle nuove deontologie professionali che si sono forgiate in anni di intenso dibattito sulla natura ultima del sapere umanistico che si fonda su elementi concreti della vita quotidiana e su un prezioso e faticoso lavoro di ascolto, mediazione e restituzione. Per questo motivo la sezione Saggi, unica ad avere un referaggio anonimo esterno, preceduto da una ampia e collegiale discussione interna alla redazione, rappresenta un fiore all’occhiello della rivista (e tra i Saggi mi piace segnalare il corposo e denso contributo dell’antropologo Toni Pusceddu sulle vicende operaie del brindisino). L’ambizione di questa sezione è quella di favorire un cambiamento nella scrittura saggistica nel campo delle scienze storiche, linguistiche, sociologiche e demo-etno-antropologiche. Perlomeno speriamo di sensibilizzare i periodici più blasonati sul fronte della valorizzazione dei testi orali.

de-martino-32_2022-copInfatti, riteniamo importante dare spazio a unità narrative, singoli incontri e tappe iniziali di percorsi di ricerca che spesso hanno bisogno di sedimentarsi nel tempo e prima che ciò avvenga rischiano di perdere mordente e legami con l’attualità o di restare nel cassetto degli studiosi. In tale direzione abbiamo pensato anche al senso della rubrica Interviste, senza tralasciare, però, anche la dimensione storica di più lungo periodo. Ci poniamo problemi per l’accesso alla Fascia A? Per adesso no. Anzi, siamo così ben determinati a perseguire nella direzione tracciata che la nostra illusione è che siano i criteri di valutazione del lavoro scientifico a riconoscere la validità del nostro lavoro e che non sia invece il nostro progetto a doversi uniformare. 

Stiamo rivolgendo una particolare attenzione alle scritture dei più giovani, degli studenti, degli attivisti e dei ricercatori outsider e non strutturati. Spesso arrivano cose inedite e interessanti, ma in molti casi, il nostro appello alla condivisione dei ruoli rischia di suonare come una beffarda retorica populista che millanta aperture, dialoghi e coinvolgimenti esterni ma poi rischia di non perseguirli. È bene mettere sul tappeto questi problemi e non ammantarsi di eroismi di cartone. Sono queste alcune delle frontiere aperte, stimolanti e controverse sulle quali abbiamo deciso di muoverci, con fatica ma con profonda determinazione. Riteniamo che sia questo uno dei modi più originali per dare un senso alla eredità culturale che ci troviamo a proiettare nel futuro. E in questo senso aver ospitato su “Il de Martino” le liriche del poeta operaio veneto Fabio Franzin con il commento critico della storica Gilda Zazzara ci pare uno dei punti più alti nella riconfigurazione odierna del dialogo tra intellettuali e mondo del lavoro (un tema decisivo per il nostro progetto, grazie alla collaborazione decisiva con la Ires della Cgil Toscana). L’identità della nuova rivista e la sua linea editoriale si ricava anche dalle ricerche originali che sono state ideate dal suo gruppo promotore, come quella sugli effetti del covid sugli anziani, condotta da Francesca Socrate, e quella sulla lotta del collettivo di fabbrica della Gkn di Campi Bisenzio (un progetto nato in seno alla rivista da cui è poi scaturito un film-documentario, per la regia di Filippo e Lorenzo Gori, con la collaborazione dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico). 

de-martino-33_2022-copLe nuove ricerche non devono farci perdere di vista i nostri archivi e le riletture critiche delle storie che ci hanno preceduto. Un costante esercizio critico e autoriflessivo sulle nostre categorie e metodologie empiriche passa soprattutto per una attenta valorizzazione dei patrimoni che le nostre istituzioni conservano e per una analisi storica e decostruttiva dei concetti e delle nozioni che sono scaturite dalla prassi euristica, creativa e politica dei decenni precedenti. In alcuni casi dagli archivi emergono tesori preziosi per capire anche il nostro tempo e per ricordare e valorizzare i maestri che ci hanno lasciato (nel 2024 ci stiamo preparando a rendere omaggio a Dante Bellamio e al lavoro decisivo delle Edizioni Avanti! per sostenere la lotta contro il salazarismo e i movimenti di decolonizzazione). In questa direzione siamo particolarmente orgogliosi di avere a disposizione per le nostre copertine le foto inedite dell’archivio di Giuseppe Morandi per costruire una cornice iconografica ben riconoscibile e di particolare pregio artistico e sensibilità politica e riflessiva, frutto di una delle esperienze più straordinarie di auto-ricerca del mondo popolare e proletaria come la Lega di cultura di Piadena. Simona Pezzano ci guiderà in questo viaggio tra fotografia, cultura e politica. Mancano ancora all’appello i forum e i dibattiti sui temi che abbiamo enunciato nell’Editoriale del numero 31 ma ci stiamo attrezzando e nel numero 35 vi è uno speciale a più voci sulla esplosione della “letteratura working class” mentre nel numero successivo ci sarà uno speciale sulla “popular music”. 

