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La tirannia dell’opinione nella cultura contemporanea

Kirkergard

Soren Kierkegaard

di Marcello Spampinato

Nell’era del digitale, dell’informazione diffusa e generalizzata e nell’epoca della grande connessione di massa l’uomo sperimenta sempre più un senso di onnipotenza che, ad una attenta analisi, appare del tutto ingiustificato. L’uomo contemporaneo, infatti, risulta sempre più dominato dall’opinione pubblica e dal suo ingranaggio il quale annichilisce l’umano, nel senso che svuota l’uomo di ciò che gli è proprio e lo rende uomo nel senso umano del termine.  Il meccanismo dell’opinione pubblica convince il singolo sulla necessità di avere un’opinione intorno alle varie tematiche e dell’importanza dell’opinione in quanto tale ai fini dell’accrescimento intellettuale personale; ma l’annullamento dell’individualità esistenziale e la perdita del sapere epistemico, cioè rigoroso e oggettivo, sono da considerare come conseguenze specifiche della tirannia dell’opinione nella cultura contemporanea.

Avere sempre un’opinione intorno a qualcuno o qualcosa non è infatti mai da considerare il segno di un autentico progresso culturale o sapienziale, visto e considerato che l’opinione non coincide con il vero sapere che è appunto quello filosofico e scientifico. Oltre a questa fondamentale distinzione su cui ritorneremo è necessario esplicitare il carattere anonimo dell’opinione che coinvolge tutti i protagonisti del processo comunicativo. Il filosofo Kierkegaard ha particolarmente insistito intorno alla situazione di anonimato nel rapporto tra chi emette la comunicazione e chi la riceve. Nella modernità, sostiene il filosofo danese, anche chi firma regolarmente il suo articolo, sia esso un giornalista o un pensatore non è mai “in carattere”: egli cioè «non reduplica» ciò che dice nell’esistenza, e «reduplicare vuol dire essere ciò che si dice» [1].

diario-edizione-ridotta-cura-cornelio-fabro-a2d93622-3a3f-44a8-be17-533044246feaQuesto allontanamento dall’esistenza propria e specifica, quindi irripetibile di ciascuno caratterizza la comunicazione nell’era contemporanea e dice della situazione di anonimato in cui l’individuo versa. Infatti anche colui che riceve la comunicazione diventa parte di un pubblico, ma il pubblico è «un astratto che non esiste» [2]. La tirannia dell’opinione oggi obbliga ciascuno di noi a informarsi al fine di avere un’opinione, ma questo produce un processo di massificazione in cui è proprio l’individuo singolo e pensante a scadere nell’anonimato del pubblico. Infatti è la conformità tra ciò che si dice e ciò che si è nella vita a fare propriamente un uomo nella sua specificità individuale rendendolo capace di elevarsi dalla massa e dal pubblico anonimo.

La mancanza di conformità della vita individuale con ciò che si scrive e si dice nel meccanismo dell’opinione pubblica e della comunicazione di massa determina il progressivo decadimento del pensiero esistenziale che è ciò che dice e fa l’uomo nella sua unicità irripetibile, l’uomo propriamente umano. L’esigenza soggettivamente avvertita di avere un’opinione esplicita il desiderio inconscio dell’umanità contemporanea di dissolversi nella massa e nel pubblico anonimo dove ciò che conta è il numero, dove l’uomo e il pensiero del singolo svaniscono e con essi ogni autentica responsabilizzazione del soggetto.

La massa infatti tende a consolarsi nei grandi numeri, è sicura di sé stessa solo quando quello che pensa lo pensano tutti, ovvero lo pensano gli altri membri anonimi della massa, «per la maggior parte degli uomini contemporanei il vero problema consiste non nell’avere un’opinione errata, bensì di averne una da sola» [3]. Risulta così chiaro quanto questo processo di annichilimento del pensiero esistente, a favore di uno speculante che dimentica ciò che è nella vita, possa costituire una minaccia per la realizzazione di un vero umanesimo e per la stessa qualità delle nostre democrazie occidentali.

Dunque, la massificazione che comporta l’edificazione della pubblica opinione conduce inevitabilmente verso una perdita di senso e uno svuotamento esistenziale che compromette seriamente la finalità di ogni sana democrazia: ovvero la presenza di un individuo consapevole, di una soggettività pensante esistente capace di considerazioni oggettive e di scelte autentiche.  L’informazione spesso non arriva alla persona, non si adatta mai alla sua irriducibilità individuale, essa si impone con potenza coattiva e costringe il singolo a dissolversi in essa.

kirkL’affermazione di un pensiero che esiste in opposizione all’incondizionata adesione all’opinione renderebbe possibile anche il recupero della razionalità oggettiva [4] che rappresenta quel più ampio contesto razionale e sapienziale dei sistemi filosofici, quindi il sapere epistemico. La crisi odierna è dovuta al fatto che, a motivo dell’imposizione dell’opinione, la ragione umana è divenuta sostanzialmente incapace di cogliere quest’oggettività. Solo il pensiero esistente, che è cioè capace di reduplicare nell’esistenza ciò che dice, può riaffermare il valore fondamentale della razionalità oggettiva attraverso la sua elevazione dalla massa e dall’opinione anonima.