La dimensione sonora e musicale della storia e le relazioni che hanno i suoni e i media con le trasformazioni della cultura popolare meritano una messa a fuoco costante a fronte delle trasformazioni che vi sono state e che si susseguono a ritmi incalzanti. Intanto, abbiamo dato voce alle vicende delle Posse bolognesi e della canzone di massa sovietica e abbiamo aperto un dibattito a più voci (Fanelli, Tomatis, Portelli) sull’uso dei dischi nella comunicazione politica. Grazie al reportage di Lorenzo D’Orsi i nostri lettori, appassionati di canto politico, hanno approfondito la dimensione antropologica che alimenta le forme musicali del martirio politico dei turchi Grup Yorum, ma molto resta ancora da fare per capire in che modo i media contemporanei sono adoperati nella vita quotidiana. Un grande nodo critico che ci proponiamo di sviscerare in maniera costante attraverso diversi approcci. Infine, come ogni buona rivista che si rispetti, anche “Il de Martino” si chiude con la rubrica “Note e recensioni” ma nel nostro caso non si tratta di un deposito finale di scritture minori o di omaggi alla solita cerchia di amici, bensì di una componente essenziale, e in alcuni casi anche la migliore, del nostro progetto. Una rubrica affidata alla cura meticolosa di Roberta Garruccio e di Chiara Paris, che mostra in tutte le sue sfaccettature la ricchezza della storia orale e dell’uso di fonti memorialistiche e autobiografiche in varie direzioni, dalle installazioni museali e fotografiche alla graphic novel, senza mai tralasciare le tematiche più classiche come la fiabistica e le storie di vita. Una ricchezza così vasta e ramificata da proiettare nel futuro, oltre la crisi delle riviste militanti e dei formati cartacei. E oltre la crisi degli intellettuali e della politica che va da sfondo nefasto al nostro sforzo editoriale. 

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023 
Note
[1] E. de Martino, Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, in «Società», IX, 3, 1953: 8.
[2] Si tratta del saggio Note on deconstructing the «popular», in People’s History and Socialist Theory, a cura di R. Samuel, Routledge, London 1981 la cui prima traduzione in Italia si deve a Sandro Portelli, che aveva incontrato Stuart Hall a un convegno organizzato dal gruppo History Workshop al Ruskin College di Oxford. Con il titolo Per la critica del concetto di «popolare», il saggio apparve nella rivista «I giorni cantati» (1981: 1), nello stesso anno della sua edizione originale. Successivamente è stato ristampato, dopo oltre vent’anni, grazie al lavoro di Miguel Mellino e Giovanni Leghissa, che hanno avuto il merito di introdurre in Italia l’opera di questo straordinario autore, ma hanno ignorato la prima traduzione italiana di Hall che è apparsa, significativamente, su una delle riviste militanti che si occupavano in Italia di storia orale e di canto sociale.
[3] A. M. Cirese, Responsabilità intellettuale e impegno di classe, in C. Bermani (a cura di), Bosio oggi: rilettura di una esperienza, Provincia di Mantova, 1986: 98.
[4] Ibidem.
[5] La trincea e i pascoli. Il socialismo di Emilio Lussu. Un documento inedito dalla nastroteca dell’Istituto Ernesto de Martino, a cura di A. Fanelli e V. Strinati, in «Il de Martino», n.18, 2018. 
[6] Cfr. I. Della Mea, Il penultimo comunista. Scritti sulla politica (1993-2009), a cura di Antonio Fanelli e Mariamargherita Scotti, in «Il de Martino», n. 29, 2019.
[7] G. Bosio, L’intellettuale rovesciato: interventi e ricerche sulla emergenza d’interesse verso le forme di espressione e di organizzazione «spontanee» nel mondo popolare e proletario (gennaio 1963- agosto 1971), Jaca Book-Istituto Ernesto de Martino, Milano-Sesto Fiorentino, 1998 (I ed., Edizioni del Gallo, Milano 1967; II ed., Edizioni Bella Ciao, Milano 1975). 

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Antonio Fanelli, insegna Antropologia Culturale e Etnologia Europea presso la “Sapienza” Università di Roma e fa parte della Giunta Esecutiva e del Comitato Scientifico dell’Istituto Ernesto de Martino. Ha svolto ricerche etnografiche sul patrimonio immateriale del Molise e sulle culture popolari, il tempo libero e la subcultura rossa in Toscana e in Emilia-Romagna. Si occupa di archivi sonori, memorie e fonti orali e ha pubblicato diversi saggi sulla storia degli studi demo-etno-antropologici in Italia, e, in modo particolare, sulla vita e le opere di Gianni Bosio, Alberto Mario Cirese ed Ernesto de Martino. Fa parte della redazione di “Lares” e della “Rivista di Antropologia contemporanea” e dirige la rivista “Il de Martino. Storie voci suoni”. Tra le sue pubblicazioni: A casa del popolo. Antropologia e storia dell’associazionismo ricreativo (Donzelli, 2014); Contro canto. Le culture della protesta dal canto sociale al rap (Donzelli, 2017); Carlen l’orologiaio. Vita di Gian Carlo Negretti: Vita di Gian Carlo Negretti: la Resistenza, il Pci e l’artigianato in Emilia-Romagna (il Mulino, 2019).

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