L’opinione infatti non è da considerare come verità e non bisogna scomodare Platone per ricordarlo. L’opinione regna sovrana esercitando la sua tirannia nella cultura contemporanea proprio nel momento in cui quest’ultima non è più in grado di scorgere una verità oggettiva, dove a motivo del relativismo dilagante ogni certezza epistemica viene denunciata come forma di oppressione senza tenere presente che la vera dittatura è proprio quella che estromette la razionalità oggettiva a favore dell’opinione. Tirannia dell’opinione, relativismo ed estromissione del sapere epistemico sono da considerare quindi fenomeni tra loro estremamente interconnessi e mai isolati.

L’opinione solo apparentemente rafforza il singolo mentre invece lo spoglia del suo autentico pensiero, cioè della possibilità esistenziale nella comunicazione, e lo priva della conoscenza rigorosa, oggettiva nel momento stesso in cui si erige come apice del fare e dell’essere democratico. Ma l’uomo privato della capacità di reduplicare, cioè di essere ciò che dice e pensa, è sicuramente un uomo privato della sua umanità, avviluppato in credenze relativistiche che contribuiscono allo svuotamento di senso e del valore dell’individualità. Ma non era l’individualità ovvero la creazione di una personalità autonoma e libera il fine assiologico delle nostre democrazie? La possibilità, quindi, di un’autentica esistenza nel discernimento realizzato per mezzo di una cultura oggettiva e non di un confuso e anonimo processo comunicativo come può essere quello dell’opinione pubblica?

2560005077591_0_0_536_0_75Le nostre democrazie attuali di massa sembrano ormai essersi lasciate corrompere dal potere totalitario dell’opinione pubblica e hanno finito per assumere come termine di riferimento fondamentale l’opinione anonima e scollegata dal pensiero oggettivo. Al posto del pensiero dei grandi intellettuali, protagonisti del discorso filosofico e scientifico, subentrano i cosiddetti talk show dove chiunque, indipendentemente dalle proprie competenze, esprime in maniera chiassosa e irruenta la propria anonima opinione affrancata dalla vita concreta. Il tutto è finalizzato a creare un discorso debole a cui gli individui in massa devono aderire indipendentemente da quello che potrebbe essere il loro autentico e oggettivo pensiero se fosse bene indirizzato e formato.

L’ingranaggio tirannico dell’opinione pubblica causa quindi la perdita della conoscenza oggettiva e del pensiero esistente che non si accontenta semplicemente della speculazione, ma pratica nell’esistenza ciò che dice. Queste infatti sono le caratteristiche dei grandi maestri dell’umanità, coloro per intenderci che cadono nell’oblio della contemporaneità dominata dall’opinione. Tutto si risolve in una semplice opinione: di fatto l’indice o il segno della mancanza di oggettività del sapere e del pensiero conforme alla vita. Possiamo domandarci continuamente dove siano finiti i grandi maestri del pensiero, ma non riusciremo mai a rispondere in maniera costruttiva a tale interrogativo se non prendiamo in considerazione il carattere relativistico e impositivo dell’opinione.

Il carattere relativistico e anonimo dell’opinione è infatti distruttivo di ogni tentativo esistenziale che contempla la capacità di raggiungere un sapere certo, oggettivo, quindi epistemico, nonché della possibilità di elevarsi o affrancarsi dalla massa preoccupata solamente di avere per l’appunto una semplice opinione. Tutti i grandi maestri oggi rimpianti hanno invece fatto proprî questi aspetti, hanno cercato cioè di formarsi nell’ambito del pensiero oggettivo, rigoroso ed epistemico senza lasciarsi vincere dalla mera attività speculante anonima, mai dimenticando ciò che concretamente si è nell’esistenza. Di conseguenza non vi è più alcun dubbio al riguardo: la possibilità di nuovi maestri dell’umanità resta inevitabilmente connessa al recupero del sapere filosofico-oggettivo nello sforzo del singolo esistente di educare la massa avviluppata nel meccanismo perverso e tirannico dell’opinione.

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
Note
[1] Diario, a cura di Cornelio Fabro, Rizzoli, Milano 2000: 158.
[2] S. Kierkegaard, Opere, a cura di Cornelio Fabro, Sansoni, Firenze 1972: 1027
[3] L. Amoroso, Maschere Kierkegaardiane, Rosenberg & Sellier, Torino, 1990: 22
[4] M. Horkheimer, Eclisse della Ragione, Einaudi, Torino, 2000.
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Marcello Spampinato, laureato in Scienze politiche (indirizzo sociologico), è cultore di filosofia e teologia. Nel 2021 ha pubblicato il volume Esistenzialismo trascendentale e dialettico (Paguro editore). È membro dell’associazione culturale Nuova Acropoli di Ragusa impegnata nella promozione della filosofia attiva. L’analisi filosofica e delle scienze umane, insieme ai loro rapporti con l’arte e la letteratura, è parte integrante del suo campo di indagine e di ricerca volta verso una sempre maggiore unità della conoscenza e di una mentalità universale.

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